MARIA JOSé del Belgio, regina d’Italia
Nacque a Ostenda, il 4 ag. 1906, terzogenita di Alberto I re dei Belgi e di Elisabetta di Baviera.
A corte, una delle più aperte d’Europa, frequentata da intellettuali e scienziati come A. Einstein, ricevette un’educazione che ne sviluppò lo spirito critico, assecondando la sua passione per la lettura, la musica (studiò pianoforte e violino) e la pratica sportiva, in particolare l’alpinismo.
Nel 1914, anno in cui il Belgio fu occupato dai Tedeschi, M. fu mandata a studiare in Inghilterra dove rimase fino al marzo 1917, allorché si trasferì in Italia, ospite del collegio della Ss. Annunziata di Poggio Imperiale, vicino a Firenze, fino al giugno 1919.
Nel 1918, a Battaglia, nei pressi di Padova, nel corso di una visita dei reali del Belgio al fronte italiano, la dodicenne M. incontrò per la prima volta Umberto di Savoia, allora quattordicenne. Il matrimonio tra i due era stato deciso dalle due case regnanti per rinsaldare i loro rapporti e la stessa M. affermò di essere cresciuta nell’idea che un giorno avrebbe sposato il principe italiano.
Dovette tuttavia trascorrere molto tempo prima che Umberto, reiteratamente sollecitato dal padre, compisse l’atteso passo ufficiale. Quando ciò avvenne, il 7 sett. 1929, le condizioni politiche italiane erano profondamente mutate e molti belgi non nascondevano la loro contrarietà al matrimonio tra M. e l’erede al trono di un Paese fascista.
A richiamare l’attenzione sulla realtà italiana contribuì, inoltre, un atto clamoroso avvenuto proprio in occasione dell’annuncio del fidanzamento, a Bruxelles il 24 ott. 1929, allorché un giovane antifascista, F. De Rosa, attentò senza successo alla vita del principe Umberto.
Il matrimonio venne celebrato a Roma, nella cappella Paolina del palazzo del Quirinale, l’8 genn. 1930. Gli sposi si trasferirono a Torino, ma dal novembre 1931 si stabilirono a Napoli, dove il principe Umberto assunse il comando della XXV brigata di fanteria. Nella città partenopea M. trascorse la maggior parte dei suoi sedici anni di permanenza in Italia e diede alla luce i primi tre figli, Maria Pia (24 sett. 1934) Vittorio Emanuele (12 febbr. 1937) e Maria Gabriella (24 febbr. 1940), mentre l’ultimogenita Maria Beatrice nacque a Roma (2 febbr. 1943). Fin dall’inizio il rapporto di M. con l’ambiente di corte fu caratterizzato da una certa freddezza, da diffidenza reciproca e da momenti di insofferenza, non sentendosi accettata per il suo modo di essere, ritenuto snob e sofisticato.
A parere di chi le fu molto vicina, M. «cercava in ogni modo di liberarsi dai lacci della modesta regalità dei Savoia e aspirava a qualcosa di più nobile, di più alto. Desiderava coltivare la sua vena artistica, l’intellettualità, ma era anche distratta dalle infinite, inutili, incombenze del suo ruolo» (Benzoni, p. 150). Cercò di costituire intorno a sé un circolo di letterati, artisti e musicisti, come A. Casella, da cui prese lezioni di pianoforte, M. Bontempelli, S. D’Amico, Trilussa (C.A. Salustri), F. Flora, F. Maraini, U. Ojetti, G. Manacorda, G. Papini, E. Vittorini, la maggior parte dei quali non nascondeva la propria avversione al fascismo. Era il caso di U. Zanotti Bianco, archeologo, meridionalista e animatore dell’Associazione per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia, al quale M. fu molto legata. Per suo tramite conobbe B. Croce, con cui ebbe ripetuti incontri eludendo i controlli di polizia cui era sottoposto il filosofo.
Anche se, per educazione e cultura, M. si sentiva estranea al fascismo, per diverso tempo mantenne rapporti corretti e anche cordiali con B. Mussolini.
Il significativo giudizio del duce nei suoi confronti fu così registrato da Y. de Begnac: «La principessa Maria José è gelosissima delle proprie prerogative di futura regina. Le difende una per una, ossessionata dall’idea di venirne rapinata. La principessa esercita, su quel sistema, un’influenza ragguardevole. Il monarca l’avverte alleata e fedele ai suoi programmi di custode dei pochi privilegi rimasti alla corona. La figlia prediletta di re Alberto darà filo da torcere a tutti i maestri della successione al trono. La principessa Maria José intrattiene col capo del governo rapporti di apparente cordialità. Ma i suoi legami con la finanza internazionale, propri della sua originaria famiglia, non possono non rendermi sospettoso. L’ambiente, a lei caro, della haute aristocrazia romana, nobiltà nera e nobiltà di recente investitura, che va dai Colonna agli Acquarone, non è tra i più favorevoli al regime» (pp. 495 s.).
Fondamentale nella maturazione in M. di un atteggiamento di opposizione al regime fu il suo incontro, nel novembre 1934, con la marchesa Giuliana Benzoni, di salde convinzioni antifasciste e repubblicane, con la quale stabilì un rapporto d’amicizia sempre più stretto. Durante la guerra all’Etiopia, il 14 marzo 1936 M. partì per l’Africa orientale come infermiera della Croce rossa a bordo della nave ospedale «Cesarea» e rientrò a Napoli l’11 maggio. Nel 1937 si recò insieme con il principe Umberto in visita ufficiale in Libia e negli anni successivi tornò altre volte da sola, ospite del governatore I. Balbo con il quale si trovò a condividere critiche severe alla politica filotedesca di Mussolini. Ancora nell’aprile 1940 M. convocò riservatamente a Roma Balbo e Amedeo d’Aosta, sollecitandoli a intervenire presso Mussolini al fine di evitare l’entrata in guerra dell’Italia.
M. nutriva una profonda avversione nei confronti di A. Hitler, che aveva conosciuto nel corso della visita ufficiale da questo compiuta a Roma nel maggio 1938 e dal quale si recò per un colloquio privato a Berchtesgaden in Baviera il 10 ott. 1940.
Il Belgio era stato invaso dai Tedeschi e il re Leopoldo, fratello di M., aveva preferito arrendersi ottenendo per sé e la sua famiglia una sorta di libertà vigilata nel castello di Laeken. La visita di M. aveva appunto lo scopo di perorare la causa del fratello, degli altri famigliari e dei circa 140.000 soldati belgi prigionieri di guerra e di richiedere l’autorizzazione per l’invio di aiuti della Croce rossa alla popolazione belga duramente provata.
Delle altrettanto drammatiche condizioni dell’Italia in guerra, occultate dalla propaganda di regime, M. ebbe modo di rendersi conto di persona, nel corso delle visite agli ospedali, compiute come ispettrice generale della Croce rossa. Tramite l’amica Benzoni aveva intanto preso a frequentare esponenti dell’antifascismo come l’azionista C. Antoni e il cattolico G. Gonella, che, come redattore capo di politica estera de L’Osservatore romano, era in stretti rapporti con la segreteria di Stato del Vaticano e con il corpo diplomatico accreditato presso la S. Sede. Il disastroso andamento della guerra e le sollecitazioni degli antifascisti la indussero ad assumere qualche iniziativa per provocare la caduta di Mussolini e uscire dal conflitto.
Ampliò la sua rete di contatti e intensificò i suoi incontri con generali e uomini politici. Nell’agosto 1942, a Cogne, incontrò il maresciallo P. Badoglio, messo in disparte per l’esito della guerra di Grecia, sollecitandolo ad agire. Il coinvolgimento di Badoglio era ritenuto indispensabile per ottenere l’adesione delle forze armate e di tale parere si mostrò anche l’ex presidente del Consiglio I. Bonomi, nel corso dell’incontro che ebbe nell’ottobre dello stesso anno con Maria José.
Il 3 ottobre la principessa ricevette un’informazione secondo la quale gli Alleati avrebbero trattato con benevolenza l’Italia nel caso di una sua dissociazione dall’Asse. Qualche giorno dopo la principessa incontrò, in casa della baronessa Giovannella Caetani Grenier, monsignor G.B. Montini, sostituto segretario di Stato della S. Sede, e informò quindi il ministro della Real Casa, P. Acquarone, della possibilità di stabilire contatti con gli Anglo-americani utilizzando il canale del Vaticano. Attraverso Acquarone il re fece conoscere alla nuora la propria netta contrarietà a percorrere quella strada.
«Fu allora che la principessa di Piemonte, visto respinto il suo primo tentativo di fungere da semplice tramite per una qualche ulteriore azione che avrebbe poi potuto essere condotta direttamente od indirettamente dal sovrano, pensò ad una iniziativa diversa di ordine personale ed autonomo» (Toscano, p. 170).
Su suggerimento di Gonella, M. cercò di contattare gli Alleati attraverso l’intermediazione del portoghese A. de Oliveira Salazar, capo di un governo neutrale e buon amico degli Inglesi. La principessa ebbe ripetuti incontri con l’ambasciatore del Portogallo presso la S. Sede, A. Pacheco, e, ottenuta la risposta positiva di Salazar, il 17 luglio 1943 ricevette al Quirinale il conte Alvise Emo Capodilista, al quale espose i contenuti della missione che doveva compiere presso gli Angloamericani.
I punti da negoziare riguardavano la cessazione delle ostilità da ambo le parti e dei bombardamenti, l’assistenza alleata alle forze armate italiane che avrebbero dovuto fronteggiare la prevedibile reazione tedesca, la disponibilità della Marina ad agire sotto il comando alleato e infine il mantenimento della monarchia.
Salazar trasmise le richieste italiane agli Inglesi, ma il 3 agosto comunicò a Capodilista che esse erano state respinte in quanto gli Alleati ponevano come presupposto della trattativa l’accettazione pura e semplice della resa incondizionata. Il 6 agosto M. informò dell’esito negativo della missione il duca Acquarone e il capo di stato maggiore, generale V. Ambrosio e, più tardi, incontrò il re a villa Savoia. Questi, che non aveva mai gradito l’attivismo della nuora, la invitò, anche per ragioni di sicurezza, a partire insieme con i suoi figli per Sant’Anna di Valdieri, nel Cuneese. Per quanto la sua iniziativa personale e autonoma mirasse al medesimo obiettivo, M. fu non solo estranea, ma neanche al corrente delle manovre che il 25 luglio portarono alla defenestrazione di Mussolini. Dopo l’8 sett. 1943 riuscì a riparare, insieme con i suoi figli, in Svizzera, stabilendosi dapprima a Montreux, quindi nei pressi di Berna e infine a Oberhofen. In territorio elvetico incontrò alcuni esponenti dell’antifascismo come il liberale L. Einaudi e il comunista C. Marchesi. Dopo la Liberazione si trasferì a Martigny e il 29 aprile decise di rientrare in Italia a piedi risalendo le Alpi attraverso il valico del San Bernardo. Raggiunta la Valle d’Aosta fu accompagnata da un gruppo di partigiani comunisti nel castello di Sarre. Il 15 maggio si trasferì a Racconigi e dopo qualche giorno partì in aereo alla volta di Roma.
Nei mesi successivi condusse una vita ritirata, indifferente alle sollecitazioni di alcuni esponenti liberali, come Croce, C. Sforza, A. Casati e M. Brosio, i quali ritenevano che l’unica via di salvezza per la monarchia sabauda fosse la reggenza di M. collegata all’abdicazione in favore di suo figlio Vittorio Emanuele.
In seguito all’abdicazione di Vittorio Emanuele III, che portò sul trono suo marito Umberto, il 9 maggio 1946, M. divenne regina; non si era recata a Napoli a salutare Vittorio Emanuele e la moglie Elena in partenza per l’esilio in Egitto, e non prese parte alla campagna elettorale per il referendum istituzionale, anche se la sua attività nella Croce rossa giovò indubbiamente alla causa monarchica. Il 2 giugno 1946, secondo concordi testimonianze (dalla figlia Maria Gabriella a M. Lupinacci che l’accompagnò al seggio), M. depose nell’urna del referendum scheda bianca e diede il proprio voto per la Costituente al partito socialista e a G. Saragat.
In seguito all’esito referendario l’ormai ex regina anticipò sulla via dell’esilio il marito Umberto e il 6 giugno a Napoli, insieme con i quattro figli, s’imbarcò sull’incrociatore «Duca degli Abruzzi» alla volta del Portogallo. La nuova situazione rese evidente che gli ex sovrani non costituivano una coppia unita e pertanto, liberi da obblighi istituzionali, scelsero di vivere separati: Umberto a Cascais, in Portogallo, e M. a Merlinge, in Svizzera.
Il 23 dic. 1987, il governo italiano decretò l’inapplicabilità a M. della XIII disposizione transitoria e finale della costituzione, che vietava agli ex re di casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale.
A parere del Consiglio di Stato, in seguito alla morte di Umberto, avvenuta il 18 marzo 1983, era infatti venuto meno il suo stato di consorte.
La sua prima visita legale in Italia avvenne il 1° marzo 1988 ad Aosta per assistere a un convegno storico, dedicato alla figura di s. Anselmo. Nel 1992 si trasferì in Messico, per poi ritornare nel 1996 presso la figlia Maria Gabriella a Ginevra.
M. morì a Ginevra, il 27 genn. 2001.
Per suo espresso volere venne sepolta nella storica abbazia di Hautecombe, in Alta Savoia, accanto alla tomba del marito Umberto. Negli anni dell’esilio si era dedicata agli studi storici riguardanti in particolare casa Savoia, pubblicando un certo numero di lavori in francese; nel 1991 era uscito in traduzione italiana l’autobiografico, Giovinezza di una regina (Milano).
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