MARIA CROCIFISSA Di Rosa, santa
MARIA CROCIFISSA Di Rosa, santa. – Nacque a Brescia il 6 nov. 1813 da Clemente, una delle personalità che sotto la dominazione austriaca maggiormente si distinse in città nell’impegno in campo amministrativo, civile ed economico e come sostenitore di fondazioni religiose e assistenziali, e dalla nobile Camilla Albani di Bergamo e venne battezzata con il nome di Paola Francesca Maria. Inizialmente fu seguita da insegnanti privati, conformemente al livello sociale della famiglia, sia nello studio sia nell’apprendimento dei precetti cristiani.
Sesta di nove fratelli, rimase orfana della madre a soli undici anni, cosa che accentuò gli aspetti solitari e la riservatezza del suo carattere. Tra il 1825 e il 1830 continuò gli studi e l’apprendimento della dottrina religiosa nel convento di S. Croce, presso le suore della Visitazione. Tornata in famiglia a diciassette anni, proseguì una vita ritirata, concentrata sulla preghiera e sulla conduzione della dimora paterna. Un anno dopo, rifiutando le nozze progettate dal padre, fece voto di perpetua verginità. Sua guida spirituale dall’uscita dal collegio fu mons. F. Pinzoni, altra personalità di spicco nella promozione e fondazione in città di opere assistenziali di vario genere, che le rimase vicino fino alla di lui morte nel 1848.
Negli anni che seguirono M. si dedicò con fervore a numerose iniziative di carità e apostolato, fra cui: le settanta operaie della filanda del padre ad Acquafredda (circa 30 km da Brescia), verso cui si pose come punto di riferimento morale; le giovinette del paese di Capriano del Colle (Brescia), dove la famiglia possedeva una residenza, di cui curò l’alfabetizzazione e l’educazione religiosa; i poveri e gli ammalati in genere. Inoltre, nel giugno 1836, mentre infuriava l’epidemia di colera, con il valido appoggio di Maria Gabriella Echenos Bornati prestò soccorso alle ammalate ricoverate nell’ospedale di Brescia e, tra il 1836 e il ’39, alle donne ospitate nella Casa d’industria.
Tale istituzione, fondata dal governo austriaco nel 1817 per contenere l’accattonaggio, fungeva da luogo di accoglienza e, nei casi di parziale inabilità fisica, da agenzia di collocamento temporaneo, oltre a occuparsi delle giovani dette «pericolanti», le cui difficili condizioni economiche e familiari conducevano facilmente sulla strada della prostituzione.
Tra il 1833 e il 1839 M. perse tre sorelle (tra cui Ottavia che con il nome di Maria Crocifissa era entrata tra le visitandine) e due fratelli: altri tre fratelli erano mancati in tenera età, il che fece di M. l’unica figlia superstite. Intanto, accanto all’azione di tipo assistenziale all’interno di istituzioni già esistenti, cominciò a farsi strada in lei la volontà di estendere il proprio impegno a nuove iniziative: sorsero così, sempre a Brescia, due scuole (maschile e femminile) per sordomuti (1838-39); poi, dietro consiglio del suo referente spirituale che aveva già in passato coltivato l’idea di una pia unione di infermieri, nacque in M. il proposito di fondare una associazione religiosa di infermiere che svolgesse prevalentemente attività di assistenza fisica e spirituale negli ospedali e attraverso la cura a domicilio degli ammalati.
La motivazione era maturata in seguito all’esperienza compiuta nel 1836 presso l’ospedale cittadino, che aveva permesso a M. di rilevare le gravi deficienze della struttura sanitaria sia nella preparazione del personale infermieristico sia nel sostegno spirituale ai ricoverati.
Il progetto, sostenuto economicamente dal padre, divenne realtà il 18 maggio 1840, con l’inizio del servizio nell’ospedale femminile di Brescia: M. fu nominata da Pinzoni prima superiora, affiancata dalla fedele amica M.G. Echenos Bornati nel ruolo di vicaria e da una trentina di seguaci. Poco tempo dopo l’entrata in ospedale e per alcuni anni a seguire sorsero tensioni tra le donne della Pia Unione (chiamate inizialmente spedaliere, poi ancelle della Carità) e la direzione dell’ospedale di Brescia, che in sostanza mirava a una totale sottomissione delle religiose alle regole organizzative e gerarchiche del luogo di cura. Questi e successivi contrasti furono tuttavia in parte appianati alcuni anni più tardi (febbraio 1843) con il riconoscimento governativo dell’Istituto e l’approvazione dei suoi regolamenti. Nel maggio dello stesso anno le ancelle trovarono una sede stabile per la casa madre presso un edificio acquistato dal padre di M. nella contrada di S. Lorenzino.
Intanto, a partire da questo primo gruppo bresciano, l’istituzione aveva già aperto, nell’agosto del 1841, una seconda casa a Cremona; poi, sempre nel corso degli anni Quaranta, altre furono inaugurate a Manerbio, Montichiari e Chiari. A livello giuridico una prima stesura delle costituzioni fu preparata da Pinzoni e da M. tra il 1844 e il 1845, mentre la redazione definitiva è datata 1851. Secondo quanto è in esse affermato, le ancelle della Carità non rinunciavano, accanto alla prevalente assistenza ospedaliera, a esercitare la carità e l’educazione verso tutti i soggetti bisognosi, cosa che M. aveva attuato nella pratica già negli anni precedenti il 1840.
Nel movimentato biennio 1848-49 le iniziative della Pia Unione furono molteplici e rivolte in particolare ai feriti ricoverati negli ospedali di Brescia dopo gli scontri di Montichiari e Valeggio e durante le dieci giornate di Brescia (23 marzo - 1° apr. 1849). Dopo la repressione austriaca, l’opera di assistenza fu indirizzata agli affamati e ai malati, tra cui molti furono i contagiati da una nuova epidemia di colera. Nel settembre del 1850 M. si recò a Roma per la definitiva approvazione papale delle costituzioni che ottenne, poco dopo l’udienza concessale da Pio IX, con un breve pontificio dell’8 apr. 1851. Il 14 aprile dell’anno successivo giunse anche la definitiva approvazione imperiale delle ancelle come congregazione religiosa che permise l’erezione canonica dell’Istituto presso la chiesa parrocchiale di S. Lorenzo, nonché le prime vestizioni e professioni dei voti. Il 18 giugno 1852 M. poté vestire l’abito religioso delle ancelle e cambiare il nome in quello di Maria Crocifissa.
M. fu impegnata a promuovere la diffusione dell’istituzione fuori della città natale: a Travagliato e a Lonato (1850), a Mantova (con diverse fondazioni tra cui nel 1851 un ospedale e un manicomio e nel 1852-53 un collegio femminile con un oratorio festivo e una scuola per sordomute), a Salò e a Orzinuovi (1851), a Udine e a Crema (1852), a Ragusa (1853) in Dalmazia, a Trieste (1854), a Bussolengo e a Spalato (1855).
Ammalatasi gravemente nel novembre del 1855 nella casa di Mantova in cui assisteva agli esercizi spirituali, M. venne riportata a Brescia, dove morì il 15 dic. 1855.
Fu dichiarata venerabile da Pio XI il 10 luglio 1932, poi da Pio XII beatificata il 26 maggio 1940 e infine canonizzata quattordici anni più tardi, il 12 giugno 1954.
Fonti e Bibl.: Maria Crocifissa Di Rosa, Epistolario, I-II, a cura di L. Fossati, Brescia 1976; P. Vivenzi, Vita di suor M.C. nel secolo nob. Paola Di Rosa, fondatrice e superiora delle ancelle della Carità, Brescia 1864; E. Girelli, Della vita di suor M.C. al secolo Paola Di Rosa…, Brescia 1884; V. Bartoccetti, La venerabile madre M.C., fondatrice delle ancelle della Carità di Brescia, Brescia 1937; L. Fossati, Beata M.C., fondatrice delle ancelle della Carità in Brescia, Brescia 1940; G. Papasogli, Una gloria bresciana. Santa M.C., fondatrice delle ancelle della Carità di Brescia, Brescia 1954; Discorsi in onore di santa M.C. tenuti in occasione della sua beatificazione e canonizzazione…, a cura di L. Fossati, Brescia 1961; Arch. stor. della Congregazione delle ancelle della Carità, a cura di L. Fossati, Brescia 1975 (sul padre di M.); F. Molinari, M.C.: santa per gli altri, Cinisello Balsamo 1987; A. Monticone - A. Fappani - A. Nobili, Una intuizione di carità. Paola Di R. e il suo Istituto tra fede e storia, Milano 1991; D. Del Rio, Il mestiere della carità. Storia di santa M.C., Roma 1998; C. Siccardi, Santa M.C.: donna venduta alla carità, Cinisello Balsamo 2005; Bibliotheca sanctorum, VIII, coll. 1055-1058; Enc. cattolica, IV, s.v.; Diz. degli istituti di perfezione, I, col. 552; V, coll. 947 s.