MARGARITO
(o Margaritone)
Pittore del sec. 13° attivo nel territorio di Arezzo, città dove risulta menzionato in uno strumento d'allogazione del 1262. Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 89-93), che lo chiama Margaritone, fece di M. "una specie di multiforme genius loci duecentesco" (Salmi, 1951), pratico di scultura e architettura, ma soprattutto di pittura.Del maestro aretino, la cui figura è stata ripetutamente indagata dalla critica novecentesca, nell'ambito degli studi sullo sviluppo della pittura toscana e dell'Italia centrale nel sec. 13°, sono pervenuti molti dipinti, quasi tutti firmati. Il tentativo di stabilire una prima, sommaria evoluzione cronologica nella sua attività si deve a Dami (1924-1925), il quale, nel pubblicare una tavola con S. Francesco rintracciata a Montepulciano (Mus. Civ.) e nel riferirla a M., attribuì a una fase giovanile la Madonna in trono con il Bambino di S. Maria a Montelungo, presso Terranuova Bracciolini (prov. Arezzo), tradizionalmente datata da un'iscrizione seicentesca al 1250; inoltre lo studioso assegnò a un periodo successivo sia un dossale firmato dal maestro, rappresentante la Madonna con il Bambino e, ai lati, scene della Natività e della Vita di santi (Londra, Nat. Gall.), sia la tavola di Santa Maria delle Vertighe presso Monte San Savino (Arezzo, Mus. Statale di Arte Medioevale e Moderna), cui un crescente interesse critico ha finito con il tributare centralità di ruolo nella produzione dell'artista.La tavola di Arezzo - rappresentante al centro la Madonna in trono con il Bambino e ai lati quattro scene della Vita della Vergine (Annunciazione, Natività, Assunzione, Adorazione dei Magi) - è corredata da un'iscrizione con il nome di M., lacunosa e di così difficile lettura da indurre la critica, fin dagli inizi del secolo, a ritenere che l'intervento del pittore aretino fosse, in realtà, consistito nel restaurare un'opera più antica e avesse interessato solo la parte centrale della tavola, mentre le storie laterali sarebbero state dipinte da un artista del sec. 12° o dei primi del 13° (Dami, 1924-1925). Una simile teoria, basata sulla lettura interpolata della parola restauravit in una delle lacune dell'iscrizione (Crowe, Cavalcaselle, 18862; Milanesi, in Vasari, Le Vite, 1878; Dalle Balze, 1894; Dami, 1924-1925; Salmi, 1951; 1971), non trovò concorde, fra gli studiosi, Del Vita (1942-1943), che invece ritenne l'intera tavola di sicura e individuale esecuzione da parte del maestro. Solo in anni recenti, grazie anche a un restauro dell'opera, è stato viceversa possibile ipotizzare una lettura diversa dell'iscrizione, integrandone la lacuna con il nome di Restoro d'Arezzo, e suggerire quindi una collaborazione tra M. e un altro pittore, probabilmente il monaco autore de La composizione del mondo (1282), che fu anche miniatore (Maetzke, 1973). Ormai accettata dalla critica (Ciardi Dupré Dal Poggetto, 1980; Labriola, 1987) risulta, di conseguenza, l'attribuzione a M. della parte centrale della tavola e a Restoro delle storie laterali; controversa resta l'assegnazione dei due sportelli laterali, con sei figure di santi non identificati, in cui alcuni studiosi riconoscono la mano di M. (Maetzke, 1973; Labriola, 1987) e altri quella di Restoro (Ciardi Dupré Dal Poggetto, 1980).L'ormai acquisita relazione di anteriorità esistente fra la Madonna di Montelungo e la tavola in oggetto - postulabile in termini sia cronologici sia stilistici - ha quindi permesso di distinguere fasi diverse nell'attività del maestro, alla più antica delle quali apparterrebbero sia la Madonna di Washington (Nat. Gall. of Art, già Londra, Wornum Coll.) sia il dossale di Londra (Labriola, 1987).Nella prima delle due opere - riferibile, solo secondo alcuni studiosi (Garrison, 1949; Shapley, 1966), agli anni tra il 1260 e il 1275 - lo schema iconografico adottato appare molto simile a quello della Madonna di Montelungo: la Vergine, al centro, con il capo sormontato da una corona gigliata con pendenti, siede su un trono senza schienale e sostiene il Bambino, che è in posizione frontale, nell'atto di benedire; ai lati sono poste quattro piccole figure di santi non facilmente riconoscibili, laddove, viceversa, nella tavola di Montelungo due delle figure di analogo soggetto sono state identificate con Gioacchino e l'angelo annunciante (Shapley, 1966). Più complessa è l'immagine della Madonna conservata nel dossale di Londra, dove la Vergine, benché iconograficamente simile ad altre opere del maestro, risulta inscritta in una mandorla e siede su un trono di più elaborata fattura, con due leoni; otto scene, la Natività e sette storie riguardanti i miracoli e il martirio di diversi santi, sono dipinte quattro su ciascun lato (Dami, 1924-1925; Davies, 1951).Fatta oggetto di una proposta di anticipazione (Labriola, 1987) rispetto all'opinione critica corrente, la datazione di queste due opere ha permesso di delineare la fase iniziale dell'attività di M. entro la prima metà del Duecento nonché all'interno di un quadro di riferimenti riconducibili alla pittura umbro-laziale coeva, in particolare sia a modelli spoletini, come per es. il Crocifisso di Campi Vecchio presso Norcia, del 1241, sia agli affreschi della cripta del duomo di Anagni, del secondo quarto del sec. 13°, e in special modo al Terzo Maestro (Davies, 1951; Shapley, 1966; 1979; Labriola, 1987).Alla fase giovanile di M. sarebbero da riferire sia il S. Francesco proveniente da Ganghereto (Arezzo, Mus. Diocesano) sia una tavola di analogo soggetto (Siena, Pinacoteca Naz.), opere caratterizzate entrambe da un'insistente ricerca di emotività espressa attraverso i grandi occhi dal pesante contorno. Numerose sono le immagini del santo assisiate firmate da M. ed eseguite in momenti diversi della sua attività: oltre a quelle già citate, rimangono la tavola proveniente dal convento di Sargiano, nei dintorni di Arezzo (Arezzo, Mus. Statale di Arte Medioevale e Moderna), quelle conservate a Castelfiorentino (S. Verdiana, Pinacoteca), a Montepulciano (Mus. Civ.), a Roma (Mus. Vaticani, Pinacoteca; S. Francesco a Ripa) e a Zurigo (Kunsthaus). Il S. Francesco di Sargiano, interessato da una ridipintura eseguita non prima del nono decennio del Duecento, sarebbe il prototipo da cui deriverebbero tutti gli altri, considerati copie scadenti eseguite dalla bottega negli ultimi anni del sec. 13° (Maetzke, 1973). Parere diverso è stato espresso, viceversa, a favore dell'autografia dei numerosi ritratti di s. Francesco, riferiti a M. sulla base di una possibile "lunga dimestichezza con alcuni fedeli compagni del Santo" (Ciardi Dupré Dal Poggetto, 1980, p. 8); nella medesima sede critica sono stati quindi considerati come i più antichi del gruppo il S. Francesco di Ganghereto e quello dei Mus. Vaticani, mentre il S. Francesco di Sargiano presenterebbe affinità stilistiche con la Madonna di Montelungo e sarebbe quindi riferibile alla metà del secolo.Le numerose immagini di s. Francesco legate al nome di M. sono datate dagli studiosi in un arco di tempo compreso tra la prima metà e gli anni ottanta del sec. 13° e riflettono la più generale difficoltà di determinare una cronologia certa per l'intera attività del pittore (Torriti, 1977; Mancinelli, 1992). Esse costituiscono un gruppo dalle caratteristiche formali e iconografiche molto simili: le tavole hanno tutte più o meno le stesse dimensioni (m 1 ca. di altezza, cm 40-50 di larghezza) e sembrano pensate per essere collocate, a fini devozionali, su di un pilastro della navata. Il santo è rappresentato di norma frontalmente, con indosso un saio dai bordi filettati d'oro (mancanti nella tavola di Zurigo) e il capo rivestito da un cappuccio con la punta rivolta verso destra, nell'atto di tenere un libro chiuso in una mano e di mostrare le stimmate con l'altra; una simile rappresentazione della figura, isolata - priva delle storiette laterali con i miracoli, consuete nei primi modelli di Bonaventura Berlinghieri - e resa in modo più realistico, con maggiore attenzione a caratteristiche somatiche come gli occhi grandi, la fronte bassa, il naso lungo e affilato, costituì una vera e propria innovazione sul piano iconografico (Frugoni, 1993). Nelle tavole di Castelfiorentino e di S. Francesco a Ripa a Roma, il santo stringe invece in una mano una croce, particolare che lo avvicina a un secondo archetipo di tipo assisiate, esemplato in una tavola con S. Francesco e miracoli post mortem (Assisi, Tesoro Mus. della Basilica di S. Francesco; Frugoni, 1993).A un periodo successivo rispetto a quello delle tavole di Washington e di Londra dovrebbe quindi appartenere la croce della pieve di S. Maria nei pressi di Arezzo, per la quale sono stati indicati generici riferimenti alla tradizione delle croci lucchesi e riscontri molto più puntuali con l'esperienza di Giunta Pisano e soprattutto di Coppo di Marcovaldo (Maetzke, 1973). La vicinanza sia a opere di quest'ultimo, come per es. la croce di San Gimignano (Mus. Civ.), del 1255-1260, sia ai mosaici del battistero di Firenze porta la datazione dell'opera agli anni sessanta. A questo stesso periodo dovrebbe essere riferita anche la croce della Coll. Chigi Saracini a Siena, forse uscita dalla bottega di M. (Maetzke, 1973).L'orientamento critico iniziale - volto a datare l'attività dell'artista tra il 1260 e il 1290, a considerarlo un tardo e mediocre seguace del Maestro del Bigallo e a sottolinearne la provincialità (Garrison, 1949; Salmi, 1951; 1971; Ragghianti, 1955) - è stato superato grazie alla rivalutazione di Longhi (1948, pp. 38-39), che, nel definire M. "un incantevole caposcuola della prima metà del secolo" e nel sottolinearne il ruolo di evocatore di una "antichissima tendenza copto siriana", ha contribuito ad avviare la propensione, accreditatasi nel tempo, ad anticipare la cronologia del pittore, collocandone gli inizi negli anni venti o trenta e il periodo maturo intorno alla metà del sec. 13° (Bologna, 1962; Bellosi, 1970).Oltre alla pittura contemporanea fiorentina e laziale, M. mostra di conoscere la miniatura siciliana della corte sveva: all'iconografia e agli stilemi presenti in quelle miniature sono stati riportati infatti alcuni particolari della Madonna di Santa Maria delle Vertighe, come il rametto con tre fiori che la Vergine tiene nella mano destra, probabilmente ispirato a un'immagine di Federico II in trono del De arte venandi cum avibus (Roma, BAV, Pal. lat. 1071). Al mondo carolingio e ottoniano risalirebbe invece la corona gigliata indossata dalla Madonna sia nella suddetta tavola sia in quella di Montelungo (alla quale il pittore però aggiunse i pendenti di origine bizantina), laddove all'iconografia imperiale occidentale sarebbe legato il trono con i due leoni raffigurato nel dossale conservato a Londra (Maetzke, 1973).
Bibl.:
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