POMICELLI, Mariano
POMICELLI, Mariano (Mariano da Genazzano). – Nacque a Genazzano, nei dintorni di Roma, nel 1450; il cognome Pomicelli è testimoniato dall’intestazione di un epigramma di Ugolino Verini e da una lettera di Michele Verini.
Orfano, fu accolto dal cardinale di Rieti Angelo Capranica e affidato all’agostiniano Andrea da Tivoli, come narra Vespasiano da Bisticci («allevò in casa sua, et dallui si poté dire ebe l’essere, frate Mariano di Roma […] et fello istudiare in teologia in modo ch’egli è riuscito solennissimo predicatore», Vespasiano da Bisticci, Le Vite, a cura di A. Greco, I, Firenze 1976, p. 166). Ricorda Raffaele Brandolini nell’orazione funebre pronunciata nel cenobio romano di S. Agostino il 3 gennaio 1499 che il giovane, entrato nel 1466 nell’Ordine agostiniano, completò gli studi a Perugia (Greco, 1979, 1985, p. 132). Nei registri dei priori generali risulta magister studentium il 20 giugno 1473 nel convento di S. Filippo e Giacomo, lettore il 1° luglio 1474, baccalaureus formatus il 24 dicembre 1476. Inviato presso lo Studium agostiniano di Padova, fu allievo del teologo inglese William Galion e poi magister. Dal 19 giugno 1479 entrò nella familia di Michele da Viterbo, vescovo di Castro, ma già il 14 settembre il generale Ambrogio da Cori lo nominava nella terna delegata a presiedere il capitolo della Provincia romana. Riformatore del convento di Montereale il 24 febbraio 1480, l’8 ottobre era reggente nello Studio pisano.
Iscritto al collegio teologico dello Studium senese, nel 1481 poté passare dalla Provincia romana alla Congregazione osservante di Lecceto, retta da Anselmo da Montefalco; ne fu vicario generale nel 1483-84 e poi nel 1487-88, dopo un viaggio a Gerusalemme con Tommaso Ghinucci durante il quale predicò a Cipro, Creta e in Dalmazia (Oratio coram Innocentio VIII, v. infra).
La sua intensa attività di predicatore, iniziata a Roma nel 1476 secondo l’Oratio coram papa del 1487 e il discorso funebre di Brandolini, conobbe un primo momento significativo a Siena nel 1482 – ce lo ricorda la cronaca dell’Allegretti – quando il frate supportò con i suoi sermoni, cui assistette il giovane Paolo Cortesi, i tentativi di conciliazione politica del cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, il futuro Pio III. Attratti dalla sua personalità entrarono nella Congregazione leccetana, tra gli altri, i nobili senesi Dionigi Ghinucci, Basilio Monaldi, Benigno e Paracleto Bini. Come vicario generale il frate si adoperò per l’ampliamento del convento, ottenendo da Ambrogio da Cori l’annessione del monastero senese di S. Antonio Abbate; Sisto IV gli assegnò il convento di S. Agostino a San Gimignano (1483), mentre con un breve vietava ad altri ordini religiosi di costruire nei pressi di quella Congregazione (1° dicembre 1484).
Dal 1484 cominciò a predicare in tutta Italia: dotto e raffinato riscosse un singolare successo anche nei più avvertiti ambienti letterari della penisola. Ai primi anni Ottanta risale l’instaurarsi del suo intenso rapporto con Lorenzo de’ Medici e con i principali esponenti della cerchia laurenziana.
Il più antico sermone superstite fu pronunciato proprio a Firenze, nel monastero di S. Gaggio o ‘Delle Murate’, nel 1484 (Firenze, Biblioteca Laurenziana, Biscion. 36: v. infra). Numerose lettere d’invito da parte di principi, Comuni e capitoli di cattedrali (oggi negli archivi di Lucca, Mantova, Modena e Ferrara) confermano il crescente consenso del frate, testimoniato efficacemente da Brandolini: «obstupuit denique Italia universa: nulla enim in ea praeclara urbs est ad quam non fuerit […] advocatus» (Greco, 1979, 1985, p. 133). Dopo l’orazione tenuta davanti a Innocenzo VIII (16 dicembre 1487), Ercole I d’Este a Ferrara, gli Anziani di Lucca, Giangaleazzo Sforza, Ludovico il Moro, Alfonso di Calabria e naturalmente i Medici sollecitarono presso il priore generale Anselmo da Montefalco la sua presenza. Sporadiche sono le testimonianze su questi anni di viaggi: spinto dalle esigenze dell’Ordine, ma anche da quelle medicee, egli fu a Milano per la Quaresima del 1488 e nel 1490, a Firenze nel 1489 e durante l’Avvento del 1490. Alla seconda predicazione milanese assistette anche Tristano Calco: è ricordata in due epistole di Iacopo Gherardi e di Benedetto Rizzoni (J. Burckard, Diarium, 1883, pp. 93 s.), in tre sonetti di Bernardo Bellincioni e in due di Gasparo Visconti, ma il più vivido resoconto è consegnato all’epistola dell’urbinate Andrea Della Cornia a Giovanni Pico (14 luglio 1490; Bausi, 2004). Nella Quaresima del 1491, nonostante l’invito degli Anziani di Lucca, il frate fu a Ferrara, che lo richiese anche per la Quaresima successiva. Nel 1493, conteso tra il duca di Ferrara e Alfonso duca di Calabria, andò a Firenze presso Piero de’ Medici. Nel 1495, nonostante Pandolfo Malatesta lo volesse a Rimini, era a Roma. Già vicario generale, il suo ultimo corso di prediche si tenne nell’Avvento del 1496 a Firenze.
Il 13 aprile 1498 pronunciò nella Sistina la sua seconda e ultima orazione di fronte ad Alessandro VI (v. infra). Entrambe le orazioni coram papa furono stampate a Roma da Stephan Planck (1487, IGI, Indice Generale degli Incunaboli, 6184) ed Eucharius Silber (1487, IGI 6185; 1498, IGI 6186); non sembrano invece da attribuire al frate le prediche tradite nel ms. G IX 26 della Biblioteca comunale di Siena. Quanto alla predicazione in volgare, dispersa secondo Brandolini durante il viaggio in mare del 1498, ci restano solo due prediche in extenso (Firenze, Biblioteca Laurenziana, Biscion. 36), due compendi di sette prediche tenute in San Lorenzo a Firenze, redatti da un anonimo (Firenze, Ricc. 1186c), alcuni stralci trascritti da Margherita Soderini (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. XXXV 98).
La presenza di Pomicelli a Lucca è attestata nel Registro degli Anziani dal 1488, quando fondò per i poveri la Congregazione di S. Martino (Societas S. Martini), i cui statuti si conservano nell’Archivio di Stato: il 17 marzo 1489 un’epistola informava Innocenzo VIII della nascita della Congregazione (nell’aprile 1491 ne fondò una seconda a Ferrara, i cui statuti in originale sono nel ms. 346, ff. 1-10, della Biblioteca comunale, miniato forse alla scuola di Cosmè Tura; copia secentesca è il ms. Vat. lat. 12601).
Profondo e insanabile esplose nel 1489 lo scontro di Pomicelli con il predicatore Bernardino da Feltre in merito alla fondazione nella città toscana di un Monte di Pietà. È ancora da ricostruire l’esatta dinamica degli eventi, ma certo l’opposizione del frate rispecchiava anche il volere del Magnifico; appena un anno prima molti predicatori francescani, ostili ai Medici (e agli ebrei che con i loro prestiti li sostenevano), erano stati espulsi da Firenze, divenendo oggetto degli attacchi degli intellettuali medicei. E nel 1493, insieme ai teologi Mariano Sozzini, Felice Sandei, Giovan Battista Caccialupi, Girolamo Savonarola e altri, Pomicelli espresse un parere sull’accoglienza in città dei «feneratores iudaei», raccomandati da Ferdinando e Alfonso d’Aragona, ma fortemente avversati da Bernardino da Feltre (Archivio di Stato di Lucca, Off. sopra la Giurisd., Processi stacc. 1493-94, 57: CC 4, 5, autogr.; Gutierrez, 1969).
Ma è a Firenze che il frate manifestò appieno la sua influenza. Intellettuale organico al potere mediceo, da una parte promuoveva la politica e l’azione diplomatica del Magnifico nell’intera penisola, dall’altra si affermava quale solido contraltare della predicazione francescana. Vicino a Poliziano, Pulci, Pietro Domizi e i Verini, condivise la linea culturale ficiniana: con la sua colta predicazione puntava a conciliare sapienza pagana e fede cristiana, in linea con le discussioni tenute insieme a Pico e Lorenzo nel convento di S. Gallo «veluti in christianae fidei academia», come scrisse Niccolò Valori, biografo del Magnifico (Vita, 14-16).
Poliziano ne elogiò l’ars oratoria nella praefatio ai primi Miscellanea (1489), dedicati a Lorenzo de’ Medici, contrapponendola alla rozzezza della predicazione francescana ed esaltando al tempo stesso le direttrici culturali del mondo patristico greco-latino nelle quali l’agostiniano si riconosceva; il 22 marzo 1490 l’umanista, informato da Tristano Calco sul successo del frate a Milano, ricordava di averne ammirato l’oratoria di stampo ciceroniano, nutrita di cultura classica e militanza religiosa (Epist. 4, 6). E pure nella corrispondenza tra Andrea Della Cornia e Pico (4 luglio 1490) ritorna l’apprezzamento dell’oratoria latina e volgare del frate, vero e proprio modello. Anche Ugolino e Michele Verini in due epigrammi contrapposero Pomicelli ai predicatori francescani, mentre le lettere indirizzate al frate da Michele documentano il tenore dei loro rapporti (Epist. 1, 29 e 2, 80; Verde, 1977, pp. 679-680, 712-713). E se Luigi Pulci nella Confessione lo rievocava come l’artefice della sua conversione religiosa, intensi furono i rapporti con gli agostiniani Raffaele e Aurelio Brandolini; quest’ultimo entrò, l’8 settembre 1491, nel convento di S. Gallo. Pomicelli divenne presto punto di riferimento di molti esponenti dell’élite fiorentina: nel gennaio 1485 Orsino Lanfredini descriveva al padre Giovanni, ambasciatore a Napoli, la sua frequentazione del frate insieme al precettore Giuliano Sabino (Verde, 1977, p. 761). Meno noti legami con l’ambiente umanistico fiorentino emergono pure dalla Gymnastica monachorum del camaldolese Paolo Orlandini e dal suo Symposium praecellentiae, dialogo sui meriti dell’antichità in rapporto ai tempi moderni ambientato nel 1492 in S. Maria degli Angeli nel quale Pomicelli è interlocutore con Marsilio Ficino, Oliviero da Siena, Domenico Benivieni e Guido, priore del convento (Firenze, Biblioteca nazionale, II I 158, ff. 293v-298v: dopo il 1493 i rapporti con i camaldolesi sono documentati nell’epistolario del generale Pietro Dolfin).
Alla fine degli anni Ottanta, all’apogeo della propria popolarità a Firenze, Pomicelli godeva del pieno favore di Lorenzo, che nel 1487-88 iniziò a edificare per lui «sumptu pene regio» il convento di S. Maria del Popolo a Porta S. Gallo, accanto all’omonima chiesa, su progetto di Giuliano Giamberti (‘il Sangallo’): «un convento capace per cento frati, del quale ne fu da molti architetti fatto modelli, et in ultimo si mise in opera quello di Giuliano» (G. Vasari, Le Vite […], a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, IV, Firenze 1976, p. 136); il frate divenne priore perpetuo con breve papale dell’8 settembre 1489. Il capitolo della Congregazione di Lombardia celebrato a Bologna nell’aprile del 1491 ufficializzò la bolla di Innocenzo VIII che, pure su richiesta di Lorenzo (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, f. 43, doc. 67r; Fabroni, 1784, p. 290), sanciva il passaggio del convento dalla Congregazione di Lecceto a quella di Lombardia.
Il sontuoso monastero fu l’icona della simbiosi tra Pomicelli, i Medici e Firenze, e il simbolo del potere del frate, l’epicentro della sua complessa attività diplomatica: tra le sue pareti egli ricevette i principali protagonisti dello scenario politico di fine Quattrocento, spesso autori di memorabili descrizioni del complesso monumentale. Della costruzione di S. Gallo narrano numerose fonti coeve, fiorentine (Niccolò Valori, Machiavelli, Guicciardini, Poliziano, Bartolomeo Dei) e non solo (il milanese Giovanni Biffi nella dedica al Magnifico del suo Facetiarum liber lo considerò la punta di diamante del mecenatismo di Lorenzo: Firenze, Biblioteca Laurenziana, Pl. 65, 53). L’edificio fu rappresentato da Giorgio Vasari, prima della distruzione nel 1530, in una veduta della Sala di Cosimo a Palazzo Vecchio («io ho figurato il borgo, le case, la piazza e ’l convento, acciocché, poiché egli è rovinato, ne rimanesse in pittura, a chi non le vide, questa memoria», Ragionamenti, p. 94).
Nel frattempo, la situazione culturale, religiosa e politica in Firenze si venne modificando. Nel maggio 1491 ci fu uno scontro frontale tra Pomicelli e Girolamo Savonarola, con un attacco del primo, durante una predica tenuta in S. Gallo, all’impostazione profetica del domenicano ferrarese, e una pronta risposta di Savonarola. Con quest’ultimo, astro nascente, si schierarono alcuni dei sostenitori di Pomicelli. I contrasti si inasprirono e proseguirono in Curia, dove nel 1492, schieratosi accanto a Piero de’ Medici (del quale aveva battezzato il figlio) dopo la morte del Magnifico, Pomicelli si recò.
La letteratura filosavonaroliana, da Pacifico Burlamacchi a Luca Landucci e Iacopo Nardi, enfatizza l’opposizione del frate contro Savonarola presso Alessandro VI e il collegio dei cardinali. Johann Burckard nel Liber notarum ne ricorda l’orazione del 13 aprile 1498 (Deramaix, 1997, pp. 187-196): cinque giorni dopo l’arresto di Savonarola, Pomicelli approfondiva il concetto e la definizione stessa di profezia nel contesto della storia della Redenzione (come poi Egidio da Viterbo). La forte influenza da lui esercitata sul papa traspare anche chiaramente dall’epistolario savonaroliano, dove si allude all’operato del frate pur senza farne il nome.
Per Piero, come già per Lorenzo, Pomicelli continuò a svolgere una febbrile attività diplomatica. Era a Mantova nell’estate del 1492 presso Francesco e Isabella Gonzaga (alla morte della madre avrebbe scritto una consolatoria, ora perduta; nel 1525 Giacomo Calandra trovò tra i volumi di Mario Equicola «un libro picolo di mano di frate Mariano» scritto per Isabella: Luzio - Renier, 1899, pp. 61 s.).
Nel novembre 1492 a Roma riceveva in prestito dalla Biblioteca Vaticana un manoscritto con versioni patristiche attribuite al Traversari (forse Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 1213): «ego frater Laurus de Bossis de Mediolano […] habui librum qui appellatur Paradisus et quaedam alia in eodem volumine mutuo pro rev. patre magistro Mariano de Zenizano […] ex membranis in rubeo, die 20 nov. 1492». Negli anni 1491-93, priore di S. Maria del Popolo nell’Urbe, partecipò intensamente alla vita dell’Ordine (dal 1493 al 1495 fu vicario della Congregazione lombarda, e nel 1494 celebrò il sinodo generale a Ferrara dopo aver deposto la carica di vicario e accettato quella di definitore). I rapporti con Ercole d’Este si intensificarono (in un carteggio dell’Archivio di Stato di Modena di ben 24 missive il duca sollecitava la sua presenza): il frate predicò con successo nel duomo di Ferrara la Quaresima del 1493 (Diario ferrarese, a cura di G. Pardi, Bologna 1934-37, col. 288), ispirando a Pietro Domizi, che lo ricordava nel proemio, l’Augustinus, commedia cristiano-pedagogica per Ercole d’Este rappresentata a Firenze presso gli agostiniani.
La rivoluzione politica fiorentina del 1494 e l’affermazione savonaroliana (con le accuse esplicite del domenicano, a lui rivolte) indussero Pomicelli a ritirarsi a Roma, ove predicò nella Quaresima del 1495, e il 18 agosto accettò, su richiesta di Alessandro VI e del cardinale protettore Raffaello Riario, di affiancare il generale Anselmo da Montefalco, già malato, nel governo dell’Ordine.
Secondo Vespasiano da Bisticci, nel 1496, alla morte di Guglielmo Becchi, vescovo di Fiesole e priore generale dell’Ordine vicinissimo ai Medici, Pomicelli recitò in Firenze una solenne orazione funebre, della quale non rimane traccia. Il 3 luglio scompariva anche Agostino Piccolomini, nipote del suo antico protettore, il cardinale Francesco: il frate scrisse un’intensa consolatoria (Roma, Biblioteca Angelica, ms. 1077, f. 12r). Nella seconda parte dell’anno si trasferì a Firenze per diversi mesi; a novembre, fresca di stampa, Bartolomeo Scala gli inviò l’Apologia contra vituperatores civitatis Florentiae, dove rispondeva all’accusa che la città fosse governata da profeti, frati e predicatori (una lettera a Pomicelli in Modena, Biblioteca Estense, Campori, App. 235 [Gamma P 2, 5]).
Morto Anselmo, nel gennaio 1496 Pomicelli convocò a Roma un capitolo generale per la successiva Pentecoste: forse per la sua salute malferma, venne celebrato solo la primavera seguente. Nell’agosto 1497, fallito il tentativo di tornare a Firenze da parte di Piero (tenacemente sostenuto dal frate, ricorda Guicciardini), Lamberto dell’Antella svelò il complotto dei fiorentini per la restaurazione dei Medici. Messi a morte i capi, il frate agostiniano, riconosciuto reo insieme al confratello Serafino Ferri, venne esiliato da Firenze (Archivio di Stato di Firenze, Otto di guardia, 108, ff. 140v-141r). Le cronache filosavonaroliane enfatizzarono il ruolo di Pomicelli presso Alessandro VI in merito alla scomunica di Savonarola e alla persecuzione dei suoi (Ricciardo Becchi ai Dieci di Libertà, 30 maggio 1497).
Il 13 maggio nel capitolo romano il frate era stato eletto priore generale: al suo iniziale rifiuto il cardinale Riario sostenne la decisione dei capitolari affinché, pure se malato, accettasse la carica.
Le disposizioni relative agli anni nei quali Pomicelli affiancò Anselmo da Montefalco si conservano nel registro Dd 8 dell’Archivio generale degli agostiniani. Con l’elezione egli iniziò un nuovo registro (Dd 9) ora perduto: Thomas de Herrera poté consultarlo nel 1630-34 traendone copiosi estratti (Madrid, Biblioteca nacional, ms. 8435), e alcune lettere del frate da aggiungere alla lista dei suoi scritti (Cherubelli, 1940, pp. 7-17).
A capo dell’Ordine per diciotto mesi, Pomicelli diede prova di ampie vedute. Dagli atti del capitolo del 1497 emerge il suo tentativo di rafforzamento dell’autorità del priore generale sulle congregazioni osservanti, orientate a estendere la propria autonomia e redigere le loro costituzioni. Pomicelli si oppose al fatto che avessero un procuratore a corte e incrementò le visite attraverso vicari e commissari propri; mirava inoltre a istituire un governo dei conventi delle monache (Acta capituli generalis O.E.S.A. a. 1497 Romae celebrati, 1919, pp. 7-30). Un breve di Alessandro VI confermò gli atti del capitolo (26 maggio 1497), ma gli osservanti di Lombardia reagirono, protetti da Ludovico il Moro e dal cardinale Riario, che stilò un secondo breve con il quale il papa annullava il primo (26 gennaio 1498, Acta capituli generalis O.E.S.A. a. 1497 Romae celebrati, cit., pp. 52-58). Nel 1550 Girolamo Seripando avrebbe ripreso diversi elementi della politica di riforma di Pomicelli per ristabilire l’unità dell’Ordine attraverso la sottomissione di provincie e congregazioni osservanti. Con determinazione il frate aveva anche affrontato il problema del rinnovamento degli Studia, pure attraverso la formazione di biblioteche conventuali: nel 1496, alla morte di Basilio di Gabriele, del convento di Pisa, professore dello Studio fiorentino, dispose che i libri rinvenuti nella sua cella non venissero alienati ma collocati nella nascente biblioteca (Verde, 1985, IV, 3, pp. 1238 s.).
Nel frattempo fece parte di importanti legazioni pontificie a Urbino, Pesaro e Napoli. Fu a Pesaro nel 1497, secondo Machiavelli e alcune cronache coeve, per sedare i dissapori tra il duca Giovanni Sforza e la sposa Lucrezia Borgia, figlia del papa; la spedizione fu fallimentare per l’ostilità del duca. Annullato il matrimonio, nel 1498 Pomicelli venne inviato da Alessandro VI presso Federico d’Aragona per concertare le nozze tra Lucrezia e suo nipote Alfonso, poi celebrate in Vaticano il 21 luglio 1498: portò con sé il segretario, Serafino da Cremona, ed Egidio da Viterbo, più tardi suo successore.
Egidio, teologo e umanista entrato nell’Ordine nel 1485 forse anche per la predicazione di Pomicelli a Viterbo, fu protetto e sostenuto dal suo generale, che lo richiamò da Capodistria nel 1497 destinandolo, pure se contestato per le sue teorie platonizzanti, a insegnare a Firenze. L’anno successivo lo volle come socio nelle ispezioni ai conventi della provincia napoletana: dai bagni di Pozzuoli, in cerca di sollievo ai propri malanni, Pomicelli scriveva il 1° giugno 1498 a Stefano da Genazzano; il 10 settembre predicava in occasione della festa di S. Nicola da Tolentino a Napoli, dove rimase almeno fino al 22 settembre (Roma, Biblioteca Angelica, ms. 1170, ff. 1, 119). Nello stesso anno Egidio, scrivendogli, delineò un efficace ritratto morale del frate, che aveva portato a termine la missione presso l’Aragonese e che però per ragioni di salute intendeva abbandonare il governo dell’Ordine (Egidio da Viterbo, Lettere familiari, I, 1494-1506, a cura di A.M. Voci, 1990, pp. 98-100). Per abilità oratoria Pontano vide in Egidio, che avrebbe stabilito una forte linea di continuità con Pomicelli rielaborando molte sue posizioni dottrinali, l’erede e successore del frate anche presso le «christianae musae» (G. Pontano, Aegidius, in I Dialoghi, a cura di G. Previtera, 1943, p. 249).
Alla fine di novembre del 1498 il generale si imbarcò a Napoli; le fonti tramandano che a Pozzuoli, per una tempesta, si dovettero eliminare dal carico alcune casse di libri, con un prezioso codice del convento viterbese contenente gli antichi atti dei religiosi agostiniani, una storia dell’Ordine, documenti su Lecceto e alcuni scritti teologici del frate. Sbarcato a Gaeta, si recò a Sessa Aurunca, dove morì tre giorni dopo, il 14 dicembre 1498, secondo una nota autografa di Egidio da Viterbo (Roma, Archivio OSA, ms. Cc 37, f. 116).
Nei Commentaria urbana Raffaele Maffei sostiene che Pomicelli morì a Tivoli di crepacuore per l’esito negativo della missione (f. 295r), mentre Brandolini racconta con dovizia di particolari il suo decesso a Sessa Aurunca. Un anonimo narra che la sua morte era stata predetta da Savonarola (Villari, 1887, II, pp. LXII-LXV).
A Roma in S. Agostino il 3 gennaio 1499 vennero celebrate esequie solenni, descritte puntualmente da Burckard; Raffaele Brandolini recitò l’Oratio parentalis de obitu M. Mariani Zenazanensis. Nel 1513 per volere di Egidio le spoglie del frate vennero traslate da S. Agostino all’Eremo di Lecceto accanto a quelle di Anselmo da Montefalco, in un sepolcro marmoreo a destra dell’altare maggiore della chiesa: nell’iscrizione l’umanista sottolineava il proprio legame con entrambi i predecessori. Il refettorio conserva un ovale sei-settecentesco dove è ritratto Pomicelli con barba lunga e folta.
L’orazione resta una fonte privilegiata per la biografia di Pomicelli (Roma, Biblioteca Angelica, ms. 714). Un denso mosaico di testimonianze emerge pure dagli epigrammi a lui rivolti da Filippo Beroaldo jr, Giovanni Pontano (Tum. 1, 17: lo citò anche nell’Aegidius, dedicato a Egidio da Viterbo), Ludovico Bigo Pittori, Lancino Curti (Milano, Biblioteca Braidense, A H XII 18); lo ricorda Giuliano Fantaguzzi nella sua cronaca Caos, mentre Cortesi nel De Cardinalatu, pur disapprovandone l’eccessiva raffinatezza, elogiava l’efficacia della sua predicazione (ff. 84r, 103v). Ma la popolarità del frate presso il mondo umanistico risalta soprattutto nella miscellanea poetica in mortem allestita dal bolognese Girolamo Casio, 42 componimenti latini e italiani solo in parte editi (Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 2618, ff. 39r-55r).
Fonti e Bibl.: Utile punto di riferimento bio-bibliografico per l’accurato spoglio delle fonti archivistiche resta D.A. Perini, Un emulo di Fr. Girolamo Savonarola: Fr. M. da G., Roma 1917 (rist. a cura di V. Stella, Roma 1998). R. Maffei, Commentariorum urbanorum octo et triginta libris, Romae, per Johannem Besicken Alemanum, 1506, f. 295r; P. Cortesi, De cardinalatu, in Castro Cartesio, Symeon Nicolai Nardi, 1510, ff. 84r, 103v; L. Bigo Pittori, In coelestes proceres hymn. epitaphior. liber. Eiusdem epigr. libelli duo, Ferrariae, Johannes Maciochus Bondenus, 1514, k VIIr, lVv; P. Dolfin, […] Epistolarum volumen, Venetiis, Bernardinus Benalius, 1524, mVIIv, qIr, rVIIIr; A. Poliziano, Opera omnia, Basileae, apud Nicolaum Episcopium, 1553, pp. 52 s., 217; Th. de Herrera, Alphabetum augustinianum, Matriti 1664, pp. 79-83 (rist. anast. Roma 1989); A. Allegretti, Diari Sanesi, a cura di L. Muratori, in RIS, XXIII, Mediolani 1733, coll. 809, 816; A. 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