STABILE, Mariano
STABILE, Mariano. – Nacque a Palermo, il 18 maggio 1888, da famiglia di alto lignaggio; gli fu imposto il nome dello zio, Mariano, figura di spicco nella storia del Risorgimento italiano, sindaco di Palermo dal 1862 alla morte (1863).
Interrotti gli studi presso l’Accademia di Santa Cecilia, dove fu allievo del baritono Antonio Cotogni, il 26 novembre 1909 Stabile debuttò al teatro Biondo di Palermo, come Marcello nella Bohème, e subito dopo in Aida, come Amonasro. Ricomparve al Biondo l’anno successivo, nella Traviata (Germont) e nel ruolo eponimo in Rigoletto, a fianco del giovane Tito Schipa. Dopo una tournée ad Alessandria d’Egitto, nel 1910 si produsse a Forlì, I puritani (Giorgio), e poi a Terni, Carmen (Escamillo). Nel 1911 fu Nevers negli Ugonotti a Bergamo; nel 1912 cantò La fanciulla del West al Verdi di Trieste, Manon Lescaut e Otello al Dal Verme di Milano; e comparve alla Fenice di Venezia, nella Carmen, iniziando una lunghissima collaborazione: vi cantò La fanciulla del West (1913, 1920, 1939), Tosca (1920, 1939, 1954), Andrea Chénier, Madama Butterfly, Il mistero (Rocco) di Giovanni Monleone e Pagliacci (1921), Falstaff (1934, 1944, 1959), I maestri cantori di Norimberga (1938), Le nozze di Figaro (1940), Il turco in Italia (1960; Prosdocimo); nel marzo 1967 fu presente in qualità di conferenziere nelle Sale Apollinee.
Nel 1912 intraprese la prima tournée in America Latina, esibendosi al Colón di Buenos Aires, a Rosario e a Córdoba. Nella stagione 1912-13 si produsse all’Opera di Roma nell’Arabesca (Arusi) di Monleone, nella Traviata e nella Gioconda (Barnaba), subentrando in queste opere per alcune recite a Riccardo Stracciari. Vi ritornò nella stagione 1924-25 per Falstaff, che riprese nelle stagioni 1929-30, 1936-37, 1939-40. Fu Sileno nel Dafni di Giuseppe Mulè (1929-30); Figaro nelle Nozze di Figaro (1930-31, 1933-34, 1938-39, 1945-46) e Beckmesser nei Maestri cantori di Norimberga (1930-31), diretto da Tullio Serafin; Mefistofele nella Dannazione di Faust (1930-31); Scarpia nella Tosca (1936-37) a fianco di Maria Caniglia e Beniamino Gigli (riprese l’opera nella stagione 1938-39).
Nel 1917 cantò La fanciulla del West al Massimo di Palermo, l’anno dopo fu dapprima al Coliseu di Lisbona, poi al Bellas Artes di San Sebastián, di nuovo in America Latina, al Colón di Buenos Aires, Ford nel Falstaff, protagonista Giacomo Rimini: vi tornò nel 1919. Nel 1920 fu al Filarmonico di Verona, Atanaele nella Thaïs di Jules Massenet, al Liceu di Barcellona, Manon e Rigoletto con Schipa, e al Real di Madrid.
Nel 1921 debuttò alla Scala nel Falstaff, scritturato da Arturo Toscanini, che lo richiamò per le riprese del 1922, 1924, 1927, 1928, 1929. Dopo la ripresa del 1931, direttore Ettore Panizza, Stabile fu il Falstaff di Victor De Sabata negli anni 1935, 1936, 1942, 1950, 1951 e 1952 (nel 1944 eseguì l’opera al Donizetti di Bergamo con i complessi della Scala, lì attivi per gli eventi bellici), divenendone l’interprete per antonomasia. Alla Scala nel 1923 fu l’eroe eponimo nella ‘prima’ del Belfagor di Ottorino Respighi, nel 1927 cantò Andrea Chénier e Tosca, direttore Toscanini, che nel 1928 lo volle nell’Otello (Jago); in quell’anno, sotto la guida di Richard Strauss, fu Figaro nelle Nozze di Figaro; nel 1929 cantò Don Giovanni, nel 1930 in alcune recite della Bohème e nel Don Pasquale (Malatesta); nel 1931 ripropose Don Giovanni e fu Plunkett nella Marta di Friedrich von Flotow; nel 1932 fu De Siriex nella prima scaligera della Fedora di Umberto Giordano e Arlecchino in Basi e bote di Riccardo Pick-Mangiagalli; nel 1934 cantò Louise (il Padre) di Gustave Charpentier; nel 1935 si produsse in Otello e nel 1936 nella Donna silenziosa (il Barbiere) di Strauss, entrambe sotto la direzione di Gino Marinuzzi. Nel 1941 fu Beckmesser nei Maestri cantori di Norimberga; nel 1942 cantò Gianni Schicchi, Otello e L’elisir d’amore (Dulcamara); nel 1944 Don Pasquale (Malatesta), La bohème, Le nozze di Figaro (Figaro); nel 1945 riprese Gianni Schicchi e I maestri cantori, Manon Lescaut e Tosca, fu Don Giovanni in un allestimento andato in scena il 21 aprile, pochi giorni prima della Liberazione, e in dicembre interpretò Giovanni lo Sciancato nella Francesca da Rimini, diretto da Antonio Guarnieri. Nel dopoguerra apparve ancora nel Falstaff (1950, 1951, 1952), direttore De Sabata, e infine, nel 1955, nel Turco in Italia di Gioachino Rossini (Prosdocimo), che con la stessa prima donna (Maria Callas) e lo stesso direttore (Gianandrea Gavazzeni) egli aveva già interpretato nella riscoperta moderna dell’opera, all’Eliseo di Roma nel 1950.
Nel 1924 si segnalò come Don Giovanni al festival mozartiano di Parigi (all’Opéra aveva debuttato nel 1917, Amonasro in Aida). Nella primavera del 1929 fu acclamato nel Don Giovanni al Covent Garden, direttore Sir John Barbirolli; nel 1930 cantò a fianco di Beniamino Gigli nell’Andrea Chénier e nella Tosca, che ripropose l’anno successivo con La bohème. Il crescente prestigio fu confermato dal debutto al Festival di Salisburgo nel 1931, Malatesta nel Don Pasquale, nell’ambito della stagione d’opera italiana; nel 1935, 1936 e 1937 vi cantò Falstaff con Toscanini (lo riprese nel 1938, diretto da Vittorio Gui, e nel 1939, con Serafin, che in quell’anno lo ebbe come Figaro nel Barbiere di Siviglia); nel 1937 fu il Conte d’Almaviva nelle Nozze di Figaro dirette da Bruno Walter. Nel 1936 Fritz Busch lo invitò al Festival di Glyndebourne, Figaro nell’opera di Mozart, che riprese nel 1938 e nel 1939 unitamente al Don Pasquale (Malatesta), mentre nel 1948 al King’s Theatre di Edimburgo fu Don Alfonso in Così fan tutte, direttore Gui.
Al San Carlo di Napoli cantò La cena delle beffe (1925), Falstaff (1925, 1931, 1940, 1948), La dannazione di Faust (1937), Otello (1939; 1942, con Lauro Volpi), I maestri cantori (1940), Tosca (1941, 1950), Così fan tutte (1951, direttore Gui), Le nozze di Figaro (1951); e nel 1955 al teatro di Corte Il turco in Italia (direttore Gui). Nel 1937 debuttò al Maggio musicale fiorentino, Jago nell’Otello e Figaro nelle Nozze, diretto rispettivamente da De Sabata e da Walter; vi tornò nel 1940, Papageno nel Flauto magico, sotto la bacchetta di Gui. Nel 1942 cantò Falstaff (nel marzo e aprile del 1943 lo spettacolo fu portato in tournée a Trieste, poi in Germania, in Austria e nei Paesi occupati, Ungheria e Olanda); nel Maggio dello stesso anno Don Giovanni diretto da Herbert von Karajan; nella primavera del 1943 Otello e La buona figliola (Tagliaferro) di Niccolò Piccinni; nel Maggio 1955 Così fan tutte (Don Alfonso) e di nuovo Falstaff. Nel giugno del 1967 al Comunale di Firenze l’importanza della sua parabola artistica venne rievocata nel Convegno internazionale di studi toscaniniani.
Oltre che sulle grandi ribalte italiane e straniere, Stabile fu presente al Donizetti di Bergamo, al Comunale di Bologna, al Verdi di Padova, al teatro del Casinò municipale di Sanremo, al Carlo Felice di Genova. Nel 1935 fu allo Smetana di Praga con Tosca, nel 1940 all’Opernhaus di Berlino con Falstaff, direttore Serafin. Protrasse l’attività fino alla metà degli anni Cinquanta, continuando a comparire nei maggiori teatri d’Italia con il suo repertorio d’elezione, cui aggiunse qualche titolo desueto come il citato Turco in Italia o L’Aiglon (Metternich) di Arthur Honegger e Jacques Ibert (Comunale, Bologna, 1956). In questo periodo fu incitato a cimentarsi nella regia, per esempio nel Falstaff della Fenice nel 1959. Diede l’addio alle scene nel 1963 al Sociale di Como con Don Pasquale. Si dedicò all’insegnamento, con corsi di perfezionamento e tenendo conferenze.
Morì a Milano l’11 gennaio 1968.
Negli anni Venti aveva sposato il soprano Gemma Bosini: si erano conosciuti nel 1915.
Nata a Milano nel 1890, Bosini, dopo gli studi con Salvatore Pessina, aveva debuttato nel 1909, Mimì nella Bohème, iniziando una bella carriera che la portò al Biondo e al Massimo di Palermo, al Petruzzelli di Bari, al Rendano di Cosenza, al Liceu di Barcellona, al Carcano di Milano, al Nuovo di Verona, al Sociale di Cagli, al Verdi di Pisa, all’Apollo di Lugano, al Coccia di Novara, al Politeama Chiarella di Torino, al Giglio di Lucca, al Municipale di Modena. Il repertorio di Bosini, voce di soprano lirico puro, abbracciava eroine pucciniane, come Mimì, Cio-Cio-San, Floria Tosca, nonché Margherita nel Faust, Desdemona nell’Otello, Micaëla nella Carmen, donna Elvira nel Don Giovanni, Alice nel Falstaff, di cui divenne una specialista. Dopo il matrimonio si ritirò dalle scene. In tarda età fu ospite della Casa di riposo Giuseppe Verdi di Milano, dove morì il 2 febbraio 1982. La sua voce e la sua arte sono testimoniate da alcune incisioni della Gramophone Company con brani da Wally, La vedova allegra, Mefistofele, Tosca, La bohème, Faust.
Stabile si accostò alla sala d’incisione all’inizio degli anni Venti per Fonotipia, con alcuni 78 giri realizzati con il sistema acustico, che raccolgono le prime testimonianze del suo Falstaff, accanto a pagine di repertorio e due rari brani del Nerone di Arrigo Boito. Tra fine anni Venti e inizio Trenta incise con metodo elettrico per Columbia una nutrita serie di 78 giri, in cui compaiono anche brani da opere mozartiane (Don Giovanni, Le nozze di Figaro). Nel 1942 realizzò per Telefunken un florilegio di brani del Falstaff, il cui ascolto integrale è possibile grazie a registrazioni dal vivo del 1937 (Festival di Salisburgo) e del 1941 (Opera di Roma). Tra i documenti più importanti vanno annoverate la registrazione dal vivo delle Nozze di Figaro del 1937 (Salisburgo), direttore Walter, e quella in studio di Così fan tutte, realizzata nel 1949 sotto la direzione di Karl Böhm.
Stabile aveva una voce di baritono timbrata ma chiara, educata ai precetti dell’antica scuola di canto: grazie a essa maturò una tecnica pregevole, ancorché non eccezionale. Pur senza possedere mezzi fuori dal comune – il timbro era piuttosto secco e non presentava una gran dovizia di armonici – Stabile sfoggiava un canto di alto livello, che unito a una rara intelligenza artistica gli permise di realizzare interpretazioni straordinarie: in particolare Falstaff, intonato per più di 1200 recite, rappresentò l’esito più memorabile della sua carriera. Gaetano Cesari (Il corriere della sera, 21 dicembre 1921), all’indomani del debutto scaligero nel capolavoro verdiano, scrisse: «La misura del suo gesto, la verità del suo accento tali da ricordare gli interpreti più grandi che lo hanno preceduto in quest’opera diedero a Falstaff una contenutezza ed una facoltà espressiva per cui il personaggio balzò fuori vivo ed interessante dallo sfondo della commedia». Eugenio Gara, commentando una tardiva esecuzione alla Scala (Candido, 15 gennaio 1950), così sintetizzava con l’acutezza del grande esperto di voci: «Va vecchio John, per la tua via. Baritono vecchio fa buon brodo. Ecco un proverbio che alla Scala diventerà popolare dopo questo Falstaff. Il sipario si è levato tra qualche battuta sportiva, in platea parecchi a domandarsi: Ma il grande Stabile ce la farà ancora? Ce l’ha fatta? Meazza passa. Piola tramonta. Ma Stabile continua ad essere stabile in questa parte che gli fu insegnata da Toscanini [...] non solo le risorse dell’attore sono intatte, ma anche la sua vocalità non è poi sostanzialmente diversa da quella di un tempo. Anche negli anni verdi, infatti, gli acuti di Stabile erano piuttosto acetilsalicilici, e i numerosi falsetti, i glissando, tutte quelle agili fouilletées canore con cui gli interpreti di razza saltano bravamente gli ostacoli. Ma la colorazione della parola era ed è, in certo modo, senza confronti: e così il gesto, l’incedere, il dominio [...] del personaggio». Pur sottolineando l’eccellenza del suo Falstaff – non s’è finora trovato un erede che abbia saputo innamorarsi del personaggio verdiano con altrettanta sottile arguzia e serena ironia – non andranno taciuti il pungente Beckmesser, il sapido Dottor Malatesta, le sue letture mozartiane: un Don Giovanni che con assoluta originalità rivaleggiò con quello proverbiale di Ezio Pinza, un Conte d’Almaviva disegnato con canto e gesto aristocratico e algido, un Figaro stilizzato, un Don Alfonso colto nel suo illuministico cinismo. Quanto a Scarpia, egli seppe comprendere tutta l’originalità di una vocalità complessa, sottraendola alle intemperanze vocali che troppo spesso la sviliscono. Succedeva qualcosa di analogo al Figaro del Barbiere, che, se non può essere accostato a quello travolgente di Stracciari, esaltava tutta la raffinatezza della scrittura rossiniana. In ognuna di queste interpretazioni il canto si completava con il gesto, la cura del costume, l’arte del trucco per creare una maschera originale e incisiva, tesa a disegnare un ritratto teatrale autentico e a dare credibilità all’azione scenica. Così sapeva rispondere alle esigenze dei pubblici più smaliziati e nel contempo offrire nella sua pienezza il mondo dell’opera all’ammirazione delle ribalte più popolari.
Fonti e Bibl.: G. Gualerzi, S. M., in Le grandi voci, Roma, 1964, pp. 795-797; G. Gualerzi, S.: a centenary tribute, in Opera, XXXIX (1988), 10, pp. 1190-1194; G. Marinuzzi, Tema con variazioni. Epistolario artistico di un grande direttore d’orchestra, a cura di L. Pierotti Cei Marinuzzi - G. Gualerzi - V. Gualerzi, Milano 1995, pp. 154, 208, 261, 329, 380, 392, 546, 550 s., 554 s., 559, 561, 607, 682, 745, 767, 830, 832, 863; K.J. Kutsch - L. Riemens, Großes Sängerlexikon, V, 1997, p. 3314; S. Aiello - G. Albergamo, M. S., in Cantanti lirici siciliani, Palermo 2002, pp. 165-185; J. Kesting, Die großen Sänger, Kassel 2010, pp. 970 s.