Vedi MARIA dell'anno: 1961 - 1961
MARIA
Madre di Gesù. Sino al VI sec., che segna il limite cui si spinge la presente opera, sembra di poter distinguere tre periodi nell'iconografia antica di M.: prima e durante il V sec. e quindi, con una cesura non del tutto precisa, gli anni successivi al concilio di Efeso (anno 431), che aveya sancito il dogma di M. Madre di Dio.
Sarebbe tuttavia affrettato porre in rapporto diretto l'ultima fase dell'iconografia mariana con il significato teologico delle deliberazioni di Efeso. Regioni, come l'Egitto, che vi si opposero, abbracciando l'eresia monofisitica, ci conservano infatti alcune delle più commosse rappresentazioni della maternità di M. (per esempio le più antiche testimonianze della Virgo lactans), in cui si nascondono radici profonde del folclore egiziano, anche precristiano (statuette di Iside e Horus, statuette, assai simili, di M. con Gesù); o accolgono tipi consacrati nell'iconografia ortodossa: né, d'altro canto, si può sempre con precisione separare nei monutrienti cattolici ciò che è un consapevole tributo a M. in quanto Madre di Dio da quelle che sono le tendenze più generalmente sentite dell'arte, di anno in anno più assorbita nella rappresentazione assoluta e immutabile del divino.
Tali difficoltà rispetto a un discorso teologico mettono in luce nell'iconografia di M. il costante e immediato contatto con la devozione popolare, da cui le derivano una fresca ispirazione e un gettito abbondante di immagini che rendono la classificazione estremamente ardua. Si ravvisa dunque una differenza netta dall'iconografia di Gesù (v. cristo), che è invece, soprattutto alle origini, profondamente impegnata nella definizione di problemi teologici. Nei primi tempi del cristianesimo il problema cristologico era stato infatti preminente e fondamentale, non soltanto negli scritti e nelle polemiche, ma nelle stesse scarse testimonianze figurative della nuova fede, che al Salvatore cercavano di riferire ogni simbolo della vita quotidiana, ogni narrazione dell'Antico Testamento, non tralasciando nessuna occasione di celebrare la sua potenza liberatrice. Era dunque del tutto naturale che la rappresentazione di M. rimanesse a lungo in secondo piano, e non comparisse se non per sottolineare alcuni aspetti specifici del Figlio. Quando invece il problema mariologico incominciò a profilarsi, come conseguenza delle posizioni raggiunte o combattute nella definizione della natura di Gesù, il repertorio figurativo cristiano era già stabilito e si era già arricchito di motivi di varia origine, tra cui i più recenti derivavano soprattutto dal repertorio imperiale. L'introduzione in prima persona della figura di M. non suscitava dunque gli ardui problemi sollevati da quella di Gesù, ma richiedeva soltanto, in un primo tempo, l'adattamento alla nuova iconografia di schemi già costituiti. Ne conseguí una semplice naturalezza nell'inserimento di un tema lungamente atteso e quasi preparato dal culto e dalla tradizione stessa pittorica prima che dalle discussioni dei teologi, in un'epoca, d'altronde, in cui le chiese cristiane, malgrado alcune divergenze locali, né combattevano né dirigevano in tutto le immagini, convinte della efficacia didascalica e devozionale di queste presso le anime semplici degli illetterati.
1. Sino al V secolo. - Le rappresentazioni più antiche di M. si raccolgono intorno a quattro temi fondamentali: la profezia della nascita di Gesù da una Vergine; l'Annunciazione; la Natività, o, più semplicemente, la raffigurazione di M. con il Bambino in grembo; l'Adorazione dei Magi. Sono tutti temi legati all'Adventus (v.) del Signore e al riconoscimento di Lui da parte dei profeti, dei re della terra, all'annuncio della sua venuta dato dagli angeli, messi del Signore. Nonostante l'ordine cronologico in cui si sono qui esposti i quattro soggetti, in realtà nelle raffigurazioni più antiche essi appaiono preferibilmente al di fuori del ciclo cristologico, non, cioè, in una successione narrativa, ma singolarmente. La statistica delle presenze di tali rappresentazioni negli affreschi delle catacombe (Wellen) è a tale proposito indicativa: la scena della profezia ricorre nove volte; l'Annunciazione tre; la Natività undici (ed è significativa una dodicesima rappresentazione in cui è addirittura assente la Madonna!); l'Adorazione dei Magi, diciotto (cui aggiungi una raffigurazione isolata dei Magi in vista della stella senza il gruppo divino).
La più antica raffigurazione della profezia è in un affresco su una volticina nelle catacombe di Priscilla, circa il 200 d. C. Il campo dell'affresco è quasi tutto occupato da un grande albero in stucco e dalla raffigurazione, al centro, del Buon Pastore; la scena che ci interessa occupa soltanto un margine della zona. Il profeta (Balaam? Isaia?) con la spalla nuda e il pallio, caratterizzato, cioè, come un "filosofo "(v.), indica una stella, sotto la quale si trova M., con il Bambino al petto, seduta, su una roccia (v. Tavola a colori). Il carattere del gruppo è del tutto idilliaco e l'identificazione sarebbe impossibile senza il gesto significativo del profeta. Nella stessa catacomba, nella cosiddetta Cappella Greca, si trova anche la più antica raffigurazione dell'Adorazione dei Magi, circa la seconda metà del II sec. (la vicinanza è significativa, poiché sembra di dover identificare con un profeta la figura posta dietro il trono in scene dell'Adorazione dei Magi su sarcofagi). I Magi, in costume persiano, in numero di tre, si avviano verso il Cristo posto in grembo alla Madre, che siede sul trono; hanno le mani tese verso Gesù, cariche di doni, ripetendo l'iconografia del tributo dei Barbari all'imperatore. In altre raffigurazioni il numero dei Magi varia, salendo a quattro o più o scendendo a due; in un affresco nella catacomba di Pietro e Marcellino la scena ha impostazione simmetrica: due Magi, uno su ogni lato, si avvicinano al gruppo centrale della Vergine in trono con il Bambino; un sarcofago del Laterano raffigura i Magi non davanti a M., ma accanto alla greppia in cui giace il Bambino, in disparte siede Maria. Si tratta dell'ampliamento di un tema, quello della Natività, che nella sua forma più semplice si presenta per la prima volta circa il 330-40, in un sarcofago del Laterano. La scena è limitata alla sola figura del Bambino nel presepe, con accanto il bue e l'asino, adorato da un pastore e indicato da un profeta (con il rotulo nella sinistra). In nessuna delle repliche più tarde, in cui è introdotta la figura di M., sono mai dimenticati i pastori. È quindi evidente che, in tutte le rappresentazioni della serie, M. non ha un ruolo essenziale.
Una fonte dell'iconografia mariana era, ovviamente, il ciclo della vita di Gesù, che per il suo carattere narrativo non poteva escludere la presenza di M. in diversi episodî (v. nuovo testamento). Le prime tracce di raffigurazioni storiche della vita di Gesù (cicli dell'Infanzia, dei Miracoli, della Passione, della Resurrezione) si ritrovano nei Tituli di S. Ambrogio: sono ricordate rappresentazioni del genere sulle pareti delle navate centrali di S. Pietro in Vaticano e di S. Paolo fuori le mura, e ancora a Milano e altrove. Ma il problema più grave è costituito dalla datazione e dalla interpretazione dell'unico grande antico ciclo superstite, i mosaici dell'"arco trionfale" della basilica di S. Maria Maggiore a Roma. Poiché l'iscrizjone Xystus episcopus plebi dei, che riferirebbe i mosaici al pontificato di Sisto III (432-40), copre parte delle figure ed è stata forse aggiunta dopo il compimento dei mosaici, è del tutto possibile che questi precedano le conclusioni del concilio di Efeso, con cui sono stati invece sovente messi in rapporto, benché allo stato attuale degli studi non sia ancora raggiunto nessun accordo sulla loro datazione.
Le scene rappresentate sono: l'Annunciazione, il Dubbio di Giuseppe, la Presentazione di Gesù al Tempio (l'offerta delle colombe e delle tortore presso il tempio allude alla Purificazione di M.), il Sogno di Giuseppe (?), l'Adorazione dei Magi, l'Adventus di Gesù nella città di Afrodisio (o Gesù dodicenne si reca a Gerusalemme per discutere nel tempio?), la Strage degli Innocenti, i Magi davanti a Erode, le Città Sante con gli agnelli simbolici; al centro dell'arco trionfale è il trono del Signore, sormontato dalla croce, scortato da Pietro e Paolo e dagli animali apocalittici (con i libri). M. compare in quasi tutti gli episodi, esclusi il secondo, il quarto e quelli successivi alla storia di Afrodisio; la trattazione dei soggetti si basa su una fonte narrativa apocrifa, identificata con il Vangelo dello Pseudo-Matteo (v. nuovo testamento). La successione delle scene non è storico-narrativa, ma puramente celebrativa, secondo un ordinamento a registri orizzontali sovrapposti che colloca in basso le rappresentazioni di lotta, al centro il riconoscimento del Signore da parte dei re della terra, al sommo, accanto al trono e al diadema (insignia Christi) gli avvenimenti che sottolineano la natura divina di Gesù, attestata dagli angeli, riconosciuta dai sacerdoti del tempio, annunciata da Dio stesso attraverso i suoi messaggeri. Tutto ciò indurrebbe a considerare ancora una volta relativamente secondario il ruolo di M., senonché si è ritenuto di individuare un particolare segno di onore (importante per chi ritenga la data di Sisto III conveniente per i mosaici) nel costume principesco di Maria. In realtà questo supposto abito di principessa ha precisi riscontri antiquari nelle raffigurazioni della sponsa; vuole dunque sottolineare la particolare condizione di Virgo (νύμϕη ἀνυμϕεύτη) di M., e quindi il carattere supernaturale della nascita di Gesù, garanzia della sua natura divina.
Si affaccia così il tema, di particolare rilievo iconografico, del costume di M., sentito sempre più acutamente nel V secolo.
Con lo stesso costume che a S. Maria Maggiore, la Vergine appare in un buon numero di vetri graffiti, con il nome iscritto, in atto di orante, talora tra i SS. Pietro e Paolo. È celebre una raffigurazione isolata di orante nel Coemeterium maius in Roma, con accanto il monogramma ☧ due volte ripetuto. L'orante ha dinnanzi a sé, in asse con la sua figura rigidamente frontale, un bambino e indossa un ricco abito dorato e una collana di perle. Ma è dubbio se questa raffigurazione, che presenta così manifesti i segni dell'iconografia imperiale, debba veramente essere riferita a Maria. In abito di sponsa (di "principessa", secondo la più vecchia interpretazione), M. appare ancora nel IX e nel X sec. nelle illustrazioni del Salterio di Stoccarda e del Codice di Hatto a Monaco.
2. Il V secolo. - Con un costume assai simile a quello che ha nei mosaici di S. Maria Maggiore, M. è raffigurata, giovinetta, su sei vetri graffiti in oro, databili nel IV sec.: spesso in atto di orante, sola o con intorno i santi Pietro e Paolo; il nome è iscritto. Già sarcofagi del III e del IV sec., nelle scene, su ricordate, dell'Adorazione dei Magi o della Natività, raffigurano M. con il capo velato, secondo lo schema che diventerà presto canonico. Tipico esempio delle prime incertezze nella fissazione di un tipo costante di abito per M., è un dittico sacro d'avorio nel tesoro del Duomo di Milano, variamente datato dopo il 480, in cui M. appare con indosso l'abito, già noto, di giovinetta nelle scene dell'Annunciazione (di cui sono rappresentati i due momenti successivi, secondo il racconto dello Pseudo-Matteo: v. avanti), mentre è velata nella raffigurazione della Natività. Sembra dunque una scelta intenzionale e significativa, che sottolinea la vera maternità di Maria.
Sembra di origine siriaca il costume divenuto ben presto canonico: una lunga veste, stretta alla vita da una cintura, con le maniche lunghe e strette, sopra la quale è portato un ampio scialle con frange, che copre il capo, si incrocia in due bande sul petto, per ricadere poi dietro le spalle. È infatti lo stesso costume con cui appaiono varie altre figure femminili in monumenti di queste regioni, ma ben presto la figura di M. si distingue dalle altre per la scelta di colori particolari. Così la porpora è testimoniata per la prima volta negli affreschi di una tomba di el-Bagāwāt in Egitto (IV sec.), ma ancora nell'ultimo ventennio del VI sec., in una miniatura dell'Evangeliario siriaco di Rabūlā (Firenze, Biblioteca Laurenziana), i due elementi del costume sono entrambi d'oro; in ambiente egiziano, nella Cronaca Alessandrina nel Museo Puškin di Mosca, è invece la porpora che distingue M. dalle altre donne, che hanno vesti gialle (d'oro?). Altra particolarità del costume è la cuffia che trattiene i capelli: maphorion, limbus matronalis.
Nella scelta dell'oro e della porpora è evidente un avvicinamento all'iconografia di Gesù, sin dal IV sec. orientata verso l'acquisizione di insignia imperiali, tuttavia non è senza una certa esitazione che certi attributi imperiali vengono accettati nella rappresentazione di M.: per esempio l'uso del nimbo rimane incerto sino alla fine del secolo e oltre, specialmente nelle raffigurazioni di tono narrativo.
Il ciclo cristologico, sorto in età costantiniana come manifestazione del nuovo interesse storico, più che simbolico, per la figura di Gesù, è assai meglio documentato nel V sec. che nel precedente, ma, se il ciclo di S. Maria Maggiore a Roma non si deve datare in quest'epoca, la documentazione più ricca non offre nuovi episodi che riguardino M., a parte, naturalmente, la sua presenza nelle nuove rappresentazioni "storiche" della Crocifissione (avorio nel British Museum, non porta di S. Sabina a Roma). Una grave lacuna nella nostra informazione si deve però al fatto che quasi tutti i monumenti superstiti sono occidentali, mentre l'iconografia mariana in Oriente è testimoniata solamente da due pezzi: l'ambone, da Salonicco, nel Museo Archeologico di Istanbul e un rilievo nel Museo Lavigérie a Cartagine, proveniente da Damus el-Karita. Quest'ultimo ha sostanzialmente ancora il tono narrativo del ciclo cristologico; al contrario il rilievo di Salonicco dà alla scena un ampio sviluppo processionale, simmetrico, che culmina nel gruppo centrale e ieratico della Madonna con il Bambino, lasciando intravvedere le origini non occidentali delle tendenze più proprie dell'iconografia mariana del VI secolo. In Occidente continua l'ispirazione alla fonte apocrifa dello Pseudo-Matteo, versione latina del "Protovangelo" di Giacomo che doveva contemporaneamente ispirare i pittori orientali, come dimostrano monumenti più tardi (affreschi di Castelseprio presso Varese, VII-X sec.; un ciclo del IX sec., che deriva da prototipo sconosciuto, affrescato nel Tempio della Fortuna Virile a Roma, permette di distinguere alcune particolarità iconografiche proprie della versione latina). La vitalità dell'illustrazione dello Pseudo-Matteo in Occidente deve ancora essere spiegata, data la ripetuta condanna di quel testo da parte dei papi nel V sec. (Gelasio I, Innocenzo I).
L'episodio in cui l'influsso dell'apocrifo è più sensibile è l'Annunciazione. Secondo il racconto dello Pseudo-Matteo, l'annuncio sarebbe stato ripetuto dall'angelo due volte: quando M. era alla fonte, con suo grande spavento, e ancora il giorno dopo, quando la Vergine era ormai più serenamente disposta ad accogliere la buona novella. Tra i monumenti pre-iconoclastici, soltanto l'avorio citato, della fine del V sec., o, meglio, della prima metà del VI, nel tesoro del Duomo di Milano, raffigura tutti e due i momenti della storia (è di età carolingia, come ha dimostrato il Bechwith, il "cofanetto di Werden" nel British Museum).
3. Dopo il concilio di Efeso. - Le conseguenze più notevoli della definizione di M. "Madre di Dio", proclamata dal concilio, sono: 1) il nuovo rilievo acquistato dalla rappresentazione autonoma di M.; 2) lo sviluppo di un ciclo mariologico, che, in Oriente, si lega a specifiche solennità mariane.
Immediatamente dopo il concilio, Sisto III dedicava nuovamente alla Madre di Dio la basilica di S. Maria Maggiore, facendovi eseguire un grande mosaico (ora perduto) con la Vergine in trono con il Bambino cui si avvicinavano cinque martiri e, probabilmente, lo stesso pontefice offerente, in una scena ispirata alla tipologia imperiale dell'aurum coronarium, secondo quanto ha potuto dimostrare recentemente il Künzle (altre teorie pongono invece la rappresentazione nell'abside, che si trova ad Occidente).
Circa lo stesso tempo il vescovo Simmaco faceva raffigurare M. con in grembo il Bambino, al centro di un partito decorativo (viticci? acanto?) nell'abside della grande basilica di Capua (Basilica Suricorum).
La testa, giovanile, di una velata, di proporzioni colossali, nel museo di Smirne, è stata tentativamente identificata con una statua di culto di M. eretta dopo il concilio; ma è ipotesi assai fragile.
Già dalla metà del V sec. si incomincia a celebrare in Oriente una festa specificatamente mariana e a dedicare le chiese alla Vergine (precedentemente le chiese erano state dedicate soltanto a Dio e ai martiri, benché, per una tradizione locale, la chiesa in cui si era celebrato il concilio a Efeso fosse già consacrata alla Madonna). Siamo particolarmente bene informati sulle immagini di M. che si trovavano nelle chiese a lei dedicate erette da Pulcheria a Costantinopoli.
a) Hodighitria. - Con la chiesa dell'Hodighitria (così detta, sembra, dal nome del quartiere τῶν ῾Οδηγῶν in cui sorgeva) non siamo più di fronte a un'immagine dipinta o scolpita sulle mura di un edificio, nata per quelle e inamovibile ma dinnanzi a un'immagine del tutto autonoma, sciolta da qualsiasi vincolo monumentale, un'immagine portatile, un'"icona". Secondo il racconto di Teodoro Lettore (morto nel 530, ma riferito soltanto da Niceforo Callisto nel XIV sec.), nella chiesa era stata posta dalla stessa Pulcheria un icona della Vergine proveniente da Gerusalemme e che sarebbe stata dipinta dallo stesso S. Luca (v.). Conosciamo il tipo iconografico dell'icona da più di un sigillo bizantino che lo riproduce con una didascalia esplicativa (il primo esempio è del 717-725) e da repliche pree post-iconoclastiche. Sembra infatti che l'icona fosse stata posta in salvo durante la lotta iconoclastica, per perire poi durante la conquista turca della città.
Le più antiche testimonianze del tipo sono: una miniatura inserita nell'Evangeliario siriaco del 586 (di Rabūlā) nella Biblioteca Laurenziana di Firenze; un enkòlpion siriaco circa il 590; il mosaico dell'abside della chiesa di Panaghia Angheloktistos a Kiti presso Larmaki, nell'isola di Cipro (prima metà del VII sec.?). Infine soltanto adesso (nel 1961) si è aggiunta al gruppo l'eccezionale testimonianza della tavola di S. Maria ad Martyres, l'antico Pantheon, che si deve ritenere del 609, e che ci offre così una prova certa dell'esistenza del tipo proprio nella pittura di icone. Tutte queste rappresentazioni concordano nel darci un'immagine della Vergine assolutamente frontale, col volto incluso in un grande nimbo che si innalza dietro le sue spalle, a figura intera (la tavola del Pantheon non è che un frammento di un dipinto assai più grande), con in braccio il Bambino, che essa sostiene con la sinistra, trattenendone con la destra un ginocchio; in esempi più tardi, talvolta il Bambino è spostato sulla destra della Vergine e invariabilmente la mano di Lei non è più appoggiata al Figlio, ma alzata in un gesto eloquente e dimostrativo.
Non più a Bisanzio, a una data tanto alta, ma in Egitto e in Siria, o in regioni (anche dell'estremo Nord) che derivano di là lo schema iconografico, è testimoniato un tipo di Madonna seduta in trono che il Lazareff ha definito seated Hodighitria, poiché rappresenta M. nello stesso atteggiamento dell'Hodighitria stante. Si ricordano particolarmente alcuni tessuti egiziani e la copertura eburnea dell'Evangeliario di Ešmiadzin (museo di Erivan, Armenia sovietica), su cui v. anche più avanti.
Nonostante sia estremamente difficile controllare se l'attribuzione a S. Luca dell'Hodighitria originale avesse corso già al tempo di Pulcheria, la presenza dell'icona di M. nella chiesa a Lei dedicata e il culto che le viene tributato sono testimonianza di un'inclinazione degli animi che avrà sempre nuovi incentivi e nuove manifestazioni sino alla drammatica interruzione della crisi iconoclastica (v. s. v. ritratto).
b) Blacherniotissa. - Nel quartiere delle Blacherne, Pulcheria (secondo alcune fonti, in collaborazione con il marito Marciano) aveva fondato una basilica dedicata alla Vergine, le cui pareti erano decorate da mosaici con il ciclo cristologico, dal Natale alla Pentecoste (secondo la vita di S. Stefano Minore, dell'VIII sec.; la basilica era stata fortemente restaurata da Giustiniano, cui Procopio addirittura la attribuisce). Nel 457-74 Leone I vi collocò un'importante reliquia della Vergine, il suo μαϕόριον, (manto), ma anziché riporla, secondo il costume, dentro la chiesa, eresse invece accanto a questa un edificio apposito, la Santa Soros, ossia il Santo Reliquiario, un martyrium (v.) coperto da una cupola.
Nell'abside del martyrium Leone I (v.) fece rappresentare la famiglia imperiale in preghiera davanti alla Vergine, cui l'imperatore offriva il modello della Soros. Era così affermata la diretta protezione della Vergine sulla dinastia imperiale e ciò era reso possibile proprio dal carattere segreto e quasi privato dell'oratorio, in cui la presenza delle reliquie ispirava il senso preciso della presenza di M., come in un suo mausoleo. La chiesa delle Blacherne possedeva diverse immagini della Vergine, ognuna detta Blacherniotissa dal nome della chiesa. Una era una Deesis, cioè una rappresentazione di M. e di S. Giovanni Battista che intercedono (deesis preghiera) presso il Salvatore; un'altra era un'Hodighitria; infine la terza era una Madonna stante, rigidamente frontale, che con le due mani sosteneva direttamente davanti a sé il Bambino. In alcune repliche il Bambino è incluso dentro un cerchio, come se la Vergine sostenesse un clipeo con il Figlio. Poiché in dipinti assai più tardi dell'epoca qui considerata è nota come Blacherniotissa un'immagine della Madonna orante, sul cui petto è posto un clipeo con l'immagine di Gesù, si è pensato che questa fosse un'elaborazione del tipo ora descritto della Vergine frontale con il Bambino dinnanzi a sé, noto anche con il nome di Kyriotissa. Ma il tipo dell'Orante è assai antico nell'arte cristiana, e prima dell'iconoclasmo un'immagine musiva di M. orante era stata immaginata da Giovanni VII, un papa di educazione e di origine bizantine, nell'oratorio da lui eretto in S. Pietro in onore di M. (detto domus Mariae, così come i templi di Costantinopoli erano detti òikoi, case). Non sembra dunque del tutto improbabile che la Madonna orante detta Blacherniotissa fosse apparsa abbastanza per tempo nel martyrium di Leone I, tra l'altro sarebbe stata questa l'immagine più adatta alla composizione musiva dell'abside, in cui la famiglia imperiale si metteva sotto la protezione della Vergine (si noti che la fonte che ci serba il ricordo del perduto mosaico di Leone I parla di una rappresentazione di M., non di M. con il Bambino).
c) Haghiosoritissa. Un'immagine della Vergine orante deriva il suo nome da un'altra Soros, costantinopolitana, tradendo un legame diretto tra la sua iconografia e lo scopo celebrativo di tali martyria. Un'altra basilica fondata da Pulcheria, quella dei Chalkopratia (v. costantinopoli, vol. iii, p. 916) possedeva un'importante reliquia della Vergine, la sua cintura (ζωνή), che, secondo le fonti, si sarebbe trovata a Costantinopoli sin dai tempi di Arcadio. Nel 572 Giustino II innalzava una Soros adiacente alla chiesa per custodirvi la reliquia. L'immagine che prende il nome dalla Soros dei Chalkopratia, la Haghiosoritissa, è attestata in numerose copie come una rappresentazione, spesso a mezzo busto, di M. nello stesso atteggiamento della Deesis, cioè con le mani alzate all'altezza del petto, nel gesto della preghiera, vista di profilo, con il capo rivolto di tre quarti. Non è provata la derivazione dell'immagine dalla composizione della Deesis, quasi un excerptum di quella, anzi lo schema iconografico, sebbene, forse, non riferito a M., è testimoniato sin dal V sec. a S. Sabina a Roma e, sembra, già nel V-VI sec. nella chiesa della Daurade a Tolosa. La più antica testimonianza pervenutaci e un icona a encausto nella chiesa di S. Maria del Rosario a Roma, proveniente dall'antico monasterium Tempuli, risalente, forse, a una data di poco anteriore all'inizio dell'iconoclastia.
L'Haghiosoritissa e la Blachernitissa sono dunque due immagini di M., l'una sicuramente un'icona, l'altra forse un mosaico, direttamente legate al culto delle reliquie di M.; l'icona dell'Hodighitria è, in un certo senso, anch'essa un reliquia, se si pensa alla leggenda che ne faceva un ritratto di M. eseguito da un apostolo. Il valore quasi di reliquie, o reliquiis similis, di tali immagini di M. scaturisce però da una seconda considerazione. Verso lo scorcio del V sec. era ormai diffuso il convincimento che il corpo di M., che era stato il ricettacolo del Logos stesso incarnato, non fosse stato destinato alla corruzione, ma assunto in cielo. Di conseguenza le reliquie di M. non potevano essere che indirette, brandea (la zonè, il maphòrion).
Si offrivano quindi le condizioni più favorevoli perché il culto riservato alle icone si trasferisse alle immagini stesse, specialmente ai "ritratti" (icone) di Maria.
4. M. tema delle absidi nelle basiliche. - Già il V sec., con S. Maria Maggiore e con il mosaico di Leone I alle Blacherne, con la basilica Suricorum a Capua, aveva accolto la raffigurazione di M. come tema centrale dell'edificio cristiano capace di occupare l'abside o la parete di facciata. Il VI sec. con le sue tendenze chiarificatrici e semplificatrici, con il suo pieno possesso dei termini dell'arte cristiana, fa della figura di M., in trono o stante, il centro della sua liturgia monumentale. D'ora in poi la figura di M. è il tema di grandi composizioni musive: a Parenzo (540) M. in trono, tra gli angeli che, come admissionales, accolgono, per l'aurum coronarium, i santi e il vescovo fondatore; a Ravenna, nella S. Maria Maggiore di Ecclesio (521-534), in una composizione cui similem nunquam potuit humanus oculus conspicere. A Kiti, come già si è detto, M. è avvicinata da Michele e Gabriele con l'asta e il globo crucigero; a Nicea, nella chiesa della Dormizione, la mano divina benediva la Vergine con il Bambino, forse raffigurati secondo lo schema dell'antica Blachernitissa (Kyriotissa); infine a Lythrankomi, nell'isola di Cipro, la Vergine con il Bambino in trono fra due arcangeli che montano la guardia, è addirittura racchiusa entro una mandorla di luce.
Frequente è la contrapposizione di Cristo adulto in trono alla Vergine in trono con il Bambino; nell'abside e nella fronte dell'abside di Parenzo; in un gruppo di dittici sacri a cinque parti, in cui le due valve, rispettivamente con M. e con Cristo, volutamente richiamano il repertorio dei dittici consolari e imperiali; nella stessa basilica, ariana, di Teodorico a Ravenna, dove la rappresentazione, sullo stesso registro in cui è raffigurato Cristo in trono fra gli angeli, del re goto nel suo palatium aggiunge una nota aulica alla scena.
Alle colonne del recinto dell'altare, che Giustiniano aveva fatto erigere nella ricostruzione di S. Sofia nel 558 erano appesi tre dischi d'argento con le figure di Cristo tra gli apostoli, Cristo tra i profeti e Cristo fra gli angeli e un quarto disco con la Vergine, probabilmente raffigurata tra gli angeli come nei dittici a cinque parti già ricordati, in cui ugualmente è svolto il tema della Maiestas Domini e della Maiestas Mariae.
Lo stesso Giustiniano era raffigurato nell'abside di S. Sergio a Gaza (Choricius, Laudatio Marciani, 1929, 17-77), introdotto dal santo patrono alla Vergine in trono, con il Figlio, circondata dagli angeli (prima del 536): come nota Chr. Ihm, il programma dell'abside di S. Sergio, che conclude le raffigurazioni della navata con storie di Cristo, per quanto somigliante a quelle di Parenzo, doveva avere un diverso significato, in quanto poneva l'accento più sull'incarnazione che sulla esaltazione della Maiestas.
Malgrado l'estensione a M. di insegne imperiali (v. insegna) o di altri attributi del trionfo consolare, nel mondo dominato da Bisanzio non si arriva mai a una rappresentazione di M. - né di Cristo - con il diadema, il loros e gli altri attributi caratteristici del costume imperiale. Ciò contrasta con gli stessi atti di culto e di cerimonia che si compivano intorno alle icone di M.: non soltanto queste ricevevano il tributo delle candele e dell'incenso, ma venivano portate in processione sopra un trono, quando addirittura non ricevevano gli onori del trionfo militare. Così la poesia e gli inni religiosi non mancavano di celebrare M. come sovrana. Ma nell'iconografia l'attributo di insegne direttamente legate al potere terreno, attuale e reale, doveva apparire quasi una profanazione dell'essenza divina di M. e di Cristo; e in ciò si può vedere un interessante indizio del diverso qualificarsi, nella civiltà bizantina, dell'immagine rispetto alla parola.
Non così in Occidente. A incominciare dalla capsella di Grado (v.) in cui M. è rappresentata in trono, con lo scettro cruciforme e il nimbo monogrammato (☧), a tarde raffigurazioni che si vogliono far risalire al più presto all'età di Licinia Eudossia, o, al più tardi, al VI sec., si profila una nuova iconografia di M.: M. regina, un nome che si legge solamente in un affresco della fine dell'VIII sec., in S. Maria Antiqua, ma che proprio in questa chiesa, sorta nell'atrio del palatium verso il Foro, ha la sua prima, completa manifestazione in un affresco del VI sec., con M. con il Bambino in grembo, vestita in un completo costume imperiale, con il loros, la dalmatica purpurea, la corona, seduta in trono sotto un baldacchino e avvicinata da due angeli nella cerimonia dell'aurum coronarium. Il carattere aulico per eccellenza del luogo in cui si trovava l'affresco, presto coperto, alla fine del VI o al principio del VII sec., da una rappresentazione dell'Annunciazione, può forse aver contribuito al suo isolamento: la ripresa della raffigurazione di M. come regina (gli attributi imperiali non implicano la fedeltà a nessuno degli schemi iconografici) non è documentata in Roma prima dell'inizio dell'VIII sec. (Giovanni VII). Ma non si deve escludere che il tipo iconografico fosse per tempo emigrato in altre regioni dell'Occidente; sembra infatti che una raffigurazione di M. regina si trovasse tra i mosaici della distrutta NotreDame-la Daurade a Tolosa (sec. V o primi anni del VI). L'iconografia di "M. regina" costituisce il caso più significativo di contrapposizione tra l'arte bizantina o bizantineggiante e quella dell'Occidente e rivela bene i caratteri dell'una e dell'altra; la prima intenta a perfezionare il proprio cammino verso la creazione di pure immagini di culto, in cui nulla distoglie l'attenzione dello spettatore devoto; la seconda sollecitata da esigenze narrative e spinta dall'urgenza di inequivocabili simboli del potere.
5. M. Lactans. - Il già menzionato affresco attribuito al II-III sec., nella catacomba di Priscilla, raffigura la Vergine che allatta il Bambino, ma in mancanza degli elementi di contorno che si sono indicati non sarebbe possibile identificarvi il gruppo divino. Le stesse considerazioni valgono per rappresentazioni isolate (frammento di sarcofago in S. Sebastiano: v. vol. II, fig. 431, s. catacombe), per le quali è stata suggerita senza sicuro fondamento l'identificazione con Maria. Affreschi copti, la cui datazione è, come sempre, incerta, tra il VII e l'VIII sec., rappresentano M. che allatta il Bambino, in trono fra due angeli (è stata anche supposta la derivazione dallo schema di Iside e Horus) e l'esistenza di un tipo stabilito della Madonna Lactans (galaktotrèphousa) è stata dedotta da una lettera apocrifa di Gregorio III a Leone Isaurico (717-41), inserita negli Atti del VII Concilio Ecumenico, in cui si nominano "immagini della Santa Madre che ha sulle braccia il nostro Signore Iddio e lo nutre con il suo latte".
6. M. Ecclesia. - Un capitolo a sé dell'iconografia di M. riguarda le rappresentazioni di Ecclesia. In età romanica si assiste effettivamente in molte occasioni alla identificazione di M. con la personificazione della Chiesa, e molti studiosi hanno tentato di percorrere a ritroso il cammino dalle raffigurazioni medievali ad eventuali precedenti antichi.
Le più antiche raffigurazioni sono allegoriche (la nave degli apostoli, per esempio in un frammento marmoreo nel Laterano; similitudine con l'Arca di Noè; l'edificio della chiesa, come in un celebre mosaico da Tabarca), e le prime rappresentazioni della personificazione della Chiesa alludono al carattere universale di questa, ponendo l'una accanto all'altra l'ecclesia ex gentibus e quella ex circumcisione. Nei mosaici di S. Maria Maggiore, a Roma, le due comunità sono rappresentate dall'apostolo dei Gentili, Paolo, e dall'apostolo degli Ebrei, Pietro; in S. Sabina (422-432) oltre alle figure degli apostoli (viste dal Ciampini, ma oggi scomparse) sono le personificazioni femminili, ammantate in vesti porpuree, di Eclesia ex gentibus e di Eclesia ex circumcisione. Si è tentato di riconoscere le stesse personificazioni in due figure femminili che offrono corone al Cristo seduto nel collegio degli Apostoli, radunato in Gerusalemme, nel mosaico di S. Pudenziana a Roma. Altri tentativi in questo senso a proposito di due oranti con i SS. Pietro e Paolo in un sarcofago gallico di Saint-Canant. Nel VI sec., nel codice syr. 341 della Bibliothèque Nationale di Parigi, Ecclesia è, con il re Salomone, a lato di M., raffigurata stante e in atto di presentare il clipeo con la figura intera di Gesù. Ecclesia è ammantata, appoggiata a una croce astile e ha un libro nella sinistra velata.
La croce e il libro sono attributi di M. in monumenti occidentali assai più tardi (IX e X sec.), che la raffigurano senza il Bambino, in abiti regali, e spesso contrapposta a una figura di Cristo in trono, ma non vi è nessuna indicazione che vi si sia voluto identificare M. con la Chiesa.
In due affreschi di Saqqārah, tra il VI e l'VIII sec., Ecclesia appare effettivamente in un costume prezioso e con in capo una corona; ma è sorte comune a tutte le personificazioni, nella tarda antichità, di significare la propria condizione più che umana con il ricorso a pietre preziose e ad insegne che ne dimostrano il potere magico e la sacralità (v. le personificazioni di Costantinopoli e della stessa Roma nei dittici del VI sec., le varie personificazioni nel codice di Dioscoride ecc.). Anche se si assiste a una progressiva associazione di M. alla Chiesa e se addirittura una scorretta iscrizione del V sec. sembra accennare a Lei come Mater Ecclesiae, per il periodo che ci interessa non si può sicuramente affermare che nessuna delle rappresentazioni note di M. debba senz'altro essere identificata con una raffigurazione della Chiesa.
7. Il ciclo storico. - Vi sono tre episodi del ciclo storico di Gesù in cui M. acquista un rilievo particolare: l'Adorazione dei Magi, l'Ascensione e la Pentecoste.
Da scena storica, l'Adorazione dei Magi si trasforma in una rappresentazione statica e solenne di M. in trono con il Figlio cui rendono omaggio i re Magi, rappresentati nel loro costume persiano, come barbari che offrano il loro tributo all'imperatore. Sulla facciata, o, secondo alcuni studiosi, nell'abside della chiesa della Natività a Betlemme, una composizione simile era stata eseguita per Giustiniano. Ce ne serbano il ricordo, sia pure impreciso e pieno di divagazioni popolari, le devote ampolle d'eulogia (v.): una composizione rigidamente frontale e simmetrica, in cui spesso sono abbinate, per ragioni di simmetria e con il risultato di eliminare completamente ogni progressione cronologica dalla scena, divenuta assoluta e immobile, sia l'adorazione dei Magi che quella dei pastori: i primi con le loro offerte; i secondi, che indicano in cielo il segno luminoso del Signore, attorniato dagli angeli, mentre in primo piano, come nei missoria imperiali (v. arcadio), gli armenti e la vegetazione testimoniano della gioia universale per la nascita del Signore, da cui dipendono i beni della terra.
L'Ascensione, come la Pentecoste, è una rara occasione per dimostrare la superiorità di M. rispetto a tutto il collegio degli apostoli e di affermare il suo ruolo eccezionale nell'economia della redenzione, come legame diretto tra l'umanità e Dio. In una composizione felicemente rispondente al programma architettonico della decorazione absidale, mentre sulla calotta dell'abside appare Cristo entro una mandorla che si innalza sul carro di fuoco, al di sotto vediamo M., nell'atto dell'orante, posta al centro del gruppo degli apostoli, in corrispondenza col Figlio (affreschi di Bāwit, capp. xlvi, xlv; oratorio di S. Venanzio al Laterano, del 642-49), quando addirittura, sotto alla mandorla con il Salvatore, non si trova M. in trono con il Bambino tra gli apostoli (Bāwit, capp. xlii): una composizione che non tanto impressiona per la sua esplicita indifferenza al racconto storico, quanto perché costituisce il rivolgimento totale dell'antica iconografia cristiana di Cristo nel collegio degli apostoli.
Conseguenza del nuovo culto mariano è, prima di tutto, la fissazione di una festa particolare mariana. In Oriente è ricordata una festa mariana primitiva, celebrata in giorni diversi nelle varie chiese (sino al tentativo di Maurizio Tiberio di celebrare ovunque il 15 agosto) sin dalla seconda metà del V sec.; in Occidente, Gregorio di Tours ricorda una festa di M. a metà di gennaio (mediante mense undecimo). A Roma non esiste una festa specifica sino allo scorcio del VII sec., allorché Sergio I accoglie l'intero calendario mariano bizantino; ma nel VII sec. si celebrava al Pantheon l'Ottava del Signore, nella cui liturgia era rivolta particolare attenzione alla celebrazione della Vergine. Ma a poco a poco le varie occasioni della vita di M. acquistano una speciale attenzione, già prima che ad ognuna di esse corrisponda una menzione nel martirologio. La letteratura religiosa colse così in ogni episodio rilevante della vita di M., tra i pochi ricordati dai Vangeli canonici e, talora, pescando nuovi particolari nella devota ed entusiasta narrazione apocrifa, occasioni per nuove celebrazioni della personalità e della funzione redentrice di M., mentre nelle arti figurative i singoli episodi si disegnavano in una successione che veniva a comporre un ciclo: l'Annunciazione, che è ormai quasi staccata dal ciclo cristologico antico; la Visitazione; la Natività; la Purificazione (Hypapanti) ecc. Già nel VI sec., un dittico, ora disperso tra la Biblioteca John Rylands di New York, il Cabinet des Médailles di Parigi e l'Ermitage di Leningrado, riunisce gli episodî dell'Annunciazione, della Visitazione, della Prova delle acque amare (che ormai sostituisce la più antica iconografia del Dubbio di Giuseppe), l'Andata a Betlemme, la Natività, l'Adorazione dei Magi; gli stessi episodi ricorrono nella cattedra di Massimiano (v.) a Ravenna, e ancora nei mosaici della basilica Eufrasiana a Parenzo compaiono l'Annunciazione e la Visitazione.
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