VALORI, Maria Bice
VALORI, Maria Bice (Bice). – Nacque a Roma il 13 maggio 1927, ultima figlia di Aldo, scrittore e giornalista, e di Etre Rontini, figlia di un anarchico e sorella di Nella, a suo tempo fidanzata di Umberto Saba.
Ebbe quattro fratelli, Francesco, funzionario ministeriale, Luigia, medico, Paolo, gesuita e cattedratico nella Pontificia Università Lateranense e nella Gregoriana, Michele, architetto e urbanista accademico, al quale fu molto legata (v. la voce in questo Dizionario). Trascorse un’infanzia alto-borghese, in una famiglia agiata, allietata da lunghe villeggiature al mare a Castiglioncello (Livorno), vicino ad altri celebri clan familiari, come i d’Amico. In questo clima protetto si formò il suo carattere schietto, dolcemente aggressivo e canzonatorio, che la rendeva abilissima nelle imitazioni e nelle parodie, innanzitutto nei giochi da salotto.
Diplomata al liceo classico romano Visconti nel 1944, si iscrisse all’Università La Sapienza, a lettere, con scarsi risultati, scegliendo alla fine l’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico una volta vinte le resistenze parentali, dove si diplomò nel 1948. Qui, conobbe il futuro compagno di vita e lavoro, Paolo Panelli, sposato nel 1952, con cui intrattenne una straordinaria complicità di scena, doppiata da quella nella vita privata. Con lui ebbe prima Daniele, morto due anni dopo, e nel 1957 Alessandra, attrice a sua volta, docente di recitazione al Centro sperimentale di cinematografia, impegnata anche sulla scena per e con i disabili. Portata per decisa vocazione al registro comico, molto più aperto alla vocazione autoriale dell’interprete, Bice Valori fu impegnata dapprima in radio, dove tra il 1949 e il 1951 entrò nella celebre rivista radiofonica La Bisarca di Pietro Garinei e Sandro Giovannini (sodalizio conosciuto anche come G&G), quindi fu reclutata nella Compagnia del teatro comico musicale di Radio Roma.
Nel teatro di prosa lavorò, sia pure in modo saltuario, con registi importanti, come Orazio Costa, che la utilizzò al tempo del teatro Stabile di Roma sin dal 1948-49, in particolare con Panelli in Don Giovanni di Molière nel 1949, in L’invito al castello di Jean Anouilh, in La leggenda di Liliom di Ferenc Molnár e in La dodicesima notte di Shakespeare nel 1950. Agli spettacoli di Costa seguivano spesso scenette in cui, mettendo all’opera il metodo assimilato negli anni dell’Accademia d’arte drammatica, maestri in tal senso Carlo Mazzarella e Vittorio Gassman, la coppia assieme a Tino Buazzelli e Nino Manfredi dava vita a sketch fragorosi imitando personaggi famosi, facendo satira di costume e insieme ricercando maschere comiche contemporanee, abbozzi rafforzati nella ricezione entusiasta delle platee, specie quelle successive televisive. In tal modo si predisponeva per Valori il passaggio irresistibile dal repertorio della prosa alta alla rivista/commedia musicale e al protagonismo d’intrattenimento sul piccolo schermo, penalizzandola però agli occhi della critica teatrale che non la ritenne degna nemmeno di una voce apposita nell’Enciclopedia dello spettacolo, a differenza del marito. Nel 1950-51 i due lasciarono Costa per far ditta con Buazzelli e Manfredi. Nel 1952 apparvero pure in tre atti unici (Amicizia, I morti non fanno paura, Il successo del giorno) di Eduardo De Filippo, diretti da quest’ultimo. In Sei storie da ridere del 1956 fu accanto a Monica Vitti e Alberto Bonucci, con testi di Georges Feydeau, Georges Courteline, André Roussin, Jean Tardieu ed Eugène Ionesco. Spuntò anche in I Ragazzi della signora Gibbons di Will Glickman e Joseph Stein, nel 1958, sotto la prestigiosa direzione di Luchino Visconti affiancando Rina Morelli e Paolo Stoppa, e in La bottega del caffè, regia di Giuseppe Patroni Griffi, sempre con Panelli e con Mariano Rigillo nel 1967.
Nel settore prosa televisivo si era mostrata intanto tra l’altro in Catene di Allan Langdon Martin, regia di Anton Giulio Majano nel 1955, in La pace coniugale, regia di Luciano Mondolfo nel 1956, in Il pittore esigente di Tristan Bernard nel 1957, in L’eredità di Noël Coward nel 1967. Nel 1968 affiancò nella parte dell’amante Clarice, avida e corrotta, il Pantalone di Cesco Baseggio per la Bancarotta goldoniana, regia di Carlo Lodovici.
Allo stesso tempo, a partire dai primi anni Cinquanta, l’attrice cominciò a lavorare con maggiore continuità nel teatro di rivista. Eccola allora in Controcorrente di Vittorio Metz e Marcello Marchesi, con Walter Chiari, Domenico Modugno, Panelli e Gino Bramieri nel 1953, quindi nel 1954 in Senza rete di Alberto Bonucci e Paolo Panelli, con Monica Vitti e Francesco Mulè, passata anche in RAI, e nel 1955 in Oh quante belle figlie madama Doré, di Italo Terzoli, con Chiari. Da notare che dopo il marito fu forse con quest’ultimo che l’attrice costruì le migliori sinergie comiche, come in La via del successo nel 1958, in cui la si vede nelle vesti di una snob ossessionata dalla dizione corretta, poi scivolata nella furia vernacolare non appena irritata in macchina da un sorpasso, in autobus a lamentarsi sulla maleducazione altrui, o ancora nei panni di Geneviève amorosa del suo Oronzo con patetiche modalità improntate a un Ottocento di cartapesta.
Palestra educativa per affinare le proprie attitudini fu Gran varietà, acclamato e attesissimo appuntamento radiofonico della domenica mattina dal 1966 al 1979. Per la chimica artistica con il marito, basterebbe citare il tardivo ma memorabile episodio in Giochiamo al varieté nel 1980, antologia di Antonello Falqui e Michele Guardì, registrato nel 1979, dove si esibiva nel perfetto duetto della cliente nevrotica e impaziente, alle prese con il tassinaro imperturbabile e deciso a portarla a un altro indirizzo. Ulteriore visibilità le arrivò grazie sempre alla televisione, moltiplicata da Caroselli e da ‘ospitate’ frequenti, dove si impose per l’effervescente spigliatezza, la vivacità, i repentini abbassamenti di registro, che sempre connotarono la sua recitazione. Tra il 1964 e il 1965 prese parte allo sceneggiato RAI Il giornalino di Gian Burrasca. Qui, guidata da Lina Wertmüller, interpretò la tirannica direttrice del collegio, tormentatrice assatanata sia del marito (interpretato da Sergio Tofano), fino a strappargli il parrucchino e a picchiarlo con il battipanni, sia dei pestiferi ospiti, tra cui il protagonista affidato a Rita Pavone. L’attrice impersonava una donna freak di bassissima statura, obbligata pertanto a muoversi in ginocchio, con il piacere di liberare il toscano degli accenti di casa, anche se imbruttita da smorfie nervose, il naso gonfiato, gli occhiali incombenti, e il grosso porro che ne deturpava una guancia. Nel 1970 fu briosa e spumeggiante nella miniserie di quattro puntate Giovanni ed Elviruccia, in coppia con il marito anche regista, sceneggiatura di Suso Cecchi d’Amico, musica di Ennio Morricone.
Fu nei varietà televisivi che accentuò gli aspetti salaci di ironica entertainer. Nel 1961 Falqui la scelse come animatrice del varietà Eva ed io, per inserirla poi in La biblioteca di Studio Uno, coinvolgendola nella demenziale parodia del Conte di Montecristo nel 1964. Nell’edizione 1966 del programma, presentato da Lelio Luttazzi, diventava la signora Cecconi, eroina ben pensante e piccolo-borghese, al fianco del marito, ma era capace altresì di dimenarsi ammiccante in moine e svenevolezze, imbiondita da vamp, svestita da Sandra Milo. In Doppia coppia, regia di Eros Macchi, nel 1969-70 incrociò l’imitatore Alighiero Noschese. Qui, nel medesimo anno, creò la centralinista della RAI, pettegola e tranciante, tutto un pettegolezzo in rima sui vip dei rotocalchi e sulle star mediatiche, con un’accelerazione senza respiro e intonazioni laziali-abruzzesi. In Speciale per noi nel 1971, dall’esito meno felice, interagiva con Ave Ninchi, per travestirsi da moglie di Gianni Morandi mentre la collega si camuffava da moglie di Sergio Endrigo, oppure entrambe facevano le consorti fatue e ciniche di industriali, con tanto di erre moscia e di shopping compulsivo. Dopo un’assenza di qualche anno per impegni teatrali, si ripresentò in Ma che sera nel 1978, regia di Gino Landi, condotta da Raffaella Carrà, in cui Bice e Paolo diedero vita a TeleFamily, parodia di programmi di vendita su canali privati, e lei imperversava da dietologa spiritata e poetessa erotomane. Qui la figlia Alessandra si ritagliò uno spazio personale come valletta. Il programma però venne funestato dalla concomitanza con la tragedia nazionale di Aldo Moro.
Specie negli spettacoli della ditta Garinei e Giovannini, Valori affermò le sue doti di soubrette di appoggio, in grado di cantare e ballare. A partire dal personaggio di Eusebia, zitella dai bollenti spiriti, finta sorella dell’eroe eponimo, in Rugantino, con Manfredi, Fabrizi e Toni Ucci nel 1962, portato anche in America e ripreso nel 1978. G&G le produsse nel 1966 L’Alba, il giorno e la notte di Dario Niccodemi, regia Luciano Mondolfo, con Panelli, ritorno momentaneo alla scena di prosa, sia pur leggera. Fu presente con il marito anche in Mai di sabato signora Lisistrata con Bramieri e Milva nel 1971 (versione televisiva del precedente Un trapezio per Lisistrata in cui non recitava) e in Niente sesso siamo inglesi di Antony Marriot, con Johnny Dorelli e Alida Chelli nel 1973. Fu apprezzata in particolare, e sempre accanto a Panelli, in Aggiungi un posto a tavola nel 1974, trionfale nell’impatto con la sala, pure per l’ottimismo sciorinato in contrasto con il tema apocalittico del diluvio universale. Qui svettò nel ruolo di Consolazione, l’arguta e generosa prostituta, scandalosa nella sua pretesa di salire a bordo dell’arca salvatrice, mentre il marito interpretava il sindaco ottuso. Fu infine la perfida usuraia Zobeida in Accendiamo la lampada nel 1979, ultima uscita della coppia in un musical della sigla G&G (Giovannini era deceduto nel 1977), assieme a Dorelli e a Gloria Guida, da cui si sfilò drammaticamente per la malattia che finì per piegarla.
Meno significative le sue apparizioni sul grande schermo, confinata ai margini, per lo più con accento dialettale, relegata a frettolose epifanie da valente caratterista, modellate nondimeno su manierismi trasferiti di peso dalla rivista teatrale in cui spadroneggiava. Così, tra le altre uscite, da ricordare almeno la balia Maddalena che perdeva il bambino dopo una lite con il marito, dando il via alle peripezie comiche del film in Sette ore di guai, regia di Metz e Marchesi, all’ombra di Totò, nel 1951; quindi una collegiale nel coevo Accidenti alle tasse! di Mario Mattoli, e poi con il medesimo regista e il funambolico attore nella moglie invecchiata e vittima dei soprusi coniugali, in Totò terzo uomo. E ancora la levatrice in Il matrimonio di Antonio Petrucci nel 1954, un soprano in Bravissimo di Luigi Filippo d’Amico nel 1955, una consorte bisbetica in La moglie è uguale per tutti di Giorgio Simonelli e una suora in La bella di Roma di Luigi Comencini sempre nel 1955, così come l’infermiera Carla in Il momento più bello di Luciano Emmer e una commediante vanitosa impegnata in una demenziale messinscena dell’Amleto in Susanna tutta panna di Steno sempre nel 1957, quindi una contessa in Guardia, ladro e cameriera di Steno; Gelsomina, un’inferocita sedotta e abbandonata in Caporale di giornata di Carlo Ludovico Bragaglia; Edna, schietta infermiera alla ricerca di marito (come le due amiche Sandra Mondaini e Vitti, e sarà Panelli il prescelto) in Le dritte di Mario Amendola del 1958. Fu altresì Irma, la consorte gelosa del maresciallo La Notte in Guardatele ma non toccatele di Mattoli del 1959, nonché la bigotta, occhialuta e sessuofoba Gladys con il suo compagno Chiari finto pastore protestante, in realtà falsari ricercati in Ferragosto in bikini di Marino Girolami del 1960. Divertì molto la sua Beatrice Garfanò, la cameriera grossolana che si spacciava per la padrona, la critica d’arte, e la rimpiazzava nella giuria in Scandali al mare del medesimo regista l’anno dopo. Sempre nel 1961 fu la maga Circe nel faceto Maciste contro Ercole nella valle dei guai di Mattoli, al fianco di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Nel 1963 si pavoneggiò come avvocato difensore in Adultero lui, adultera lei di Raffaello Matarazzo e come una squillo in Le motorizzate di Girolami. Altre immagini di lei si hanno nella professoressa in Le sedicenni di Luigi Petrini nel 1965, nella direttrice di collegio in Rita la zanzara di Wertmüller, uno dei musicarelli, centrati su divi canori del momento, in questo caso Pavone. Partecipò anche ai successivi Lisa dagli occhi blu di Bruno Corbucci e Il suo nome è Donna Rosa di Ettore Maria Fizzarotti (dove sbozzava un gustoso ritratto di falsa pudorata), entrambe pellicole del 1969. Si esibì in compenso tutta elegante negli ornamenti rinascimentali entro la riduzione di Franco Zeffirelli dalla shakespeariana La bisbetica domata nel 1967, contigua a Liz Taylor e a Richard Burton, mentre di rilievo risultò il cammeo disegnato in Il medico della mutua di Luigi Zampa nel 1968, dove era la vedova del vecchio medico, circuita dallo scatenato Alberto Sordi alla ricerca smaniosa di mutuati. Filone riproposto poi come dottoressa Venanzi in Gli infermieri della mutua di Giuseppe Orlandini nel 1969.
Morì per un tumore a soli cinquantatré anni non ancora compiuti, a Roma il 17 marzo 1980, provocando nel marito-partner (che si spegnerà nel 1997) un lutto mai del tutto elaborato. Erano trascorsi cinque mesi dal decesso dell’amato fratello Michele. Venne sepolta al cimitero Flaminio a Roma.
Fonti e Bibl.: Per la formazione di scenettista legata all’Accademia romana, C. Meldolesi, Fondamenti del teatro italiano, Firenze 1984, pp. 395 s.; A. Camaldo, La riforma di Garinei e Giovannini: dalla rivista alla commedia musicale italiana, in Il teatro di regia alle soglie del terzo millennio, a cura di P. Bosisio, Roma 2001, pp. 67-97; Quanto hai lavorato per me, caro Fortuna! Lettere e amicizia fra Umberto Saba e Aldo Fortuna (1912-1944), a cura di R. Cepach, Trieste 2007 (sulla famiglia d’origine); M. d’Amico, Persone speciali, introduzione di A. Camilleri, Palermo 2012.