SAVOIA, Maria Francesca Apollonia
di. – Nacque a Torino l’8 febbraio 1594, settima dei nove figli del duca di Savoia Carlo Emanuele I e dell’infanta Caterina d’Austria.
Al battesimo, celebrato dall’arcivescovo di Torino Carlo Broglia, il padrino fu il fratello Filippo Emanuele, la madrina donna Matilde di Savoia (sorellastra del duca), marchesa di Pianezza.
Sin dall’infanzia risultò solidissimo il legame con la sorella Caterina Francesca (v. la voce in questo Dizionario), con cui condivise l’educazione ricevuta in una corte intrisa di cultura spagnola. La consapevolezza di essere figlie di un’infanta e nipoti di un re di Spagna (il nonno materno era Filippo II) segnò profondamente il carattere delle due principesse e rimase radicata anche dopo la prematura scomparsa della madre, avvenuta nel novembre del 1597. Ad attendere alla crescita delle due bambine venne allora chiamata Mariana de Tassis y Acuña (già loro nutrice nonché dama d’onore della duchessa Caterina), mentre l’istruzione religiosa e la direzione spirituale, inizialmente affidate ai gesuiti, furono in seguito condotte dai barnabiti Amatore Ruga, Juste Guérin e Maurice Arpaud. Maria crebbe a contatto della sorella Caterina Francesca e dei fratelli Maurizio e Tommaso, mentre meno intensa fu la frequentazione delle sorelle maggiori Margherita e Isabella (che nel 1608 si erano stabilite a Mantova e a Modena in seguito alle nozze con Francesco Gonzaga e Alfonso d’Este), e dei fratelli Filippo Emanuele, Vittorio Amedeo ed Emanuele Filiberto (trasferitisi nel 1603 in Spagna per un soggiorno presso la corte dello zio Filippo III che si rivelò fatale per l’erede al trono, Filippo Emanuele, morto a Madrid il 9 febbraio 1605).
Adolescente, Maria divenne oggetto di trattative nuziali: nel 1608 con l’imperatore Rodolfo II e nel 1611 con Filippo III di Spagna, rimasto vedovo. Si pensò poi a un’unione con l’Inghilterra attraverso le nozze con Henry Frederick, figlio del re Giacomo I Stuart, e, fallito questo progetto per la prematura morte del principe inglese, si ipotizzò un matrimonio con l’arciduca Ferdinando d’Austria, anch’esso tuttavia destinato a sfumare.
Intanto andava prendendo forma nella principessa e nella sorella l’anelito verso la vita religiosa, che nel 1618 si espresse in un voto privato di custodire la verginità e di consacrarsi come terziaria francescana. Tale scelta, che si richiamava a una prassi consolidata nella tradizione asburgica, avrebbe permesso alla principessa di soddisfare i bisogni spirituali senza l’imposizione della vita comune e della clausura, consentendole così di rimanere «nell’alta posizione sua di corte» e di «congiungere insieme le pratiche dell’osservanza e dei voti colle esigenze dell’alta sua posizione sociale» (Croset-Mouchet, 1878, pp. 25, 27). Nel 1629 la principessa, che già si era affiliata a un elitario pio sodalizio femminile (la Compagnia dell’Umiltà), emise insieme alla sorella la professione, assumendo il nome di suor Maria Francesca.
La nuova condizione accentuò l’afflato devozionale dell’infanta, che si mostrò particolarmente sensibile al culto mariano (Loreto, insieme ad altri santuari della Vergine, fu meta prediletta dei suoi pellegrinaggi), a quelli di s. Francesco e della Passione. La Sindone (di cui Maria era solita realizzare copie di grandezza naturale, che spesso portava con sé durante i viaggi e di cui faceva dono ai suoi ospiti), insieme ad altre reliquie collezionate nel corso degli anni, fu infatti al centro della sua pietà. L’abito di terziaria non impedì all’infanta di mantenere una propria piccola corte (fatta di circa trenta persone), sia negli anni di permanenza a Torino sia in quelli in cui preferì trasferirsi fuori dal ducato a causa dei mutati equilibri politico-diplomatici.
L’orientamento filofrancese assunto da Carlo Emanuele I nella guerra del Monferrato, sancito dal matrimonio di Vittorio Amedeo I con Cristina di Borbone (1619) e di Tommaso con Maria di Borbone-Soissons (1624), generò attriti e dissidi fra le due infante e una corte sempre più dominata dai modelli borbonici. Il crescente disagio provocato dalla progressiva emarginazione della componente filospagnola all’interno della corte non fu estraneo alla decisione delle due sorelle di abbracciare la vita religiosa. Tale scelta non abbassò tuttavia il livello delle tensioni.
Il contrasto, già palese nel 1637 (quando la morte di Vittorio Amedeo I e la minore età del figlio Francesco Giacinto spinsero la duchessa vedova Cristina ad assumere la reggenza), esplose nel 1638, anno nel quale anche il piccolo duca morì. Sostenuta da Luigi XIII e dal cardinale Richelieu, la duchessa francese rivendicò il diritto di reggenza in attesa che l’altro figlio, Carlo Emanuele, raggiungesse la maggiore età. A ciò si opposero i cognati Tommaso e Maurizio (che, giovanissimo, aveva vestito la porpora cardinalizia), i quali, contando anche sull’appoggio delle sorelle infante, accamparono a loro volta il titolo di reggenti in nome del figlio del defunto fratello. Lo scontro fra il partito «madamista» filofrancese e quello «principista» filospagnolo, oltre a dividere la corte, spaccò i ceti dirigenti dello Stato e portò a una lunga guerra civile (1638-42), al termine della quale risultò vincitrice Cristina di Borbone.
La sconfitta della fazione principista indusse l’infanta (ormai sola, dopo la morte della sorella nel 1640) ad abbandonare il Piemonte. Dopo un breve passaggio a Nizza e a Genova, nel 1642 si stabilì a Vigevano; alla fine del 1644 intraprese un pellegrinaggio a Loreto, al termine del quale si fermò a Bologna. Presa residenza a palazzo Ruini, restò nella città emiliana per un lustro. Nel 1650, in occasione del giubileo, sollecitata anche dal cardinale Rinaldo d’Este (suo nipote), si recò a Roma dove, stabilitasi nel monastero delle oblate di S. Francesca Romana a Tor de’ Specchi, soggiornò per circa tre mesi; nel viaggio di ritorno verso Bologna, accompagnata dal fratellastro don Amedeo di Savoia (allora residente a Roma) si fermò prima ad Assisi, poi a Perugia e, infine, a Loreto.
A Bologna la principessa restò sino all’estate del 1653, quando decise di trasferirsi definitivamente a Roma. Qui, essendo andata a risiedere al Borgo, intrattenne rapporti con influenti personalità femminili della nobiltà romana (in particolare con Olimpia Pamphili), e si mostrò munifica benefattrice della confraternita dei sudditi sabaudi con sede nella chiesa del S. Sudario. La prossimità con il pontefice e con la Curia indusse la principessa (la quale non smise mai di seguire attentamente le vicende politiche e dinastiche sabaude) a porsi come intermediaria nelle questioni aperte con la corte di Roma. Fra queste spiccavano la situazione di stallo in cui versava la pratica di canonizzazione di Amedeo IX (il duca di Savoia morto in odore di santità nel 1472) e le trattative per il conferimento di un cappello cardinalizio a suo nipote Eugenio Maurizio (figlio del fratello Tommaso), che avrebbe dovuto sostituire nel S. Collegio Maurizio, il quale aveva rinunciato alla porpora nel 1642. L’impegno della principessa fu tuttavia condizionato dal peggioramento delle condizioni di salute, che la costrinsero a passare l’estate del 1654 fuori Roma, sui colli di Frascati. Ritornata nell’Urbe, dove il 1655 si era aperto con la morte di Innocenzo X e l’elezione di Alessandro VII, Maria, già gravemente malata, ebbe modo di incontrare Cristina di Svezia. Gli ultimi mesi dell’infanta, rattristati dalle funeste notizie della morte della sorella Margherita, del fratello Tommaso e del di lui figlio, furono spesi nel vano tentativo di imprimere una spinta risolutiva ai negoziati in corso fra le corti di Roma e Torino.
Redatto l’11 giugno 1656 il testamento (che riprendeva il primo, risalente al 1632), Maria si spense a Roma il 13 luglio di quell’anno. In ossequio alle sue ultime volontà, la salma venne tumulata nella chiesa del Sacro Convento di S. Francesco di Assisi.
Dopo la Restaurazione il re di Sardegna Carlo Alberto, impegnato in un ambizioso programma di valorizzazione agiografica della dinastia sabauda, tentò di avviare un processo di canonizzazione dell’antenata, che non ebbe tuttavia seguito.
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