MARIA LUIGIA d’Asburgo Lorena, imperatrice dei Francesi e regina d’Italia, poi duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla
Nacque a Vienna il 12 dic. 1791, figlia primogenita dell’arciduca Francesco (dal 1792 imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Francesco II e dal 1804 imperatore d’Austria con il nome di Francesco I) e di Maria Teresa di Borbone Napoli. Benché nata all’indomani della Rivoluzione francese, M. ricevette la classica educazione riservata alle arciduchesse d’Asburgo, viste, nell’ottica d’antico regime, come future pedine da giocare nello scacchiere politico europeo a vantaggio del prestigio e della potenza della casa d’Austria. Per prepararla ad assolvere il compito di futura sposa di un sovrano scelto secondo il criterio della funzionalità ai disegni imperiali, le vennero innanzi tutto insegnate le lingue: il francese, l’inglese, lo spagnolo, ma anche l’italiano, il ceco, un po’ di ungherese e perfino qualche rudimento di turco; latino e greco, che rientravano nel bagaglio culturale ritenuto idoneo per un’arciduchessa, non dovettero dispiacerle se ancora nel 1828, durante le vacanze estive a Baden, scriveva di «ripassare il greco» ogni mattina (Prampolini, 1991, p. 138).
Le venivano impartite anche lezioni di logica, storia, geografia, statistica e diritto, ma per naturale predisposizione M. si sentiva soprattutto attratta dalle materie artistiche, particolarmente la musica (studiò il pianoforte con L. Kozeluch) e la pittura, in cui ottenne discreti risultati. Non si ritenne opportuno fornirle nozioni di anatomia, meno ancora informazioni sulla sessualità, anzi, le sue letture, anche per suggerimento della nonna materna Maria Carolina, regina di Napoli, erano rigidamente controllate ed espurgate dei passi relativi a questo tema. Fin dall’infanzia si appassionò al ricamo ed espresse un profondo amore per la natura, i fiori e gli animali. Gusti forse più borghesi che regali, ma almeno in parte ricalcati sul sobrio modello paterno.
Fu proprio il padre il punto di riferimento forte, intorno al quale si andò formando la personalità e la futura identità politica di Maria Luigia. La madre, più distaccata e propensa a riservare alle relazioni mondane il poco tempo che le rimaneva tra una gravidanza e l’altra, sarebbe morta dopo il tredicesimo parto, il 13 apr. 1807. La debole figura materna favorì nella piccola M. un forte attaccamento verso le sue zie, le contesse Marie Anne von Wrbna e Josepha von Chanclos, e soprattutto Victoria Colloredo, la «petite maman» che, insieme con la figlia di primo letto, Victoire de Poutet, le sarebbe sempre rimasta legata da rapporti di intima amicizia.
Bionda, con gli occhi chiari, il labbro inferiore turgido degli Asburgo, sensibile, insicura e perennemente alla ricerca di protezione e conferme affettive, la giovane M. si affezionò sinceramente alla terza moglie del padre, Maria Ludovica d’Austria Este, di soli quattro anni più grande di lei. La profonda avversione della matrigna per Napoleone Bonaparte accentuava, se possibile, l’orrore provato da M. per colui che fin dall’infanzia le era stato proposto come il male assoluto, l’anticristo, il nemico della casa d’Austria per eccellenza, rappresentante di quella rivoluzione che aveva condotto alla ghigliottina la prozia Maria Antonietta. Per due volte, nel 1805, con la vittoria di Austerlitz, e nel 1809, dopo Wagram, Napoleone aveva umiliato gli Asburgo e costretto M. alla fuga in Ungheria. Eppure l’imperatore Francesco I, consigliato da C.W.L. principe di Metternich, non esitò a sacrificare la figlia promettendola in sposa al parvenu corso, in nome della ragion di Stato. Educata all’obbedienza, M. acconsentì; le nozze ebbero luogo per procura a Vienna l’11 marzo 1810; due giorni dopo iniziò il viaggio della sposa diciottenne per Parigi.
I circa quattro anni durante i quali M. rivestì i panni di imperatrice dei Francesi non le consentirono alcun ruolo politico.
Appurata l’impossibilità della prima moglie Giuseppina Beauharnais di procurargli un erede, Napoleone aveva suo malgrado divorziato e cercato, optando per una principessa di altissimo rango, di rendere accetta la dinastia dei Bonaparte alle antiche monarchie europee. Aveva inoltre pensato, sbagliando, che imparentandosi con un’arciduchessa d’Asburgo si sarebbe messo al riparo da eventuali ostilità verso la Francia da parte dell’Impero austriaco. Fu, per la giovane sposa, da lui definita «dolce, buona ingenua e fresca come una rosa» (Farinelli, p. 11) un marito affettuoso e pieno di premure. M. si affrettò a informare il padre della sua felicità e assolse l’unico compito assegnatole: dare un erede a Napoleone. Il 20 marzo 1811 nacque infatti Napoleone Francesco, cui fu attribuito il titolo di re di Roma.
Essere al fianco dell’uomo più potente d’Europa può avere lusingato l’amor proprio della giovane M., ma la vita nella fastosa corte imperiale francese era ben diversa da quella che aveva condotto a Vienna. La sua timidezza era interpretata come superbia, la sua scarsa comunicativa come freddezza e non riuscì a farsi amare. L’unica dama di corte cui si legò fu Louise-Antoinette duchessa di Montebello, vedova del maresciallo J. Lannes, con la quale iniziò una lunga amicizia. Se la fase più brillante dell’esperienza imperiale non era stata priva di ombre, con l’offuscarsi dell’astro napoleonico iniziò per M. un periodo dolorosissimo, durante il quale vide contrapposti in maniera inconciliabile il padre e il marito. Si era sinceramente affezionata a Napoleone, ma il perno del suo mondo affettivo, l’uomo di cui riteneva di condividere i valori, il rifugio certo, restava il padre. Nella crisi di indecisione, nell’incapacità di scegliere autonomamente, il gabinetto di Vienna ebbe facile gioco a guidarne le mosse. Caduto Napoleone, M. non era più l’imperatrice dei Francesi, ma tornava a essere la figlia di Francesco I d’Austria, e come tale andava tutelato il suo diritto alla sovranità del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, attribuitole l’11 apr. 1814 dal trattato di Fontainebleau, senza tener conto della legittima aspirazione dei Borbone Parma a tornare sul proprio trono. Napoleone, compreso che la moglie non lo avrebbe con ogni probabilità seguito all’Elba, tentò di suicidarsi.
Nel malinconico viaggio di ritorno verso Vienna, M. lasciò che la latente ipocondria di cui soffriva le procurasse una serie di malesseri fisici che ne avrebbero poi quasi costantemente caratterizzato la vita, come risulta dal suo carteggio. Il distacco dal marito non era ancora del tutto compiuto; quando insistette con il padre per recarsi ad Aix-les-Bains, in Savoia, per sottoporsi a cure termali, il timore di Metternich era che potesse ricongiungersi a Napoleone. Egli decise quindi di trattenere il figlioletto di lei a Vienna e di affiancarle un uomo di sua fiducia, il generale Adam Albert conte di Neipperg con il compito di sorvegliarla e consigliarla.
Neipperg, che si era distinto nelle campagne contro Napoleone, era stato impiegato dalla Cancelleria di Vienna con successo anche in delicate missioni diplomatiche. Una sciabolata gli aveva provocato la perdita dell’occhio destro, sul quale usava tenere una benda nera. Aveva 39 anni, era un buon conversatore, conosceva diverse lingue, amava la musica e suonava il pianoforte.
M. se ne innamorò profondamente e gli si affidò in piena fiducia anche nella tutela dei suoi interessi di sovrana. E con Neipperg al fianco, in qualità di suo cavalier d’onore, il 20 apr. 1816 fece il suo solenne ingresso a Parma, festeggiata dai sudditi tra il canto del Te Deum, luminarie ed elargizioni al popolo.
Non era stato facile assicurarsi la sovranità dei Ducati parmensi. La diplomazia spagnola, dopo essersi fieramente opposta, si rassegnò solo nel 1817 alla provvisoria sistemazione nel Ducato di Lucca dell’ex regina d’Etruria, l’infanta Maria Luisa, vedova di Ludovico I di Borbone Parma e reggente in nome del figlioletto Carlo Ludovico, in attesa di riprendere possesso degli Stati parmensi alla morte dell’arciduchessa austriaca. Veniva quindi meno per M. la possibilità di trasmissione ereditaria del Ducato al figlio, progressivamente declassato da re di Roma a principe di Parma e, infine, a duca di Reichstadt. I tentativi di M. di farne valere i diritti, come l’atto di protesta presentato al congresso di Vienna il 19 febbr. 1815 contro la restaurazione dei Borboni in Francia, caddero nel vuoto. Il nome Bonaparte suscitava ancora timori in Europa e alla stessa M. venne imposto, come condizione per prendere possesso del Ducato padano, di lasciare il figlio a Vienna, affinché potesse essere educato da austriaco. Affidare il piccolo alle cure del nonno, all’interno della famiglia e nei luoghi presso i quali lei stessa era cresciuta, non le dovette sembrare un atto troppo crudele. Con lui e con il suo istitutore, il conte M. Dietrichstein, mantenne costanti rapporti epistolari cercando di soggiornare frequentemente a Vienna.
Attribuendole la sovranità del Ducato borbonico, l’Austria – già presente direttamente nel Lombardo-Veneto e indirettamente a Modena e in Toscana – accrebbe la propria influenza sugli Stati regionali italiani. In particolare i due Ducati padani erano percepiti, nel sistema neoassolutistico, come una sorta di cordone sanitario contro la libera circolazione delle idee rivoluzionarie. Si è quindi parlato anche per Parma di «protettorato» austriaco, e certamente i margini di autonomia, rispetto alle indicazioni di Vienna, erano assai ridotti, considerando oltretutto che nella seconda città del Ducato, Piacenza, era di stanza dal 1822 in maniera permanente una guarnigione militare austriaca. Tuttavia, puntando lo sguardo sugli oltre trent’anni di ducea luigina e raffrontandone l’indirizzo di governo con la dura repressione che contraddistinse il clima degli altri Stati regionali italiani, spiccano una «paternalistica mitezza», una relativa «equità amministrativa», una «libertà di fatto» altrove introvabili, almeno fino al 1831 (Della Peruta, p. 471).
Difficile dire se ciò fosse dovuto a una precisa scelta politica o alla semplice volontà di non turbare la tranquillità della corte. Altrettanto difficile comprendere quanto questa linea morbida sia da attribuirsi a M. o a Neipperg, che presto concentrò nelle proprie mani un immenso potere rivelandosi amministratore capace e abile politico. In M. cominciava però a prendere forma una nuova coscienza del modello di sovrana al quale far riferimento, forse anche per la marginalità del suo minuscolo Stato. Dopo il fasto di Vienna e Parigi, Parma, con i suoi 30.000 abitanti, il meschino palazzo ducale, la crisi economica in corso, dovette sembrarle una ben misera sistemazione. Eppure l’11 maggio 1816 scriveva alla duchessa di Montebello: «Se avessi mio figlio con me, sarei perfettamente felice […]. Il paese nel quale vivo è un vero giardino; ho nelle mani il modo di rendere quattrocentomila anime felici; di proteggere le scienze e le arti; non sono ambiziosa ed ho la speranza di passare qui un grande numero d’anni, che si rassomiglieranno tutti ma che tutti saranno dolci e tranquilli» (Prampolini, 1991, p. 112). Il gusto per la monotona routine domestica, maturato alla corte di Vienna, poté finalmente essere soddisfatto. Nel suo piccolo mondo M. aveva la possibilità di vivere un imbarazzante privato senza particolari ripercussioni nel pubblico. Il 1° maggio 1817 diede alla luce Albertina e l’8 ag. 1819 Guglielmo, entrambi figli di Neipperg. Dalla traduzione italiana del nome del padre furono chiamati conti di Montenuovo. M. si rivelò madre affettuosissima, determinata ad assolvere il ruolo di sovrana senza rinunciare alla libera espressione della sua affettività. Alcuni anni dopo non avrebbe esitato ad affermare: «Amo meglio che il mondo conosca le mie debolezze di donna, anziché un’ingiustizia da regnante» (Bazzi-Benassi, p. 374). Nell’agosto 1821, morto Napoleone, sposò morganaticamente Neipperg.
Lavori pubblici, beneficenza, opere caritative furono gli ambiti di più forte intervento di M., funzionali a porre le basi per un’immediata popolarità. Si trattò spesso di portare a compimento progetti ideati durante il periodo francese, come il cimitero della Villetta, strade, ponti, ospizi. Fu messo a punto un nuovo codice civile – considerato piuttosto avanzato – che entrò in vigore il 1° luglio 1820. M. prestò attenzione al decoro architettonico di Parma, e il volto neoclassico della città ne fu diretta conseguenza. Nel 1829 fu inaugurato il nuovo, monumentale teatro edificato dall’architetto di corte N. Bettoli, con la rappresentazione della Zaira di V. Bellini. Significativo che M. imponesse costantemente una politica di prezzi bassi per le rappresentazioni teatrali, in modo da favorire l’accesso al teatro a chi non apparteneva ai ceti agiati. Anche l’orchestra ducale, la Biblioteca, il Museo di antichità, l’Accademia di belle arti e la Pinacoteca si avvalsero in diverse occasioni del suo interessamento.
L’Università era stata riorganizzata fin dall’inizio del periodo luigino: si erano formati gabinetti di lettura ed erano nati fogli periodici. Tuttavia la fase più vivace della cultura parmense nell’età della Restaurazione stava per concludersi, e il primo significativo momento di questo processo giunse con la morte di Neipperg, avvenuta il 22 febbr. 1829. Nessuno dei funzionari austriaci che vennero dopo di lui fu in grado di svolgere con analoga abilità la funzione di mediazione tra le direttive di Vienna e le aspettative locali. Il primo a succedergli, il barone J. Verklein, fu forse il peggiore di tutti. Detestato dalla popolazione parmigiana, riuscì a convogliare contro di sé la protesta della piazza nel febbraio 1831. L’adesione di Parma ai moti liberal-costituzionali ferì profondamente M., che mostrò nell’occasione una determinazione e una dignità non prevedibili. Liquidato l’incapace ministro, si rifugiò a Piacenza sotto la protezione delle armi austriache, e da lì ideò un disegno di difesa preventiva che colpì soprattutto il mondo della cultura: l’attività dell’Università, da cui erano partiti i primi fermenti patriottici, fu sospesa e sostituita con scuole superiori facoltative, mentre furono chiusi il gabinetto di lettura di F. Pastori e il gabinetto letterario fondato nel 1815 da M. Colombo.
Tornata nella capitale l’8 ag. 1831, M. si distinse ancora una volta per la mitezza delle pene inflitte ai liberali, ma mitezza, monumenti e beneficenza non bastavano più a riannodare un legame che si era spezzato. Il 1831 rappresentò una cesura irrimediabile, e M. lo avvertì molto bene quando affermò che il fuoco covava sotto la cenere. In questo clima teso, fu colpita nella sfera privata prima dalla morte prematura del figlio Napoleone Francesco, stroncato dalla tisi a 21 anni nel 1832, poi da quella del padre, nel 1835. Come sempre bisognosa di appoggiarsi a un uomo di fiducia, nella vita affettiva come nell’esercizio della sovranità, partito il barone W.P. Mareschall trovò nel successivo funzionario inviatole da Metternich nel 1833, il conte Charles-René de Bombelles, la persona giusta, tanto da sposarlo morganaticamente il 17 febbr. 1834.
Lavoratore infaticabile, collaboratore di V. Mistrali nel risanamento delle finanze ducali, Bombelles non godette però di alcuna simpatia. Considerato reazionario e bigotto, ebbe forse innanzi tutto il demerito di rappresentare l’Austria in una fase in cui si stavano facendo rapidamente strada il sentimento nazional-patriottico e l’avversione per lo straniero.
M. morì a Parma il 17 dic. 1847 di pleurite reumatica.
La morte avvenne qualche settimana prima dello scoppio della rivoluzione del 1848, che l’avrebbe probabilmente travolta. E forse non se ne sarebbe stupita, se è vero che lasciò scritto: «Alla mia morte non fate molto rumore perché in fondo non sono che una donna che ha vissuto in un’epoca più grande di lei» (Farinelli, p. 45).
Celebrati i funerali solenni nella cappella ducale di S. Ludovico il 19 dicembre, la salma restò a Parma ancora quasi un mese, per partire il 17 genn. 1848 alla volta di Vienna, dove fu tumulata nella cripta dei cappuccini.
Fonti e Bibl.: Per ricostruire l’attività di governo di M., i cerimoniali di corte, i viaggi, le spese ordinarie, la beneficenza, le suppliche, l’amministrazione della casa ducale, è indispensabile il fondo Casa e corte di Maria Luigia, e in particolare la serie Corrispondenza e carteggi, bb. 771-868, da integrare con le fonti epistolari, pubblicate solo in parte, dell’Arch. del Museo G. Lombardi di Parma, nelle quali sono reperibili non solo fonti cartacee, ma iconografiche e, più in generale, materiali, relative all’immagine pubblica e privata di M. (per un’ampia rassegna iconografica: M. Pellegri, Il Museo «Glauco Lombardi». Testimonianza di un secolo di splendore nella storia di Parma, Parma 1984, pp. 115-246); sono inoltre utili gli Almanacchi di corte e la Gazzetta di Parma; i Monumenti e munificenze di s.m. la principessa imperiale M.L., arciduchessa d’Austria, duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, a cura di C.-R. di Bombelles, Parma-Paris 1845; J. Lecomte, Parme sous Marie-Louise, II, Paris 1845; Correspondance de Marie Louise, 1799-1847. Lettres intimes et inédites à la comtesse de Colloredo et à m.lle de Poutet…, Vienne 1887; [N.-J.-E.] de Meneval, Marie Louise et la cour d’Autriche entre les deux abdications (1814-1815), Paris 1909; Correspondance de Marie-Louise 1799-1847. Lettres intimes de Marie-Louise à la duchesse de Montebello, a cura di E. Gachot, Paris 1910; Lettere d’amore di Napoleone a M. Luisa (1810-1814), a cura di C. de la Roncière - C. Giardini, Milano 1935; J.A. von Helfert, Marie Louise. Erzherzogin von Österreich, Kaiserin der Franzosen, Wien 1873; T. Bazzi - U. Benassi, Storia di Parma dalle sue origini al 1860, Parma 1908, pp. 363-400; E. Gachot, Marie-Louise intime, I-II, Paris 1911-12; F. Salata, M.L. e i moti del Trentuno. Documenti inediti da archivi austriaci, in Arch. stor. per le provincie parmensi, n.s., XXXII (1932), pp. 175-454; G. 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