MARIANO Torchitorio di Lacon Gunale
MARIANO Torchitorio di Lacon Gunale. – Giudice di Cagliari (Calari), secondo di questo nome, nacque presumibilmente verso gli anni Settanta dell’XI secolo dal giudice Costantino Salusio e da Giorgia di Lacon. Compare per la prima volta in un documento datato 30 giugno 1089 (o 1087 secondo Besta, 1905) insieme con il padre, la madre, la nonna Vera e altri parenti. Il documento è una conferma di alcune donazioni fatte da suo nonno giudice Orzocco (Arzocco, Arzo) Torchitorio con la moglie Vera ai monaci vittorini di Marsiglia. Compare insieme con il padre anche nell’atto di fondazione del monastero di S. Saturno (Saturnino) a Cagliari, sempre del 1089, e si firma «Marianus iudex et rex», il che significa che era già stato associato al governo del Giudicato ed era in grado di firmare (Codex diplomaticus Sardiniae [= CDS], doc. XVI, sec. XI, pp. 160 s.; doc. XVII, sec. XI, pp. 161 s.). Non è noto a che età un figlio potesse essere associato al trono, ma è certo che dovesse avere almeno 14 anni, età in cui in alcuni Stati si veniva considerati fuori della minorità, si poteva prestare servizio militare ed essere testimoni in atti di natura giuridica.
Da un altro documento della stessa epoca (la cosiddetta Carta sarda in caratteri greci) è noto il nome dei suoi bisnonni: Mariano (I) e Giorgia di Serzale.
La Carta sarda in caratteri greci (conservata a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, 1.H.88, n. 427) non ha data, come spesso accade nei documenti sardi, ma è collocata nella seconda metà del secolo XI. In essa il giudice Costantino Salusio fa un’ampia donazione al monastero e alla chiesa di S. Saturno dei monaci benedettini di Marsiglia in memoria del padre giudice Orzocco Torchitorio, delle terre di sua proprietà, alcune delle quali ereditate dal nonno giudice Mariano e dalla nonna Giorgia di Serzale. Fra i testimoni compare anche un «donnikellu» Mariano che potrebbe essere Mariano Torchitorio (I). I primi giudici di Cagliari usavano l’alfabeto greco per scrivere – in sardo – i documenti ritenuti importanti. Si era persa la conoscenza della lingua greca, ma si usavano quei caratteri per dare maggiore autorevolezza agli atti. Con lo stesso intento si usavano probabilmente i nomi dinastici alternativamente di Torchitorio e di Salusio da affiancarsi a quelli propri.
M. sposò Preziosa di Lacon, dalla quale ebbe Costantino.
Il governo di M. sembra interrompersi intorno al 1104, almeno momentaneamente: in due documenti relativi a quell’anno compare come giudice di Cagliari un certo Torbeno (CDS, doc. I, sec. XII, pp. 177 s.; doc. II, sec. XII, p. 178) e di M. non si fa menzione. Si sono fatte molte ipotesi sulla natura di questo interregno, ma l’idea che nel 1104 – cioè ben 15 anni dopo il documento del 1089 che lo vede associato al trono – potesse essere ancora minorenne non è credibile, nonostante diversi studiosi la giudichino possibile. D’altra parte l’incipit del documento di Torbeno non lascia dubbi: «Ego Turbini, omnipotentis Dei gratia Judex Kalaritanus». È interessante notare che nello stesso documento Torbeno concede ai Pisani un teloneo «ut populus Pisanus sit amicus mihi et regno meo, et non offendat studiose neque me, neque regnum meum».
In un documento del 18 giugno 1107, tuttavia (CDS, doc. III, sec. XII, pp. 178 s.) M. ricompare quale «iudex» di Cagliari: «Ego Judex Torchitor de Lacono pro voluntate Dei potestando regnum Callaretani» (e che si tratti di M. non ci sono dubbi, dato che alla fine del documento così spiega: «Spondeo ego qui supra Torchitor, qui proprio nomine Marianus vocor»). In questo documento M. fa donazioni rilevanti a S. Lorenzo di Genova «pro magno servitio et adjutorio, quod in me exercuerunt cives supradictae civitatis […] qui cum sex galeis armatis cum eo pariter in meo servitio venerunt». Ma in un altro documento (CDS, doc. VI, sec. XII, pp. 181 s.) lo stesso M. fa eguali elargizioni al Comune e ai cittadini di Pisa «pro magno servitio quod michi nobilissimi et prudentissimi cives pisani […] cum tres galeas stando mecum in meo servitio in insula Sulcitana cum grandi inopia atque plurimis angustiis operati sunt» e specifica che queste donazioni sono fatte «Pro regno meo et vita quam recuperavi cum grandi honore atque victoria, auxiliante atque onnipotente Deo et michi subvenientibus et fortissime adjutorium praebentibus nobilissimi et fortissimi cives jam dictae civitatis pisanae». In un documento del novembre 1119 (CDS, doc. XXVII, sec. XII, p. 199) l’arcivescovo di Cagliari, Guglielmo, fa una donazione a S. Lorenzo di Genova e dice: «pro precibus et domini Mariani Judicis, cui Januensis populus multum servicii intulit, restituendo eum in regno suo».
P. Tola offre una spiegazione un po’ romanzata dell’accaduto ipotizzando che Turbino (o Torbeno), zio paterno di M., gli avesse usurpato il titolo e lo avesse costretto a fuggire e a chiedere aiuto a Genova e a Pisa, antiche alleate del padre. Questa ipotesi è stata ripresa da Putzulu, che ritiene Torbeno forse fratello di Mariano (II).
Nei documenti citati si parla di sei galee genovesi e tre pisane, il che escluderebbe un usurpatore: perché delle navi se il nemico fosse stato interno? L’accenno, inoltre, all’isola Sulcitana dice forse di una battaglia navale: due flotte appartenenti allo stesso Giudicato e l’una contro l’altra armate non sembra davvero credibile. Inoltre Pisa e Genova – eterne nemiche – si sarebbero quasi certamente schierate una con l’usurpatore e l’altra col legittimo erede e non tutte e due dalla stessa parte. A questo punto ci sarebbe anche da chiedersi chi stava con l’usurpatore, se era necessario un tale spiegamento di forze.
Tutto fa invece pensare a un nemico esterno – magari ai Saraceni, seppur non nominati, o ad altri nemici, come ipotizza anche Besta – che forse lo avevano catturato, o rapito, o comunque fatto prigioniero e da cui fu liberato dallo sforzo congiunto di Pisani e Genovesi, ed è probabile che Torbeno avesse ricoperto pro tempore il ruolo di giudice de facto, cioè di reggente. Anche perché Torbeno non sfoggia alcun nome dinastico, cosa che invece avrebbe probabilmente fatto se fosse stato un usurpatore. Inoltre uno «zio» Torbeno compare in documenti successivi al ritorno di M. e non sembra credibile che se fosse stato un usurpatore sarebbe stato reintegrato nei ranghi della famiglia (CDS, doc. VII, pp. 182 s.), sempre che naturalmente si tratti della stessa persona.
Certo è che fra i 9 testimoni della donazione di Torbeno del 1104 ci sono 5 persone che si trovano anche in quella di M. del 1107 (sono ben 5 su 7) e sono i «donnikellos» (le ragazze e i ragazzi parenti stretti del giudice) Gonario, Pietro, Mariano e Torchitorio e l’amico Zerchis de Rovo. È difficile che tante persone amiche di un usurpatore fossero poi chiamate come testimoni da colui che era stato tradito e spodestato. Inoltre Costantino, figlio di M. e a sua volta giudice, in un documento del 13 febbr. 1130 (CDS, doc. XXXIX, sec. XII, p. 206) conferma le donazioni fatte tempo prima dal padre, ormai evidentemente defunto, anche con la volontà e l’apprezzamento dei fratelli di M. e dello zio materno di quest’ultimo, Torbeno.
L’ultimo documento sicuramente datato in cui M. compare da vivo è una bolla di papa Callisto II del 5 genn. 1121, in cui si conferma una permuta di beni fatta il 29 giugno 1120 tra M. e il capitolo di S. Lorenzo (CDS, doc. XXXI, sec. XII, p. 202).
Da un documento del 13 febbr. 1130 emanato dal figlio Costantino si evince che M. a quella data era morto (CDS, sec. XII, doc. XXXIX, p. 206), mentre Torbeno era ancora vivo.
M. appare nei documenti a volte col «cognome» Unali, Gunali (Solmi), e a volte con il cognome de Lacon (CDS, sec. XII, doc. VI, pp. 181 s.).
Fonti e Bibl.: Codex diplomaticus Sardiniae, a cura di P. Tola, I, Augustae Taurinorum 1861, pp. 160-162, 177-179, 181-183, 199, 202, 206; A. Solmi, Carte volgari dell’Arch. arcivescovile di Cagliari, Firenze 1905, pp. 15-17; G.F. Fara, De chorographia Sardiniae libri duo - De rebus Sardois libri quattuor, a cura di L. Cibrario, Augustae Taurinorum 1835, p. 235; P. Tola, Diz. biografico degli uomini illustri di Sardegna, III, Torino 1838, pp. 258 s.; E. Besta, Rettificazioni cronologiche al «Codex diplomaticus Sardiniae», in Arch. stor. sardo, I (1905), 3-4, pp. 240-249, 293-301; Id., La Sardegna medioevale, I, Palermo 1908, pp. 88 s.; A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo, Cagliari 1917, pp. 14, 144, 206, 395; D. Scano, Serie cronologica dei giudici sardi, in Arch. stor. sardo, XXI (1939), p. 89; R. Pernoud, Luce nel Medioevo, Roma 1978, pp. 23-41; Genealogie medioevali di Sardegna, a cura di L.L. Brook et al., Cagliari-Sassari 1984, pp. 62, 79, 176 s.; E. Putzulu, Costantino di Cagliari, in Diz. biogr. degli Italiani, XXX, Roma 1984, p. 326; G. Paulis, Falsi diplomatici: il caso delle «Carte volgari» dell’Arch. arcivescovile cagliaritano, in Id., Studi sul sardo medievale, in Officina linguistica, I (1997), pp. 133-139; E. Cau, Peculiarità e anomalie della documentazione sarda tra XI e XIII secolo, in Scrinium, I (1999), pp. 1-53 passim; E. Blasco Ferrer, Crestomazia sarda dei primi secoli, Nuoro 2003, I, pp. 51-62; II, p. 28; L. Perria, La carta sarda di S. Vittore di Marsiglia, in Chiesa, potere politico e cultura in Sardegna dall’età giudicale al Settecento. Atti del II Convegno ... 2000, a cura di G. Mele, Oristano 2005, pp. 361-366.