MARIA AMALIA di Sassonia, regina di Napoli e Sicilia, poi di Spagna
MARIA AMALIA di Sassonia, regina di Napoli e Sicilia, poi di Spagna. – Terza figlia di Federico, dal 1733 elettore di Sassonia (Federico Augusto II) e re di Polonia (Augusto III), e dell’arciduchessa Maria Giuseppina d’Asburgo, nacque il 24 nov. 1724 a Dresda. Della sua infanzia si sa che imparò a esprimersi in francese oltre che in tedesco e che coltivò la pittura e la danza, apprendendo «el arte de caminar con elegancia».
Le corti di Dresda e di Varsavia, dove visse dal 1733 quando il padre salì sul trono polacco, costituirono lo scenario in cui trascorse la fanciullezza, prima di essere scelta come moglie di Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese.
Dopo il rifiuto dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo di dare in moglie a Carlo la figlia Maria Anna e fallito il tentativo della diplomazia francese di farlo sposare con Luisa Elisabetta di Borbone, figlia di Luigi XV, la scelta di Elisabetta Farnese cadde su Maria Amalia. Ottenuta il 1° dic. 1737 la dispensa papale resa necessaria per sanare un impedimento causato da un rapporto di parentela, la cerimonia nuziale, avvenuta per procura l’8 maggio 1738, precedette il lungo viaggio della sposa verso Napoli.
Un anonimo e attento cronista del tempo fornisce una dettagliata descrizione di M., non solo «ragguardevole molto per l’esterna bellezza del corpo, ma più per le interne qualità dell’animo», brava amazzone, «ornata di nobili Arti, cioè di Musica, di Disegno […], e quello che corona e rende pregevoli questi sì chiari ornamenti è la Religione Cattolica […] e la cristiana Pietà» (cit. in Mafrici, 2004, p. 273).
La coppia reale fece il suo ingresso a Napoli il 4 luglio in un clima di euforia generale. All’anonimo cronista non sfuggì il loro atteggiamento gioioso, segno che M. piaceva al consorte per le affinità caratteriali: tanto che divenne inseparabile compagna nelle partite di caccia, oltre che nelle cerimonie religiose. Con lei la scena europea si arricchiva, a dire di Ch. de Brosses, di una regina che aveva «l’air malicieux» ed eseguiva puntualmente gli ordini di Madrid: come documenta ampiamente il carteggio che intrattenne con i sovrani spagnoli, in particolare con la suocera, sempre informata di quanto avveniva nel Regno.
Si pensi a J.M. de Benavides y Aragón, conte di Santisteban, e a Y.Y. de Montealegre, marchese di Salas, i quali caddero anche per suo volere: la lotta contro la tracotanza di Santisteban si ripeté otto anni dopo contro Salas, e nel 1755 contro G. Fogliani Sforza d’Aragona, marchese di Pellegrino, che dovette lasciare la carica di primo ministro «perché non piacque alla Regina». Grande, infatti, era l’ascendente che ella esercitava sul marito, specie dopo la nascita nel 1746 – dopo cinque femmine – di Filippo, che le permise di entrare a far parte del Consiglio di Stato.
Nello scenario mediterraneo dominato dall’Inghilterra, il potere crescente di M. mal si conciliava con l’ingerenza spagnola in politica interna ed estera. La guerra di successione austriaca contribuì a far conoscere la sua accorta politica: fu dietro suo consiglio, infatti, che il re, il 19 ag. 1742 e senza attendere l’assenso di Madrid, proclamò la neutralità del Regno, una mossa alla quale la flotta inglese replicò con la minaccia di bombardare Napoli. L’umiliazione, che aveva determinato il biasimo e lo sdegno dei Borbone, fu cancellata due anni dopo, quando l’entrata in guerra a fianco della Spagna con intenti difensivi contro l’avanzata austriaca portò alla vittoria di Velletri (11 ag. 1744).
La morte di Filippo V nel 1746 segnò l’emancipazione del Regno dalla Spagna e dalla tutela della regina madre, ma non da quella dei favoriti. Più che il re era M. ad aver bisogno di confidenti, a restare irretita negli intrighi di corte, e ciò che si era verificato con Anna Francesca Pinelli, principessa di Belmonte, divenne più palese quando la corte napoletana si trovò sotto l’influsso di Zenobia Revertera, duchessa di Castropignano. Era il partito di M. a dominare, opposto a quello spagnolo diretto da J. Miranda, ma la politica estera napoletana non subì mutamenti anche se M. guardava con sospetto alla Francia e avversava l’Austria, a tutto vantaggio dell’Inghilterra.
La spiegazione di tale orientamento stava nel fatto che al tempo della guerra di successione polacca la Francia aveva appoggiato le pretese dell’elettore di Baviera a tutto svantaggio di quelle di suo padre, il quale successivamente era stato danneggiato anche dall’Austria: infatti, l’alleanza stipulata nel 1745 da Maria Teresa d’Asburgo con Augusto III di Polonia contro Federico II di Prussia aveva determinato l’invasione della Sassonia e la cattività del genitore.
Un indirizzo filoinglese, dunque, quello di M. negli ultimi anni del soggiorno napoletano: si pensi al suo intervento deciso su B. Tanucci, chiamato nel 1754 al dicastero degli Esteri anche in ossequio ai suoi desideri, per scongiurare il pericolo che incombeva sulla discendenza. Da una parte, il trattato di Aquisgrana (1748) vietava la trasmissione del Regno ai figli nel caso di designazione di Carlo al trono di Spagna alla morte del fratellastro Ferdinando VI; dall’altra, gli intrighi diplomatici scatenati dalla vacillante salute del re tendevano a favorire l’ascesa al trono del cognato Filippo, duca di Parma e Piacenza e genero di Luigi XV per averne sposato la figlia Luisa Elisabetta. Ma la nomina di Carlo a erede universale (10 dic. 1758) aprì la strada alla successione: la morte di Ferdinando VI (10 ag. 1759) e l’ascesa di Carlo sul trono di Spagna e delle Indie fecero sì che M. e il marito lasciassero Napoli trasmettendo la corona al terzo figlio maschio Ferdinando, di otto anni (6 ott. 1759).
La fitta corrispondenza di M. da Madrid con Tanucci consente di delineare non soltanto la sua opinione sulla situazione dello Stato e della corte spagnola, una «babilonia» di «gente inutile», ma anche gli intenti di M., che spingeva il marito alla risoluzione delle necessità più impellenti. Da un lato sperava che l’Austria non rivolgesse le sue mire egemoniche sull’Italia e che la Francia non volesse vendicarsi della «presente indolenza» della Spagna, dall’altro rivolgeva costantemente il suo pensiero al Regno, dove il figlio Filippo era stato escluso dalla successione per incapacità mentale e Ferdinando era rimasto affidato alle cure di D. Cattaneo, principe di San Nicandro, nella qualità di aio, in un contesto internazionale che risentiva delle ripercussioni causate dal capovolgimento delle alleanze nel 1756 e dalla guerra dei Sette anni.
Della situazione spagnola, appesantita dagli sperperi della corte e dal dissesto provocato dalla partecipazione alla guerra dei Sette anni, M. incolpò Elisabetta Farnese, a suo avviso incapace di conoscere il valore del denaro e di amministrare alcunché, tanto meno una monarchia potente come quella spagnola. Dopo il volontario trasferimento della regina madre nella residenza reale della Granja de San Ildefonso M. restò sola al fianco del marito a gestire il potere nel Regno. Ormai era palese la sua ostilità verso gli spagnoli e la Spagna: avendo abitato per ventuno anni a Napoli, dove aveva favorito il sorgere nel parco di Capodimonte di una prestigiosa fabbrica di porcellane – che le ricordavano quelle di Meissen – si considerava napoletana, parlava del Mezzogiorno come del suo paese, si lamentava con Tanucci del clima, del cibo, della lingua spagnola che non aveva mai voluto apprendere; detestava inoltre gli intrighi e le conversazioni delle dame di corte, a suo avviso «le creature più ignoranti del mondo», e non amava i sudditi che riteneva rozzi, poco socievoli, inaffidabili.
Pur adoperandosi per la modernizzazione dello Stato, nell’anno in cui visse in Spagna non poté fare molto: i tredici parti ne avevano compromesso la salute e inasprito il carattere; l’allegria, la spontaneità erano scomparse da tempo per cedere il passo alla depressione, all’isteria, tanto da essere giudicata una «neurótica y avejentada reina» (Vidal Sales, p. 84); i catarri non curati di cui aveva sofferto a Caserta, la continua pratica di salassi, i postumi di una caduta da cavallo a Procida, l’abuso di tabacco – causava imbarazzo a corte vederla fumare sigari cubani –, la rigidità del clima determinarono un peggioramento delle sue condizioni di salute.
M. morì non ancora trentaseienne nel palazzo del Buen Retiro il 27 sett. 1760, in seguito a complicazioni pleuropolmonari, e fu sepolta nel monastero dell’Escorial, l’unico luogo della Spagna che aveva suscitato la sua ammirazione.
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