BARTOLINI, Mariano
Figlio di Baldo, nacque intorno alla metà di marzo dell'anno 1465 o del 1466 (secondo l'età attribuitagli dall'una o dall'altra antica copia dell'iscrizione tombale, oggi non più rintracciabile, che era collocata a Roma in S. Maria sopra Minerva). Una delle prime notizie sul B. porta la data dell'ottobre 1487, quando egli, insieme al fratello Berardo, accompagnò il suo celebre padre in un breve viaggio a Roma. Il 2 dic. 1487 le cronache perugine ricordano la "bella disputa" pubblica con cui il B. provvide a completare le prove necessarie al conseguimento del dottorato in entrambi i diritti: "... quasi ogni persona tene, che detto m. Mariano fosse un valente dottore, e che se lui cie vivisse sarìa esciessivo non mancho ch'el suo padre". Il 23 giugno 1489 egli venne ammesso solennemente nel collegio dei giureconsulti di Perugia. Al I conventus, furono "invitate tutti li gentilomene ... e fo tenuta una bella cosa". Il Diplovataccio, allievo del padre di Mariano, e compagno di studi di ques'ultimo, racconta che in tale occasione fu prescelto, "ut moris est Perusii", insieme a un altro scolaro provetto, a fare da scorta d'onore al neodottorato, che entrava nel collegio dei giuristi per Porta Eburnea.
Baldo, il padre, aveva infatti casa e studio in quel quartiere, nella parrocchia di S. Stefano. Morto il padre, il B. insieme con i fratelli Teseo e Giampiero ne ereditò la casa e le ingenti sostanze. L'eredità appare indivisa sia in un documento del 1491 citato dal Mariotti, sia nell'"assegna" catastale che non deve essere molto posteriore a quell'anno, e fino a quando un atto del 4 dic. 1499, steso "in studio... d. Mariani, sito in domibus infrascriptaruni partiuni" (cioè dei tre fratelli), non ebbe sanzionato la divisione del patrimonio. Da tale atto del 1499 si apprende anche che al B. i fratelli lasciarono tutti i libri del padre. Gli eredi appaiono tuttavia ancora solidali anche in seguito, come nel 1506 e nel 1507, nel pagamento di un censo alla Camera apostolica per il "podere che tengono in lo Chiusci".
L'insegnamento di diritto civile del B. nello Studio perugino dovette incominciare assai presto e assai presto dovette procurargli reputazione. Nel 1490 lo Studio pisano (per il quale anche suo padre era passato) gli offriva una cattedra di diritto civile ed egli l'accettava con atto di un suo procuratore dell'8 maggio. Ma il ruolo dei professori pisani datato 16 ott. 1490 reca, accanto al nome del B., designato alla lettura straordinaria del diritto civile, l'annotazione: "Non venit morte patris". E come al padre Sisto IV, così al figlio Alessandro VI assegnò - l'8 sett. 1492 -, "ad ... beneplacitum", un'annua provvisione (evidentemente straordinaria) di cento ducati, perché potesse meglio attendere agli studi e all'insegnamento nella città natale. Da un altro privilegio di qualche anno posteriore (1500) si apprende che il B. teneva a quel tempo la "lectura iuris civilis de sero".
Sul B. giurista così si esprimeva, in un suo consiglio, Bartolomeo Socino, buon conoscitore dei "moderni perusini": "... prout eleganter conclusum est per insigneni doctorem dominuni Marianum filiuni excellentissimi doctoris domini Baldi, qui bene patrizat...".
Accanto all'insegnamento troviamo l'impegno del B. nella vita amministrativa e politica di Perugia, che stava allora vivendo l'esperienza della signoria diarchica di Guido e Rodolfo Baglioni, liberatisi da ogni impaccio dell'antica costituzione comunale mercé il potente strumento in loro mani della magistratura dei Dieci dell'Arbitrio, ma pur sempre costretti a fare i conti con l'ingerenza dei rappresentanti dell'autorità pontificia in Perugia e con il pontefice a Roma. Poco dopo la sua aggregazione al collegio dei giureconsulti, nel luglio del 1489, il B. fu "Vento [i.e. vinto, cioè eletto] per consultore ne l'arte dei calzolari, dove era stato prima m. Baldo suo padre", mentre questi contemporaneamente "fo vento nela mercantia". Nel 1491, per sei mesi a partire dal 10 aprile, il B. fu dei "iudices comunis super comuni dividundo"; dal 10 genn. 1499 per un semestre fu dei conservatori della Moneta; a decorrere poi dal primo gennaio 1500 fu nominato avvocato del Comune per un anno. Non vi è dubbio, inoltre, che il B. venisse impiegato contemporaneamente in missioni diplomatiche, anche se non si èfinora potuto confermare qyanto G. F. Lancellotti comunicava nel Settecento ad Annibale Mariotti, trovarsi cioè in un codice in suo possesso una lettera del 4 apr. 1484 (data quasi certamente da rettificare in 1494, vista la qualifica attribuita al B.) indirizzata a un cardinale non specificato dal Collegio dei giureconsulti di Perugia: "... venit ad Summum Pontificeni civitatis Perusiae orator eximius I. U. consultus dominus Marianus domini Baldi de Bartolinis, concivis noster, presentis exhibitor...".
Si deve senza dubbio a già sperimentate qualità di negoziatore del B., oltre a quelle di giurista e al suo nome di famiglia, ben noto alla Curia, se nel 1500 Alessandro VI, dopo avergli concesso, in data 18 dicembre, il privilegio di conservare durante la sua assenza cattedra e salario a Perugia, lo diede per "uditore" al cardinale Pietro Isvalies, nominato fin dal 5 ottobre legato in Ungheria e Polonia, per guadagnarne i sovrani alla causa della guerra contro il Turco. Il B. condivise pertanto con il prelato la gloria per il successo della inissione, che procurò alla lega tra la Santa Sede e la Repubblica di Venezia l'adesione del re d'Ungheria (fine di maggio del 1501) e la partecipazione di quest'ultimo alle vicende della guerra fino all'agosto 1503. Rientrato il B. in Italia, Giulio II, appena eletto, lo nominò uditore della Sacra Rota Romana, per impiegarlo quindi, quasi immediatamente dopo e come protagonista, in una ambasceria di grande importanza presso Massimiliano, re dei Romani, per indurlo a portare aiuto al papa contro Venezia, che non intendeva restituire le terre della Chiesa di cui s'era impadronita.
Il 2 marzo 1504 il B. partì per la Germania "con molte instructione" (le quali, datate 22 febbraio, ci sono pervenute in diversi manoscritti). Ma già dal 19 gennaio a Venezia si sapeva ch'egli era stato destinato come oratore presso Massimiliano.
Di alcuni retroscena della missione c'informano i Diarii di Marino Sanuto, nei quali un certo indugio a far partire il B. viene attribuito, fra l'altro, anche alle lamentele espresse dagli "oratori" del re tedesco a proposito del fatto che il papa "al re di Franza li ha mandato un marchexe e a questo manda questo dotor". Il non facile compito del B. (compito al quale faceva riscontro quello affidato al rappresentante pontificio accreditato presso Luigi XII) ebbe il suo positivo adempimento nel trattato antiveneziano di Blois, stipulato il 22 sett. 1504 dal re di Francia e da Massimiliano. Il B. era andato presso quest'ultimo come ambasciatore straordinario, mentre in Germania già si trovava un legato apostolico: il B. avrebbe dovuto trattare solo il ben definito oggetto della sua missione, il "negotium confoederationis contra Venetos", ma in realtà si trattenne alla corte del re assai più a lungo del previsto e con nuovi incarichi: per curare l'esecuzione dei brevi contro gli eretici boemi affidatagli il 14 ott. 1504; per trattare le questioni dategli da risolvere il 10 genn. 1505 in relazione alla guerra tra Baviera e Palatinato (guerra che sarà oggetto del poema epico del nipote Riccardo, l'Austrias). Ancora il 16 apr. 1505 gli venivano affidate altre commissioni presso il re, ma nello stesso tempo gli si ordinava di rientrare subito dopo averle assolte, "ne causae in auditorio palacii apostolici tibi commissae detrimentum diutius patiantur". Analoga ingiunzione gli venne rinnovata il 12 ottobre dello stesso anno, ma ciononostante il 30 novembre successivo gli vennero affidati nuovi incarichi, sì che egli non poté ritornare in Italia che nella primavera dell'anno successivo: l'ultiino pagamento registrato a suo favore per l'ambasceria in Germania è datatO 25 maggio 1506. In Italia il B. riportò, sembra, un segno della particolare benevolenza regale: il permesso di aggiungere all'arme familiare l'aquila imperiale.
Il titolo con cui il B. era stato accredidato presso Massimiliano ("Marianus de Bartolinis de Perusio, causarum sacri palacii auditor, cappellanus noster, cum potestate legati a latere nuntius et orator") ci rivela il B. anche nella veste di "cappellano papale", segno non dubbio della sua condizione clericale (forse da non molto conseguita). Così si spiega meglio come il 15 febbr. 1506 egli rappresentasse il papa a Klosterneuburg: nella solenne traslazione, alla presenza di Massimiliano, del corpo del santo margravio Leopoldo III di Babenberg. Secondo quanto scrive nell'Odeporicon Riccardo Bartolini (ch'era al seguito dello zio), la salma del santo antenato degli Asburgo, patrono della Bassa Austria, proprio dal B. "ex humili sepultura ad ornatissimum mausoleum translatum. est": ciò parrebbe significare che al B. spettò in quella cerimonia una funzione di celebrante di primissimo piano.
Per il resto del 1506 e per la prima metà del 1507 il B. assolse all'ufficio di camerlengo della Rota. Ma verso la fine di luglio del 1507 si rimise nuovamente in viaggio per la Germania, al seguito, verosimilmente, del legato card. B. Carvajal, uno dei più fedeli fautori di Massimiliano nella Corte romana. Il cardinale, munito di pieni poteri per dissuadere il re tedesco dallo scendere in Italia, e per proporgli una lega dei principi cristiani contro il Turco e una lega contro Venezia, partì da Roma il 5 ag. 1507, mentre il B. dovette precederlo (per incontrarlo poi forse lungo la strada), poiché alla fine di luglio lo troviamo a Perugia, dove ebbe lo speciale onore di un pranzo offertogli dai priori.
Sono certamente in errore gli autori che ritengono che il B. fosse in questa occasione di ritorno dalla missione tedesca iniziata nel 1504- Si tratta invece dell'inizio di una seconda missione alla quale del resto fa chiaramente allusione l'epigrafe tombale che dice: "... Bis in Germaniam a Iulio II magnis de rebus missus...".
L'anno seguente, al più tardi, il B. era di nuovo in Italia, dove il legato era stato richiamato, dopo aver contribuito ad avviare anche con la sua azione un processo che, da una lega difensiva e offensiva del re di Francia e dell'imperatore di Germania contro Venezia, portò alla lega di Cambrai della fine dello stesso anno, nella quale Giulio II entrò nel marzo del 1509.
Non si può dire se in una sosta a Perugia durante il suo viaggio di ritorno in Italia dalla seconda n-iissione in Germania, o se successivamente a Perugia o a Roma, il B. venne incaricato, il 7 nov. 1508, dai prìorì perugini di presentare al papa alcune richieste della città: che venisse ridotto l'onere, troppo gravoso, dei contributi in denaro dovuti dalla città per il mantenimento di truppe; che il sindacato del podestà si facesse, come di regola, a Perugia e non a Roma; che il commissario del Chiusi cessasse dal contestare i diritti dei possessori di terre in quel territorio, che qualsiasi causa venisse discussa a Perugia, dove c'erano tribunali di prima e di seconda istanza, e non a Roma, come pretendeva il commissario; che, infine, venisse fatto cessare l'abuso di vendere gabelle e comunanze a Roma. Dell'esito dell'incarico affidato al B. non si ha notizia. È da supporre ch'egli abbia cercato di tutelare nel modo migliore gli interessi della città natale, dei critici casi della quale, in anni che dopo la strage dei Baglioni avevano visto sempre più accentuarsi la sovranità pontificia, aveva scritto qualche anno prima a lacopo Antiquario, forse sullo scorcio del 1503, al tempo della sua nomina a uditore.
Il 3 sett. 1509 (questa è la data più probabile, fornita dai registri rotah), come racconta l'umanista e giurista alsaziano Iacopo Spiegel, che l'aveva conosciuto in Germania attraverso l'autore dell'Austrias, il B. "aestivis caloribus, dum Sublaci amoenitatem petit, aquarum. frigiditate aeger Romae periit". Il passo è in una nota dello Spiegel ai versi dell'Austrias in cui vengono cantate dal nipote le lodi del Bartolini.
Sentenze del B. sarebbero comprese, secondo il Fontana, bibliografo giuridico del Seicento, nelle collezìoni a stampa delle decisioni rotali, mentre altri autorì propendono a ritenere che il B. non abbia stampato nulla.
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