DOVIZI, Maria
Nacque sicuramente negli ultimissimi anni del sec. XV, dal matrimonio di Antonio con una certa Piera. Il padre della D. era notaio e fratello dei più famosi Piero e Bernardo, entrambi segretari dei Medici; fu a sua volta impiegato nella Cancelleria medicea, sia pure con un ruolo minore, e fu anche coadiutore della Cancelleria degli Otto di pratica, e in contatto con esponenti di rilievo della diplomazia fiorentina. Soggiornò a Roma e poi a Bologna dove, soprattutto al momento della caduta dei Medici nel 1494, Poté seguire l'evolversi degli avvenimenti e quindi divenire un prezioso punto di riferimento per gli esuli di parte medicea, banditi da Firenze.
Il nome della D. è tuttavia rimasto famoso per il tentativo dello zio, il cardinale Bernardo, di darla in sposa a Raffaello Sanzio. Di conseguenza, le notizie assai limitate che su di lei possediamo sono, a parte la brevità della sua vita, tutte relative al fidanzamento e al mancato matrimonio con il pittore di Urbino.
Le testimonianze più autorevoli, ma prive di supporto documentario, riguardo al fidanzamento della D. con Raffaello sono due: da un lato una lettera dello stesso Raffaello allo zio Simone Ciarle, del 1° luglio 1514 (in Cavalcaselle-Crowe, II, pp. 230 ss.), dall'altro una famosa pagina del Vasari, ampiamente studiata, in cui sono raccontati i tentativi di Raffaello di sottrarsi ai progetti del cardinale Bernardo.
La conoscenza tra i due risaliva ad un loro primo incontro ad Urbino e fu poi ampliata durante la permanenza a Roma di Raffaello, al quale il cardinale aveva commissionato l'esecuzione di varie opere. R probabile che, trovandosi lo stesso padre della D. a Roma, come risulta da alcune sue lettere, sia anche avvenuto un incontro tra i due giovani. Dalla citata lettera di Raffaello allo zio Simone appare evidente che era stata formalmente pronunciata una promessa di matrimonio: "Voi sapete che Santa Maria in Portico [il cardinale Bernardo Dovizi] me vol dare una sua parente, e con lidenza del zio prete, e vostra li promisi di fare quanto sua R.ma Signoria voleva, non posso mancar di fede, siamo più che mai alle strette ...".
Non sono noti i motivi di queste dilazioni e incertezze addotte da Raffaello circa il matrimonio con la D.: si è pensato a una non buona salute della ragazza, alla sua troppo giovane età, alla volontà di Raffaello di non interrompere altre relazioni amorose. A tale proposito, nella stessa lettera già citata, si legge esplicitamente: "che anch'io ne hò [partiti], ch'io trovo in Roma una Mamola bella secondo hò inteso di bonissima fama Lei e li loro, che mi vol dare tre mila scudi d'oro in docta ...". Fra i motivi del rifiuto il Vasari adduce l'aspettativa della nomina cardinalizia da parte di Raffaello e, quindi, alla conseguente necessità di non essere vincolato dal matrimonio. Sta di fatto che alle reiterate insistenze del cardinale (il matrimonio sembrava dovesse celebrarsi nel 1514), che certamente in questo vincolo vedeva un motivo di lustro per la sua famiglia, corrispose il costante rifiuto di Raffaello, finché la D., giovanissima, morì.
La sua tomba, traslata a Roma nel Pantheon, sicuramente dopo la morte di Raffaello, fu posta vicino al sepolcro di lui a destra dell'altare della Madonna del Sasso; su una lapide, non più conservata, si leggeva un epitaffio attribuito a P. Bembo, che così incominciava: "Mariae. Antonii. F. Bibienae. sponsae. eius quae laetos hymenaeos morte praevertit et ante nuptiales faces virgo est elata ...". È inutile sottolineare che il significato del latino "sponsa" è quello di sposa promessa e non quello assunto in volgare, per cui anche la lapide è un'ulteriore testimonianza del mancato matrimonio fra i due promessi, riuniti simbolicamente insieme dopo la loro morte.
Priva di fondamento è l'ipotesi di alcuni biografi di Raffaello (fra cui il Pungileprii, il Passavant e altri), per i quali la D. non era diretta nipote del cardinale, cioè figlia del fratello di lui Antonio, bensì la figlia di un altro Antonio, a sua volta figlio di un altro fratello del cardinale, Giovan Battista.
Fonti e Bibl.: P. Bembo, Lettere, Venezia 1560, pp. 14, 22; G. Vasari, Le vite, I, Firenze 1869, p. 86; R. Fabretti, Inscriptiones antiquariae, Romae 1702, pp. 328-329; A. M. Bandini, Il Bibbiena, Livorno 1758, p. 25; G. Roscoe, Vita e pontificato di Leone X, Milano 1817, II, pp. 94-96; L. Pungileoni, Elogio storico di Raffaello Santi da Urbino, Urbino 1829, pp. 58, 164, 240; A. Visconti, Notizie su Raffaello e M. D., in Giornale arcadico, XV (1833), pp. 10 ss.; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edificii di Roma, I, Roma 1869, p. 295; J. D. Passavant, Raffaello d'Urbino e il padre suo Giovanni Santi, Firenze 1882, I, pp. 144-146, 392-393; G. B. Cavalcaselle-I. Crowe, Raffaello, Firenze 1884, II, pp. 230-232, 292; V. Golzio, Raffaello nei documenti, nelle testimonianze dei contemporanei e nella letter. del suo secolo, Città del Vaticano 1936, pp. 31-33, 119-120; G. L. Moncallero, Il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, umanista e diplomatico, Firenze 1953, pp. 229-234; Id., Ricerche sul Cinquecento, in Nuova Antologia, luglio 1954, pp. 382-388; M. Salmi, Bernardo Dovizi e l'arte, in Rinascimento, IX (1969), pp. 16-17.