MARGHERITA di Brabante, regina d’Italia
Nacque il 4 ott. 1276 dal conte Giovanni (I) di Brabante e dalla seconda moglie di questo, Margherita di Fiandra. Allo scopo di ristabilire la pace tra il proprio casato e quello dei Lussemburgo, venuta meno dopo la battaglia di Worringen (1288), il padre la unì in matrimonio al giovane Enrico, IV conte di Lussemburgo e futuro imperatore (Enrico VII), che M. sposò nella settimana di Pentecoste del 1292. Dall’unione nacquero tre figli: Giovanni, futuro re di Boemia, Maria, che sarebbe divenuta regina di Francia, e Beatrice, morta prematuramente.
M. restò al fianco del consorte in ogni momento della sua breve e tormentata vicenda politica. Era con lui quando, il giorno dell’Epifania del 1309, Enrico cinse la corona di re di Germania ad Aquisgrana e nel 1310 lo seguì nella sfortunata spedizione in Italia, decisa dopo la Dieta di Spira, nell’agosto 1310.
Superate le Alpi, la coppia reale giunse a Susa il 23 ottobre. Dopo aver toccato Torino, Asti, Vercelli, Novara, il 23 dicembre entrò a Milano, dove, imposta la pace tra il guelfo Guido Della Torre e il ghibellino Matteo Visconti, il 6 genn. 1311 Enrico ricevette la corona ferrea di re d’Italia.
Il disegno di pacificazione dell’Italia inseguito dal monarca non tardò a rivelarsi più difficile del previsto. Nell’inverno del 1311 gli si ribellarono Milano, Crema, Brescia, Cremona, Reggio, Parma e Lodi. Le azioni intraprese dal re per domare le città ribelli colorarono in senso ghibellino la sua condotta politica: a molti, e per primo al pontefice, egli cominciava ad apparire non già come arbitro, ma come parte del variegato scacchiere italiano.
Al 1311 risalgono le tre brevi lettere che Dante Alighieri scrisse a M. per incarico di Gherardesca, moglie di Guido Guidi conte di Battifolle (Ep. VIII, IX, X). Le tre epistole (Biblioteca apostolica Vaticana, Pal. lat., 1729; codice riconducibile all’ambiente di Coluccio Salutati) esprimono pieno e convinto sostegno all’impresa di Enrico e in ciò documentano l’azione diplomatica svolta da M. per procurare alleanze al consorte in territorio italiano. Incerto è l’ordine cronologico delle lettere, poiché soltanto una, la X, è datata (Poppi, 18 maggio 1311); tuttavia si tende a ritenere che la prima sia la IX, la seconda la X, la terza l’VIII.
Resosi conto delle crescenti difficoltà, con l’esercito decimato dal prolungarsi degli scontri e dalla pestilenza, Enrico decise di accelerare le tappe del suo viaggio. Muovendo verso Sud, nell’ottobre del 1311 i sovrani raggiunsero Genova.
Colpita dalla peste, M. morì a Genova nel dicembre del 1311. Sull’anno della morte le fonti concordano; qualche incertezza si ha invece sul giorno, il 13 secondo alcuni, il 14 secondo altri. Propende con buoni argomenti per la notte tra il 13 e il 14 dicembre Barozzi, sulla base di ciò che scrisse Cristiano Spinola a Giacomo II d’Aragona, in una lettera datata 15 dicembre.
Quanto riferito da alcuni tardi cronachisti, ovvero che M. fosse morta nel convento di S. Domenico assistita amorevolmente dai frati, non sembra credibile, soprattutto se messo a confronto con la testimonianza di Albertino Mussato – che conobbe la coppia reale –, secondo il quale la morte di M. sarebbe invece avvenuta fuori città «in palatio eredum Benedicti Zachariae» (col. 404). E la notizia è del resto compatibile con l’opportunità che M., a causa della sua malattia, si trovasse al di fuori della mura urbane.
Le sue spoglie, racchiuse entro un sarcofago di piombo, furono portate nella chiesa di S. Francesco di Castelletto e sistemate vicino all’altare maggiore. Da Mussato si apprende che il sarcofago era privo di murature e di lapidi e che, secondo il volere di Enrico, esso doveva essere trasferito in Germania. Ma era trascorsa appena una settimana dalla morte, che a M. già veniva attribuito il primo miracolo e le sue spoglie cominciarono a essere oggetto di un’intensa devozione popolare. La fama della sua santità si diffuse impetuosamente; voci di altre opere miracolose si propagarono, finché, nel 1313, ella fu dichiarata beata.
Fu il culto rapidamente cresciuto intorno alla figura della consorte che indusse Enrico, presumibilmente, ad abbandonare l’idea di trasferirne i resti in Germania. E anzi, nella primavera del 1312, quando egli era a Pisa, commissionò allo scultore Giovanni Pisano un monumento che celebrasse nel modo più splendido M. e le sue virtù. Un documento del 25 ag. 1313, successivo dunque di un giorno alla morte dell’imperatore, testimonia il pagamento di 80 fiorini d’oro all’artista pisano, come compenso per l’esecuzione dell’opera (Giovanni Pisano a Genova).
Al sepolcro dell’imperatrice Giovanni Pisano lavorò tra il 1312 e il 1314. Se ne conservano cinque frammenti, venuti alla luce tra la fine dell’Ottocento e l’inizio degli anni Ottanta del Novecento. Originariamente collocato nella cappella principale del coro di S. Francesco in Castelletto, nel XVII secolo fu trasferito nel transetto della chiesa, riducendone la consistenza. Ma la dispersione del gruppo avvenne nel 1804, quando il presidente del Magistrato delle finanze decretò la vendita di tutte le sculture di marmo che si trovavano nelle cappelle della chiesa, che fu demolita.
Il primo frammento a riemergere dopo la dispersione fu il gruppo dell’elevatio di M., ritrovato nel 1874 e attualmente conservato presso il Museo civico di S. Agostino, a Genova. Tema della scultura è l’innalzarsi al cielo dell’anima della regina, sorretta da due angeli. Il gruppo ornava la parte superiore di un monumento riccamente decorato da sculture. Sorreggevano il sarcofago statue delle quattro Virtù cardinali. Nel 1960, nel giardino di una villa genovese, fu ritrovata la statua della Giustizia recante il cartiglio «dilexisti iustitiam odisti iniquitatem». Frammenti delle altre virtù riemersero nel 1967 (testa della Temperanza) e nel 1981 (testa della Fortezza).
Poco è noto della personalità di M.; le fonti la descrivono tuttavia come donna caritatevole e devota, al punto da non disdegnare di porgere ai poveri «il cibo con le sue medesime mani», così scrive Giovanni da Cermenate nella Historia… de situ Ambrosianae urbis (cit. in Portigliotti), aggiungendo che il suo trapasso venne lamentato dai bisognosi e in generale fu pianto da «tutti quelli che, per intercessione di lei, si erano riconciliati». Albertino Mussato, che la conobbe, la descrive come una donna fisicamente aggraziata, saggia, affabile anche con gli umili.
Fonti e Bibl.: A. Mussato, De gestis Heinrici VII Caesaris historia augusta, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., X, Mediolani 1727, coll. 340, 404; Gior. Stella - Giov. Stella, Annales Genuenses, ibid., XVIII, ibid. 1730, col. 1025; V. Promis, Libro degli anniversari del convento di S. Francesco in Castelletto in Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, X (1876), 4, p. 419; L. Heinrich, Zwölf Bücher niederländischer Geschichten, Halle 1832, p. 527; G. Portigliotti, M. di B., in Il Comune di Genova, V (1925), 9, pp. 1068 s.; F. Schneider, Kaiser Heinrich VII. Dantes Kaiser, Stuttgart-Berlin 1943, pp. 15, 38; M. Pastore Stocchi, Epistole, in Enc. dantesca, II, Roma 1970, p. 709; P. Barozzi, La morte di M. di B. e la topografia in Bisagno nel Trecento, in Boll. ligustico, XXIX (1977), p. 43 n. 1; Giovanni Pisano a Genova, a cura di M. Seidel, Genova 1987, p. 204; J. Hoensch, Die Luxemburger. Eine spätmittelalterliche Dynastie gesamteuropäischer Bedeutung (1308-1437), Stuttgart 2000, pp. 26, 31, 40, 44, 66; Enc. dantesca, III, pp. 832 s.