GONZAGA, Margherita
Figlia naturale del marchese di Mantova Francesco II Gonzaga, nacque - prima tra i figli di Francesco - nel 1487, quando il padre non era ancora unito in matrimonio con Isabella d'Este.
Fu allevata presso la corte di Urbino, dove risiedeva la sorella di Francesco, Elisabetta, andata sposa a Guidobaldo da Montefeltro nel 1488, e nella brillante e colta cerchia di Elisabetta la G. fu educata e trascorse la sua giovinezza. Una sua lettera del novembre 1496 ci conserva il nome del suo istitutore: Guglielmo di Clevio da Mantova. Nel febbraio 1502 la G. era con la zia a Ferrara, per le nozze di Lucrezia Borgia con Alfonso I d'Este, e poi a Mantova, dove rimase fino al settembre di quell'anno. Seguì quindi la zia e il duca Guidobaldo, impossibilitati a rientrare nel loro Stato, di cui si era impadronito Cesare Borgia, a Venezia fino al 1504. Sempre al seguito della corte urbinate, l'8 maggio 1505 la G. era a Gubbio, da dove scrisse al padre perché le facesse dono di un cavallo; il 23 genn. 1506 a Fossombrone.
Le ulteriori e più circostanziate notizie che possediamo sulla vita della G. riguardano le sfortunate trattative nuziali, che furono condotte dal padre per darle un consorte conveniente agli interessi politici e dinastici della famiglia. Nel 1494, quando era ancora una bambina, la G. fu promessa da Francesco ad Alberto Pio, signore di Carpi. Nel 1502 la G., scrivendo al padre, parla del Pio come suo "consorte" e, in una lettera del 9 apr. 1505 a Francesco, Alberto la chiama "sua sposa". Ma negli anni successivi l'interesse del Gonzaga per il Pio si raffreddò, probabilmente anche in considerazione della situazione critica in cui versava la signoria carpigiana, da quando il cugino di Alberto, Giberto, nel 1500 aveva venduto la sua parte di Carpi al duca Ercole d'Este, orientando in direzione antiestense la politica di Alberto, che intendeva in ogni modo sbarazzarsi del pericoloso coinquilino nella signoria. Nel 1507 Francesco, che prendeva tempo per non versare la dote, arrivò ad accusare il promesso sposo di mirare a un matrimonio d'interesse. Una stasi fu imposta dalle vicende della Lega di Cambrai, che portarono alla cattura e alla prigionia di Francesco Gonzaga a Venezia, dal 9 ag. 1509 al 14 luglio 1510. Tornato in libertà, dopo la lunga e dura detenzione, grazie all'intervento di Giulio II, che lo nominò gonfaloniere generale della Chiesa, Francesco diede un'impronta più prudente alla sua politica e si occupò soprattutto di riassestare le finanze dello Stato. Ciò comportò una presa di distanza dal Pio, trovandosi il principe di Carpi di nuovo in una situazione politica sfavorevole, dopo che fu spogliato dello Stato dai Francesi (lo riottenne solo nel 1512 dall'imperatore Massimiliano I).
All'orizzonte si prospettò la ghiotta opportunità di un matrimonio con il ricchissimo banchiere romano Agostino Chigi, il quale ebbe probabilmente occasione di conoscere la G. nel febbraio 1510, durante una sontuosa festa che egli diede in onore del nuovo duca di Urbino (Guidubaldo era morto nel 1508) Francesco Maria I Della Rovere e di Eleonora Gonzaga, che si erano recati a Roma con gran seguito di dame e cavalieri. Tramite il residente gonzaghesco Ludovico da Camposampietro, nel settembre 1511 egli fece sapere di essere interessato al matrimonio con la Gonzaga. Il partito incontrò l'approvazione di Francesco, che vedeva la possibilità di trarre grossi vantaggi economici: il Chigi si impegnava ad assegnare alla sposa una dotazione di 10.000 ducati e Francesco avrebbe sborsato i suoi 4000 di dote a lungo termine. Inoltre, il Chigi prometteva di mettere a disposizione l'enorme somma di 100.000 ducati nel caso il cardinale Sigismondo Gonzaga avesse tentato la scalata alla tiara. Elisabetta si mostrò pure favorevole, ma espresse qualche riserva sul matrimonio con una persona di ceto inferiore, benché ricchissima, e consigliò al fratello di attendere che il Chigi si procurasse (evidentemente per mezzo del denaro) un qualche titolo. Le trattative si protrassero per tutto il 1512, trovando ostacoli in malintesi e negli attriti insorti in novembre tra il Chigi e il pontefice a causa dell'amministrazione delle miniere di allume nei monti della Tolfa. Si conclusero dopo un anno di maneggi, perché il banchiere, saggiamente, si ritirò dal negozio, dopo essere venuto a sapere che la G. aveva mostrato freddezza nei suoi confronti.
Il Gonzaga pensò dunque di tornare al vecchio partito e tentò di riallacciare i rapporti con Alberto Pio per mezzo del vescovo di Tricarico, Ludovico da Canossa. Ma il Pio, offeso per il trattamento già riservatogli, rispose con un rifiuto. Francesco II cercò allora un nuovo candidato nella persona di Giovan Francesco da Correggio; la G., però, irritata dagli estenuanti e interessati maneggi condotti intorno a lei, reagì con un atto di protesta e decise di entrare in convento. Elisabetta Gonzaga ne diede notizia al fratello il 13 febbr. 1513, pregandolo di mandare una persona a prendere la giovane, che desiderava entrare in un convento mantovano. Francesco fu costretto a troncare le trattative con il Correggio e, contrariato dalla condotta della figlia, si rifiutò in un primo tempo di accoglierla, cedendo solo dopo le insistenze di Elisabetta d'Urbino. Quando la tensione si attenuò, la G. confessò di avere fatto quel passo perché non intendeva sposare altra persona che non fosse il principe di Carpi: forse ella pensava, ingenuamente, di potere forzare con quell'atto clamoroso e imbarazzante le indecisioni e gli interessi che avevano fin lì dominato la sua vicenda matrimoniale e di provocare quell'unione, che era nelle sue sincere aspirazioni. La G. entrò così nel convento delle clarisse del Corpus Domini, ma senza prendere i voti (né sembra li abbia mai presi poi), in attesa che si decidesse la sua sorte. La sensibile Isabella d'Este intervenne presso il Pio, ma questi fu irremovibile e non se ne fece nulla. Le estreme trattative si protrassero negli anni 1514-15, ora anche con l'approvazione di Francesco. Isabella, che risiedette per un periodo a Roma, dove il Pio era ambasciatore cesareo, tentò di far recedere dalla sua determinazione Alberto. Questi, probabilmente, non fu tetragono, se il 31 luglio 1516 una lettera dell'imperatore Massimiliano esortava il marchese di Mantova a dare in sposa la figlia al Pio e a versare una dote degna della liberalità dei Gonzaga e del rango dello sposo. Evidentemente, anche in questa fase il comportamento del marchese di Mantova fu ambiguo e interessato, e la stasi del negoziato dipese forse di nuovo dalla sua ostinazione a mercanteggiare sulla dote. Nel 1517, tuttavia, Amico Maria Della Torre, da Mantova, scriveva del matrimonio al fratellastro della G., Federico, allora in Francia, come di una cosa decisa: il 15 febbr. 1518, però, il Pio annunciò a Isabella d'Este il suo matrimonio, avvenuto due giorni prima, con Cecilia Orsini, figlia del cardinale Franciotto e nipote di papa Leone X.
Il destino della G. dopo l'epilogo di questa dolorosa e sconcertante vicenda si perde nell'oscurità. Ormai in età inadatta alle nozze, scomparve silenziosamente dalla scena. Francesco II morì il 29 marzo 1519 e si dimostrò generoso nel testamento, concedendole una casa a Mantova, in contrada Leone Vermiglio, e una pensione annua di 400 ducati, altre rendite la G. ricavava da alcuni fondi e da dazi. Generosa fu pure Isabella d'Este: nel testamento rogato il 22 dic. 1535 le lasciò l'usufrutto del palazzo in contrada S. Giorgio, dove la G. era andata ad abitare.
Qui la G. si spense il 26 ag. 1537.
Nell'ultimo testamento, redatto due giorni prima di morire (in Lorenzoni, pp. 216-218), la G. nominò esecutrice Isabella, ricordando con riconoscenza l'affetto che la marchesana aveva sempre mostrato nei suoi confronti. Volle essere sepolta con l'abito delle clarisse nella chiesa del Corpus Christi; i numerosi lasciti che dispose, a favore dell'ospedale di S. Maria della Corneta, del Monte di pietà, di servitori e domestici, testimoniano la sua indole umana e generosa.
Il profilo della G. si ricostruisce frammentariamente attraverso i cenni fugaci che affiorano nella corrispondenza delle personalità della corte urbinate, di cui la G. fu personaggio minore, ma non insignificante. Come donna di spirito la presenta una lettera di Pietro Bembo, da Cesenatico il 21 giugno 1511, con la quale l'umanista invia i suoi saluti al duca, alla duchessa, a Emilia Pio e, appunto, "lepidissimae Margaritae". Un'altra lettera del Bembo, a Filippo Beroaldo il Giovane, da Urbino il 17 dic. 1506, fa pensare a un'amicizia affettuosa tra Filippo e la G., se Pietro gli ricorda la duchessa, Emilia Pio, Costanza Fregoso e "Margaritam tuam". Nel Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione la G. appare una prima volta alla fine del I libro, capitolo 56, quando, su ordine della duchessa, apre le danze insieme con Costanza Fregoso. Nel III libro, dedicato alla discussione sulla donna di corte, nei capitoli 23-25, pronuncia qualche motto arguto in difesa delle ragioni delle donne. Nella seconda redazione del dialogo, anteriore a quella pubblicata nel 1528, è tra coloro che, in principio, propongono un gioco con cui dare inizio alla conversazione, e scambia qualche battuta con Bernardo Dovizi da Bibbiena. In una redazione ancora anteriore, la G. aveva il posto di Costanza Fregoso nel proporre che le donne fossero esonerate dall'escogitare un gioco e affidassero il compito ciascuna a un procuratore. L'Ariosto la nomina in Orlando furioso XLVI, 4, accanto a Emilia Pio e ad altre dame delle corti settentrionali. Nel marzo 1511 sappiamo che la G. animava le feste che la duchessa Elisabetta e la duchessa regnante Eleonora quasi ogni sera davano a Urbino in onore del fratellastro di Margherita, e fratello di Eleonora, Federico Gonzaga. Il futuro marchese (poi duca) di Mantova aveva avuto licenza di trascorrere il carnevale a Urbino presso la zia da Giulio II, che lo tratteneva a Roma come ostaggio dopo la liberazione del padre (vi rimase fino alla morte del pontefice nel febbraio 1513).
Fonti e Bibl.: P. Guaitoli, Memorie sulla vita di Alberto (III) Pio, in Memorie storiche e documenti sulla città e sull'antico principato di Carpi. Studi e indagini della Commissione municipale di storia patria e belle arti di detta città, I (1877), p. 224; A. Sammarini, Lettere inedite dei signori Pio di Carpi ai principi Gonzaga di Mantova dall'anno 1366 al 1518, ibid., pp. 387-395; M. Sanuto, I diarii, I, Venezia 1879, col. 860; B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, a cura di V. Cian, Firenze 1947, pp. 519-521; Id., La seconda redazione del "Cortegiano", a cura di G. Ghinassi, Firenze 1968, ad indicem; Id., Lettere, a cura di G. La Rocca, I, Milano 1978, p. 348; P. Bembo, Lettere, a cura di E. Travi, I, Bologna 1987, pp. 242, 253 s.; II, ibid. 1990, pp. 49 s.; A. Luzio, Federico Gonzaga ostaggio alla corte di Giulio II, Roma 1887, pp. 16 s., 25-28; A. Morselli, Notizie e documenti sulla vita di Alberto Pio, Carpi 1932, pp. 145-164; A.M. Lorenzoni, La vita e le vicende matrimoniali di M. G. figlia naturale del marchese Francesco II, in Civiltà mantovana, 1977, nn. 63-64, pp. 173-219.