María Candelaria
(Messico 1943, La vergine indiana, bianco e nero, 101m); regia: Emilio Fernández; produzione: Agustín J. Fink per Film Mundiales; soggetto: Emilio Fernández; sceneggiatura: Emilio Fernández, Mauricio Magdaleno; fotografia: Gabriel Figueroa; montaggio: Gloria Schoemann; scenografia: Jorge Fernández; costumi: Armando Valdés Peza; musica: Francisco Domínguez.
Nel 1909, nella comunità Náhuatl di Xochimilco, in Messico, María Candelaria e Lorenzo Rafael, indios di umili origini, vogliono sposarsi. Le opportunità di riuscire a vendere i fiori e la verdura che coltivano sono sempre più scarse; i due hanno seri problemi economici e pochissime possibilità di superarli a causa, tra le altre cose, dei barbari pregiudizi sociali di cui la donna è vittima in quanto figlia di una prostituta. Tutto ciò che la coppia possiede per poter stabilire una minima base economica in vista del matrimonio è una piccola scrofa, rivendicata dal 'padrone' del villaggio, Don Damián, a pagamento di un debito che María aveva contratto nei suoi confronti. Don Damián è anche incaricato di di-stribuire alla popolazione i medicinali contro la malaria, ma si rifiuta di somministrarli a María, che in segreto egli desidera anche se in pubblico sostiene di di-sprezzarla. La donna contrae la malattia e Lorenzo, per salvare la vita all'amata, si vede costretto a rubare il chinino nel negozio di Don Damián. Un pittore ossessionato dalla bellezza della donna e il parroco del villaggio sono gli unici alleati della coppia, tuttavia non riescono a impedire che Lorenzo finisca in carcere e che María muoia lapidata dagli abitanti del villaggio, con l'accusa di aver posato nuda per il pittore.
Terminati da tempo i prevedibili cicli di celebrazione ecumenica e di violenta sconfessione del film, oggi è finalmente possibile rivedere María Candelaria per ritrovarvi perfetti, intatti e raggianti i volti dei suoi protagonisti, ma soprattutto la sublime presenza di una Dolores Del Río che, come nota Carlos Monsiváis, è capace di infondere una certa logica anche alle trame più deliranti: "A distanza di tempo [...] molte delle immagini del film ancora possiedono o addirittura vedono aumentato il loro splendore originale, in particolar modo le sequenze bucoliche e la presentazione 'indigenista' di Dolores, con tanto di scialletto e vestito di percalle. Si tratta di immagini che illustrano una mentalità allora in voga: la reverenza mitica nei confronti della 'messicanità' pura e astratta, che dalle persone si estende agli oggetti". Prima di lavorare con Emilio 'El Indio' Fernández per una serie di film che ebbe inizio con Flor Silvestre (Messico insanguinato, 1943) e proseguì appunto con María Candelaria, Dolores del Río aveva trascorso quasi due decenni a Hollywood. E fu proprio Fernández che cercò di reinserirla finalmente nel cinema del suo paese, individuando chiaramente nella presenza dell'attrice un modo di garantire ai film messicani una collocazione nel panorama internazionale. In questo senso gli argomenti che utilizzò per convincerla sono di un'eloquenza quasi profetica: "Se alla sua bellezza e alla sua fama aggiungiamo lo spirito tragico del popolo messicano, stia sicura, Lolita, che conquisterà l'Europa".
In effetti María Candelaria in Europa fu un trionfo: ottenne nel 1946 la Palma d'oro a un Festival di Cannes particolarmente generoso e impegnato a esaltare la diversità dopo gli anni oscuri della Seconda guerra mondiale (le Palme d'oro assegnate ex aequo furono undici), ed ebbe anche il premio per la miglior fotografia al Festival di Locarno. La critica europea lo salutò come un capolavoro assoluto con argomenti di un'ingenuità catastrofica, molto meno interessanti dello stilizzato candore di cui ancora oggi il film è permeato. Georges Sadoul lo definì un "ritratto autentico della vita rurale messicana", mentre sulle pagine dell'autorevole "Revue du cinéma" Edouard Klein scriveva: "María Candelaria ci fa conoscere un mondo dimenticato, quello di un'umanità che si offre ai nostri occhi nei suoi sentimenti semplici e primordiali". Le recensioni apparse all'epoca in Spagna e negli Stati Uniti non fecero altro che rafforzare questo sguardo legato all'esotismo, dominato dalla volontà di esaltare il paesaggismo e le allegorie, annebbiato da una sorta di paternalismo legato alla ricerca di emozioni autentiche nel folclore.
Comunque sia, Edouard Klein aveva in qualche modo ragione quando parlava di un film in cui "il profilo drammatico sfocia unicamente nel canale dell'immagine": in Fernández c'è un'autentica pulsione lirica, una vicinanza febbrile ai suoi personaggi, un intuito irriducibile nel disporre i corpi tra le macchie della vegetazione e sotto i cieli screziati. In questo risiede la forza vitale di María Candelaria. L'impeto populista, gli straripamenti paesaggistici, il supposto realismo o il rinnovato nazionalismo lo rendono oggi un'opera incontestabilmente minore. Curiosamente sono proprio i suoi momenti di minor rilievo sociologico (o meglio quelli che si suppone lo siano) a renderlo grande, memorabile e godibile ancora oggi: è impossibile non condividere la disperata commozione di Lorenzo quando stringe la mano della sua amata in preda alla malaria; è impossibile non abbandonarsi completamente all'immagine di María che si aggrappa alla piccola scrofa, assurda speranza di un futuro migliore, capace a mala pena di riscaldarla un poco. Sono questi volti sospesi in un'immobilità che è "incapacità di languore" ciò che sopravvive al film (e non sempre grazie a esso) e ci ricorda che siamo di fronte a una splendida opera d'arte.
Interpreti e personaggi: Dolores Del Río (María Candelaria), Pedro Armendáriz (Lorenzo Rafael), Alberto Galán (il pittore), Margarita Cortés (Lupe), Miguel Inclán (Don Damián), Beatriz Ramos (la giornalista), Rafael Icardo (il parroco), Arturo Soto Rangel (il dottore), Julio Ahuet (José Alonso), Lupe del Castillo (la magra), Lupe Inclán (la pettegola), Salvador Quiroz (il giudice), José Torvay (il poliziotto), David Valle González (il segretario del tribunale), Enrique Zambrano (il medico).
E. Klein, Une tragédie rustique, in "La revue du cinéma", n. 5, février 1947.
G. Talon, María Candelaria, in "Cinéma 73", n. 181, novembre 1973.
A. Fernández, El Indio Fernández. Vida y Mito, México 1986.
J.M. Latorre, Xochimilco, in "Dirigido por", n. 139, septiembre 1986.
E. García Riera, Emilio Fernández. 1904-1986, Guadalajara 1987.
C. Monsiváis, Escenas de pudor y liviandad, México 1988.
P. Vecchi, Enamorado Fernández, in "Cineforum", n. 370, dicembre 1997.