PAZZAGLI, Maria Giovanna (Preda, Gianna). – Maria Giovanna Pazzagli nacque l<apost>11 febbraio 1921 a Coriano (allora provincia di Forlì, oggi di Rimini)
, da Maria Tommasoli e da Giovanni Pazzagli.
Frequentò il Liceo artistico di Bologna ed esordì poi nel giornalismo scrivendo per il Giornale dell’Emilia e per il settimanale bolognese Cronache. Trasferitasi a Roma collaborò con Epoca, dove nell’estate 1952 realizzò uno scoop tra le pieghe della cosiddetta 'operazione Sturzo', ovvero la creazione, in occasione delle elezioni amministrative romane, di una lista anticomunista formata da cattolici di destra con l’appoggio dei monarchici e del Movimento sociale italiano (MSI). Nel quadro delle trattative, Luigi Gedda, presidente dei Comitati civici, tenne rapporti molto intensi con il padre gesuita Alighiero Tondi e con esponenti del MSI. Nell’aprile 1952, mentre l’operazione stava per fallire, padre Tondi si eclissò: aveva maturato la scelta di abbandonare la Chiesa in seguito a una crisi di coscienza che successivamente lo portò al matrimonio con una militante del Partito comunista italiano (PCI) e infine al suo trasferimento a Berlino est per insegnare filosofia all'Università Humbolt. Per un certo periodo, nell’estate del 1952, rimase nascosto per evitare pubblicità sul suo caso, che occupò per mesi le pagine dei giornali. Gianna Preda lo scovò e, vincendo i timori dell’ex gesuita, riuscì a intervistarlo e addirittura a trascinarlo in una balera dove ballarono insieme; la foto di quel ballo divenne, nelle elezioni del 1953, un manifesto politico anticomunista.
Questo episodio qualificò Gianna Preda come una delle più tenaci e intelligenti giornaliste del momento: Aldo Borelli, direttore del Corriere della Sera durante il periodo fascista, che l’aveva fatta collaborare a Epoca, la chiamò come redattrice del Giornale d’Italia, dove iniziò a distinguersi come giornalista 'scomoda': nel 1959 intervistò la senatrice Lina Merlin, autrice l’anno precedente della legge che aveva portato a chiudere in Italia le 'case di tolleranza'. L’intervista, per l’argomento trattato e per la schiettezza della intervistatrice, non fu però mai pubblicata.
Sposò, il 28 aprile 1943 a Bologna, Amedeo Predassi (1905-1987), avvocato, ufficiale della Milizia e della Repubblica sociale italiana (RSI), dal quale ebbe due figli, Donatella (1944) e Giacomo (1946). Su invito di Leo Longanesi, nel 1954 iniziò a scrivere (con lo pseudonimo di Gianna Preda) per Il Borghese. Lo pseudonimo nacque per un errore del proto, che non comprendendo bene il cognome della giornalista vergato a mano in calce a un articolo, ne omise la parte finale: divenne Preda e piacque molto a Longanesi. Nel 1957, alla morte del fondatore, Preda divenne redattore capo del settimanale diretto da Mario Tedeschi, cui collaborò per tutta la vita, diventandone anche vicedirettore.
Denunciò il malcostume politico degli anni Cinquanta e Sessanta. Settaria, visceralmente anticomunista, fu la penna più caustica della destra italiana e una giornalista 'd’assalto': grazie alla fittissima rete di conoscenze e di amicizie riusciva ad avere notizie in anteprima. Le sue interviste o i semplici pezzi su episodi di cronaca e di costume divennero famosi. Nel 1958 un suo articolo contro Enrico Mattei mostrò che a destra non tutti erano per il fondatore dell’ENI, come invece appariva, e non solo in virtù dei finanziamenti dai quali neppure il MSI era escluso.
Ne emerse l’immagine di una destra che in nome dell’antistatalismo si scagliava contro la corruzione e soprattutto contro le aperture antiatlantiche operate da Mattei e dallo stesso presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi.
L’anno successivo, in occasione della morte di don Luigi Sturzo, l’articolo di omaggio di Gianna Preda fu in realtà una requisitoria contro lo statalismo, una delle ultime battaglie del sacerdote siciliano; in particolare la giornalista ricordò il pessimo rapporto che Sturzo ebbe, negli ultimi anni, con buona parte del mondo democristiano.
Gli anni Sessanta la videro impegnata nella lotta contro il centrosinistra: una lettera a papa Giovanni XXIII cercava di richiamare al pontefice la scomunica della Chiesa pacelliana contro i comunisti. L'avversione all'ipotesi di un'alleanza di centrosinistra si tradusse nella difesa di Fernando Tambroni e del suo governo monocolore retto con il sostegno del MSI. Nel febbraio 1961, quando già il centrosinistra era prossimo alla sua realizzazione ufficiale, Gianna Preda pubblicò una lettera che il cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, inviò il 17 febbraio 1961 ad Aldo Moro per scongiurarlo di non includere i socialisti nel governo.
Nel suo carnet vi furono interviste le più varie, da quella a Umberto II, il re in esilio, alla moglie, Maria Josè; dal cardinale Alfredo Ottaviani, il 'carabiniere della Chiesa', noto per le sue posizioni anticomuniste e antiprogressiste, ai politici Oscar Luigi Scalfaro, Ugo La Malfa, Mario Scelba e Giovanni Malagodi.
L’intervista più importante, che la rese nota come la giornalista che fece cadere un ministro degli Esteri, fu quella con Giorgio La Pira, amico intimo dei Fanfani, ex sindaco di Firenze.
Uomo del cattolicesimo di sinistra, vivace promotore di una vasta azione diplomatica per la soluzione della guerra in Vietnam, La Pira era appena rientrato da un viaggio ad Hanoi dove aveva incontrato Ho Chi Minh e da cui aveva portato una proposta di pace affidata al suo amico ministro, Amintore Fanfani, perché se ne facesse portatore presso il governo statunitense. Il fallimento dell'operazione e le anticipazioni comparse su alcuni giornali, esposero Fanfani a un'ondata di polemiche e accuse.
Con l'assicurazione che si sarebbe trattato di un semplice colloquio, la moglie di Fanfani – contattata da Gianna Preda – organizzò presso l'abitazione di famiglia, la mattina del 20 dicembre 1965, un incontro di circa due ore tra la giornalista e La Pira. Preda, tuttavia, si presentò con un registratore nascosto tra le vesti e qualche giorno dopo, sul Borghese, firmò un articolo intitolato La Pira parla in libertà nel quale riportava una lunga serie di affermazioni dell'ex sindaco e amico di Fanfani che finirono per esporre quest'ultimo a ulteriori bordate polemiche: La Pira espresse ammirazione e affetto per Mussolini, minimizzò il pericolo comunista, perorò la pace in Vietnam anche come condizione per aprire la Cina ai mercati statunitensi, criticò il segretario di Stato americano Dean Rusk perché «non capisce molto», ma non salvò neppure Aldo Moro, troppo «molle» e senza «gioia di vivere», o il socialista Pietro Nenni, vecchio ed «estinto». Si spinse, infine, a prevedere per l'Italia un governo monocolore guidato naturalmente da Fanfani e sostenuto tanto dalla destra del MSI, quanto dai comunisti. Quando la giornalista informò, poi, che l'intervista era avvenuta a casa del ministro degli esteri, Fanfani annunciò le sue dimissioni. Sarebbe tornato pochi mesi dopo, sempre alla Farnesina.
Peculiare dell'approccio di Gianna Preda al giornalismo fu inoltre la rubrica della posta con i lettori, atteso appuntamento settimanale che durò quasi trent’anni. Attraverso essa Gianna Preda intrattenne un dialogo e diede voce a quell’Italia di destra che, alle prese con i cambiamenti radicali degli anni Sessanta e Settanta, si sentiva estranea nei confronti di una modernità che trovava scostumata e illiberale.
Fu di destra e vicino al MSI ma con molta libertà di giudizio, fino ad aderire alla scissione di Democrazia Nazionale nel 1976, dopo avere polemizzato con Giorgio Almirante per la posizione assunta dal Partito riguardo a divorzio e aborto. Figura di cui fu apprezzata soprattutto la capacità di essere efficace e corrosiva, guadagnò non solo astio ma anche amicizie e stime trasversali: basti ricordare i buoni rapporti con Umberto Terracini, Sandro Pertini e Ruggero Zangrandi, ma anche l'intenso legame, di odio-amore, con Pier Paolo Pasolini.
Scrisse, fra il 1954 e il 1956, cinque sceneggiature cinematografiche e, negli anni Sessanta e Settanta, i testi di spettacoli satirici per Oreste Lionello; fu con Luciano Cirri tra i fondatori del teatro Il Bagaglino a Roma e poi Il Giardino dei supplizi.
Morì a Ronciglione (Viterbo) il 6 agosto 1981.
Opere. Scrisse complessivamente dieci volumi. Sette nacquero nell'ambito della sua attività giornalistica a Il Borghese: Guardatevi in faccia. Fotografie senza censura dell’Italia democratica, raccolte e commentate insieme con M. Tedeschi (Milano 1958); ABC della Repubblica. Tutto ciò che l’italiano perbene deve sapere e non fare, testi e fotografie suoi e di M. Tedeschi (Milano 1959); Il fazioso. Almanacco del Borghese, da lei curato (Milano 1960), come Il 'chi è' del Borghese (Vecchi e nuovi fusti), Milano 1961; Almanacco dei vecchi fusti, a curato con M. Tedeschi (Roma 1963); C’era una volta Gesù. Album di satira cattolica, disegni di D. Preda, Milano 1969; Il ventennio della pacchia, Milano 1971, scritto con M. Tedeschi. Fiori per io (Milano 1981), racconta la sua giovinezza a Coriano e a Riccione e numerosi episodi e personaggi della sua vita giornalistica. Altri due volumi uscirono postumi: Inseguendo la vita, Milano 1981 e Il meglio di Gianna Preda, Milano 1981.
Fonti e Bibl.: L’archivio di Gianna Preda è stato consegnato dai figli alla Biblioteca comunale 'Giovanni Antonio Battarra' di Coriano ed è attualmente in corso di riordinamento.
Il 'chi è' delle donne italiane (1945-1982), Milano 1982, ad vocem; Le donne italiane. Il 'chi è' del ‘900, a cura di M. Mafai, Milano 1993, ad vocem; Italiane, a cura di E. Roccella - L. Scaraffia, III, Roma 2004, ad vocem. Si veda anche l’interessante profilo di G. Pansa, La Destra siamo noi. Una controstoria italiana da Scelba a Salvini, Milano 2015, pp. 303-311.