MELATO, Mariangela Caterina
– Nacque a Milano il 19 settembre 1941, da Adolfo e da Lina Fabbrica.
La Milano operosa e tenace che seppe resistere ai bombardamenti aerei degli Alleati, per poi risollevarsi fino ad assumere il ruolo di locomotiva economica del Paese, fu teatro della nascita e dell'infanzia di Mariangela Melato. La sua famiglia proletaria, poi piccolo-borghese, era alloggiata in una modesta casa di ringhiera del quartiere San Marco, nei pressi di Brera. Il padre, Adolf Hönig, di origine austriaca – era nato a Trieste nel 1909 quando la città era ancora 'irredenta', cioè austro-ungarica –, era arrivato a Milano nei primi anni Trenta da Trieste, dove aveva italianizzato in Melato il suo cognome (che significa «miele»). Fu inizialmente traduttore dal tedesco, per poi entrare nel corpo dei vigili urbani e farvi una modesta carriera. La madre Lina era invece una milanese verace, abile sarta fin da bambina e poi piccola imprenditrice, con una sartoria casalinga che arrivò a dare lavoro a una decina di ragazze.
Dalla loro unione nacquero tre figli: il primo, Ermanno (1939), fu inzialmente musicista e poi lavorò come dirigente d'azienda, continuando però a dare concerti con la fisarmonica; dopo Mariangela trascorsero altri 11 anni prima della nascita di Anna, che fu cantante e attrice, e lavorò talvolta insieme alla sorella maggiore. La vita familiare era scandita dal lavoro: il padre, spesso fuori casa, rientrava solo all'ora dei pasti, quando la sartoria ospitata nella grande cucina spariva dentro un grosso armadio per far posto alla tavola apparecchiata, come in un cambio di scenografia teatrale. Dalla madre la piccola Mariangela ricevette non solo l'esempio di una grande laboriosità, ma anche la passione per il ballo e il canto, frequente passatempo domestico nei giorni di festa. Il padre, un bell'uomo alto, taciturno, elegante nella sua divisa bianca, trasmise alla figlia, oltre al portamento, l'interesse per la lettura e per le arti, instaurando con lei un forte legame.
I devastanti bombardamenti su Milano degli anni 1942-44, uniti alla prolungata assenza del genitore, in guerra all'estero e poi internato in Germania dopo l'8 settembre, turbarono certamente il clima familiare. La piccola Mariangela cronicizzò una crosta lattea neonatale, degenerata poi in una fastidiosa malattia della pelle, che la costrinse per anni ad avere bendate le mani e parte delle gambe e persino del volto. Questa difficile condizione gettò un'ombra di tristezza sulla sua infanzia e sulla sua prima adolescenza, minando sia i rapporti con la madre – forse troppo occupata dal lavoro – sia il corso della sua educazione, poiché le impedì di frequentare la normale scuola pubblica. Mariangela, infatti, passò gli anni della scuola dell'obbligo presso La casa del sole, un istituto per bambini con problemi di salute, tuttavia ben gestito all'interno di un bel parco cittadino, il Trotter. Proprio questo luogo ameno rese possibile alla ragazzina la scoperta del proprio talento. In occasione della recita scolastica di un testo di Carlo Goldoni con costumi e scenografie, cui prese parte intorno ai 10 anni, Mariangela scoprì la sua capacità di intrattenere il pubblico. Era una chiave potente per scampare all'emarginazione, che le fece assaporare, in mezzo a tanta amarezza, il gusto dolce del successo. Prese così a raccontare storie e a inscenare monologhi davanti ai compagni di classe, e negli anni successivi continuò a fare lo stesso gioco anche a casa, con la sorella minore.
Negli anni Cinquanta il clima si rasserenò sempre più, e la giovinetta trovò finalmente una cura alla malattia della pelle, che infine si risolse attorno ai suoi 12 o 13 anni. Fu per Mariangela come una seconda nascita, che liberò tutta la sua voglia di vivere e di «diventare qualcosa» (come lei stessa rivelò il 20 giugno 2009 in un'intervista televisiva, concessa a Silvia Tortora e Annalisa Bruchi nel corso del programma Big, la via della ragione, la via del cuore di RAI2). La passione per la recitazione e per lo spettacolo in genere si precisò nella frequentazione di scuole di danza e dei primi spettacoli teatrali. Dopo le classi dell'obbligo dovette lavorare come commessa nei grandi magazzini La Rinascente di piazza Duomo, dove la sua spiccata creatività e l'interesse per allestimenti e costumi le permisero di diventare vetrinista; nel corso di questa attività fece amicizia con il collega Giorgio Armani. Sempre lavorando frequentò per un periodo i corsi serali di pittura presso la Scuola superiore d'arte applicata del Castello Sforzesco, e poi si iscrisse al primo anno del corso biennale di recitazione presso l'Accademia dei Filodrammatici, la più antica scuola milanese (e italiana) di teatro.
Nel 1962, a metà del corso, fu notata dal regista Fantasio Piccoli che, dopo un provino, la invitò a lavorare a Bolzano nella sua compagnia di giovani, "Il carrozzone", con la quale – abbandonata la via girovaga, erede dei carri di Tespi – aveva nel 1950 fondato il primo nucleo del Teatro stabile di Bolzano, sul modello rappresentato fin dal 1947 dal Piccolo teatro di Milano di Paolo Grassi e Giorgio Strehler. Non ancora maggiorenne, Melato lasciò scuola, lavoro e famiglia, con grande sconcerto dei genitori, per andare a fare il suo apprendistato presso questa compagnia. Ricoprì ogni umile ruolo, dalla trovarobe alla suggeritrice e alla costumista, e poté infine, sotto la guida di Fantasio, prendere parte, in piccole caratterizzazioni, alle prime rappresentazioni su un vero palcoscenico, al cospetto di un pubblico pagante, al fianco di un buon professionista come Ugo Bologna, in spettacoli come Binario cieco di Carlo Terron, Piccola città di Thornton Wilder e O di uno o di nessuno di Luigi Pirandello, tutti del 1963. Con la tournée di quest'ultimo, Mariangela toccò anche Milano, dove per la prima volta fu applaudita dai genitori, sia pure in una fugace apparizione di una sola battuta.
Tornata nella sua città all'inizio del 1964, cercò occasioni e contatti nell'ambiente dello spettacolo, tra una scena teatrale in cerca di nuove strade e il nascente filone del cabaret. Per alcune serate interpretò – sul piccolo palcoscenico del Nebbia Club e poi su quello più tradizionale del Teatro Gerolamo – testi brillanti e surreali come I love you rana-toro (1964) e Tanto di cappello (1965), scritti per lei dall'amico Enrico Vaime – futuro autore di successo per il teatro di rivista e la televisione –, nel primo caso diretta dallo stesso Franco Nebbia, nel secondo dal regista Filippo Crivelli. Negli stessi anni prese parte a due spettacoli di Dario Fo che si piazzarono ai primi posti in Italia per numero di spettatori: il controverso e provocatorio Settimo: ruba un po' meno (1964) – in cui aveva un ruolo di discreta importanza – e La colpa è sempre del diavolo (1965). La sua permanenza nella compagnia Fo-Rame non si protrasse oltre il biennio 1964-1965, poichè in quel contesto mancava per lei lo spazio di crescita verso il ruolo di primadonna.
In quel periodo di entusiastica adesione, anche politica, a una vita tutta immersa nel teatro, Melato (incoraggiata forse dalla stessa Rame) si volle sottoporre a un intervento di chirurgia estetica al naso che corresse una lieve gobba aquilina, trasformandola in un grazioso profilo inarcato. Fu una scelta 'artistica', dettata dalla consapevolezza che per primeggiare non bastasse un grande e conclamato talento. Lo stesso motivo la spinse a riprendere la ricerca di maestri e situazioni nuove da cui poter continuare ad apprendere. Nel 1966 lasciò nuovamente Milano per lavorare un anno a Trieste presso il Teatro stabile del Friuli-Venezia Giulia con il regista Giuseppe Maffioli in una serie di spettacoli, anche in vernacolo, come Il sior Tonin Bellagrazia (1966) di Carlo Goldoni con Lino Toffolo, Enrico IV (1966) di Pirandello, dove recitò con Renzo Ricci ed Eva Magni, e I giusti (1967) di Albert Camus. Ma fu diretta anche da Damiano Damiani con un ruolo importante ne La danza del tenente Musgrave (1967) di John Arden e da Giovanni Poli in Canto e controcanto (1967) di Furio Bordon.
Forte di un'esperienza scenica già significativa e di una rinnovata fiducia in se stessa, Melato tornò a Milano, dove verso la fine del 1967 avvenne un doppio incontro decisivo: Luchino Visconti le fece un provino per una parte nell'allestimento de La monaca di Monza di Giovanni Testori, che doveva dirigere per la compagnia Brignone-Fortunato-Fantoni-Ronconi. In questa occasione, quando il regista le chiese se fosse disposta a tagliarsi i capelli per interpretare una suora, Mariangela rispose con un battuta destinata a diventare famosa: «Anche i piedi, signor conte». Incontro doppiamente importante, si diceva, perché al provino assisté anche Luca Ronconi, ex attore agli inizi di una fulgida carriera di regista, il quale poi volle la giovane attrice per una sostituzione nel suo I lunatici (1967), di Thomas Middleton e William Rowley. Fu l'inizio di una feconda collaborazione tra Melato e Ronconi, che dette vita a ben 11 spettacoli nell'arco di 40 anni, di importanza sempre crescente per la statura artistica dell'attrice. La monaca di Monza fu importante per la giovane Melato anche perché le diede modo di lavorare accanto a Lilla Brignone, sua beniamina e dichiarato modello.
Dopo un altro spettacolo con Visconti (L'inserzione di Natalia Ginzburg, 1969, accanto ad Adriana Asti) e qualche altro ingaggio, il successivo passo ronconiano era destinato a lasciare un segno indelebile sia sulla carriera di Melato sia nella storia del teatro italiano. Orlando furioso di Ludovico Ariosto – adattato dal poeta Edoardo Sanguineti e interpretato da un nutrito cast, che comprendeva Massimo Foschi, Edmonda Aldini, Ottavia Piccolo, Michele Placido, Luigi Diberti, Emilio Bonucci – andò in scena per la prima volta il 4 luglio 1969 nella chiesa sconsacrata di San Nicolò al Festival dei due mondi di Spoleto e, dopo un iniziale disorientamento di critica e pubblico, fu trascinato da un crescente successo in una lunga tournée italiana e internazionale, durata tre stagioni e arrivata fino a New York. In una messinscena rivoluzionaria – che aboliva lo spazio teatrale tradizionale per far posto ad azioni simultanee di attori/personaggi posti su macchine sceniche mobili, realizzate dallo scenografo Uberto Bertacca, attorno alle quali il pubblico sceglieva liberamente come muoversi e quale azione seguire – Mariangela ebbe la sua grande occasione e, nei panni di Olimpia contessa d'Olanda (canti IX-XI del poema), conquistò in breve il favore della maggioranza degli spettatori, creando non poche gelosie tra i colleghi.
Soprattutto la tappa milanese dello spettacolo – allestito in piazza del Duomo durante le ore del primo 'allunaggio', quello dell'Apollo 11, il 20 luglio 1969 – fu un trionfo per l'attrice che, colorando leggermente di milanese la cadenza del suo personaggio, strappò risate e applausi. Un evento di cui restano solo pochi scatti del fotografo Ugo Mulas. Il nome di Melato divenne improvvisamente noto a un vasto pubblico, e fu a questo punto che l'attrice, da sempre innamorata del teatro ma assetata di novità e nuove esperienze, prese una decisione inaspettata. All'inizio del 1970 si trasferì a Roma dove, abitando in una malandata soffitta e ridotta quasi alla fame, cercò le prime scritture per fare dei film. Attrice già esperta sulla scena, nel cinema Mariangela ripartì da zero, con notevole umiltà e curiosità. La sua bellezza androgina, il suo viso irregolare, la sua verve milanese, non erano credenziali molto favorevoli per entrare facilmente nel mondo romano del cinema.
Il primo ruolo lo strappò con uno stratagemma a un recalcitrante Pupi Avati, presentandosi al posto di una collega ammalata per alcune scene nel suo film Thomas - Gli indemoniati (1970), mai uscito nelle sale (con Avati lavorerà ancora nel 1981 per il musical Aiutami a sognare). Fece piccole parti o semplici comparsate in altri sei film usciti sempre nel 1970, tra i quali Contestazione generale di Luigi Zampa, in un episodio (il primo, La bomba alla televisione) che prendeva di mira la RAI e perciò fu censurato ed espunto dal montaggio. Il personaggio più importante da lei interpretato fu quello, comunque marginale, di un'eccentrica attrice di varietà spagnoleggiante in Basta guardarla di e con Luciano Salce. Il film era scritto da Iaia Fiastri, che fu anche coautrice dello spettacolo che rappresentò il debutto di Melato nel teatro musicale: Alleluja brava gente (scritto, prodotto e diretto da Pietro Garinei e Alessandro Giovannini), al Teatro Sistina di Roma il 23 dicembre 1970, con Renato Rascel e Gigi Proietti, anche lui esordiente.
Conquistata anche Roma, l'anno successivo si presentò a Mariangela una scelta difficile: o continuare con le rappresentazioni di questo applaudito spettacolo musicale, o accettare la proposta della semisconosciuta regista Lina Wertmüller per uno strambo ruolo nel film Mimì metallurgico ferito nell'onore (che sarebbe uscito nel 1972), con un giovane Giancarlo Giannini, ancora ignoto ai più. Scegliendo la seconda opzione Melato attirò su di sé l'ira dei due produttori dello spettacolo, che le fecero causa per danni, ma iniziò con la regista – ex assistente di Fellini e degli stessi Garinei e Giovannini – una collaborazione di travolgente successo, che la portò alla notorietà internazionale con un altro riuscitissimo film del 1974, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, preceduto l’anno prima da Film d'amore e d'anarchia, in cui recita anche la sorella Anna.
I tre film – di stampo grottesco, dai risvolti politici virati verso l'ironia più acida – uscirono quasi contemporaneamente anche nelle sale statunitensi; in quel Paese Mariangela, ormai divenuta 'la Melato', fu subito un volto popolare, tanto che nel merchandising realizzato dai distributori statunitensi ci furono persino bambole con la sua effigie nei succinti panni della protagonista di Travolti (Swept away, lo stesso titolo che sarà dato al fallimentare remake americano del 2002 con Madonna e Adriano Giannini diretti da Guy Ritchie). Nonostante questa ondata di successo, l'occasione per un film statunitense slittò di qualche anno, anche per il rifiuto di alcune proposte da parte dell'attrice, tra le quali la più clamorosa fu quella per Alien di Ridley Scott (1979). Mariangela tornò a un cinema italiano di alterne fortune con film come Faccia di spia di Giuseppe Ferrara, Di che segno sei? di Sergio Corbucci, L'albero di Guernica di Francisco Arrabal, Attenti al buffone di Alberto Bevilacqua, tutti del 1975, con qualche occasione francese come Nada (Sterminate "Gruppo Zero") di Claude Chabrol o Par le sang des autres (Ultimatum alla polizia) di Marc Simenon, entrambi del 1974. Film di scarso impatto commerciale, che a volte la Melato sceglieva per adesione ‘politica’ alla sceneggiatura – essendosi sempre esplicitamente dichiarata militante di sinistra – oppure per il desiderio di lavorare con qualche collega o regista.
Nel corso della sua lunga parentesi cinematografica – che la tenne lontana dai teatri per oltre vent'anni, salvo sporadici ritorni – si nota a posteriori il percorso non lineare della sua immagine. Nella sua – apparentemente casuale – selezione dei ruoli da interpretare, sono in fondo poche le scelte davvero fortunate, come protagonista di film quali La poliziotta (1974) di Steno (Stefano Vanzina), fresca commedia provinciale, o Caro Michele (1976) di Mario Monicelli – dal romanzo di Natalia Ginzburg –, in un difficile ruolo. In parti di non protagonista vanno senz'altro ricordati due importanti film magistralmente interpretati con Gian Maria Volonté per Elio Petri, La classe operaia va in paradiso (1971) e Todo modo (1976), o le caratterizzazioni grottesche in Casotto di Sergio Citti (ancora in coppia con la sorella Anna), Il gatto di Luigi Comencini e La presidentessa di Salce, tutti del 1977.
Dopo un dimenticabile Saxofone (1978) di e con Renato Pozzetto, ecco l'anno successivo l'occasione di rientrare nel giro internazionale con Dimenticare Venezia di Franco Brusati, che nel 1980 ottenne la nomination all'Oscar per il miglior film straniero. Spuntarono così un paio di inviti per partecipazioni a produzioni estere che non lasciarono il segno: nel fantafumetto Flash Gordon (1980) di Mike Hodges e in So fine (1981; Jeans dagli occhi rosa) di Andrew Bergman con Ryan O'Neil, una scatenata commedia sentimentale dove Mariangela è un'italiana esuberante (un ruolo ispirato a quelli da lei interpretati nei film di Wertmüller).
Tra i generi incontrati da Melato nel cinema ricorrono sia il 'poliziottesco' d'azione sia la commedia sexy: incontri resi possibili dal suo fisico asciutto ma sensuale. Lei però inseguiva il cinema d'autore, che le offrì peraltro poche occasioni di rilevo, come Il pap'occhio (1980) del suo compagno Renzo Arbore, in cui fece un'apparizione, Domani si balla! (1982) di Maurizio Nichetti, Il buon soldato (1982) di Brusati, Aiutami a sognare (1981) di Avati, e soprattutto Oggetti smarriti (1980) e Segreti segreti (1985), entrambi di Giuseppe Bertolucci, o ancora Figlio mio infinitamente caro di Valentino Orsini e Il petomane (1983) di Paquale Festa Campanile, ancora in coppia con Ugo Tognazzi sei anni dopo Il gatto.
In teatro tornò, tra il 1970 e il 1992, solo episodicamente, per una manciata di spettacoli tuttavia di grande rilievo, tra i quali vanno ricordati Orestea (1972) di Eschilo diretto da Ronconi – in cui fu una indimenticabile, fremente Cassandra –, poi in due dei sei episodi della miniserie televisiva Orlando furioso (1974), in un nuovo allestimento di Pier Luigi Pizzi sempre per la regia di Ronconi, quindi, diretta da Strehler per la prima volta al Piccolo teatro di Milano, ne El nost Milan (1979) di Carlo Bertolazzi (autore anche di Lulù, da cui nel 1986 fu tratto uno sceneggiato televisivo, diretto da Sergio Bolchi, che mise in luce una Melato brillante). Un capitolo isolato ma importante Mariangela lo visse insieme a Giorgio Gaber (artista cui fu legata anche nella vita privata) per l'unico spettacolo di prosa che questi fece insieme a un partner recitante: Il caso di Alessandro e Maria (1982), scritto da Gaber e Sandro Luporini e diretto da Gaber stesso, fu un interessante esperimento senza precedenti, senza seguito e senza documentazione video.
Dal 1985 Melato iniziò una collaborazione in teatro con il regista Giancarlo Sepe, che la diresse in Vestire gli ignudi (1985) di Pirandello, Medea (1986) di Euripide e Anna dei miracoli (1988) di William Gibson, tre lavori, di grande successo commerciale, trasmessi anche in televisione, nei quali Melato cominciò ad avere una visione più larga e indipendente del proprio ruolo di interprete e a dare un concreto contributo alla messa in scena.
Un approccio che proseguì – pur con qualche attrito – con Marco Sciaccaluga per La bisbetica domata (1992) di William Shakespeare, al Teatro Eliseo di Roma. Dopo un decennio caratterizzato da un'acuta crisi del cinema italiano – durante il quale Melato si dedicò anche alla televisione, lavorando in miniserie di qualità come Piazza Navona (episodio Amore a cinque stelle, di Roberto Giannarelli, 1988), Quattro storie di donne (episodio Emma, di Carlo Lizzani, 1989) o Le chinois (sei episodi, 1992), o in telefilm come Una vita in gioco (1991) di Franco Giraldi e Due volte vent'anni (1994) di Livia Gianpalmo –, nei primi anni Novanta tornò stabilmente al teatro.
Lo fece in grande stile, siglando nel 1993 un contratto a lungo termine che la decretò prima attrice – caso raro nel sistema italiano – del Teatro stabile di Genova, dove ebbe carta bianca per la scelta di testi e registi, anche invitati come ospiti, o in coproduzione con altri teatri stabili, per una serie di fortunati spettacoli campioni di incassi a Genova e in tournée. Nell'ordine ricordiamo: Un tram che si chiama desiderio (1993) di Tennessee Williams, regia di Elio De Capitani; L'affare Makropulos (1993) di Karel Čapek, applauditissima regia di Ronconi; Tango barbaro (1995) di Copi (Raúl Damonte Botana), regia di De Capitani e Ferdinando Bruni, dove Mariangela era un transessuale; Il lutto si addice ad Elettra (1997) di Eugene O'Neill, regia di Ronconi, di quasi 5 ore di durata; il più leggero La dame de chez Maxim (1997) di Georges Feydeau, regia di Afredo Arias; una formidabile Fedra (1999) di Jean Racine diretta da Sciaccaluga.
Divenuta una delle più pagate e applaudite regine del teatro italiano, 'la' Melato fu sempre di più il vertice di ambiziose coproduzioni fra teatri stabili, diradando la sua presenza nel cinema e in televisione a sporadiche partecipazioni: partecipò ai film La fine è nota (1993) di Cristina Comencini, Panni sporchi (1999) di Monicelli, Un uomo perbene (1999) di Maurizio Zaccaro, L'amore probabilmente (2001) di Bertolucci, L'amore ritorna (2004) di Sergio Rubini, e in televisione alla miniserie in sei episodi L'avvocato delle donne (1997) di Andrea e Antonio Frazzi, e al telefilm La vita cambia (2000) di Gianluigi Calderone.
Nel contempo, sulla scena, diede interpretazioni memorabili nei panni di una bambina (dopo essere stata una donna di 300 anni nel Mokropulos) in Quel che sapeva Maisie (2001) di Henry James, guidata dal prediletto Ronconi al Piccolo teatro di Milano, e persino quadrupede in La centaura (2004) di Giovanni Battista Andreini, ancora con Ronconi al Teatro della Corte di Genova. In un turbolento sodalizio con Gabriele Lavia, anche regista, fu vibrante protagonista di un adattamento pop di Chi ha paura di Virginia Wolf? (2005) di Edward Albee, campione al botteghino in una lunga tournée, e ancora per Sciaccaluga una dolorosa Madre Courage e i suoi figli (2002) di Bertolt Brecht al Teatro della Corte, infine brillò ne L'anima buona del Sezuan (2009) di Brecht, diretta dagli amici De Capitani e Bruni del Teatro dell'Elfo di Milano.
Nella vita privata, la donna Mariangela fu sempre molto riservata, ancorché ricercato personaggio della stampa rosa e divistica, con la sua fiera indipendenza e la fama di single per scelta, mai convenzionale e sempre libera di seguire il proprio istinto e talento. Eppure sono noti alcuni importanti legami sentimentali di lunga durata con altri protagonisti della scena o delle arti, che lei non volle mai trasformare in matrimonio, anteponendo sempre la propria vocazione teatrale, con sacrificio e dedizione assoluti, a ogni ipotesi familiare. Come amava ripetere nelle interviste, aveva sposato il pubblico. Ma il compagno di sempre, prima fidanzato poi amico intimo, fu il conduttore radiotelevisivo e regista cinematografico Arbore, che le rimase accanto fino all'ultimo giorno, insieme alla sorella Anna e a pochissimi altri amici da lei scelti come sua speciale famiglia. Ciascuno di loro ebbe con lei legami anche professionali, condividendo la stessa passione imprescindibile per la vita della scena.
Nel corso della sua quasi cinquantennale carriera, Melato ricevette numerosi riconoscimenti, tra i quali vanno ricordati: in campo cinematografico 9 David di Donatello (1972-2000) – 5 dei quali per altrettanti film – e 5 Nastri d'argento (1972-1981) – tutti per altrettanti film –; in campo teatrale 4 Ubu (1984-2010) e 2 Duse (1989 e 1999). Nel 2007 volle raccontarsi in tono leggero e a suon di musica in Sola me ne vo, un one-woman-show da lei stessa scritto con Vincenzo Cerami, Riccardo Cassini e Giampiero Solari, in cui tornò ballerina e cantante a 35 anni dalla sua sensazionale apparizione televisiva a Canzonissima '72, complice l'amico Pippo Baudo, nei panni della danzatrice chiusa in una valigia. Fu un congedo alla sua maniera, un ritorno alle origini di ragazza milanese che ancora non aveva perso la voglia di scatenarsi nelle balere di tutta Italia dopo aver recitato in teatro. Lo spettacolo fece una lunga tournée di successo, prima che la malattia di cui Mariangela poi restò vittima cominciasse a manifestarsi intorno al 2010.
Già debilitata, riuscì a dare vita alle ultime memorabili prove sceniche in Il dolore (2010) da Marguerite Duras, involontariamente autobiografico, per la regia di Massimo Luconi; Nora alla prova di "Casa di bambola" (2010) da Henrik Ibsen con il fraterno amico Ronconi, interrotto da vari ricoveri ospedalieri, mentre sul piccolo schermo fu una discussa ma intensa Filumena Marturano (2010) di Eduardo De Filippo, voluta accanto a sé da Massimo Ranieri, regista e interprete. L'attrice chiuse la carriera con coraggio, in un ruolo che aveva rifiutato molti anni prima, per timore di inadeguatezza, quando a proporglielo era stato lo stesso Eduardo.
Melato si spense da diva assoluta, recitando fino a che si resse in piedi, l'11 gennaio 2013 a Roma, dopo aver strenuamente lottato per oltre tre anni contro una neoplasia incurabile.
La presente voce e il libro biografico dello stesso autore (Tutto su Mariangela, Milano 2018) sono basati su interviste a colleghi e amici della protagonista. Una catalogazione delle interpretazioni registrate di Melato è in corso da parte dell'Associazione Mariangela Melato per opera di Alessia Massa e Anna Melato.
Io Mariangela Melato, a cura di S. Zanovello, Genova 2013; Magnetica Mariangela, a cura di T. La Pera, A. Testa, Roma 2016; Mariangela Melato tra cinema, teatro e televisione, a cura di C. Formenti, Milano 2016 (con bibliografia).
Riferimenti parziali al suo lavoro sono rintracciabili in: 1954-1994, teatro da Trieste: gli spettacoli prodotti dallo Stabile di prosa in quaranta stagioni, a cura di G. Botteri, M. Brandolin, Trieste 1994, pp. 28, 77, 96, 126; M. Bertoldi, Il Teatro stabile di Bolzano, 1950-2000, Milano 2000, pp. 44-46, 188, 205-206; Un castello disincantato: film e scritti di Franco Brusati, a cura di A. Occhipinti, Milano 2003, pp. 21, 29-32, 64-69, 82-83, 86-91, 167-172; L. Wertmüller, Tutto a posto e niente in ordine, Milano 2012, pp. 117-119, 124-125, 132, 137-143, 209-211; G. Arnone, Prova di memoria: dall'Orlando Furioso a Cinecittà, Roma 2013, pp. 57, 66, 81-93, 117, 133-135; P. Avati, La grande invenzione: un'autobiografia, Milano 2013, pp. 241, 253-259; G. Giannini, Sono ancora un bambino, Milano 2014, pp. 145-147, 153-155, 270; R. Arbore, E se la vita fosse una jam session? Fatti e misfatti di quella notte, a cura di L. Foschini, Milano 2015, pp. 266-269; G. Garrucciu, Renzo Arbore: vita, opere e (soprattutto) miracoli, prefazione di S. Zavoli, Roma 2015, pp. IX, 94, 132, 161-166, 284, 315, 321; L. Comencini, Davvero un bel mestiere! Infanzia, vocazione, esperienze di un regista, Milano 2016, pp. 140-141; M. Monicelli, La commedia umana: conversazioni con Sebastiano Mondadori, Milano 2016, pp. 26, 267-268.
Foto: Telepress