JACOBINI, Maria
Nacque a Roma il 17 febbr. 1892.
La famiglia era assai cospicua e annoverava fra i suoi membri due cardinali, Angelo e Ludovico, segretario di Stato di Leone XIII, e Camillo, ministro dei Lavori pubblici nel 1854, sotto Pio IX.
La J. ebbe due sorelle, ambedue come lei attrici, Bianca, la maggiore, che interruppe la carriera dopo soli quattro film, e Diomira.
"Una gran massa di capelli neri e soffici, occhi nerissimi e profondi, il viso bianco, un corpicino scarno e molta ritrosia e molta timidezza" (Prolo), così veniva descritta la J. quando, giovanissima, iniziò a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo.
Studiò presso la scuola di recitazione annessa all'Accademia di S. Cecilia, sotto la direzione di Virginia Marini e di E. Boutet, e cominciò la carriera di attrice calcando le scene del teatro di palazzo Del Drago nella compagnia di C. Dondini, interpretando ruoli di secondaria importanza. Qui, nei primi anni del Novecento, venne notata da U. Falena, noto scopritore di talenti, il quale le propose il passaggio al cinema.
Uomo di teatro e commediografo, Falena era all'epoca direttore della Film d'arte italiana, casa di produzione ancora controllata dalla francese Pathé, che si dedicava soprattutto alla riduzione di testi teatrali e letterari. Insieme con la J. in quel periodo anche altri attori di prosa fecero lo stesso pionieristico salto verso il grande schermo: E. Novelli, F. Garavaglia, lo stesso Dondini; Francesca Bertini, scritturata come la J. dalla Film d'arte, ne condivise le prime esperienze cinematografiche.
La J. debuttò nel 1910 con due pellicole storiche, Lucrezia Borgia, appunto con la Bertini, e Beatrice Cenci, entrambe di discreto successo, dirette da Falena. Nel 1913, condotta dal pittore P.A. Gariazzo che la aveva notata in Beatrice Cenci, si trasferì a Torino, città natale e principale centro produttivo del cinema italiano. Iniziò a lavorare presso la casa di produzione Savoia Film, fondata da Gariazzo, dove interpretò diversi ruoli accanto a un altro attore teatrale prestato al cinema, Dillo Lombardi; tra le pellicole della coppia Pantera è la più degna di nota.
Alla Savoia la J. incontrò il poeta e regista N. Oxilia che la diresse in numerosi film e con cui intrecciò una relazione sentimentale.
Le prime esperienze lavorative con Oxilia videro la J. protagonista di Zingara di S. Camasio con Oxilia aiuto regista, tratto da un'operetta scritta dai due e, successivamente, sempre con Oxilia aiuto regista, Lo schermo feroce, le cui copie vennero però distrutte in quanto il film fu accusato di plagio da S. Benelli.
Sempre nel 1913 la J. si ritrovò accanto a Lombardi in Il cadavere vivente di O. Mentasti e ottenne un notevole successo come protagonista di Giovanna d'Arco di U.M. Del Colle. Visti i serrati ritmi di lavorazione dell'epoca, a Torino la J. girò in pochi mesi numerosi altri film, finché la Savoia non aprì una filiale romana e la J., nel 1914, ritornò nella sua città, dove prese parte a Sulla falsa strada di R. Danesi e a L'amicizia di Polo di G.P. Rosmino. Decise quindi, insieme con Oxilia, di non rinnovare il contratto con la Savoia, affidandosi al produttore E.M. Pasquali.
Il film di maggior successo del periodo passato alla Pasquali - in cui la J. spaziò passando da ruoli avventurosi a ruoli passionali - fu La busta nera di G. Giusti.
Incline per indole e temperamento artistico al cambiamento, partecipò alla rinascita della Celio di Roma per la quale, nel 1915, recitò in Ananke (Fatalità) con Oxilia regista, insieme alla sorella Diomira e a Leda Gys.
La Celio la impegnò quindi, sempre nel 1915, in alcuni film diretti da I. Illuminati, fra cui si ricordano Tragico convegno, Per non morire, I cavalieri moderni, Sotto l'ala della morte.
Ma i ruoli da maliarda proposti da questa casa mal si attagliavano alle corde interpretative della J. che, con La corsara di M. Rava del 1916, liberamente tratto da E. Salgari, concluse anche questa collaborazione. Stipulò quindi un contratto con l'Alba Film per la quale interpretò due "drammi di vita moderna": Per la felicità di suo figlio e Anime selvagge (di ambedue non si conosce la regia).
Sul finire del 1916 passò alla Tiber dove incontrò il regista G. Righelli che la diresse in Articolo IV (o Articolo quattro) e in Come le foglie, tratto dal dramma di G. Giacosa, con A. Collo.
Il ruolo di Nennele segnò la sua maturità artistica, regalandole l'affermazione definitiva, grazie al carattere del personaggio, tenero e malinconico, che si addiceva particolarmente alla proverbiale timidezza ma anche alla misura interpretativa e allo stile di questa attrice considerata la meno diva e la più intellettuale fra quelle del suo tempo: "Non fu propriamente diva: gli atteggiamenti ampollosi e manierati propri di molte sue colleghe non le si addicevano. Non possedeva i canoni della bellezza d'un tempo, ma portava in sé il gusto di un'indole lieve senza avere la pretesa di superare determinati toni recitativi" (Dive e divi del cinema muto italiano).
Alla Tiber la J. girò anche con M. Caserini: Resurrezione (da Tolstoj, 1917), Il filo della vita e La sfinge (ambedue del 1918). Nel novembre 1917, in piena prima guerra mondiale, quando le nozze con la J. erano imminenti, Oxilia morì al fronte; in suo omaggio la Itala Film decise di riproporre Addio giovinezza! che già Oxilia e Camasio, nel 1913, avevano trasposto sullo schermo dalla loro commedia di maggior successo, andata in scena nel 1911. Regista di questa seconda edizione (1918) fu A. Genina e protagonista, nei panni di Dorina, fu la J. che, accanto a L. Manetti, diede un'ottima e sentita prova.
Il cinema italiano era entrato in profonda crisi, la J., tuttavia, grazie a uno stile di recitazione sobrio e all'approfondito studio dei personaggi, poté resistere alla concorrenza delle produzioni straniere e delle loro star. Nel 1920, diventò prima attrice alla Fert di Torino, fondata da E. Fiori; fra i registi scritturati ritrovò Righelli di cui divenne interprete favorita e compagna nella vita.
I migliori risultati di questa rinnovata collaborazione furono Amore rosso, girato a Barcellona e Il viaggio, da una novella di L. Pirandello, grande successo del 1921. Nel 1922 da un'idea di Adriano Piacitelli e della stessa J., che si cimentò così anche nella sceneggiatura, realizzò, sempre con Righelli, Cainà. L'isola e il continente, tragica storia di una pastorella che sogna di lasciare la Sardegna, girato tra la Gallura e il Logudoro.
Nel 1923, chiuse per la crisi quasi tutte le case di produzione italiane, la J. emigrò con Righelli in Germania, dove fu scritturata dalla UFA (Universum Film Aktiengesellschaft), quindi, sempre insieme, costituirono a Berlino la Maria Jacobini GmbH con la quale realizzarono un adattamento cinematografico della Bohème (Zauber des Bohème). La società venne in seguito rilevata dalla Trianon Film che, tra il 1923 e il 1924, utilizzò attrice e regista in alcune pellicole sentimental-avventurose tra cui Schreckliche Stunden (Alla deriva), Orient (Oriente), Die Puppenkönigin (Una moglie e… due mariti) e, nel 1925, Der Bastard (Transatlantico). Nonostante un rilevante successo di critica i ruoli erano di fatto poco adatti ai gusti e all'indole della Jacobini.
Complessivamente, in nove anni, la J. lavorò all'estero a una quarantina di film, la maggior parte dei quali ebbe all'epoca una distribuzione continentale. In Francia, infine, interpretò il suo ultimo film muto Maman Colibrì di J. Duvivier (1929).
Tornata in Italia, insieme con Righelli (1931), la J. raccolse con coraggio la sfida del sonoro, sostenuta da una recitazione misurata e priva di eccessi e dalla sua formazione teatrale che l'aveva dotata di una voce ben impostata. Ma, dopo qualche ruolo da primadonna (Patatrac, 1931, regia di Righelli), ormai avanti nell'età la J. accettò di buon grado il passaggio a parti di caratterista, in particolare figure materne.
Senza mai smettere di lavorare davanti alla macchina da presa - quasi sempre con registi importanti come C. Gallone, A. Palermi, G. Brignone, G.C. Simonelli fino al L. Chiarini di Via delle Cinque lune (1942) e al R. Castellani di La donna della montagna (1943, uscito postumo nel 1944) -, mise a frutto la propria trentennale esperienza insegnando recitazione dal 1938 al 1943 presso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma, dove ebbe tra le allieve Clara Calamai e Alida Valli.
La J. morì a Roma il 20 nov. 1944.
La sorella Diomira (Roma 25 maggio 1896 - ivi, 13 sett. 1959), seguì ancora molto giovane l'esempio della J., facendosi notare con Il piccolo pozzo del 1915. Nello stesso anno partecipò a Marcia nuziale di C. Gallone in cui, al fianco di Lyda Borelli, si misurava in uno dei ruoli brillanti e leggeri che avrebbe prevalentemente interpretato nella sua non lunga carriera, vissuta sempre all'ombra della più nota sorella.
Il biennio successivo, per lei il più fortunato, la vide impegnata presso la Tiber dove riuscì a ritagliarsi il ruolo della giovanetta ingenua e maliziosa, che interpretava con "genuina spontaneità". Nel 1915 per la prima volta si trovò a lavorare con la sorella in Ananke. Nel 1916 recitò in diversi film diretti da E. Ghione: La rosa di granata, Tormento gentile, Il figlio dell'amore. L'anno seguente fu molto apprezzata la sua interpretazione in Demonietto di G. Righelli in cui fu protagonista insieme con Alberto Collo, attore cui venne spesso affiancata. Sempre diretta da Righelli recitò in Le avventure di Doloretta (1919) e Addio, Musetto (1920). Nel 1918, di nuovo al fianco della sorella, interpretò La via più lunga (Caserini) e Quando tramonta il sole (Righelli).
Conclusa l'esperienza con la Tiber Diomira firmò un contratto con la Fert. Gli anni Venti furono meno ricchi di soddisfazioni per l'attrice che riuscì comunque a collezionare qualche successo grazie a La rosa di Fortunio di L. Doria (1922) e ad alcune opere di M. Camerini, quali Jolly, clown da circo (1923) e La casa dei pulcini (1924) con A. Novelli, dove espresse al meglio il proprio talento. Seguì, sempre nel 1924, Maciste e il nipote d'America di E. Ridolfi in cui recitava accanto al famoso "forzuto" Bartolomeo Pagano.
Nel 1927 iniziarono anche per lei le trasferte all'estero: fu in Danimarca per le riprese di Revolutionsbryllup (Nozze sotto il terrore) di A.W Sandberg; si recò in seguito in Germania dove rimase sei anni a lavorare per la UFA e per la Terrafilm. Fra i titoli principali del periodo si ricorda Das Mädchen mit der Protektion (Il rigattiere di Amsterdam) di Righelli, con W. Krauss e O. Bilancia.
Al suo ritorno in Italia, lavorò alla nuova Cines ancora con Camerini ne Il buon ragazzo. Con l'avvento del sonoro i suoi impegni cinematografici si diradarono ulteriormente. Prima di ritirarsi a vita privata a fianco del marito L. Ghezzi, interpretò due pellicole di Camerini L'ultima avventura (in coregia con il fratello Augusto, 1932) e Cento di questi giorni (1933). Il suo ultimo impegno cinematografico risale al 1935 con Quando eravamo muti di Riccardo Cassano.
Fonti e Bibl.: A. Giovannetti, Figure mute, Roma 1919, pp. 105-121; Jeves, Scampoli. Vita e miracoli di Diomira Jacobini, in Cinema illustrazione, 2 dic. 1931; M. Jacobini, Ho recitato in almeno 80 film, ibid., 30 maggio 1934; M.A. Prolo, Profili: M. J., in Bianco e nero, luglio-agosto 1952, pp. 73-76; P. Bianchi, Francesca Bertini e le dive del cinema muto, Torino 1969, pp. 194-206; V. Martinelli, Il dolce sorriso di M. J., Roma 1994; Dive e divi del cinema muto italiano, Roma 1995, ad ind.; Filmlexicon degli autori e delle opere, III, coll. 409-411; Diz. del cinema italiano.Gli attori, Roma 1998, pp. 177 s.