MARGARITO di Brindisi
MARGARITO (Megareites) di Brindisi. – Non sono noti né luogo né data di nascita di M. e sulla sua provenienza sono state formulate diverse ipotesi. Talvolta è stato identificato con il pirata Sifanto (ma in via puramente congetturale), nominato da Eustazio di Tessalonica e distintosi nella conquista di Tessalonica da parte dei Normanni (Garufi; Amari), oppure è stato ritenuto un greco dell’Italia meridionale (Antonucci, 1934) o di Zante (Jamison, p. 120). L’encomio di s. Christodulos (cfr. Sakellion - Voinis), composto verso il 1190 sull’isola di Patmos dal monaco bizantino Teodosio, fa rilevare chiaramente che M. era un pirata di umili origini di Megara, nell’Attica, e quindi fu chiamato ΜεγαϱείτηϚ (Megareites, il Megarese), nome che dai Latini fu banalizzato in ΜαϱγαϱίτηϚ (Margarites), tesi confermata da Niceta Coniata, che lo chiama parimenti Megareites.
Non è noto neppure come e quando M. sia entrato al servizio di Guglielmo II d’Altavilla re di Sicilia, presso il quale, secondo il citato encomio, in ogni caso si trovava già l’11 ott. 1186, quando la flotta normanna, che compiva scorrerie nelle isole dell’Egeo, sbarcò a Patmos. Non è noto il nome del comandante della flotta (forse era Tancredi d’Altavilla conte di Lecce), ma il comando era esercitato di fatto dall’«archipirata Megareites».
In quell’occasione M. cercò di ottenere dai monaci del locale monastero le reliquie di s. Christodulos, ma inutilmente, nonostante egli avesse offerto in cambio, a quel che sembra, le rendite di una grande isola, Eubea o Creta.
Nell’estate 1186 M. aveva sorpreso una flotta bizantina di 70 triremi che, agli ordini dell’imperatore Isacco Angelo, si trovava davanti a Cipro al comando di Iohannes Condostefanos per riconquistare l’isola, importante strategicamente e separatasi l’anno precedente, sotto l’usurpatore Isacco Comneno, dall’Impero bizantino. M. si impadronì velocemente delle navi, prive degli equipaggi che nel frattempo erano sbarcati, e le poté quindi distruggere senza incontrare resistenza; gli equipaggi furono poi catturati in un’azione comune dei Normanni e delle truppe di Isacco Comneno. M. inviò a Guglielmo II i più alti dignitari della flotta bizantina e una grossa parte del bottino.
Fu soprattutto questa trionfale vittoria che diede origine alla sua fama militare e gli spianò la strada alla nomina di ammiraglio del Regno. Per Bisanzio, invece, questa sconfitta fu un disastro di tali dimensioni da non riprendersi più, perché quella che era stata distrutta era la sua ultima flotta pronta all’azione: successivamente Bisanzio sarà dunque facile preda dei crociati.
Probabilmente nel 1187 M. fu nominato ammiraglio della flotta siciliana da Guglielmo II ed è del luglio 1192 un suo documento con l’intitulatio «dei et regia gratia comes Malte et victoriosus regii stolii amiratus» (Garufi, pp. 280 s. n. 1; Mattei-Cerasoli).
Già nella primavera 1186 la flotta normanna aveva sottratto ai Bizantini Cefalonia, Zante e Itaca, successivamente assegnate a M. da Guglielmo II, probabilmente come allodio e non come feudo. Dopo l’ascesa di Tancredi d’Altavilla al trono, nel 1190, M. fu nominato conte di Malta e ricevette l’investitura feudale dell’arcipelago maltese. I suoi possedimenti mediterranei rappresentarono così uno scudo naturale a sud e a est del Regno di Sicilia che avrebbe dovuto proteggere le coste del Regno.
Ancora al tempo di Guglielmo II, o poco dopo l’avvento al trono di Tancredi, M. ricevette l’investitura di Brindisi, il più importante punto d’appoggio continentale della flotta del Regno. Lì, come a Messina – il principale porto militare della Sicilia –, M. possedeva un palazzo. Oltre a Brindisi, aveva moltissimi altri feudi in Calabria e Basilicata (soprattutto Policoro e Colobraro) e in Sicilia; per l’amministrazione delle numerose proprietà disponeva di una cancelleria con un notaio e propri funzionari nei feudi; nei documenti è nominato un apposito camerario per Brindisi e Policoro. I tre documenti di M. ritenuti originali, datati luglio 1192 (Cava de’ Tirreni, Arch. della Badia della Ss. Trinità, perg. L/35), settembre 1193 (Toledo, Archivo Ducal Medinaceli, Fondo Messina, perg. 114) e luglio 1194 (Brindisi, Arch. capitolare, perg. III/15) sono in latino, ma la recognitio autografa di M. è sempre in greco.
Dopo la disfatta di Ḥiṭṭīn e la conquista di Gerusalemme da parte di Saladino, Guglielmo II, soprattutto su richiesta di Corrado di Monferrato, nella primavera 1188 decise di inviare M. con una flotta di circa 50-60 galee, con 200 o 500 cavalieri a bordo, ai crociati assediati. M. sbarcò dapprima a Tripoli di Siria e fece vela per Tiro dove l’equipaggio della sua flotta si lasciò andare ad atti di pirateria nei confronti delle navi cristiane nel porto. Alla fine M. tornò a Tripoli, minacciata d’assedio da parte di Saladino. La comparsa della flotta normanna nel giugno 1188 aveva incoraggiato i difensori della città a una sortita contro l’avanguardia ayyubide che si era già avvicinata e che fu ricacciata indietro: Saladino abbandonò quindi l’idea di assediare Tripoli.
Anche dopo gli avvenimenti di Tiro, M. non arretrò davanti a forme di rappresaglia nei confronti della popolazione di Tripoli, come la violenta requisizione degli approvvigionamenti, motivo per cui l’atteggiamento delle popolazioni cristiane cambiò improvvisamente e colui che era apparso come il salvatore dalla minaccia musulmana presto fu visto come un oppressore più duro dei musulmani.
Nel frattempo Saladino, dopo aver rinunciato all’assedio di Tripoli, si era diretto alla volta di Ǧabala e Laodicea. L’esercito musulmano sulla strada lungo la costa doveva superare la strettoia tra il castello giovannita di Marqab e il mare. M. tentò quindi a metà luglio, senza successo, di fermare in quel luogo l’avanzata ayyubide, con il tiro della sua flotta. Il 21 luglio 1188 la flotta normanna giunse davanti a Laodicea quasi contemporaneamente a Saladino, ma non poté impedire che i Franchi il giorno successivo consegnassero la città a Saladino, dopo che il sultano aveva assicurato loro di potersi ritirare liberamente verso Antiochia.
La presunta viltà degli abitanti di Laodicea servì probabilmente a M. come pretesto per ulteriori atti di pirateria: tutte le navi cristiane che lasciavano il porto di Laodicea furono catturate e depredate. Numerosi abitanti della città preferirono quindi sottomettersi a Saladino e pagare i gizya, piuttosto che cadere nelle mani di Margarito.
Davanti a Laodicea il 23 o 24 luglio avvenne anche l’incontro tra Saladino e M. nel corso del quale egli scongiurò, peraltro invano, il sultano di rinunciare ad altre conquiste nel Regno di Gerusalemme e di restituire ai cristiani le città conquistate. Del tutto inattendibili sono i Gesta regis Henrici (pp. 51, 54), dove si afferma che M. avrebbe successivamente riconquistato Giaffa e Ǧubail (Gibelet) e avrebbe annientato una flotta di Saladino che portava rifornimenti ad Acri assediata da Margarito.
In realtà M. aveva messo in discussione il successo della sua impresa Oltremare già dall’inizio, con il ritorno agli atti di pirateria e le scorrerie ai danni della popolazione cristiana: in seguito a essi non si giunse ad alcun tipo di cooperazione militare tra M. e i principi cristiani del Regno di Gerusalemme, e M. si vide costretto a interrompere, probabilmente già nella tarda estate 1188, il suo intervento in Terrasanta, senza durevoli risultati, e a far ritorno in Italia meridionale.
A causa della morte di Guglielmo II (18 nov. 1189) e dell’ascesa al trono di Tancredi non ebbero luogo grandi operazioni della flotta normanna negli anni successivi, durante i quali M. soggiornò prevalentemente a Brindisi e a Messina, dove esercitò l’ufficio di stratigoto. In questa funzione partecipò alla contesa tra gli abitanti della città e le truppe inglesi, giunte a Messina con Riccardo Cuor di Leone. Scoppiate le ostilità, il 3 ott. 1190 si recò presso il re inglese con numerosi altri dignitari normanni per trovare un accordo. Nonostante le trattative rimanessero senza risultato e M. venisse forse addirittura imprigionato da Riccardo per breve tempo, egli si riconciliò rapidamente con lui. In ogni caso, nel febbraio 1191 accolse a Brindisi con tutti gli onori la madre di Riccardo, Eleonora d’Aquitania, e la promessa sposa, Berengaria di Navarra, che andavano a raggiungere il re in Terrasanta.
M. condusse nuovamente alcune importanti operazioni navali nell’estate 1191, quando le Repubbliche marinare di Pisa e Genova – alleate con l’imperatore Enrico VI di Svevia contro Tancredi per la conquista del Regno di Sicilia – inviarono due flotte verso l’Italia meridionale. Egli costrinse la flotta pisana a invertire la rotta ancor prima di unirsi a quella genovese, partita dalla Liguria il 15 agosto. Nonostante la fuga dei Pisani e la notizia che Enrico VI aveva tolto l’assedio a Napoli e aveva ripiegato verso Capua, le navi genovesi erano avanzate sino a Ischia senza incontrare la flotta normanna. La flotta genovese invertì allora la rotta verso Nord e si divise presso le isole di Ponza e Palmarola. Una squadra di 23 galee rimase indietro per reimbarcare truppe nel frattempo sbarcate; le restanti 10 galee proseguirono il viaggio verso la Liguria. All’altezza di Capo Circeo le 23 navi si imbatterono nella flotta normanna, al comando di M., forte di 72 galee e di imbarcazioni più piccole; nonostante la preponderanza numerica di più di tre a uno, M. non diede battaglia e tornò verso Ischia e la flotta genovese, pertanto, poté raggiungere indisturbata il porto di Civitavecchia.
Si è molto indagato sui motivi per cui M. evitò lo scontro e gettò al vento una vittoria quasi certa. Non persuade come spiegazione il timore, da parte di M., del possibile ritorno della flotta pisana e del suo intervento nel combattimento (Clementi), perché la flotta normanna avrebbe comunque avuto una netta superiorità numerica. Sembra più verosimile che M. agisse per espresso ordine di re Tancredi: dopo che Enrico VI aveva tolto l’assedio a Napoli, il pericolo di invasione del Regno di Sicilia si era temporaneamente allontanato. Non era quindi necessario spingere all’estremo il conflitto con Pisa e Genova e rendere difficoltosa la via per futuri accordi di pace. La rinuncia a una vittoria quasi certa potrebbe quindi essere interpretata come una velata proposta alle due Repubbliche di concludere la pace con Tancredi e abbandonare l’alleanza con Enrico VI, cosa che avrebbe nettamente ridotto per l’imperatore le possibilità di invadere nuovamente il Regno.
Nell’autunno 1191 M. riuscì a sorpresa a catturare Costanza d’Altavilla che, dopo la ritirata del suo sposo Enrico VI, in un primo momento era rimasta ancora nel Regno e ora cercava di imbarcarsi a Salerno. M. spedì l’imperatrice a Palermo, alla corte di Tancredi, che però la restituì al suo avversario.
Poiché durante gli ultimi anni di regno di Tancredi non si verificarono conflitti militari di rilievo con Enrico VI, e il re di Sicilia aveva anche ampiamente rinunciato a proseguire l’attiva politica mediterranea di Guglielmo II, non esistono resoconti delle imprese della flotta di M., il quale si dedicò soprattutto all’amministrazione dei suoi feudi e fece ripetute donazioni a chiese e monasteri, probabilmente per far dimenticare il suo turbolento passato di pirata. Particolarmente favorito fu il monastero di S. Nicola di Peratico, a cui nel luglio 1192 e nel 1193-94 donò terreni nel territorio di Policoro e Colobraro. Un’ulteriore donazione, del settembre 1193, riguardò il famoso archimandriato di S. Salvatore a Messina al quale egli assegnò tutte le entrate del casale Cremastro a Calatabiano. Nel luglio 1194 donò infine alla Chiesa di Brindisi tre case e un appezzamento di terreno vicino al porto. Poco prima M. aveva fondato a Brindisi il convento di S. Maria de Ponte Parvo e due piccole chiese: S. Margherita e S. Demetrio, che furono sottoposte al convento.
Tancredi nominò M. «familiaris» poco prima della sua morte (20 febbr. 1194), poiché M. si intitola «domini regis familiaris» per la prima volta nel luglio 1194. In occasione della rinnovata minaccia al Regno da parte di Enrico VI, il re di Sicilia affidò presumibilmente sua moglie Sibilla e il figlio Guglielmo, ancora bambino, alle cure particolari del cognato Riccardo di Acerra e di M., che certamente, tra tutti i consiglieri del Regno, avevano maggiore esperienza militare.
Nessuna fonte ci informa su attività di M. o su operazioni della flotta durante la guerra del 1194, e il solo soggiorno a Messina nel settembre 1193 non permette (a differenza di quanto ritiene Jamison, p. 101) di ipotizzare che in quella città M. abbia mobilitato le truppe per la difesa del Regno. Sebbene Enrico VI, come emerge da un documento del 28 ott. 1194, già avesse confiscato i beni di M. nel Regno di Sicilia e lo avesse bandito, non è del tutto da escludere, in relazione alla sua inattività, che egli, di fronte alla superiorità di Enrico VI, persuadesse Sibilla alla sottomissione sperando di proseguire la propria carriera anche sotto lo Svevo. In ogni caso M., dopo l’ingresso a Palermo di Enrico VI, il 20 o 21 nov. 1194, gli consegnò senza combattere il castello del porto, del quale egli, come comandante della flotta, aveva avuto il comando. Secondo la testimonianza, comunque poco credibile, del cronista inglese Ruggero di Howden (III, p. 269; IV, p. 27) il progetto all’inizio sembrò realizzarsi perché Enrico VI, presumibilmente prima della sua incoronazione a re di Sicilia (25 dic. 1194), investì M. del «principatus maris» (forse l’ammiragliato) e del «ducatus de Duraz» (probabilmente le tre isole ioniche meridionali). Falsa invece è la notizia data da Ruggero di Howden che lo Svevo avrebbe investito M. del Principato di Taranto, perché questo feudo, nell’accordo stretto tra Sibilla ed Enrico VI nel novembre 1194, era destinato a Guglielmo, allora minore. Certamente a M. fu tolta, prima dell’incoronazione di Enrico VI a re di Sicilia, la contea di Malta, perché lo Svevo già il 23 dicembre assegnò l’arcipelago maltese in feudo al genovese Guglielmo Grasso.
Probabilmente fu proprio la rottura della promessa di lasciargli l’ammiragliato e i suoi feudi a spingere M. a partecipare alla congiura del Natale 1194 contro Enrico VI, se davvero questa cospirazione ha avuto luogo e non è invece servita all’imperatore come pretesto per eliminare l’odiata «vecchia» élite normanna. In ogni caso, M., con gli altri «congiurati», tra i quali il piccolo Guglielmo, furono imprigionati e portati in Germania. Nella primavera 1197 fu scoperta una seconda congiura a Palermo contro l’imperatore, e M., nonostante la sua sicura estraneità a tale congiura, fu accecato ed evirato.
Dopo il 1197 si perdono le sue tracce, ma certo M. non può essere sopravvissuto a lungo alle conseguenze della punizione inflittagli da Enrico VI.
È pura fantasia l’affermazione di Ruggero di Howden (IV, pp. 121 s.) che nel 1200 M. sarebbe comparso alla corte del re Filippo II di Francia e gli avrebbe offerto niente di meno che la corona dell’Impero bizantino. In seguito M. avrebbe perfino fatto preparativi, nelle città che gli appartenevano, per portare l’attacco a Bisanzio, quando fu ucciso a Roma da uno dei suoi servi che egli avrebbe maltrattato.
Cefalonia, Zante e Itaca tornarono ai Bizantini dopo il 1194. È falsa l’affermazione, spesso ripetuta, che fosse genero di M. quel Maio di Montopoli, che prese possesso delle isole dopo la quarta crociata. I palazzi di M. a Messina e a Brindisi furono più tardi donati da Federico II di Svevia rispettivamente ai Genovesi e all’Ordine Teutonico. In base a documenti del settembre 1193 e 1194, M. era sposato con una Matina e dal matrimonio aveva avuto dei figli, dei quali non è noto il destino.
L’attività pubblica di M., relativamente breve (circa 1187-94), fu di rilevante significato per lo sviluppo istituzionale dell’ammiragliato siciliano e la mutazione del valore semantico della parola amiratus. Mentre il suo predecessore come amiratus, Gualtiero di Modica, aveva svolto compiti nella gestione della finanza, M. non prese più parte all’amministrazione della duana de secretis e della duana baronum. Il titolo amiratus fu invece da allora riservato solo all’ufficio militare del comandante supremo della flotta. D’altra parte i successi di M. nelle battaglie navali sono stati spesso ampiamente esagerati dagli storici: si è arrivato a parlare di trionfi della flotta normanna contro la Spagna, l’Africa, la Grecia, la Siria, Pisa e Genova (così Jamison, p. 54 e Ménager, pp. 96-103). In realtà ottenne una sola vittoria, quella contro i Bizantini nel 1186, certo di portata storica, ma comunque favorita dal fatto che egli casualmente sorprese quella flotta nel porto quando il grosso dell’equipaggio era sbarcato. Il suo intervento in Palestina rimase senza tangibili successi; egli non poté impedire il crollo del potere normanno in Italia meridionale e nemmeno giocare un ruolo decisivo nel conflitto fra Tancredi d’Altavilla e l’imperatore Enrico VI.
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