Duras, Marguerite
Pseudonimo di Marguerite Donnadieu, scrittrice e regista teatrale e cinematografica francese, nata a Gia Dinh, nella Cocincina francese (od. Vietnam), il 4 aprile 1914 e morta a Parigi il 3 marzo 1996. Ha lavorato senza sosta praticando un attraversamento dei codici linguistici raro quanto rischioso, che l'ha collocata in una posizione peculiare, sola regista in Francia ad aver scavalcato radicalmente il realismo per accedere a un cinema drammaticamente personale, 'scritto' con la luce e con il buio, dominato dalla mancanza e insieme dal fluire del tempo.
Nata in una colonia francese, la D. perse il padre, professore di matematica, a sei anni. Mentre frequentava il liceo francese a Saigon avvenne uno degli incontri cruciali della sua vita, quello con l'uomo cinese poi divenuto suo amante, episodio che avrebbe narrato in uno dei suoi romanzi più famosi, L'amant (1984; trad. it. 1985). Tornata in Francia (1932), dove prese il diploma in filosofia e frequentò alla Sorbonne i corsi di diritto, matematica e scienze politiche, fu assunta nel 1938 presso il ministero delle colonie. Sposata all'intellettuale R. Antelme, nel 1943 pubblicò il suo primo romanzo, Les impudents cui seguì La vie tranquille (1944). Alla fine della Seconda guerra mondiale, durante la quale prese parte attiva alla Resistenza francese, con il marito, sopravvissuto a Dachau, fondò la casa editrice La cité universelle (1945). Nel 1950 arrivò per la D. il primo vero successo letterario, Un barrage contre le Pacifique, da cui sarebbe stato tratto il film La diga sul Pacifico (1957) di René Clément. Iniziò a lavorare nel cinema quando scrisse il soggetto e la sceneggiatura di Hiroshima, mon amour (1959) per Alain Resnais, ottenendo una nomination all'Oscar. Adattò quindi con Gérard Jarlot due suoi romanzi: Moderato cantabile (1960; Moderato cantabile ‒ Storia di uno strano amore) diretto da Peter Brook, con Jeanne Moreau e Jean-Paul Belmondo, e Une aussi longue absence (1961; L'inverno ti farà tornare) di Henri Colpi, senza mai rimanere veramente soddisfatta del modo in cui i suoi testi venivano realizzati. Nel 1964 uscì Le ravissement de Lol V. Stein (trad. it. 1966), forse il suo capolavoro letterario, testo chiave per accedere all'universo della D., ricco di vuoti accecanti, di storie e delle loro cancellazioni, popolato di esistenze alla deriva, stregato dal dominio di una scena primaria che attraversa tutti i suoi testi. Passata dietro la macchina da presa, nel 1967 con Paul Seban girò il film La musica, tratto da una sua pièce di cui curò anche l'adattamento, una prima prova che ancora non le corrispondeva pienamente. Da una medesima deflagrazione della pagina bianca e dello schermo la D. diresse film/testi come Détruire, dit-elle (1969), Jaune le soleil (1971), o ancora, Nathalie Granger (1973). Tra il 1971 e il 1976 diede vita a una serie di opere, sia letterarie sia cinematografiche, segnate dal tratto dominante di uno slittamento irresistibile dalla pagina scritta al bianco dello schermo, quasi nell'emergere di una scrittura filmica, senza soluzione di continuità. Nella trilogia costituita da La femme du Gange (1974), India Song (1975), e Son nom de Venise dans Calcutta désert (1976), conosciuta come 'il ciclo indiano' o 'il ciclo di Anne-Marie Stretter', secondo un percorso analogo a quello da lei seguito nella creazione letteraria, la D. regista elaborò un linguaggio in cui le sequenze si svuotano, le voci e le musiche scivolano nel fuori campo, e con i piani-sequenza si delimitano spazi sempre più deserti. Il successivo Le camion (1977), in cui Gérard Depardieu e la stessa D. vengono filmati mentre, seduti a un tavolo, leggono la sceneggiatura, radicalizza, mostrandolo, il 'fallimento', la deriva stessa del processo di filmare: "Questa zona d'oblio è lo scritto non scritto: la scrittura stessa. Nel film, il camion trasporta questa massa. Tutta la scrittura del mondo. Come se la si potesse misurare, pesare: 32 tonnellate di scrittura, mi piace quest'idea. È questo ciò che io chiamo l'immagine" (cit. in Detassis, Grignaffini 1981, p. 96). Anche Le navire night (1979) condivide il medesimo percorso di Le camion, fondato com'è sull'impossibilità di girare un film, ossia The night, che la stessa D. aveva tentato di realizzare nel 1978 e che era stato interrotto dopo solo un giorno e mezzo di riprese e di cui Le navire night risulta una sorta di 'resto', di splendente residuo. Opere sconnesse, fessurate, mancate, le sue, totalmente libere, di cui è l'insistenza nel lézarder "aprire fessure, sgretolare", parola molto amata e usata dalla D., a promuovere il senso profondo. Nel 1981 con L'homme atlantique la D. portò all'estremo la sua ricerca avvitando il film, quasi nella sua interezza, sulla durata ipnotica e risucchiante di uno schermo totalmente nero. I primi anni Ottanta furono per la D. anni difficili, tuttavia nel 1982 uscì il suo testo La maladie de la mort (da cui Peter Handke trasse il film Das Mal des Todes, 1985), e nel 1985 girò ancora Les enfants. Nel 1991 cedette i diritti cinematografici del suo romanzo L'amant, ma l'omonimo film (1991; L'amante) di Jean-Jacques Annaud risultò un'operazione banale e commerciale, molto lontana dal suo mondo. La D. riprese la sua attività letteraria con L'amant de la Chine du Nord (1991), Écrire (1993), Le monde extérieure (1995) e C'est tout (1995), in cui il suo sguardo di cineasta irrompe continuamente nel testo.
Sequenza segreta. Le donne e il cinema, a cura di P. Detassis, G. Grignaffini, Milano 1981, pp. 87-110.
Il gergo inquieto. Trent'anni di cinema sperimentale francese (1950/1980), a cura di E. De Miro, D. Noguez, Genova 1983, pp. 72-90.
M. Borgomano, L'écriture filmique de Marguerite Duras, Paris 1985.
Duras mon amour. Saggi italiani su Marguerite Duras, a cura di E. Melon, E. Pea, Milano 1992.