MARGHERITA da Trento
MARGHERITA da Trento. – Non è nota la data di nascita, da collocare nella seconda metà del XIII secolo; il luogo di origine è Trento o forse Arco, stando alla denominazione di origine di Boninsegna (qualora costui sia davvero fratello di M.).
Tradizioni locali e narrazioni romanzesche passate e presenti aggiungono dati di pura fantasia. La precisazione toponimica di origine «da Trento» compare per la prima volta in una deposizione in processi bolognesi del settembre 1304, quando M. accompagnava Dolcino da Novara almeno da un anno. Dolcino – capo della setta dei nuovi apostoli (o apostoli Christi), che in un clima di attesa dei tempi nuovi vivevano imitando il modello apostolico – a quel tempo aveva già scritto due delle epistole rivolte in modo generico ai «fideles Christi», e specificamente ai suoi compagni, in cui attraverso le parole del Vecchio e del Nuovo Testamento esponeva una teoria della salvezza.
La perdita dei processi inquisitoriali precedenti alla crociata del 1307 e successivi alla cattura limita la conoscenza del ruolo di M. e della sua azione a fianco di Dolcino, che non dovettero essere così sfumati come la carenza documentaria farebbe pensare. Per avere qualche notizia biografica bisogna ricorrere ai processi trentini contro i seguaci di Dolcino degli anni Trenta del XIV secolo.
Sembra specificare il luogo e l’origine familiare la deposizione, rilasciata il 31 dic. 1332 (Processo trentino, p. 80), di ser Boninsegna, figlio di dominus Oddorico da Arco, fratello di una «Margareta»: dalle sue parole risulterebbe che circa 28 anni prima la sorella, con quattro «domicelli» (donzelli) e altri uomini, si era allontanata con i nuovi apostoli e poi era morta sul rogo. Ma da due anni Boninsegna aveva ricevuto notizia che ella era ancora in vita, abitava a Vicenza, era sposata, aveva cambiato nome in Maria e aveva un figlio di 15 anni. Il latore della notizia le avrebbe parlato personalmente riscontrando che era davvero la sorella di Boninsegna, che era rimasta in carcere per tre anni, ma ne era uscita e si trovava ora «in gratia inquisitorum». Queste informazioni non hanno riscontri in altre fonti e parrebbero una sorta di riabilitazione della memoria, fornita da chi confessa che le vicende della sorella avevano contribuito a distruggerlo («per eam distructus est»).
La testimonianza del 22 sett. 1304 di Rolandino (uno dei più conosciuti predicatori apostolici del Modenese) rivela che nel 1302-03 Dolcino si trovava nel territorio trentino in compagnia di Cara da Modena, predicatrice anche lei molto attiva nel Modenese (Acta S. Officii, p. 404). Se tale testimonianza è affidabile, la presenza di M. al fianco di Dolcino avrebbe inizio prima di dicembre 1303, quando Dolcino scrisse la seconda delle sue lettere che nell’incipit illustra la gerarchia del gruppo: frater Dolcino è rector di tutti coloro che appartengono alla congregazione spirituale, seguono prima soror M., «pre ceteris sibi dilectissima», e poi i fratres Longino da Bergamo, Alberto da Cimego (Alberto da Trento), Baldrico da Brescia e Federico Grampa di Novara. La stessa sequenza di nomi è ripetuta nella ricordata testimonianza di Rolandino.
M. era la compagna di vita religiosa prediletta da Dolcino, riconosciuta dagli altri membri della congregazione spirituale, ma era anche l’unica donna del gruppo dirigente dolciniano. Rimane da capire se la presenza di figure femminili al fianco di Dolcino (Cara prima, M. poi) fosse programmatica o casuale in una comunità eterogenea di uomini (fratres) e donne (sorores) in cui solo la mentalità teologico-dogmatica dei rappresentanti della Chiesa cattolico-romana escludeva la presenza visibile di donne. M. sembra invece aver consolidato la sua posizione in tempi brevissimi. Visse nel cono d’ombra della figura di Dolcino, di cui condivise l’esperienza religiosa fino agli estremi esiti drammatici. Bernard Gui, cronista e inquisitore dell’Ordine dei frati predicatori, non esita a definirla «amasia» di Dolcino secondo uno stereotipo procedimento di trasformazione della dissidenza religiosa in licenziosità che, nel caso delle donne, subisce l’ulteriore aggravante del pesante silenzio documentario.
In realtà, figure femminili accanto a personaggi eminenti di gruppi religiosi antagonisti non sono rare (come, qualche anno prima, il caso di Guglielma di Milano in cui Andrea Saramita e soror Maifreda da Pirovano divennero i referenti dei figli dello Spirito Santo).
Dalla documentazione superstite M. non risulta con una dimensione d’azione e di pensiero propria. È ricordata nell’estrema fase finale (il rogo) e per le qualità fisiche che farebbero di lei l’amante di Dolcino. Emerge, invece, una evidente fisionomia femminile collettiva autoidentificatasi nell’espressione «sorores in Christo» appartenenti alla «congregazione spirituale e apostolica» di Dolcino, come si legge nel commento di Gui alle lettere e alla dottrina. Si tratta di un’espressione tanto sfuggente quanto duratura in ambienti diversificati, che attraversa l’esperienza eterodossa medievale (la si ritrova anche in ambito valdese all’inizio del XVI secolo nel Delfinato). Tale espressione non può essere meccanicamente sovrapposta a «sorores apostolicae» riscontrabile nella fase iniziale dell’avventura apostolica ai tempi di Gherardo Segarelli. «Sorores apostolicae» e «sorores in Christo» confermano un orizzonte religioso in cui soror M. affianca frater Dolcino nel modo pudico e onesto delle sorelle in Cristo («more sororis in Christo pudice et honeste»; B. Gui, De secta, p. 28).
Nel momento in cui riferisce di un gruppo di donne che nel nome portano l’ideale di adeguamento al modello di Cristo, Gui cambia l’orizzonte semantico e comportamentale connotandole come «amasiae». M. non sfugge ai lacci definitori di una semantica rovesciata che completa il verdetto giudiziario di eresia con la condanna morale.
In tale contesto, una sua presunta gravidanza attribuita dai membri del gruppo all’intervento dello Spirito Santo è depotenziata del significato di rinnovato intervento divino nella storia della salvezza attraverso un giudizio di promiscuità sessuale. Qualora tale convinzione fosse realmente circolata tra i compagni di Dolcino, M. avrebbe avuto un ruolo fondamentale in un progetto di rifondazione religiosa.
Negli scritti di Gui la figura e il ruolo di M., «amasia» di Dolcino e «soror in Christo», assumono connotati nuovi e stereotipi: la donna è «consors eius [di Dolcino] in scelere et heresi» o «mulier malefica» (ibid.) inaugurando la tradizionale raffigurazione moralmente degradata del mito fascinoso di M. «la bella» («la bella» è in italiano nel testo latino). Tale definizione di duraturo impatto storiografico è coniata dal coevo estensore della Historia fratris Dulcini (p. 12) e propagata da Benvenuto da Imola che scrive di una «pulchritudo immensa» (p. 362). Il mito di una donna affascinante «amasia» di Dolcino subirà un’ulteriore trasformazione nell’immagine di una negromante.
Nel 1306 Clemente V bandì una crociata contro i nuovi apostoli, donne e uomini, rifugiatisi già da tempo tra le montagne della Val Sesia. Il 23 marzo 1307, giovedì santo, il vescovo di Vercelli Raniero Avogadro guidò le milizie che alla fine della giornata catturarono Dolcino, M. e Longino da Bergamo. Il 25 marzo vennero trasferiti a Biella. La Historia fratris Dulcini parla di un processo, della convocazione di un «consilium» di sapienti, della consegna al braccio secolare, del rogo di Dolcino il 1° giugno 1307 a Vercelli, dopo che M. era stata bruciata davanti ai suoi occhi, legata a un palo conficcato sulla riva del torrente Cervo, ben visibile da tutti. Gui tramanda una versione cruenta e inusuale in cui il corpo di M. sarebbe stato fatto a pezzi davanti agli occhi di Dolcino, al quale toccò in seguito la stessa sorte. Le loro ossa e le loro membra sarebbero state infine bruciate insieme con i resti di altri compagni.
Fonti e Bibl.: B. Gui, Vitae nonnullae pontificum Romanorum, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., III, Mediolani 1723, col. 674; Historia fratris Dulcini heresiarche di Anonimo sincrono, a cura di A. Segarizzi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., IX, 5, pp. 11 s.; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, ibid., XVIII, 1, vol. II, p. 269; B. Gui, De secta illorum qui se dicunt esse de Ordine apostolorum, a cura di A. Segarizzi, ibid., pp. 22, 26, 28; Processo trentino, a cura di A. Segarizzi, ibid., p. 80; Acta S. Officii Bononie ab anno 1291 usque ad annum 1310, a cura di L. Paolini - R. Orioli, in Fonti per la storia d’Italia [Medio Evo], CVI, Roma 1982-84, pp. 108, 408; Chronica abreviata de factis civitatis Parmae, a cura di L. Barbieri, in Chronica Parmensia a saeculo XI ad exitum sæculi XIV, Parmae 1858, p. 337; B. Gui, Practica inquisitionis heretice pravitatis, a cura di C. Douais, Paris 1886, pp. 258, 330, 334, 339, 342; Benvenuto da Imola, Comentum super Dantis Aldighierii Comoediam, II, a cura di J.P. Lacaita, Florentiae 1887, p. 362; S. Baluze, Vitae paparum Avenionensium, a cura di G. Mollat, I, Paris 1914, p. 64; A. Segarizzi, Prefazione a Historia fratris Dulcini, cit., ad ind.; R. Orioli, Venit perfidus heresiarcha. Il movimento apostolico-dolciniano dal 1260 al 1307, Roma 1988, pp. 204-213 e ad ind.; G. Miccoli, Dolcino, in Diz. biogr. degli Italiani, XL, Roma 1991, pp. 440-444; M. Benedetti, La predicazione delle donne valdesi, in Donne cristiane e sacerdozio. Dalle origini all’età contemporanea, a cura di D. Corsi, Roma 2004, pp. 149-151; Id., Papi, inquisitori, eretici al passaggio tra XIII e XIV secolo, in Benedetto XI, frate predicatore e papa, a cura di M. Benedetti, Milano 2007, pp. 55, 94.