MARINA
. Questo vocabolo indica genericamente il complesso delle navi di uno stato e dei servizî ad esse inerenti. Si distinguerà in questo articolo la marina intesa come "potere marittimo" dalla marina da guerra e dalla marina mercantile in sé considerate.
La marina come potere marittimo.
Il potere marittimo è il prodotto dei fattori dello sviluppo e della protezione degl'interessi marittimi di uno stato.
Importanza economica e politica. - Gl'interessi marittimi sono principalmente di ordine economico; la storia del commercio dimostra come in ogni epoca l'utilizzazione della via del mare abbia avuto capitale influenza sullo sviluppo della ricchezza.
Per molti secoli sul mare non si verificò la pace assoluta. Gli stati cercarono di monopolizzare il commercio; negarono la libertà della navigazione di altri popoli, affermando diritti all'esclusività del commercio in alcune zone; si assicurarono speciali privilegi mediante trattati imposti con la forza e cercarono apertamente di rovinare il commercio marittimo degli stati rivali; oltre che nei periodi di guerra guerreggiata, il commercio fu contrastato dalla pirateria. In tali condizioni, anche quando le navi da commercio si differenziarono nettamente da quelle della marina da guerra, l'esercizio del commercio rimase subordinato alla forza.
Il progredire della civiltà ha assicurato la piena libertà del mare nel tempo di pace, cosicché in apparenza l'attività marittima commerciale si svolge in modo indipendente dalla potenzialità della marina da guerra. Ma tale potenzialità salvaguarda gl'interessi marittimi con la sua influenza nel campo politico; infatti essa esercita sulla politica un'azione di carattere virtuale, perché uno stato ha voce nel mondo in ragione della forza con cui potrebbe appoggiare le sue esigenze nel caso di conflitto.
La prosperità di uno stato è legata alle condizioni di ogni mercato mondiale, allo sviluppo dell'industria, del commercio e dei trasporti marittimi; a misura che uno stato progredisce economicamente, o quanto più la sua esistenza dipende dal traffico marittimo e più rilevante è il numero dei connazionali che vivono nei paesi d'oltremare, tanto meno lo stato può considerare il campo della sua politica ristretto ai paesi con i quali ha comunicazioni terrestri. La marina da guerra è dunque lo strumento necessario per una politica di carattere mondiale; la sua influenza nel tempo di pace si verifica in dipendenza dalla possibilità che le navi agiscano lontano dalle acque nazionali, perché quanto più uno stato dispone di mezzi per agire sul mare, tanto più accresce il suo valore politico rispetto agli stati da cui è separato dal mare, ossia in un campo d'azione illimitato.
Nel tempo di guerra si manifestano gli stretti legami fra la marina militare e quella mercantile; la prima ha per principale missione di proteggere l'altra e d'impedire il traffico del nemico; reciprocamente la potenzialità della marina mercantile è un importante fattore delle possibilità d'azione guerresca.
Nelle attuali condizioni d'interdipendenza economica la resistenza di uno stato belligerante dipende in sommo grado dalla possibilità di ricevere rifornimenti per via di mare a mezzo della propria marina mercantile e del traffico esercitato dalle navi neutrali.
Il mare è una via comune ai belligeranti e ai neutrali; ma il comportamento dei belligeranti rispetto alle norme del diritto internazionale (v. guerra: Diritto marittimo di guerra) è variabile secondo il peso attribuito alle complicazioni che possono derivarne; cioè i limiti all'azione delle forze navali belligeranti sono praticamente imposti dalle esigenze dei neutri potenti, che sono molto interessati alla situazione creata dalla guerra.
Tanto in pace che in guerra sussiste dunque più che mai l'importanza economica e politica della potenzialità marittima militare e mercantile, sintetizzata sino dal sec. XVI da Walter Raleigh nel famoso detto: "Chi comanda il mare, comanda il commercio; chi comanda il commercio del mondo, comanda sulle sue ricchezze e conseguentemente domina il mondo".
Se uno stato dispone di una fiorente marina mercantile, esso merita la qualifica di "stato marittimo", intesa nel senso dell'attività sul mare, oltre che nel significato geografico; però la denominazione di "potenza marittima" è applicabile soltanto ove a fianco della marina mercantile esista una marina da guerra poderosa.
Importanza militare. - Fattori potenziali e necessità marittime. - Nell'antichità il potere marittimo, più che da larghezza di risorse, dipendeva dall'abilità nell'arte delle costruzioni navali e in quella della navigazione: flotte numerose potevano essere rapidamente costruite. Fattori essenziali furono: il carattere delle popolazioni; la comprensione dei vantaggi conseguibili affrontando il mare; le condizioni geografiche, in relazione alla scarsa capacità nautica delle navi del tempo. Piccoli stati, con territorî di scarse risorse, ma abitati da genti ardimentose, riuscirono a divenire grandi potenze marittime; la povertà del suolo fu incentivo a rivolgere le energie al mare.
Il potere marittimo assunse caratteri assai più complessi, quando le grandi scoperte produssero lo sviluppo dell'attività oceanica e il sorgere degl'imperi coloniali, che resero necessarie le flotte veliche. Le posizioni vantaggiose nei mari interni divennero secondarie; le grandi marine veliche, in luogo degli armamenti improvvisati del periodo remico, richiesero la specializzazione del materiale e del personale, uno stato di preparazione permanente. Per mantenere l'efficienza dei fattori dinamici del potere marittimo, si vennero a trovare in crescenti difficoltà gli stati continentali, assorbiti dagl'interessi terrestri, mentre l'Inghilterra poté divenire la prima potenza marinara e commerciale del mondo per la sua posizione insulare, e per la conseguente possibilità di dedicare le sue risorse al potere marittimo, appoggiando le forze navali alle posizioni strategiche negli stretti e lungo le vie di comunicazione.
Nel sec. XIX con la propulsione meccanica s'iniziò la radicale e incessante evoluzione del naviglio mercantile e da guerra, con un continuo e rapido incremento del costo delle navi e dell'impianto marittimo a terra (v. logistica: Logistica navale; organica: Organica navale); in conseguenza uno stato può essere potenza marittima soltanto a condizione di avere la capacità di sostenere forti spese per la marina. Per effetto del grandioso sviluppo industriale e dell'interdipendenza delle comunicazioni, il traffico sul mare ha assunto tale importanza da costituire "la rete per tutti gli scambî mondiali e i nervi della vita nazionale e internazionale" (Groos).
Nelle condizioni moderne gli stati hanno la possibilità di dare impulso al potere marittimo e tanto più valorizzarlo, quanto maggiori sono le risorse di cui rispettivamente dispongono nel territorio della madrepatria e nei possedimenti coloniali; inversamente la necessità di sviluppare la marina mercantile e quella da guerra è tanto più sentita, quanto minori sono le risorse del paese, e quanto più le condizioni geografiche obbligano a tenere conto della possibilità che si verifichi l'isolamento, per il modo in cui la capacità di resistenza è subordinata alle importazioni per le vie del mare.
Le necessità navali hanno dunque carattere relativo; così lo sviluppo della marina mercantile e il suo rinnovamento sono determinati dalla necessità della concorrenza; l'entità della marina da guerra necessaria dipende principalmente dall'importanza delle altre marine e dalle condizioni di relatività nei riguardi dei compiti vitali per la difesa nazionale.
L'apprezzamento delle necessità della marina da guerra non può basarsi sulla lunghezza delle comunicazioni fra i proprî territorî, bensì sul confronto con la situazione degli altri stati nei riguardi della dipendenza dalle comunicazioni marittime e della vulnerabilità delle comunicazioni stesse. Infatti le linee del traffico per i rifornimenti formano un insieme ben più complesso di quello limitato alle comunicazioni fra i proprî territorî. Nel caso dell'Italia è arduo il determinare dove comincino le linee di comunicazioni marittime essenziali. L'Italia non ha colonie capaci di alimentarla; deve importare le materie prime per la sua vita e per le sue industrie. In caso di guerra le linee italiane di traffico dovrebbero quindi fare capo a paesi neutrali e adattarsi alle circostanze nel modo a volta a volta imposto dall'andamento delle operazioni marittime, per quanto consentito dalla situazione politica e dalla disponibilità di risorse di quei paesi neutrali con cui le comunicazioni risultassero possibili. La parola "adattamento", con le incognite che essa implica nel nostro caso, sintetizza la gravità della situazione italiana. Ma questo non è tutto: le comunicazioni sono assai vulnerabili per il fatto che l'Italia è al centro di un mare interno, le cui entrate sono in possesso di altri stati, e perché coste di altri stati fiancheggiano a breve distanza la rotta delle navi dirette ai nostri porti. Ben diversa è, per es., la situazione della Francia, che è avvantaggiata dal possedere una costa aperta alle comunicazioni oceaniche, ha grandi risorse nel suo territorio metropolitano, e ha la disponibilità delle risorse di un impero coloniale; nel caso di conflitto con una nazione avente basi soltanto nel Mediterraneo, la Francia potrebbe praticamente fare conto sulla quasi assoluta sicurezza delle sue comunicazioni extramediterranee. L'Italia, per la sua vitale necessità d'importazioni dal mare, si trova in condizioni che sono paragonabili a quelle dell'Inghilterra, ma con l'aggravante della deficienza di materie prime e di risorse coloniali e della difficile situazione geografica.
Altro elemento da tenere in conto, per apprezzare i fattori potenziali e le necessità marittime, è quello costituito dalla conformazione fisica del paese e particolarmente dai caratteri e dall'estensione del litorale. Giova tuttavia notare che il confronto della situazione dei varî stati nei riguardi della lunghezza complessiva delle coste metropolitane e coloniali non può costituire un indice delle necessità navali, perché la sommatoria della lunghezza delle coste comprende termini d'importanza assai diversa. L'apprezzamento delle necessità in rapporto alla situazione costiera dei varî stati deve invece riferirsi alla vulnerabilità costiera e all'influenza che la configurazione costiera può esercitare sulla ripartizione delle forze navali, cioè sulla loro assegnazione ai varî scacchieri di operazioni.
Nelle attuali condizioni dei mezzi guerreschi la vulnerabilità costiera deve essere essenzialmente considerata nei riguardi delle possibilità d'azione aerea (v. guerra, XVIII, p. 86 segg.). Uno stato che abbia sul litorale grandi centri industriali, in posizioni particolarmente esposte alle offese aeree, vede diminuito l'affidamento sul suo potenziale bellico; in particolare se sono molto esposti a tali offese i cantieri navali, una simile situazione va tenuta nel debito conto per apprezzare le necessità navali a cui occorre provvedere dal tempo di pace.
Nuovo indirizzo degli studî di storia marittima. - L'importanza dei singoli fattori dell'efficienza marittima e l'influenza esercitata dal potere marittimo sulla vita delle nazioni sono variabili con la evoluzione dei mezzi e con la diversità delle situazioni; tuttavia è di sommo interesse il constatare come in ogni tempo, e nelle più svariate circostanze, il corso della storia abbia risentito gli effetti degli avvenimenti svoltisi sul mare. Con questo criterio il comandante A. T. Mahan (v.), della marina degli Stati Uniti, pubblicò a Londra nel 1890, The influence of sea-power upon history, 1660-1783; per il metodo e le finalità quell'opera fu fondamentale. Nell'introduzione il Mahan fece rilevare come l'influenza del potere marittimo non fosse ancora stata presa in sufficiente considerazione "perché la maggior parte degli storici non ebbe mai soverchia dimestichezza con le cose marittime e i marinai da tempi remotissimi vissero quasi sempre separati dal consorzio degli altri e non ebbero mai profeti proprî, capaci di farsi comprendere e di farsi valere... D'altra parte gli storici marittimi poco si preoccuparono dei rapporti fra il loro soggetto particolare e la storia generale; ordinariamente si limitarono a un semplice resoconto dei fatti marittimi".
Il riconoscimento dell'importanza del potere marittimo risale fino a Tucidide. Nelle Riflessioni sul potere marittimo di G. Rocco (Napoli 1814), dettate con scopi di carattere organico, si contiene (Discorso preliminare) un'interessante illustrazione generica circa l'importanza del potere marittimo, tanto che il volume fu ristampato (Roma 1911) con prefazione dell'ammiraglio Bettolo. "Ma l'enunciare in maniera vaga e generale che il potere marittimo ha avuto una grande influenza è cosa diversa dal dimostrare il risultato di tale influenza sulle circostanze particolari"; così il Mahan, e per questo la sua opera segnò un nuovo indirizzo nella storiografia. La parte più importante dell'opera del Mahan fu il capitolo sulla Discussione degli elementi del potere marittimo, in cui col sussidio di numerosi esempî storici furono poste in evidenza le cause che più direttamente contribuirono a sviluppare o a contrastare il potere marittimo. Il Mahan si propose di approfondire la storia omettendo in prima linea gl'interessi marittimi, senza separarli, ben inteso, dalle circostanze di causa e di effetti che ad essi si connettono nel corso della storia generale, ma cercando di mostrare come gl'interessi marittimi hanno modificato quelle circostanze e come essi a loro volta ne sono stati modificati". L'opera del Mahan ebbe vastissima ripercussione fra gli uomini di stato e gli scrittori di tutto il mondo, oltre che fra gli uomini di mare; essa influì sulla politica degli Stati Uniti, che in previsione della necessità di aprire il Canale di Panamá furono indotti a garantirsi il dominio della nuova via marittima assicurandosi con la guerra alla Spagna (1898) le posizioni per dominare gli accessi dell'istmo, tanto nel Pacifico quanto nel mare delle Antille. La dottrina sull'importanza del potere marittimo ebbe larga eco specialmente in Germania, a sostegno della necessità del grande sviluppo navale, che portò alla rivalità con la Gran Bretagna e che con le sue ripercussioni produsse un generale incremento delle flotte fino alla guerra mondiale. Il nuovo indirizzo degli studî storici segnato dall'opera citata del Mahan dalle altre successivamente pubblicate da questo grande scrittore, oltre che nel campo speculativo ebbe dunque effetti decisivi sulla politica navale e sulla politica mondiale delle potenze marittime. L'esame sintetico dell'influenza del potere marittimo sulla storia fornisce l'orientamento per apprezzare la situazione politica attuale e le possibilità future.
Marina da guerra.
Mentre l'evoluzione dell'arte della guerra sul mare è considerata nell'Enciclopedia Italiama alla voce guerra, XVIII, p. 86 segg. e mentre cenni storici sulla composizione e sulle caratteristiche delle singole armate si dànno più particolarmente nelle singole voci relative ai paesi marinari, qui invece si offre una sintesi storica della funzione svolta dalla marina militare nella vita dei popoli, specie per ciò che riguarda i tempi moderni, in cui tale funzione ha assunto una parte preponderante (v. anche sopra: La marina come potere marittimo).
Grecia antica. - Presso i Greci dell'età classica era ancora viva la tradizione della talassocrazia del re cretese Minosse, cioè del dominio del mare detenuto dai signori di Creta minoica. E senza tale dominio non sarebbero stati possibili né la signoria di Creta sull'Egeo attestata da altri dati, né il fiorire in Creta di città aperte e indifese. I documenti archeologici ci hanno spesso conservato la rappresentazione di navi cretesi armate di sprone, cioè di navi da combattimento; ma la storia della marina da guerra minoica è perduta. Dai Minoici appresero certo la tecnica delle costruzioni navali e della navigazione i Greci che già alla fine del II millennio a. C. solcavano con le loro navi il Mediterraneo orientale. I poemi omerici conoscono una tecnica navale molto perfezionata; ma le navi omeriche, navi parzialmente coperte e spinte da 20, 30 e più spesso da 50 remi (pentecontore), servono solo a trasportare per mare i guerrieri all'attacco e al saccheggio delle città costiere. Lo sprone delle navi non è ricordato in Omero, la nave non è cioè rappresentata come un'arma da combattimento. Invece navi rostrate, armate cioè per la lotta, e combattimenti navali sono rappresentati spesso su vasi e su altri arredi di stile geometrico, corinzî, beoti e attici, che risalgono ai secoli VIII e VII a. C. E successivamente noi vediamo affermarsi la distinzione fra la nave da guerra lunga e sottile, mossa specialmente a forma di remi, e la nave mercantile da trasporto più larga e capace, che è spinta quasi esclusivamente dalle vele. L'attività industriale e commerciale, che si sviluppò in seguito al grande movimento di espansione marittima dei secoli VIII e VII, fece sorgere la necessità di proteggere con squadre da guerra il traffico marittimo, specialmente contro la pirateria; e infatti le marine da guerra greche si formarono nelle città che erano alla testa del movimento industriale e commerciale. Già nel 704 a. C. i Samî si rivolsero a un tecnico navale corinzio, Aminocle, per la costruzione di quattro navi da guerra di nuovo tipo (perfezionate nella disposizione dei remi) e a Corinto si dicevano costruite le prime triere, che vennero sostituendo a poco a poco le antiche pentecontore, che ancora verso la fine del sec. VI costituivano in maggioranza le flotte da guerra (Policrate di Samo ne aveva 100, alle quali si aggiunsero poi 40 triere). La colonia corinzia di Corcira ebbe pure presto una forte marina da guerra. Ma l'andamento della guerra lelantia, combattuta solo per terra fra Calcide ed Eretria e le città loro alleate, tutte città marittime con flotte a loro disposizione, mostra che l'aristocrazia greca combatteva più volentieri per terra che per mare. La prima vera battaglia navale greca si combatté nel 664 a. C. tra le flotte di Corinto e di Corcira: del 600 circa è la battaglia tra Focesi e Cartaginesi che precedette la fondazione di Marsiglia e di circa il 540 la battaglia di Alalia (Aleria) tra Focesi ed Etrusco-Cartaginesi. Verso il 500 cominciarono a comparire nell'Egeo le flotte da guerra persiane, composte in maggioranza di unità fenicie e cipriote; e le squadre degli Ioni ribelli furono sopraffatte nel 494 a Lade presso Mileto dalla flotta persiana tecnicamente superiore. In Atene una flotta da guerra sarebbe stata creata già da Pisistrato e all'armamento navale provvedevano le naucrarie, che pare fossero gruppi di cittadini facoltosi, ai quali era imposto l'obbligo di costruire e armare una nave da guerra. Ma grande potenza navale Atene divenne per opera di Temistocle, che fece approvare la proposta di devolvere il prodotto delle miniere argentifere del Laurio agli armamenti navali (492 a. C.). Dopo tre anni, la flotta ateniese contava 180 triere e costituiva il nucleo della flotta greca, che affrontò quella persiana all'Artemisio e la sconfisse a Salamina (480). Nello stesso tempo, Gelone creava in occidente la grande flotta siracusana, che avrebbe contato 200 triere. Dopo le guerre persiane, la flotta ateniese dominò il mare con le sue triere veloci e manovriere, spinte da circa 170 rematori. Dato il costo di una di queste unità (circa un talento attico) e del mantenimento del numeroso equipaggio di circa 200 uomini (un talento al bimestre), i piccoli stati confederati con Atene rinunciarono a tenere flotte proprie e contribuirono con versamenti in denaro alla costruzione della grande flotta ateniese. Questa aveva la sua base nei grandi arsenali di stato e nei porti militari del Pireo (v. arsenale). Quando non c'erano spedizioni da compiere, una squadra di 60 triere rimameva in armamento per l'istruzione e l'allenamento degli equipaggi; le altre venivano ricoverate nei νεώσοικοι, le case delle navi. Al principio della guerra del Peloponneso, la marina da guerra ateniese contava oltre 300 triere; più le flotte delle città alleate di Lesbo e Chio, quest'ultima di 60 triere. Seguivano Corcira con 120, Corinto con 30, più le flotte delle sue colonie di Leucade e Ambracia, Megara con 40. La flotta di Egina, di 70 triere, era stata catturata nel 457 dagli Ateniesi e così pure quella di Samo, della stessa forza, nel 439. La flotta siracusana, decaduta dai tempi di Gelone, contava ancora 80 triere nel 415 (spedizione ateniese in Sicilia). Ogni flotta aveva al suo seguito navi da trasporto di vario genere e legni minori per servizî speciali.
La flotta ateniese fu distrutta nella guerra del Peloponneso e il dominio del mare passò alla Persia e a Sparta. La marina di Sparta fu sempre assai piccola e solo con l'aiuto degli alleati essa riuscì verso la fine della guerra del Peloponneso a portare la flotta a 200 triere; ma poche di queste erano propriamente spartane. Pochi anni dopo la capitolazione del 404, gli Ateniesi cominciarono a ricostruire gli arsenali distrutti dal governo dei Trenta e la flotta; intorno al 389, questa contava più di 50 triere, che salirono a più di 100 nel 376, a 283 nei 356 e poco dopo a 349. L'apogeo della nuova potenza marittima ateniese fu raggiunto nel 325 con 360 triere, 50 tetrere e 7 pentere. Ma lo spirito e l'addestramento degli equipaggi non erano più quelli del sec. V, e seguì un periodo di rapida decadenza.
Filippo di Macedonia aveva fondato dopo la presa di Anfipoli una flotta macedone. Nelle guerre di Alessandro, la flotta ebbe una parte limitata; egli sciolse la flotta greco-macedone dopo la presa di Mileto e ne ricostituì più tardi un'altra con elementi fenici per l'assedio di Tiro e una infine nell'Oceano Indiano per la spedizione in India. Ma nelle lotte fra i suoi successori, l'Egeo e gli stretti fra l'Europa e l'Asia acquistarono una grande importanza e la guerra navale riprese su grande scala. Nella guerra lamiaca, la grande flotta ateniese fu battuta dalla flotta macedone, rinforzata da squadre fenicie e cipriote, nelle battaglie di Abido e di Amorgo (322), con le quali finì per sempre la marina militare e la grandezza politica di Atene, che in seguito poté partecipare a campagne marittime solo come alleata, in sottordine di maggiori potenze. Il dominio del mare passò ad Antigono, il cui figlio Demetrio vinse nel 306 la flotta tolemaica a Salamina di Cipro e, dopo la sconfitta del padre a Ipso, poté con la flotta conservare parti rilevanti dell'impero paterno. Dopo la morte di Demetrio, il primato navale passò per quasi un secolo all'Egitto, che disponeva delle città marinare della Fenicia e di Cipro; ma quando Antioco il Grande tolse all'Egitto la Fenicia, i Seleucidi ebbero alla loro volta per un certo tempo la prevalenza marittima. La marina macedonica degli Antigonidi, costituita con la flotta di Demetrio e gli avanzi di quella di Lisimaco, ebbe una notevole importanza, e riportò dei successi sulla marina tolemaica; ma era in completa decadenza sotto Filippo V. Verso il 200, non esistevano più grandi marine da guerra greche; mantennero ancora flotte notevoli Rodi, che esercitava la polizia marittima, e Pergamo, e piccole squadre ebbero un certo numero di città dell'Asia Minore e delle isole. In Occidente, Agatocle aveva ricostituito la flotta siracusana portandola a 200 navi di linea, e Pirro adoperò ancora una parte di questa flotta, che fu distrutta dai Cartaginesi a Reggio nel 276.
Sotto l'aspetto costruttivo, la scoperta nel sec. IV delle grosse macchine da tiro, con le quali si pensò subito di dotare le navi di linea, portò a un aumento nelle proporzioni delle navi stesse, che richiese quindi un aumento anche della forza di propulsione. Dionigi di Siracusa, forse a imitazione dei Cartaginesi, costruì per primo nel 399 a. C. tetrere e pentere, meno veloci delle triere, ma più armate e protette: con Dionigi II si arrivò alle exere. La decisione del combattimento non dipese più soltanto dall'agilità di manovra della nave, ma anche dall'efficacia del tiro che essa poteva siluppare. Nell'età di Alessandro, i nuovi tipi di navi di linea furono adottati anche in Grecia (v. sopra), e si arrivò presto alle eptere e alle octere. Si dice che la flotta di Demetrio contasse molte grosse poliere, che avevano persino 15 e 16 ordini di remi; e che i Tolomei costruissero colossi fino a 40 ordini, i quali erano però praticamente inadoperabili. Naturalmente l'aumento del tonnellaggio unitario, portò seco la diminuzione del numero delle unità delle flotte; la grande armata di Demetrio non raggiungeva a Salamina le 200 unità.
I sistemi di costruzione, equipaggiamento e comando delle marine da guerra variavano a seconda dei paesi e dei tempi. In Atene, decaduta l'antica istituzione della naucraria, le navi venivano ordinariamente costruite dallo stato nei suoi arsenali; ma l'armamento, l'equipaggiamento e il comando della nave venivano addossati a cittadini facoltosi, che ricevevano una limitata indennità dallo stato e avevano il titolo di trierarchi. La direzione nautica della nave era affidata al κυβερνήτης, che era un uomo di mare di professione; l'ufficiale che stava a prora era detto πρωρεύς, il direttore del remeggio κελευστής, l'ufficiale d'amministrazione πεντηκόνταρχος. Oltre ai rematori, ogni nave aveva a bordo 8-10 ναῦται, marinai, e dei soldati, ἐπιβάται, il cui numero andò però diminuendo a mano a mano che alla vecchia tattica, della lotta bordo a bordo si sostituì l'offesa per mezzo della manovra. I rematori si reclutavano fra i cittadini delle classi inferiori, e se questi erano insufficienti o se si voleva avere un personale allenato, si ricorreva a mercenarî o a schiavi.
Roma antica. - La marina da guerra romana (classis) ebbe prima delle guerre puniche importanza assai limitata.
La notizia di uno scontro navale sul Tevere nel 426 a. C. è un equivoco di un annalista, che interpretò nel senso restrittivo recente il termine classis, che significava nella lingua più antica forza armata in genere e quindi anche esercito. Invece una nave da guerra (longa) romana sarebbe stata inviata a Delfi nel 396 a. C. Le navi da guerra degli Anziati furono in parte condotte nei navalia di Roma nel 338. Del 311 è l'istituzione dei duoviri navales (v. sotto). Un attacco di navi romane alle coste della Campania è ricordato nel 310, e nel 307 una squadra di 25 unità fu inviata in Corsica. I trattati con Cartagine dei secoli V e IV contro Pirro e specialmente quello con Taranto del 300 circa, che vietava alle navi romane di oltrepassare il promontorio Lacinio, presuppongono l'esistenza di navi da guerra romane; e dalla metà del sec. IV la prora della nave appare sulle monete romane. Nel 282 una squadra romana, entrata nel golfo di Taranto, vi fu sconfitta dai Tarentini. Ma il fatto stesso che la guerra seguitane non fu condotta anche per mare, e poi le clausole del trattato con Cartagine contro Pirro, dimostrano che Roma, nonostante l'esistenza di socii navales, non aveva una marina ragguardevole.
Grande potenza navale Roma divenne in seguito alle esigenze della prima guerra con Cartagine per il possesso della Sicilia (264-241). L'esercito romano fu trasportato nel 264 in Sicilia con navi degli alleati italici; ma fu subito evidente la necessità di contrastare il dominio del mare alla flotta cartaginese, la cui forza media pare fosse di circa 130 unità di linea. Con uno sforzo mirabile, i Romani armarono perciò una flotta di 100 quinqueremi e 20 triremi, quale mai essi avevano posseduto; e quindi la costruzione di questa flotta poté essere considerata come la fondazione ex novo della marina militare romana. Per la battaglia i Romani adottarono la tattica della lotta bordo a bordo, con largo uso di legionarî imbarcati, facilitata dall'uso dei famosi corvi, ponti mobili; e a Milazzo, nel 260, al comando di Gaio Duilio, sorpresero con questa tattica i Cartaginesi ed ebbero ragione della loro superiorità manovriera. Nei due anni successivi, la flotta romana si spinse sino alle coste della Sardegna e della Corsica e riportò una nuova vittoria a Sulci; un altro successo navale i Romani riportarono nel 257 presso la Sicilia a Tindaride. Ma erano azioni non decisive, e perciò nel 256 Roma fece un grande sforzo per conquistare nettamente la supremazia marittima. La flotta fu portata a 330 unità, alle quali i Cartaginesi ne opposero circa 350 (pare però che queste cifre debbano essere ridotte a 230 e 250). Le due armate si scontrarono presso il capo Ecnomo, sulla costa S. della Sicilia, in una delle più grandi battaglie navali dell'antichità, e i Romani vittoriosi conquistarono il dominio del mare e la possibilità di colpire al cuore il nemico. Infatti un esercito poté allora sbarcare in Africa sotto il comando di Attilio Regolo e minacciare direttamente Cartagine. Nel 255 la flotta romana, forte di 350 navi (forse circa 230), dopo una vittoria riportata presso il capo Ermeo su una flotta cartaginese di 200 navi, si portò a imbarcare i superstiti dell'esercito sconfitto di Regolo; ma nel ritorno fu quasi annientata dalla tempesta sulla costa meridionale della Sicilia. Una nuova flotta di 250-300 navi fu tosto armata e cooperò nel 254 alla presa di Panormo e nel 253 compì scorrerie sulle coste africane; ma nello stesso anno un nuovo naufragio presso la costa campana distrusse oltre 150 navi romane. Questi disastri, che fecero perdere ai Romani il dominio marittimo conquistato con le battaglie, pare si debbano attribuire, almeno in parte, all'inesperienza nautica dei loro capi. Tuttavia nel 250 una nuova flotta di 200 navi fu armata, e dopo la vittoria terrestre di Panormo, esercito e flotta posero l'assedio a Lilibeo. Ma nel 247 una squadra romana fu sconfitta a Drepano, e una seconda squadra di 120 unità fu distrutta dalla tempesta presso Camarina. Roma, esaurita, rinunciò per varî anni alla guerra navale e solo nel 242 fu compiuto uno sforzo supremo con la costruzione di una flotta di 200 quadriremi di nuovo modello, la quale, guidata da C. Lutazio Catulo, decise le sorti della guerra con la vittoria delle Egadi (241). Le cifre dell'unità delle flotte romana e cartaginese sembrano spesso esagerate dalle fonti e si dubita anche se queste unità fossero tutte quinqueremi, quadriremi e triremi, come la tradizione vorrebbe. Comunque, lo sforzo navale di Roma in questa guerra fu grandioso e decisivo per allora e per il futuro.
La conquista della Sicilia in seguito alla prima guerra punica e l'annessione della Sardegna e della Corsica, ridotte nel 238 a provincia romana, assicurarono il dominio romano sul Tirreno. L'attenzione di Roma si rivolse quindi all'Adriatico. Durante il sec. IIl a. C. la costa adriatica dal Rubicone all'Aterno era stata assicurata con una serie di colonie latine e cittadine; la porta marittima orientale d'Italia fu presidiata nel 244 con la colonia latina di Brindisi. Divenuta allora insopportabile la pirateria degl'Illirici nell'Adriatico, nel 229 una flotta di 200 navi entrò nell'Adriatico, assicurò all'alleanza romana le colonie greche della costa illirica e delle isole da Corcira a Faro e affermò il dominio romano su quel mare.
Allo scoppio della guerra annibalica, la flotta romana, forte di 220 unità, era decisamente superiore alle circa 100 unità cartaginesi dislocate in Africa e in Spagna. Perciò, se durante questa guerra non furono combattute sul mare battaglie decisive, fu decisivo il fatto che il dominio romano sul mare non fu mai in pericolo. I Cartaginesi poterono attaccare qualche punto delle coste italiane e catturare qualche convoglio romano, e ancora negli ultimi anni un piccolo esercito punico poté sbarcare in Liguria e Annibale passare dall'Italia all'Africa; ma i Cartaginesi non riuscirono a stabilire durature comunicazioni fra l'Africa e l'Italia, nella quale combatteva Annibale. In Spagna nel 217 una Rotta romana dí 35 navi ne distrusse una cartaginese di 40 alle foci dell'Ebro e nel 209 cooperò alla presa di Cartagena. In Sicilia una squadra romana di 100 navi partecipò all'assedio di Siracusa. Riuscì invero a Bomilcare di entrare con 55 navi nel porto bloccato e poi di uscirne; ma quando egli nel 211, dopo essersi avanzato sino al capo Pachino, non osò affrontare la flotta romana venutagli incontro, il destino di Siracusa fu segnato. Nel 208 e nel 207 la stessa squadra romana di Sicilia venne a battaglia con squadre cartaginesi sulle coste dell'Africa, a Clupea e ad Utica, riuscendo vittoriosa. A oriente, dal 215 una squadra romana operava nell'Adriatico e nello Ionio contro Filippo di Macedonia, la cui flotta fu bloccata nel 214 dai Romani nell'Aoo, così che i Macedoni stessi la bruciarono. Nel 210 questa squadra orientale entrò per la prima volta nell'Egeo, stabilì la sua base a Egina, e operò in quel mare sino al 208, insieme con le navi di Pergamo. La spedizione di Scipione in Africa nel 204 fu scortata da 40 unità da guerra.
Allo scoppio della guerra macedonica (200), furono armate circa 50 navi, parte delle quali passarono nell'Egeo, nel quale la flotta romana, con i contingenti pergameni e rodiesi, salì nel 198 a 10 navi. La conquista del dominio di questo mare permise ai Romani di stabilire nella Grecia centrale una base d'operazione contro la Tessalia e il cuore della Macedonia, che dall'Adriatico si poteva colpire solo superando gravi difficoltà. Per la guerra siriaca, che si iniziò nel 192, i Romani armarono 100 navi, ma, incerti sulle probabilità e le intenzioni di Antioco, le suddivisero in varî teatri di guerra e non poterono perciò trovarsi a tempo e con forze sufficienti nell'Egeo per impedire lo sbarco di Antioco in Grecia, protetto da 100 navi, e poi la sua ritirata. Ma salita la squadra dell'Egeo nel 191 a 81 unità, e rinforzata da 50 navi pergamene, essa si portò verso la costa asiatica e al promontorio del Corico sconfisse la flotta siriaca; congiuntasi quindi con la squadra rodia, bloccò la flotta nemica in Efeso. L'anno seguente, anche la squadra di riserva (20 navi) si recò nell'Egeo, mentre Antioco, per tentare di riconquistare il dominio del mare, rinforzò la squadra di Efeso e inviò Annibale in Fenicia per armare una nuova squadra. Profittando dell'assenza della squadra romana, che si era portata all'Ellesponto per preparare il passaggio in Asia delle legioni, i Siriaci sorpresero e distrussero la squadra rodia a Samo; ma quando la flotta romana con quella pergamena ritornò dall'Ellesponto e si congiunse con una nuova squadra rodia, i Siriaci non osarono attaccare battaglia. La squadra di soccorso di Annibale fu battuta dai Rodi a Side, e quando poco dopo la squadra siriaca di Efeso fu sconfitta a Mionneso, il dominio del mare passò definitivamente ai Romani. Antioco dovette ritirare anche la sua difesa terrestre dagli Stretti. Nella terza guerra macedonica il dominio dell'Egeo fu tenuto dai Romani con grande vantaggio delle operazioni terrestri; la leggiera flotta macedone poté solo compiere qualche felice colpo di mano.
Nella terza guerra punica, la flotta romana (50 navi) bloccò il porto di Cartagine, ma il blocco fu più volte violato. Scipione costruì allora una diga, ma i Cartaginesi scavarono un nuovo canale e affrontarono i Romani con 50 triremi, che furono però respinte. Caduta nel 146 Cartagine, il Mediterraneo divenne veramente un lago romano e si richiese l'intervento solo di piccole squadre per guerre di secondaria importanza, come contro i Lusitani e per la conquista delle Baleari. E poiché la repubblica romana non concepiva organismi militari permanenti, ciò ebbe per conseguenza il decadimento della marina militare romana e italica e quindi l'incremento della pirateria, specialmente nel Mediterraneo orientale. E quando nell'88 scoppiò la prima guerra mitridatica, le deboli forze marittime romane in Oriente dovettero sgombrare il mare e il re del Ponto poté dilagare nell'Egeo, impadronirsi delle isole (tranne Rodi) e portare le operazioni in Grecia per terra e per mare; Atene gli si diede. E ancora mentre Silla riconquistava per terra la Grecia, Mitridate spingeva le sue navi sino allo Ionio. E non con navi costruite, come un tempo, negli scali italiani, ma con unità fornite da stati orientali, L. Licinio Lucullo, questore di Silla, riuscì a mettere insieme una squadra, che nell'85 riconquistò l'Egeo. Alla conclusione della pace (85-84), Mitridate dovette cedere gran parte della sua flotta ai Romani. Da questo momento, le flotte romane saranno quasi sempre formate con unità formate dalle provincie e dagli stati clienti, specialmente orientali. Mitridate ricostruì la sua flotta e si alleò coi pirati. All'inizio della terza guerra mitridatica (74), la squadra romana di 60 unità, che stava a Calcedonia, fu distrutta e la flotta pontica penetrò nell'Egeo e oltre; solo l'anno seguente Lucullo poté radunare una flotta alleata, con la quale vinse la pontica a Lemno e a Tenedo e liberò l'Egeo. Nel 72 la flotta romana entrò nel Ponto Eusino; inoltre cooperò efficacemente alla conquista delle città della Corsica. La terza guerra mitridatica aveva favorito immensamente lo sviluppo della pirateria; i pirati erano divenuti una potenza, solcavano il mare con vere squadre e depredavano città e intere regioni. Roma dovette intraprendere serie operazioni contro di essi. La prima campagna contro i pirati (74) fu diretta dal pretore M. Antonio, che non ebbe però mezzi sufficienti; solo nel 67 si affidò con una legge speciale a Pompeo il Comando di tutto il Mediterraneo e delle coste per sterminare i pirati. Pompeo armò una flotta di 270 unità romane e alleate, che avrebbero dovuto essere portate a 500. In 40 giorni fu ripulito il Mediterraneo occidentale; si attaccarono quindi le basi fortificate dei pirati nella Cilicia e si distrusse completamente la loro organizzazione. La flotta cooperò in seguito alla campagna di Pompeo contro Mitridate nel 66.
Per debellare i Veneti della costa atlantica della Gallia, Cesare fece costruire in Gallia una flotta da guerra, che vinse la prima battaglia navale combattuta dai Romani nell'Atlantico. Le spedizioni nella Britannia degli anni 55 e 54 furono fatte con una flotta di trasporti. Il primo episodio navale della guerra civile fra Cesare e Pompeo avvenne all'assedio di Marsiglia, durante il quale furono combattute due battaglie navali, che riuscirono sfavorevoli ai Marsigliesi. Le provincie e gli stati vassalli dell'Oriente fornirono a Pompeo una grande flotta che avrebbe contato 5-600 unità, divise in cinque squadre (egiziana, siriaca, asiatica, rodia, liburnico-achea); la flotta cesariana nei mari occidentali non contava invece che circa 150 unità. Sebbene la flotta pompeiana guardasse tutta la costa orientale dell'Adriatico, riuscì a Cesare di trasportare il primo scaglione del suo esercito (6 legioni) da Brindisi agli Acroceraunî; ma parte dei suoi trasporti fu distrutta durante il ritorno in Italia. L'ammiraglio pompeiano Libone bloccò Brindisi per impedire il passaggio del secondo scaglione con M. Antonio; ma questi riuscì a rompere il blocco e a sbarcare sull'altra sponda, favorito da una tempesta contro l'inseguimento di una squadra rodia. La flotta pompeiana continuò nei suoi attacchi alla costa italiana e siciliana, ma alla notizia della battaglia di Farsalo essa si sciolse; parte delle navi tornò alle proprie città, parte passò a Cesare. Durante la guerra alessandrina, Cesare fece bruciare la flotta egiziana perché non se ne servissero i nemici, e fu invece aiutato dalle sue navi durante l'assedio che egli dovette subire nella reggia di Alessandria; e aspri scontri navali si ebbero fra le navi cesariane e la flotta ricostruita dagli Egiziani. Nella guerra africana, Cesare, con nuovi armamenti, conquistò senza combattere il dominio del mare, e la flotta pompeiana di 35 navi fuggì in Spagna, dove fu bloccata dalla cesariana e in parte distrutta. Ucciso Cesare, una campagna navale si combatté tosto in oriente fra il cesaricida Cassio, che s'era impadronito della Siria, e il cesariano Dolabella, che, raccolta una flotta nell'Asia Minore, tentò di strappare al primo la Siria; Dolabella dapprima sconfisse Cassio a Laodicea, ma fu poi battuto da una forte flotta raccolta da Cassio. Questi si congiunse poi a Smirne con Bruto, che aveva occupato la Macedonia, la Grecia e l'Asia, radunando una grande flotta, che vinse i Rodî e i Lici che volevano rimanere neutrali. La flotta orientale appoggiò quindi l'esercito che si riuniva nella Tracia, e una squadra condotta da Murco fu spinta nell'Adriatico. Sesto Pompeo aveva intanto occupato la Sicilia, dalla quale minacciava con la sua flotta l'Italia; Ottaviano inviò contro lui la squadra di Q. Salvidieno, al quale non riuscì però di occupare la Sicilia. Ottaviano liberò invece Antonio bloccato a Brindisi dalla squadra di Murco, e fu così reso possibile il passaggio dell'esercito dei triumviri nella penisola balcanica. La flotta di Ottaviano fu alla sua volta distrutta a Brindisi da un'altra squadra orientale condotta da Domizio Enobarbo. Dopo Filippi, la flotta dei cesaricidi passò in parte ai vincitori. Le vicende politiche indussero prima Ottaviano, e poi anche Antonio, ad accostarsi a Sesto Pompeo e nella pace conclusa fra i tre a Miseno, Sesto fu riconosciuto signore del mare. Il suo potere era grandissimo, poiché egli poteva bloccare l'Italia e impedire l'approvvigionamento di Roma. Perciò la guerra fu ripresa fra lui e Ottaviano nel 38. Ottaviano armò due flotte, una nell'Adriatico e una nel Tirreno, per un duplice attacco alla Sicilia. La flotta tirrenica con Calvisio Sabino vinse a Cuma, ma Ottaviano, mosso da Taranto con l'altra flotta, subì forti perdite in un combattimento nello stretto di Messina, anche per causa della tempesta. Una nuova campagna fu predisposta per l'anno successivo; Ottaviano ebbe aiuti da Antonio e da Lepido e procedette a grandi armamenti diretti dal console del 37, M. Agrippa, che trasformò il Lago Lucrino presso Cuma in sicuro porto di guerra. L'attacco a fondo contro Pompeo ebbe luogo nel 36. Dopo alcuni violenti combattimenti, Agrippa vinse e distrusse il 3 settembre a Nauloco la flotta pompeiana e Sesto Pompeo fuggì dalla Sicilia. Questa vittoria significò il dominio incontrastato di Ottaviano in Occidente.
Avvenuta la rottura fra Ottaviano e Antonio (33), questo e Cleopatra armarono circa 500 navi, molte delle quali grosse unità, e un esercito di 115.000 uomini, che si concentrarono sulla costa orientale dello Jonio. Antonio tentò invano nel 32 uno sbarco in Italia e flotta ed esercito si riunirono nel golfo di Ambracia per svernare. L'anno seguente, Ottaviano sbarcò nell'Epiro il suo esercito di 80.000 uomini, protetto da una flotta di 400 navi. Con abili mosse egli riuscì a rendere difficile l'approvvigionamento della grande flotta di Antonio, che perciò il 2 settembre 31 tentò di forzare il blocco, impegnando quella battaglia di Azio, che decise la sorte dell'impero (v. azio).
Dopo Azio, Augusto si trovò con un'ingente flotta, mentre ogni eventualità di grande guerra navale svanì e non rimaneva alla marina militare che il compito della polizia dei mari e dei trasporti militari. Perciò la squadra delle grosse navi di linea, riunita da Augusto a Forum Iulii, lentamente decadde e le nuove squadre permanenti stabilite dall'impero a Ravenna e a Miseno (classis praetoria Ravennas e Misenensis) furono costituite con agili navi liburniche. Squadre minori erano destinate alla protezione delle provincie; conosciamo la classis Pontica che contò sino a 40 navi, e, dopo Claudio, la classis Britannica. Sui grandi fiumi di frontiera si organizzarono poi flottiglie fluviali, la classis Germanica sul Reno, la Pannonica e la Moesica sul medio e basso Danubio, e la flottiglia dell'Eufrate. Negli ultimi tempi acquistò importanza anche la squadra di Aquileia; e la Notitia dignitatum ricorda flottiglie sulla Sava, sul Rodano, sulla Senna e sui laghi (Como).
Le ciurme delle navi romane venivano reclutate tra le classi inferiori della popolazione, specialmente fra i libertini; anche schiavi furono messi ai remi. I soldati venivano invece forniti dalle legioni; di solito se ne imbarcavano da 30 a 40 per nave, ma in vista della battaglia essi venivano portati anche a 120 sulle quinqueremi e a 80-90 sulle triremi. Il forte numero di questi epibati distingue la tattica navale romana, che mirava all'abbordaggio, dalla greca, basata sulla manovra. Gli ufficiali comandanti erano romani, ma i tecnici venivano forniti specialmente dai socii navales, i quali mettevano a servizio di Roma anche navi; spesso, come abbiamo visto, alleati, sudditi e vassalli fornirono la maggioranza o la totalità delle navi romane. Nel 311 a. C. si deferì all'elezione popolare la nomina dei duoviri navales classis armandae reficiendaeque causa, che venivano creati in caso di bisogno; essi scompaiono prima dell'ultimo secolo della repubblica. I quaestores classici, eletti dal 267, avevano squadre locali per la sorveglianza delle coste. I magistrati di Roma comandavano tanto le forze di terra quanto quelle di mare, e i consoli guidarono in parecchie occasioni le flotte; ma essi potevano delegare a un praefectus il comando marittimo, oppure questo veniva affidato a pretori o propretori posti sotto l'alto comando dei consoli. Negli ultimi tempi della repubblica si ebbero comandi marittimi straordinarî e vastissimi (imperia infinita), come quelli affidati nel 74 a M. Antonio e nel 67 a Pompeo per le operazioni contro i pirati. Sotto l'impero, le flotte sono agli ordini di prefetti (praefectus classis praetoriae Misenatium o Ravennatium o classis provinciae, ecc.). Le navi erano agli ordini di navarchi o trierarchi, ai quali solo sotto l'impero fu riconosciuto un rango equivalente a quello dei centurioni dell'esercito.
Dalla caduta dell'impero romano alla battaglia di Lepanto. - Predominio bizantino. - Al tempo della caduta dell'impero d'Occidente esistevano nel Mediterraneo due stati forti sul mare: il regno dei Vandali e l'impero bizantino. Le forze navali dei Vandali dalla risorta Cartagine dominavano incontrastate nel Mediterraneo occidentale.
Con la discesa dei barbari in Italia era scomparsa l'organizzazione marittima romana; Teodorico cercò di farla risorgere, ma alla morte di lui (526) cessò in Italia l'attività marinaresca. Intanto il regno dei Vandali si era indebolito per le interne discordie, e in tale situazione Giustiniano poté concepire e mettere in esecuzione il grandioso disegno di ricostituire l'unità romana nel bacino del Mediterraneo (v. bizantina, civilta).
Nel 533 la flotta bizantina trasportò in Africa l'esercito al comando di Belisario, che sbarcò senza resistenza, mentre la flotta dei Vandali era in Sardegna; fiancheggiato dalla flotta l'esercito di Belisario avanzò su Cartagine, e in due battaglie sconfisse i Vandali. Queste vittorie terrestri, l'occupazione di Cartagine, e la superiorità della flotta bizantina, non lasciarono ai Vandali la possibilità di ristabilire le sorti con l'azione marittima; così la loro potenza fu debellata in una campagna di soli tre mesi. Nell'anno successivo (534) la flotta bizantina conquistò sui Vandali la Sardegna, la Corsica e le Baleari.
Il piano bizantino entrò quindi nella seconda fase, con l'obiettivo di cacciare gli Ostrogoti dall'Italia; le riconquistate provincie africane costituirono la base delle operazioni per impadronirsi della Sicilia; successivamente fu attaccata la penisola. Il complesso e aspro conflitto, che durò 19 anni (535-553), nelle sue linee generali rimane un memorabile esempio dell'importanza della marina.
Il dominio del mare consentì ai Bizantini di avere l'iniziativa della condotta strategica della guerra. Analoghi vantaggi ebbero i Goti, quando svilupparono la marina: essi portarono la guerra in Dalmazia (548) e riuscirono a impossessarsi di quasi tutta la Sicilia (549). Dopo il richiamo di Belisario la situazione dei Bizantini in Italia divenne sempre più critica; nel 551 la flotta gota operò nello Ionio contro Corfù e Nicopoli, catturando molte navi da carico approntate per l'esercito bizantino; Ancona fu stretta di assedio dai Goti per mare e per terra; ma una forza navale bizantina, per quanto numericamente inferiore a quella bloccante, riuscì a metterla in fuga, in condizioni tali che fecero pensare a un tradimento. In realtà ai Goti mancava la combattività sul mare; dopo lo scontro anzidetto essi non osarono più affrontare le poche navi da guerra di cui il nemico disponeva nell'Adriatico. La rinunzia dei Goti al contrasto marittimo nello scacchiere principale rese vana la diversione operata dalla loro flotta con la conquista dellȧ Sardegna e della Corsica. Le sorti furono poi decise in terra nella grande battaglia del Vesuvio (553), in cui l'esercito goto fu annientato. Dal corso generale di quegli avvenimenti emerge la capitale influenza del potere marittimo, che consentì ai Bizantini di alimentare la lotta fino a trionfare della tenace resistenza dal nemico.
Dopo la sconfitta dei Bizantini in Spagna, e quando (569) anche gran parte dell'Italia fu perduta per l'invasione dei Longobardi, mercé il dominio delle vie marittime quasi tutto il litorale dall'Istria a Civitavecchia rimase bizantino; ma, per la trascuranza dell'impero, e per fare fronte ai pericoli, le città marittime svilupparono istituzioni autonome; e le marinerie furono fattori essenziali di sicurezza, di prosperità commerciale e d'influenza politica.
Il tipo di nave che costituiva il grosso delle flotte di quel tempo era il dromone (v.). Furono costituiti dromoni di varia grandezza; rispetto alle navi da guerra dell'antichità classica l'evoluzione si riscontra nell'aumento delle armi da getto, nella maggiore solidità di struttura e nelle minori dimensioni, tanto che secondo C. Manfroni i 200 dromoni che Belisario aveva all'assedio di Roma (546) dovevano avere un equipaggio da 30 a 35 uomini.
Predominio arabo. - Nel sec. VII si sviluppò grandemente la potenza navale araba, che in brevissimo tempo riuscì formidabile per quantità e qualità. Alla metà del sec. VII gli Arabi avevano conquistato le isole di Cipro, Rodi, Coo e nel 653 già si spingevano verso ponente fino a saccheggiare la Sicilia; nel 655 la marina araba inflisse nelle acque della Licia una grave sconfitta alla flotta bizantina. Anche se i tentativi di attacco di Costantinopuli (669-675) finirono con un insuccesso, tuttavia al principio del sec. VIII il predominio marittimo degli Arabi si faceva sentire in tutto il Mediterraneo. Dall'arsenale di Tunisi uscivano le forze navali che devastavano la Sicilia, la Sardegna e le Baleari. Nel 711 dal Marocco gli Arabo-Berberi invadevano la Spagna. Nel 716 una grande spedizione marittima al comando di Solimano entrava nei Dardanelli e sbarcava nel Bosforo, mentre la flotta bizantina, per la sua inferiorità, si teneva chiusa nel Corno d'Oro. Gli assedianti erano favoriti dall'anarchia che travagliava Costantinopoli; ma nel 718 i Bizantini trovarono la salvezza nella risoluta azione controffensiva della loro flotta, che sorprese quella nemica con l'impiego di un nuovo mezzo di guerra, il "fuoco greco". Il terrore di quel fuoco ardente sull'acqua produsse la sconfitta navale dei musulmani e il totale fallimento dell'impresa.
Il sec. IX segna un crescendo dell'attività marittima musulmana; la conquista di Candia costituì una gravissima minaccia per l'Egeo; la conquista delle Baleari, della Corsica e della Sicilia diede in mano ai musulmani una formidabile linea di avamposti, da cui furono tenute sotto una costante minaccia le coste della Provenza, del Tirreno e dello Ionio. Nel sec. X l'attività marittima e la combattività degli Arabi rimanevano ancora intense. Il predominio marittimo era così effettivo, che l'impero bizantino, per mantenere le comunicazioni con i suoi possedimenti nell'Italia meridionale, nel 915 conchiuse la pace con i musulmani di Sicilia e si obbligò a pagare un annuo tributo; e un altro trattato umiliante i Bizantini stipularono dieci anni dopo con i Fatimiti d'Africa. Nel 934 e nell'anno successivo forze navali arabe saccheggiarono Genova, le coste della Liguria e le isole del Tirreno. Non meno precaria era la situazione nell'Egeo, specialmente per l'attività dei pirati di Candia, che andavano a caccia di schiavi per rifornire le metropoli islamiche.
Gli avvenimenti ricordati dimostrano come sulla vita dei popoli fosse sentita l'influenza del potere navale.
I primi dromoni erano muniti di vele quadre, ma successivamente si diffuse nelle marine mediterranee l'uso delle vele triangolari, cioè delle "vele latine"; nonostante tale denominazione, questo mutamento di attrezzatura sembra dovuto all'imitazione di quella delle navi arabe.
I dromoni furono costruiti di dimensioni crescenti; nel sec. VIIl l'imperatore Leone Isaurico li descrive a due ordini di remi, con 25 banchi per parte con tavolati in due piani e un equipaggio di 100 vogatori. A fianco dei dromoni esistevano le galee, navi più agili, con un ponte unico ma completo da poppa a prua; e navi più grosse dette panfili.
Ripresa bizantina. - Alla metà del sec. X l'impero d'oriente ebbe un risveglio di attività per riconquistare il libero uso del mare, scuotendo la servitù dei vergognosi trattati con i musulmani. Nel 964 l'imperatore Niceforo Foca affrontò il grave problema della riconquista della Sicilia. In primo tempo le sorti furono propizie alla spedizione bizantina, che al comando di Niceta riuscì a occupare Messina, ma poi le truppe sbarcate si lasciarono sorprendere; la flotta bizantina fu quasi interamente distrutta e Niceta fu preso prigioniero. Niceforo Foca armò una nuova flotta, che nel 968 riconquistò Cipro e ottenne importanti risultati sulle coste della Siria. La riscossa marittima di Bisanzio, comunque, mancò di persistenza per le crisi interne che travagliavano l'impero.
Nel sec. X la marina bizantina aveva un'organizzazione sistematica. In ogni provincia una squadra era tenuta pronta al comando di un comito; nella capitale stava la squadra imperiale, tenuta in riserva e mobilitata secondo le circostanze.
Le marine italiche nel sec. XI. - L'impero arabo rapidamente declinò nel sec. XI, mentre le repubbliche marinare italiche divennero fattori principali della situazione nel Mediterraneo, in cui sopraggiunsero i Normanni. Nel sec. XI l'efficienza della marina bizantina era così decaduta, che Venezia aveva il primato navale fra le potenze cristiane nel Mediterraneo. Amalfi era florida dal sec. VIII per sviluppo mercantile, ma aveva una scarsissima organizzazione militare, e perciò doveva presto chiudere il suo ciclo; invece Genova e Pisa, parallelamente allo sviluppo dei loro traffici marittimi, per la necessità di difendere l'uso del mare avevano sviluppato la marina da guerra. Genova e Pisa si allearono contro gli Arabi; nel 1016 fecero una grande spedizione liberando la Sardegna; altre fortunate offensive seguirono contro i centri vitali della potenza marittima musulmana: nel 1034 la spedizione pisana contro Bona, centro della dinastia Zirita; nel 1063 l'irruzione dei Pisani nel porto di Palermo; nel 1088 gli alleati Genovesi e Pisani, dopo essersi impossessati di Pantelleria, distrussero le navi arabe nel porto fortificato di Mehedia. Contemporaneamente gli Arabi perdevano la Sicilia. Nel 1061, su semplici imbarcazioni, trecento Normanni, successivamente rincalzati da altri manipoli, eludendo la vigilanza nemica riuscivano a transitare nello stretto da Reggio a Messina, che fu sorpresa e cadde senza resistenza. Da quel momento la conquista dell'isola progredì in modo continuo; essa fu compiuta in 30 anni. In tale impresa ebbero parte secondaria le poche forze navali di cui gli attaccanti poterono disporre; maggiormente interessa rilevare che il difensore dovette soccombere, benché disponesse di una grande marina, che assicurava il libero uso del mare per l'invio di rinforzi nell'isola. Questo vantaggio essenziale fu annullato dalle discordie che minavano la potenza degli Arabi e che si riflettevano sulla disorganizzazione militare, sulla mancanza di tempestività e di combattività.
Il nuovo stato normanno aveva grandissime ambizioni verso Oriente; mentre procedeva alla conquista della Sicilia progettò di estendere il suo dominio in Albania, in Epiro e nelle Isole Ionie; a tale scopo con le risorse pugliesi di uomini e di materiali costituì una marina. Alla notizia di una grande spedizione, che i Normanni preparavano a Brindisi e a Otranto, l'impero d'oriente chiese aiuto alla repubblica di Venezia. Questa seppe negoziare il suo intervento in modo che il trattato di alleanza, concluso nel 1081, ebbe somma importanza politica e militare, assicurando al commercio della repubblica un trattamento preferenziale in Oriente. Nel luglio del 1081 la spedizione normanna approdò a Vallona, di cui s'impadronì; le truppe sbarcate marciarono su Durazzo, che fu assediata per terra e per mare. Una forza navale veneziana accorse in aiuto dei Bizantini assediati a Durazzo, e sconfisse la flotta assediante; quindi i Veneziani sbarcarono truppe e i Normanni furono costretti a ritirarsi. Le operazioni continuarono a diverse riprese e con varia fortuna fino al 1085; i Normanni riuscirono a stabilirsi a Corfù e in quelle acque inflissero una sconfitta a una forza navale veneziana. La guerra finì tuttavia con la ritirata dei Normanni, che abbandonarono l'impresa alla morte di Roberto il Guiscardo; ma, più che alla perdita del condottiero normanno, l'esito di questa guerra si deve attribuire al prevalente potere navale di Venezia, che, nonostante qualche parziale. insuccesso, salvò l'impero bizantino dal pericolo dell'invasione e assicurò al traffico la via dell'Oriente.
Da questa lotta la marina normanna uscì con onore; la disponibilità di materiale e di personale derivante dalla conquista della Sicilia ne consentì il rapido sviluppo; nel 1091 Malta fu resa tributaria; fu questo il primo passo per una politica di penetrazione commerciale e di acquisti territoriali in Tripolitania e Tunisia.
Alla fine del sec. XI adunque, le marine delle repubbliche di Venezia, Genova, Pisa e quella del nuovo stato, sorto in Sicilia e nell'Italia meridionale, erano in pieno divenire; da quanto precede emerge come queste marine italiche fossero fattori d'influenza politica e di espansione commerciale; nell'insieme, anche fra le rivalità, il loro potere assicurava alla cristianità occidentale la libertà di movimento nel Mediterraneo; fattore questo che rese possibili le crociate.
Con lo sviluppo delle costruzioni navali in Italia il tipo di nave che andò perfezionandosi fu la galea, la quale fino al sec. XII ebbe un solo albero, che veniva abbassato nei preparativi di combattimento. Le galee da battaglia avevano forme affinate e perciò si chiamavano "sottili", mentre erano dette "grosse" quelle più tozze, comunemente da carico, con la poppa tondeggiante, divisa in due spicchi fra i quali stava il timone. Le galee grosse erano usate specialmente per il commercio, ma in caso di necessità anche per il servizio di guerra.
Il potere marittimo durante le crociate. - La marina ebbe capitale influenza sia nei riguardi dei trasporti, sia nell'azione marittima in Oriente. Le prime spedizioni per via di mare furono dovute a iniziative di armatori privati; nel 1099, dopo la presa di Gerusalemme, cominciarono a intervenire le marine da guerra; la situazione militare e i fattori politico-economici resero crescente l'importanza dell'azione marittima. Oltre che le navi per trasportare rinforzi, rifornimenti, impedimenta e macchine d'assedio, erano necessarie le navi da guerra per attaccare dal mare le località costiere, per scortare le navi onerarie, e più in generale per assicurare ai crociati il libero uso del mare contro i musulmani d'Egitto, che possedevano navi armate. La cooperazione marittima fruttò alle repubbliche italiane possedimenti coloniali, con autonomia giuridica, franchige doganali ed esenzioni da tributi locali.
Nella seconda crociata (1147) si manifestarono gli effetti della mancanza di potere marittimo, non avendo le marine delle repubbliche italiane potuto prestare il loro aiuto; invece nella terza crociata questo intervento fu possibile e risultò sommamente efficace. ll dominio del mare fu completamente assicurato ai cristiani, quando arrivò nelle acque siriache (1189) la flotta siciliana al comando dell'ammiraglio Margarito da Brindisi. In questa crociata, a differenza di quanto era avvenuto nelle due precedenti, anche il trasporto dei crociati avvenne principalmente per via di mare.
Nella quarta crociata Genova e Pisa non poterono intervenire, perché in guerra fra loro; Venezia si dichiarò pronta a fornire le navi da trasporto e a dirigere la nuova crociata, eseguendola con la sua marina da guerra; così, per il suo potere navale, Venezia ebbe a disposizione truppe che le circostanze consentirono d'impiegare ai suoi fini, riprendendo Zara e deviando la spedizione alle rive del Bosforo, dove la flotta veneziana ebbe parte decisiva nell'espugnazione di Costantinopoli e nella cacciata della dinastia greca (1204). Nella partizione delle conquiste Venezia ebbe la parte più cospicua, perché la sua flotta aveva costituito l'unico appoggio dei crociati e perché necessariamente Venezia doveva, mercé il suo potere navale, assumersi il compito della difesa marittima dell'impero latino e degli altri principati cristiani, costituiti con i territorî tolti ai Greci. Venezia divenne così una grande potenza coloniale. Negli anni che seguirono l'espugnazione di Costantinopoli la marina veneziana fu impegnata nei nuovi possedimenti. Le marinerie italiche cooperarono alle nuove crociate, in cui fu temporaneamente occupata Damietta (1221) e fu ripresa Gerusalemme (1229).
In conseguenza della politica di Genova, che per porre termine al predominio veneziano strinse alleanza con l'impero di Nicea (trattato di Ninfeo), fu rovesciato l'impero latino (1261). L'azione di sorpresa con cui i Greci s'impossessarono di Costantinopoli poté riuscire essenzialmente perché gl'imperatori latini "non seppero comprendere la necessità di una marina da guerra permanente; essi si contentarono di mobilitare, quando necessario, alcune navi veneziane" (La Roncière), e queste erano assenti allorché i Greci fecero il loro colpo. In ogni modo la restaurazione dell'impero greco a Costantinopoli non avrebbe potuto avere carattere duraturo, se i Greci non fossero stati spalleggiati dalla potenza navale di Genova; questa era divenuta così formidabile, che Venezia non cercò di ripristinare la situazione e si limitò alla difensiva. Nel 1268 Venezia riconobbe la legittimità dell'impero greco restaurato, che a sua volta rinunciò alle rivendicazioni sui possedimenti veneziani a Candia, in Morea, a Negroponte e nelle Cicladi. I mutamenti sopravvenuti nelle condizioni di relatività navale fra Genova e Venezia facevano quindi sentire i loro effetti; Venezia non era capace d'imporre l'assetto che aveva dato all'Oriente, quando la sua potenza era all'apogeo; essa fu quindi costretta nel 1270 a lasciare un'ampia zona all'influenza genovese, che divenne preponderante in Siria, nella piccola Armenia, a Costantinopoli e nel Mar Nero.
All'epoca delle crociate ebbe largo sviluppo specialmente il naviglio da trasporto, fra cui le navi esclusivamente a vela. Uno dei tipi più comuni di tale specie fu quello detto usciere, così chiamato da uno o più portelli (usci) praticati nei fianchi per l'imbarco dei cavalli; serviva al trasporto anche delle soldatesche, delle grosse macchine d'assedio, dei viveri e delle munizioni e poteva trasformarsi in fortezza galleggiante mediante l'erezione di castelli e di ponti volanti per salire sulle mura.
Erano uscieri le navi veneziane che servirono all'assalto di Zara e di Costantinopoli nella quarta crociata. Poco dissimili dagli uscieri erano le cocche, che potevano avere anche tre ponti; esse portavano fino a 900 uomini. Accanto a queste grosse navi ve n'erano di molte altre specie, di modeste dimensioni.
Il potere marittimo nei mutamenti di dinastie in Sicilia e nelle guerre del Vespro e d'Aragona. - Sullo scorcio del sec. XII l'aiuto delle forze navali di Genova e di Pisa e la mancata reazione della marina siciliana avevano reso possibile in Sicilia il succedersi della dominazione sveva a quella normanna. Analogamente avvenne nella seconda metà del sec. XIII, quando contro Manfredi la curia romana chiamò in Italia i Francesi con Carlo d'Angiò. La marina siciliana dopo la morte di Manfredi non oppose resistenza alla dominazione angioina, finché l'odio contro i Francesi non venne ad animarla al tempo della rivolta del Vespro (1282), che fu preparata, trovando pronta ad aiutarla la marina aragonese. Questa aveva assunto importanza dalla seconda metà del sec. XII, con l'annessione di Barcellona, disponendo delle risorse di navi e di marinai della Catalogna, assurta a grande floridezza nel risveglio mediterraneo dopo le crociate.
La ribellione di Messina tolse agli Angioini la base per la riconquista dell'isola, e le risorse navali del suo arsenale, che era il principale del regno. Una vittoria degli Angioini sul mare avrebbe potuto decidere della guerra, ma essi si ritirarono dalle acque sicule, non essendo sicuri della loro flotta, che era composta di elementi eterogenei (provenzali, genovesi, pisani e napoletani), senza unità di comando, minata da discordie e da diserzioni. La flotta siculoaragonese fu invece impiegata con sommo spirito aggressivo, quando ne assunse il comando Ruggiero di Lauria. Nel 1283 a Malta e nel 1284 a Castellammare di Stabia il Lauria riuscì a battere separatamente i reparti navali avversarî. Nel 1285 la flotta siculo-aragonese corse in aiuto della Catalogna attaccati dal re di Francia e sconfisse la flotta provenzale nella battaglia notturna alle Formiche. Questa vittoria decise dell'esito della campagna, perché l'esercito francese, che aveva avanzato lungo la costa, dipendeva dalle comunicazioni marittime e aveva i suoi magazzini a Rosas, che gli Aragonesi occuparono in virtù del dominio del mare.
Le guerre del Vespro e d'Aragona segnavano il principio dell'espansione mediterranea spagnola e francese, che avveniva mentre le marinerie delle repubbliche italiane si logoravano in lotte fratricide e lasciavano indifesi i possedimenti in Siria, di cui Acri, ultimo baluardo cristiano, cadeva nel 1291 sotto gli assalti egiziani.
Lotte fra le repubbliche italiane. - L'antagonismo fra Genova e Pisa dal primo aperto conflitto (1119-1133), scoppiato per le rivalità in Corsica, culminò nella grande battaglia del 1284 alla Meloria (v.). Le rivalità commerciali influivano in modo diretto e predominante su tale antagonismo, e perciò per lunghi anni i conflitti navali si protrassero, con una minuta guerriglia, per danneggiare la potenza rivale nel traffico marittimo.
Padrona delle due riviere, da Monaco a Porto Venere, Genova disponeva di ampie risorse di materiali e di personale marittimo, mentre a Pisa una grande battaglia navale doveva produrre conseguenze più dannose che alla sua antagonista, anche a parità di risultati tattici. Per effetto di tali condizioni, quando le due marine rivali vennero a decisiva battaglia alla Meloria, la sconfitta di Pisa ebbe risultati irreparabili, che portarono alla pace rovinosa del 1288; da allora cominciò la decadenza (v. pisa: Storia).
La sconfitta pisana alla Meloria, accrescendo la libertà d'azione della marina genovese, acuì la rivalità fra Genova e Venezia, rivalità che si risolse in ripetuti conflitti (1293-99; 1350-55; 1376-81). Nelle battaglie navali dell'isola di Curzola (1298) e dell'isola di Sapienza (1354) prevalsero i Genovesi, ma dopo una lotta talmente accanita, che ai vincitori non rimasero forze per un'ulteriore azione. Analogamente successe nella guerra di Chioggia (v.), in cui dalla flotta genovese Venezia fu ridotta sull'orlo della rovina (1379), ma la sua resistenza riuscì vittoriosa. Dall'esaurimento prodotto da questa guerra e dalle lotte fra i partiti seguì la rapida decadenza di Genova.
Prime imprese marittime dei Turchi. - Per la debolezza dell'impero bizantino i Turchi si consolidarono in Asia Minore e nel 1356 occuparono Gallipoli, testa di ponte per l'invasione in Europa. Non erano una razza marinara; tuttavia al principio del secolo XV cominciarono a formare una marina, perché avidità di guadagno fece accorrere al loro servizio Genovesi, Catalani, Siciliani, Provenzali e Candiotti. Per sventare una minaccia su Negroponte, nel 1416 il governo veneziano mandò una squadra che davanti a Gallipoli sconfisse la flotta turca; però la vittoria veneziana non fu sufficiente a trattenere i Turchi in Asia, perché i mercanti genovesi delle colonie asiatiche fornirono al sultano piloti e navi. I Turchi dilagarono nella penisola balcanica isolando Costantinopoli, che cadde nel 1453. Soltanto dieci anni più tardi Venezia si decise alla guerra, quando la potenza militare e marittima turca era divenuta gravemente minacciosa per l'Occidente. Venezia fu ridotta sulla difensiva. Si formò la leggenda dell'invincibilità turca, che insieme alla mancanza di solidarietà impedì un'energica e tempestiva reazione marittima delle potenze cristiane. Nel 1479, cioè dopo 16 anni di guerra, Venezia conchiuse una tregua, mentre i Turchi avevano già cominciato l'offensiva contro le colonie genovesi del Mar Nero, che rapidamente caddero. Contemporaneamente al progredire della marina turca, sulle coste dell'Africa settentrionale si sviluppò la marina dei Barbareschi, valenti navigatori e rapacissimi pirati, che ponendosi sotto la protezione della Turchia le diedero una cooperazione formidabile.
Lotte franco-spagnole e influenza del potere marittimo della Turchia. - Con la riunione dei due regni di Castiglia e di Aragona (1469) si costituì la marina spagnola. Mentre Cristoforo Colombo e gli altri esploratori davano alla Spagna un grande impero coloniale, Ferdinando il Cattolico sviluppò nel Mediterraneo le sue forze navali che compirono imprese fortunate, fra cui l'aiuto ai Veneziani in lotta con i Turchi.
All'inizio del sec. XVI la marina francese aveva scarsa importanza; essa era assai inferiore a quella avversaria nel grande conflitto franco-spagnolo che arse nella prima metà di quel secolo in Italia. La marina francese disponeva però della potenza navale di Genova, dove era decaduta la marina di stato, ma gli armatori genovesi combattevano come capitani di ventura.
La situazione cambiò nel 1528, quando Andrea Doria allo scadere del contratto con Francesco I, essendo irritato dai trattamenti avuti dalla Francia, passò alla parte spagnola, mettendo come condizione la libertà di Genova. La risposta francese fu l'alleanza con la Turchia, che in tal modo raggiunse l'apogeo della sua potenza. Gli episodî dell'attacco alla colonia veneziana di Corfù (1537) e della battaglia di Prevesa (v.) confermarono in questo periodo la potenza navale turca.
Fino a tutto il sec. XVI, e anche oltre, la galea fu il tipo predominante fra le navi da guerra in tutto il Mediterraneo. Verso la metà del sec. XV le galee erano basse, lunghe, sottili, avevano generalmente due alberi (con vele latine); da 26 a 30 per parte erano generalmente i banchi di voga, su ciascuno dei quali sedevano tre rematori (sistema "a terzaruolo"). Erano fornite di uno sperone; avevano un cannone a prua e uno a poppa. e alcune bocche da fuoco minori.
La galeotta era più piccola, perché aveva da 16 a 22 banchi di voga, e su ciascun banco un solo rematore, rarissimamente due. Le galeotte furono impiegate dalle marine occidentali come naviglio da esplorazione, mentre i Turchi e i corsari barbareschi ne fecero anche impiego indipendente per la guerra al traffico.
La galeazza era simile alla galea, ma di maggiori dimensioni, con tre alberi a vele latine; aveva da 25 a 28 banchi per parte, sotto la coperta; era armata con pezzi di artiglieria sui fianchi, oltre che alle estremità; l'equipaggio era di circa 400 uomini.
Il galeone costituiva un compromesso fra la galea e la nave tonda per accoppiare la qualità di nave remiera con le qualità di nave velica e con l'ampia capacità di carico. I Turchi davano ai loro galeoni il nome di maone.
Piccoli legni sottili remieri, a vele latine, del tipo delle galee, erano le saettie, i brigantini e le fregate.
Predominio turco. - La mancanza di combattività dimostrata dalla flotta cristiana nello scontro di Prevesa produsse l'aumento di aggressività della flotta turca, quando il re di Francia Enrico II, successore di Francesco I, riprese la lotta contro Carlo V. Nel 1543 la flotta turca mosse in appoggio della squadra francese che attaccava Nizza; nell'entrare nel Tirreno saccheggiò Reggio di Calabria, iniziando una serie di devastazioni sulle coste d'Italia. L'armata navale spagnola rimase passiva; Venezia aveva dichiarato la sua neutralità; così i Turchi ebbero incontrastato il dominio del mare. Analoga situazione si verificò nel 1551, anno in cui i Turco-Barbareschi espugnarono Tripoli, che Carlo V aveva data in custodia ai Cavalieri di Malta; nell'anno successivo la flotta musulmana, per secondare un tentativo francese su Napoli, saccheggiò le coste dell'Italia meridionale e della Sicilia e batté presso Ponza la flotta di Andrea Doria. Il conflitto fra le potenze occidentali si chiuse nel 1559 col trattato di Cateau-Cambrésis, che sanzionò il predominio spagnolo in Italia, ma la Turchia rimaneva la potenza predominante sul mare. Infatti in quello stesso anno si risolse in un disastro l'impresa tentata dalla marina spagnola e dai collegati italiani al comando di Gian Andrea Doria, per riprendere Tripoli (rotta delle Gerbe).
Divenuta vieppiù baldanzosa, nel 1565 la potenza ottomana sferrò un poderoso attacco contro Malta; l'eroica resistenza dei cavalieri di Malta riuscì a logorare le forze degli attaccanti che dovettero ritirarsi, per il timore di essere sorpresi in critica situazione dalla flotta spagnola. I Turchi si rivolsero contro i possedimenti veneziani in Egeo; nel 1570 attaccarono Cipro, che cadde nell'agosto 1571 dopo una strenua difesa. Ma intanto, sotto l'impulso del papa Pio V, veniva formata la grande lega cristiana, la cui armata si concentrò a Messina al supremo comando di don Giovanni d'Austria, e mosse verso Corfù alla notizia che l'armata turca era entrata in Adriatico. Questa riscossa cristiana portò alla grande battaglia navale del 7 ottobre 1571 (v. lepanto, XX, p. 934 seg.). La vittoria cristiana, per quanto non fosse condotta a fondo e non fosse sfruttata, ebbe il risultato di distruggere la leggenda dell'invincibilità dei Turchi e di limitare la loro attività al Mediterraneo orientale. Nel bacino occidentale la minaccia musulmana si ridusse a quella dei corsari barbareschi, contrastata dalle marinerie di Spagna e degli stati italiani. La battaglia di Lepanto fu l'ultima grande battaglia combattuta fra le armate di galee e con essa si chiude il periodo remico (v. guerra, XVIII, p. 86 segg.).
Il dominio turco nel Mediterraneo orientale, che sbarrava agli occidentali la via dell'Oriente, e la scoperta delle nuove vie oceaniche resero secondaria l'importanza del Mediterraneo come campo d'imprese navali.
Riguardo alle marine militari nordiche antiche e a quella portoghese, cfr. rispettivamente normanni; portogallo; vichingi.
Dalle origini delle marine inglese e olandese alle vicende marittime del periodo napoleonico. - Insuccessi marittimi della Spagna alla fine del sec. XVI e loro conseguenze. - Nel 1580, quando Filippo II, re di Spagna, fece valere i suoi diritti di eredità al trono portoghese, la Spagna raggiunse l'apogeo della sua potenza: però la sua marina non era adeguata alle necessità dei dominî oceanici; scarseggiavano le navi a vela armate da numerose artiglierie e costruite in modo da avere buone qualità manovriere, gli equipaggi erano insufficienti e difettava l'addestramento. Le comunicazioni fra i dominî spagnoli erano quindi molto esposte alle azioni piratesche degl'Inglesi e dei Francesi, provocate dal fatto che la Spagna proibiva il commercio degli stranieri con le sue colonie.
In Inghilterra le fortunate imprese dei corsari, e specialmente quelle dei famosi John Hawkins e Francis Drake, destarono grande entusiasmo; così quel popolo cominciò a divenire marinaro, mentre fino a tale epoca si dedicava essenzialmente all'agricoltura e alla pastorizia. Questa trasformazione avvenne sotto l'impulso della regina Elisabetta; nelle imprese corsare si addestrarono gli equipaggi e i capi della marina da guerra, che fu considerata come il fondamento della sicurezza e della prosperità dello stato.
L'Inghilterra costituiva la base d'operazioni dei ribelli dei Paesi Bassi, che lottavano per rendersi indipendenti dalla dominazione spagnola. Nelle provincie settentrionali dei paesi insorti, per la configurazione geografica (numerose isole e canali) l'esito della lotta dipendeva essenzialmente dal potere navale; con gli aiuti dell'Inghilterra le navi dei ribelli crebbero rapidamente.
Per colpire alle origini, Filippo II concepì il piano d'invadere l'Inghilterra: la flotta spagnola doveva conquistare il dominio della Manica sconfiggendo la flotta nemica, o almeno arrivare sulle Coste di Fiandra e proteggere il passaggio della flottiglia con l'esercito d'invasione di circa 30 mila uomini, che aveva a Bruges il suo quartiere generale.
La lentezza dei preparativi tolse agli Spagnoli il vantaggio della sorpresa, dando tempo agl'Inglesi di aggiungere alle poche navi della marina di stato tutte quelle che poterono armare i privati; e la flotta spagnola, malgrado la sua grande superiorità numerica (era chiamata. Armada invincible), subì (1588) uno dei più grandi disastri della storia. Nel seguito delle ostilità crebbero l'audacia e l'attività delle marine d'Inghilterra e d'Olanda con gli attacchi al traffico, alle coste e alle colonie della Spagna, mentre i tentativi della marina spagnola per riprendere l'offensiva contro l'Inghilterra (1597 e 1601) costituirono nuovi insuccessi.
Nel 1603, alla morte di Elisabetta, salì sul trono d'Inghilterra Giacomo I di Scozia che fece pace con la Spagna. La repubblica olandese venne quindi a trovarsi isolata, ma la sua marina si era rapidamente accresciuta e per effetto delle crociere olandesi sempre maggiormente mancarono nella Spagna l'oro e l'argento forniti dalle colonie. Nel 1607 la Spagna dovette conchiudere con l'Olanda una tregua, che fu rotta dopo 12 anni; nella guerra, durata fino al 1648, la Spagna subì nuovi disastri marittimi, culminati nella vittoria della flotta olandese al comando dell'ammiraglio Martin Tromp (v.) contro la flotta spagnola (v. downs, XIII, p. 193). La Spagna dovette infine riconoscere l'indipendenza dell'Olanda e sanzionare il possesso dei territorî che gli Olandesi avevano conquistati nelle Indie.
Evoluzione delle flotte dal remo alla vela. - Il sec. XVI costituisce l'epoca di transizione dalla marina remica a quella velica; perfezionando i galeoni si formò il nuovo tipo di nave da battaglia di alto bordo a vele quadre: il vascello.
I castelli che sovraccaricavano le estremità furono abbassati o soppressi; il profilo dei fianchi divenne rettilineo o quasi; si migliorarono le forme della carena; si accrebbe la potenza delle artiglierie diminuendone il numero e sistemandole quasi esclusivamente sui fianchi.
Nel 1637 batteva i mari il vascello inglese a tre ponti Sovereign of the Sea di 112 cannoni e 1600 tonnellate, equipaggiato da 600 uomini; lo spostamento andò man mano crescendo e nel periodo nelsoniano i maggiori vascelli avevano all'incirca le seguenti caratteristiche: lunghezza m. 70, larghezza m. 16, pescagione m. 8, dislocamento 5000 tonnellate; tre ponti ed eccezionalmente quattro; 110, 120 ed eccezionalmente 130 cannoni; 6 mesi di viveri, 100 giorni d'acqua; 1000 a 1200 uomini di equipaggio. (Per le flotte veliche, v. guerra, XVIII, p. 87 segg.).
Lotte fra le marine d'Inghilterra, Olanda e Francia nel sec. XVII. - La marina inglese, sia da guerra sia mercantile, attraversò nella prima metà del sec. XVII un periodo di stasi, mentre prendeva grande sviluppo la marina mercantile dell'Olanda. Quando in Inghilterra fu abbattuta la monarchia, Cromwell nel 1651 volle risollevare le sorti della marina mercantile con una legge protezionista che fu il celebre Navigation act. Questa legge, che danneggiava gravemente gl'interessi olandesi, si aggiunse alle altre cause di dissidio e di rivalità marittima con l'Olanda, determinando l'aperto conflitto scoppiato nel 1652. Il governo inglese aveva dato un energico impulso alla preparazione guerresca della marina, infondendovi una rigorosa disciplina e un altissimo spirito aggressivo; inoltre l'addestramento della flotta inglese si era formato nei tre anni di guerra contro quella parte della marina che era rimasta fedele alla causa monarchica. Le ostilità consisterono essenzialmente nell'attacco e nella difesa del commercio, ma avvennero battaglie tra flotte numerose, perché le navi mercantili furono ammassate in convogli fortemente scortati.
La prima guerra (1652-54) ridusse l'Olanda all'esaurimento e la costrinse a sottostare a una pace, che fu soltanto una tregua decennale. Nel frattempo avvenne in Inghilterra la restaurazione monarchica; però la monarchia mantenne invariate le pretese alla dominazione marittima già affermate dalla repubblica. D'altra parte l'Olanda comprendeva come la ripresa del conflitto fosse inevitabile e portava la sua marina da guerra a un alto grado di preparazione.
La nuova guerra (1665-1667) dopo alterne vicende ebbe per ultimo episodio l'incursione della flotta olandese, al comando dell'ammiraglio M. Ruyter, nell'estuario del Tamigi. Ma ambedue gli avversarî erano esausti; il loro commercio fortemente risentiva i danni della guerra; quindi essi conchiusero (1667) la pace di Breda, che fu una pace di compromesso. L'Olanda ne usciva notevolmente avvantaggiata e la sua marina era in progresso; ma non aveva la possibilità, come l'Inghilterra, di dedicare tutte le sue risorse all'espansione marittima, bensì doveva preoccuparsi della minaccia continentale e delle vaste mire della Francia di Luigi XIV. La marina francese era in via di rapido sviluppo e di sapiente organizzazione per opera di un geniale ministro, J.-B. Colbert (v.); ma non era ancora in grado di affrontare da sola quella olandese, e quindi la Francia cercò e ottenne l'alleanza dell'Inghilterra.
Le ostilità furono cominciate dall'Inghilterra nel 1672; la flotta olandese al comando di Ruyter abilmente riuscì a impedire ai nemici di sbarcare truppe sulle coste della Zelanda e a mantenere libere le comunicazioni marittime, che erano necessità vitale per la capacità di resistenza dell'Olanda. L'andamento della guerra marittima e le discordie fra gli alleati nel febbraio 1674 indussero l'Inghilterra a conchiudere con l'Olanda la pace separata. La Francia impiegò allora le sue forze navali in operazioni di carattere secondario nelle Antille e nel Mediterraneo, in Sicilia, ribellatasi alla Spagna, che faceva parte della coalizione formatasi per frenare l'espansione francese. Gli Olandesi inviarono nel Mediterraneo una squadra al comando di Ruyter; ma dopo la morte di quel grande ammiraglio, avvenuta nella battaglia di Augusta (aprile 1676) i Francesi poterono, con un attacco di sorpresa mediante i brulotti, incendiare la flotta ispano-olandese alla fonda a Palermo, e quindi conquistarono il dominio del Mediterraneo.
Nella pace di Nimega (1678), mentre la Spagna fu costretta a cessioni territoriali, le perdite dell'Olanda si limitarono alle colonie della costa occidentale d'Africa e delle Guiane; il potere marittimo aveva salvato l'Olanda dalla distruzione. L'Inghilterra e l'Olanda furono collegate contro la Francia nella guerra della Lega di Augusta, essendo riunite in mano di Guglielmo d'Orange, in seguito alla rivoluzione che aveva cacciato dal trono inglese Giacomo II. La marina francese, di molto accresciuta e migliorata, aveva la fortuna di avere al comando navale l'ammiraglio A.-H. de Tourville (v.): in un primo tempo essa riuscì a sbarcare truppe in Irlanda per sostenere i cattolici partigiani di Giacomo II; la flotta di Tourville nel 1690 riuscì a respingere la flotta anglo-olandese verso la parte orientale della Manica e batté i nemici a Beachy Head (Bévéziers); ma tale successo fu sterile, perché la marina francese non cercò di tagliare le comunicazioni marittime fra l'Irlanda e l'Inghilterra, cosicché Guglielmo III poté passare in Irlanda col grosso delle sue truppe e, l'indomani di Beachy Head, Giacomo II fu sconfitto.
L'elemento principale della coalizione antifrancese era costituito dall'Inghilterra; tuttavia durante il conflitto la marina francese fu sempre più trascurata a causa delle difficoltà finanziarie e della scarsità di equipaggi. Nel 1692 la flotta francese ebbe ordine di combattere una decisiva battaglia navale per conquistare il dominio della Manica e consentire uno sbarco di truppe a Tor Bay con obiettivo Londra; il governo francese era illuso dalla speranza di Giacomo II che molti bastimenti inglesi defezionassero durante la battaglia, e fu dato ordine a Tourville di combattere, fort ou faible. Avvenne così la battaglia di La Hogue, in cui la flotta francese affrontò una forza doppia, comportandosi valorosamente; ma la battaglia fu seguita da una ritirata così disastrosa dei Francesi, che alla loro marina fu prescritto da quel giorno di evitare l'incontro del nemico in battaglia, considerando come forma d'azione principale la guerra di corsa. In tal modo si accentuò la decadenza della marina francese; con la pace del 1697 la supremazia europea passò all'Inghilterra; l'Olanda fu ridotta a potenza di secondo ordine.
Il potere marittimo durante le guerre di successione di Spagna e d'Austria. - Nella guerra scoppiata nel 1702 per la successione di Spagna gli Anglo-Olandesi furono alleati dell'impero contro i Franco-Spagnoli essenzialmente per il danno che ne sarebbe derivato ai loro interessi marittimi, se la Francia avesse assorbito la Spagna e i suoi possedimenti. La schiacciante supremazia marittima dell'Inghilterra è il principale fattore della storia europea in questo periodo.
Alle operazioni navali inglesi fu dovuto l'intervento del Portogallo contro i Franco-Spagnoli; da allora il Portogallo divenne un alleato fedele dell'Inghilterra, che se ne valse per portare la guerra sul territorio spagnolo. La squadra inglese, al comando di sir George Rooke (v.), il 4 agosto 1704 s'impossessò della formidabile posizione strategica di Gibilterra. Analogamente a quanto era successo durante la guerra della Lega di Augusta, gli armamenti navali francesi nel corso del conflitto andarono diminuendo e gli Inglesi ebbero il dominio incontrastato del Mediterraneo. Alla conclusione della pace (1713-14) l'Olanda ebbe compensi territoriali, mentre l'Inghilterra conservò Gibilterra, Mahón, nonché Terranova, la Nuova Scozia e la Baia di Hudson; il potere marittimo consentì dunque all'Inghilterra di piantare importanti pietre miliari sulle vie della sua crescente grandezza.
Dal 1715 al 1740 la politica francese fu ispirata a criterî di stretta economia nei riguardi della marina, evitando ogni attrito con l'Inghilterra. Nel 1718 gli Spagnoli tentarono di rioccupare la Sicilia, ma una squadra inglese costrinse alla fuga quella spagnola che bloccava gli Austriaci in Messina e riuscì a raggiungerla e a distruggerla nelle acque di Capo Passero. Per questo fatto, e per le operazioni terrestri eseguite dalle truppe francesi in accordo con l'Inghilterra, fu soffocata la ripresa marittima che la Spagna tentò sotto il ministero del cardinale Alberoni.
Nella guerra generale scoppiata in Europa per la successione d'Austria (1740-48) l'Inghilterra fu ancora a fianco degli Asburgo contro i Franco-Spagnoli e l'azione navale contribuì efficacemente a difendere i dominî austriaci in Italia. La marina francese, per l'eccessiva parsimonia con cui era stata amministrata nei 25 anni di pace, si trovò in guerra con scarsità di forze navali e deficiente addestramento; a loro volta le forze navali inglesi furono molto vincolate per la situazione interna, perché la causa degli Stuart contava numerosi partigiani. Per queste ragioni la guerra marittima fu fiaccamente condotta; tuttavia la marina inglese ottenne un risultato capitale, perché nel 1744 impedì la riuscita di una spedizione preparata per portare un esercito sul suolo britannico; nell'anno successivo il pretendente riuscì a sbarcare da solo e riportò successi temporanei, ma la Francia non poté appoggiarlo.
La guerra fu prevalentemente terrestre, però le condizioni di relatività marittima dei due principali belligeranti - Inghilterra e Francia - influirono sull'esito. Infatti la Francia non riuscì a conseguire risultati decisivi per deficienza di potere marittimo; reciprocamente l'Inghilterra mantenne la sua situazione per effetto del dominio del mare. Ma la pace del 1748 non fu che una tregua di breve durata, che servì di preparazione al nuovo conflitto.
Predominio britannico nella guerra dei Sette anni (1756-63). - Nel 1755, senza dichiarazione di guerra, una squadra inglese attaccò un convoglio francese che portava truppe nel Canada. A sua volta la Francia eseguì un'azione offensiva nell'aprile 1756, facendo una spedizione contro Minorca; lo sbarco riuscì e Mahón era già investita per terra e per mare, allorché nelle acque dell'isola giunse una squadra inglese. L'esito dello scontro fu indeciso, e l'ammiraglio inglese Byng (v.) ritornò a Gibilterra, stimando impossibile di soccorrere Mahón, che dovette capitolare; per la sua condotta Byng fu fucilato. Nel maggio 1756 l'Inghilterra dichiarò la guerra. La presa di Mahón costituiva un miglioramento importante nella situazione marittima della Francia, però tale successo rimase isolato. Per tre anni la marina francese fu inattiva; la marina inglese ebbe il dominio del mare attuando la strategia del blocco. La libertà di uso del mare consentì all'Inghilterra la sicurezza delle linee di comunicazione per le offensive nei diversi teatri di operazioni. Sulle coste francesi dell'Atlantico gl'Inglesi eseguirono sbarchi di notevole entità per recare danni ai porti e costringere il nemico a immobilizzare truppe; questi attacchi costituirono una cooperazione indiretta alla guerra terrestre in cui Russia, Austria e Francia erano collegate contro la Prussia di Federico II (v.), alleata dell'Inghilterra.
Nel 1759 la Francia tentò di riprendere l'offensiva; la squadra del Mediterraneo doveva passare nell'Atlantico e riunendosi alle forze di Brest doveva conquistare il dominio della Manica, allo scopo di proteggere lo sbarco di un esercito per invadere l'Inghilterra. Ma nell'agosto 1759 la squadra di Tolone, pur essendo riuscita a passare lo stretto, fu raggiunta dalla squadra inglese di Gibilterra e una metà fu annientata a Lagos (Portogallo); l'altra si rifugiò a Cadice e poi rientrò nel Mediterraneo. Tre mesi dopo la squadra di Brest fu attaccata dalla squadra inglese nella baia di Quiberon (v.) e distrutta. Così il piano d'invasione dell'Inghilterra ebbe risultati disastrosi; gl'Inglesi acquistarono l'assoluto dominio del mare, di cui si valsero per intensificare l'azione contro le colonie.
Il governo inglese sapeva che la Spagna si era impegnata a entrare in guerra a fianco della Francia, nel marzo 1762, e ne prevenne l'intervento dichiarando la guerra ai primi di gennaio; in breve tempo l'impero coloniale della Spagna fu minacciato di totale rovina. Una spedizione inglese con l'appoggio della squadra al comando dell'ammiraglio Rodney attaccò Avana, che si arrese nell'agosto 1762; contemporaneamente una spedizione organizzata dalla Compagnia delle Indie contro le Filippine conquistò Manila. I Franco-Spagnoli tentarono un'azione contro il Portogallo, per porre fine alla sua neutralità benevola per l'Inghilterra; ma le truppe inglesi sbarcate a Lisbona li respinsero di là dai confini.
La Francia faceva un'attiva guerra di corsa; nei sette anni di guerra gl'Inglesi persero circa 4 mila navi mercantili; però il numero delle prede dipese dallo sviluppo del commercio britannico; la corsa non costituiva un adeguato compenso ai rovesci marittimi della Francia.
L'Inghilterra trionfava, ma per le gravi difficoltà finanziarie aderì alla pace di Parigi (febbraio 1763). La guerra continentale non aveva avuto risultati decisivi, tuttavia l'Inghilterra, mercé il suo potere marittimo, aveva acquistato la supremazia mondiale.
Il potere marittimo nella guerra d'indipendenza americana. - La rivoluzione delle 13 colonie inglesi nordamericane, per rendersi indipendenti dalla madrepatria, fu seguita da una grande guerra marittima, perché la Francia nel 1778, la Spagna nel 1779 e l'Olanda nel 1781 entrarono in lotta contro l'Inghilterra.
La marina inglese ebbe compiti ben più ardui che nella guerra dei Sette anni, sia per il carattere del conflitto, sia perché nei 15 anni di pace la marina francese si era attivamente preparata; le squadre inglesi si trovarono generalmente ad affrontare squadre equivalenti; nelle acque europee furono in condizioni d'inferiorità contro i Franco-Spagnoli, a causa della sottrazione di forze navali destinate a cooperare con le forze terrestri contro le colonie insorte.
Il piano francese, presentato nel dicembre 1777 dal conte De Broglie a Luigi XVI, stabiliva come principale obiettivo lo sbarco in Inghilterra, dopo aver riportato nella Manica una vittoria navȧle così decisiva, da togliere agl'Inglesi la possibilità di affrontare un'altra battaglia. Le condizioni favorevoli per l'attuazione di tale piano si verificarono nell'estate del 1779, quando i Franco-Spagnoli poterono concentrare nelle acque europee una flotta che era una volta e mezzo quella inglese; ma la flotta degli alleati non riuscì a imporre la battaglia; e dopo una crociera di due mesi dovette rientrare nelle basi a causa delle perdite di personale derivate dalle cattive condizioni igieniche degli equipaggi. La coalizione franco-spagnola finì col risentire gravemente la mancanza di un comando unico; nei tre teatri di operazioni, America, Europa e India, le campagne combattute costituirono una serie di sforzi non coordinati.
La squadra francese destinata in America partì da Tolone nell'aprile 1778, ma impiegò tre mesi nella traversata perdendo tempo per scopi di addestramento; ciò fece mancare la sorpresa, consentendo agl'Inglesi di preannunziarne l'arrivo, cosicché la squadra inglese nelle acque americane poté riunire le sue navi e concentrarle per la difesa di New York. I preparativi inglesi ebbero per effetto che la squadra francese non attaccò New York, però per la concentrazione delle forze fece perdere agl'Inglesi i risultati che avevano ottenuto contro gli Americani.
Il potere marittimo ebbe parte essenziale negli avvenimenti svoltisi nell'America Settentrionale. Nel 1781 agl'Inglesi rimanevano due centri di resistenza: New York e la Chesapeake; siccome gli Americani occupavano il territorio intermedio, le comunicazioni tra le forze inglesi erano possibili soltanto per mare. Il principale corpo di truppe inglesi, al comando del generale Cornwallis, si trovava nella baia di Chesapeake, nella penisola di Yorktown. Il comandante della squadra francese, ammiraglio De Grasse (v.), mentre operava nelle Antille, aveva preso accordi col generale Washington per un attacco combinato contro l'esercito di Cornwallis. Nel settembre 1781 la squadra di De Grasse al largo di Capo Virginia sostenne una battaglia con la squadra inglese dell'ammiraglio Graves; tatticamente la battaglia rimase indecisa, ma la squadra inglese dovette ritirarsi, cosicché la squadra francese impedì a quella nemica di entrare nella baia di Chesapeake, mentre vi giungevano le navi francesi che portavano agl'insorti le artiglierie di assedio; per la situazione che ne derivò, l'esercito di Washington poté ottenere un grande successo, la capitolazione dell'esercito di Cornwallis (ottobre 1781), che ebbe importanza risolutiva per l'indipendenza degli Stati Uniti.
Nel dicembre 1780 l'Inghilterra, comprendendo l'impossibilità di opporsi efficacemente all'indipendenza delle colonie nordamericane, volle attenuare l'effetto della loro perdita; non potendo togliere colonie alla Francia e alla Spagna, cercò il compenso nelle colonie olandesi. La marina olandese aveva poche e vecchie navi e la posizione geografica dell'Inghilterra le impediva di riunirsi con i Franco-Spagnoli. In conseguenza, nell'agosto 1781, la squadra olandese, mentre scortava un convoglio diretto nel Baltico, fu obbligata a battaglia sul Dogger Bank e distrutta. I Francesi cercarono di difendere le colonie olandesi, e nel marzo 1781 una divisione francese che si recava in India al comando dell'ammiraglio Suffren (v.) ebbe ordine di proteggere la Colonia del Capo, minacciata da una squadra inglese, che Suffren sorprese e attaccò a Porto Praia. La vittoria francese, per quanto non conseguisse l'annientamento della squadra inglese, consentì a Suffren di arrivare al Capo con anticipo, sbarcando un contingente di truppe la cui presenza impedì l'attacco inglese. Comunque, l'arrivo di Suffren nei mari delle Indie non poté riuscire tempestivo per impedire che i possedimenti olandesi cadessero nelle mani degl'Inglesi.
Nel Mediterraneo i Franco-Spagnoli poterono ottenere un successo sbarcando nell'agosto 1781 una spedizione a Minorca; per l'insieme della situazione gl'Inglesi rinunziarono a soccorrere Mahón, che dopo strenua resistenza si arrese nel febbraio 1782.
Nelle Antille l'episodio saliente avvenne nel 1782, mentre i Franco-Spagnoli preparavano la conquista di Giamaica; l'ammiraglio francese De Grasse doveva concentrare alla Martinica le forze francesi e poi riunirsi a Capo Haitiano con le forze spagnole. Da questa situazione derivò l'8 aprile 1782 la grande battaglia navale delle Sante tra la squadra francese e quella inglese al comando dell'ammiraglio Rodney; gl'Inglesi riportarono una vittoria che non fu sfruttata con un vigoroso inseguimento, ma che tuttavia fu un grande successo morale, producendo la cattura del comandante in capo francese, e facendo fallire la spedizione contro la Giamaica. Questa vittoria navale inglese ebbe grande influenza sull'esito del conflitto; infatti essa dimostrò che l'Inghilterra aveva la piena capacità di fronteggiare la situazione contro i Franco-Spagnoli, mentre si manifestava disposta a riconoscere l'indipendenza degli Stati Uniti, che nel novembre 1782 conchiusero la pace separata. Gli armamenti navali francesi erano andati progressivamente diminuendo; le finanze francesi risentivano fortemente i danni della guerra senza potere sperare vantaggi; il potere marittimo consentì dunque all'Inghilterra una pace onorevole (Versailles, 1783); la Spagna riacquistò la Florida e Minorca; il potere marittimo della Franciȧ fu elemento decisivo per l'esito vittorioso della rivoluzione americana, ma la Francia trasse da questa guerra soltanto vantaggi di carattere morale.
Durante la rivoluzione francese. - Dal 1789 al 1795 la convulsione sociale e politica della Francia si ripercosse sulla marina, che si disorganizzò profondamente.
La coalizione europea formatasi contro la Francia dispose di forze navali, quando nel 1793 la Francia dichiarò guerra all'Inghilterra, all'Olanda e alla Spagna. Nel 1793 la perdita e la riconquista di Tolone costarono alla Francia la perdita del predominio nel Mediterraneo. Minacciata dalla carestia, nel 1794 essa inviò la squadra di Brest, al comando dell'ammiraglio Villaret-Joyeuse, a proteggere l'arrivo di un grande convoglio proveniente dagli Stati Uniti. La flotta inglese al comando di lord Howe obbligò la squadra francese a battaglia, riportando un successo tattico (1° giugno); però la squadra francese aveva raggiunto il suo scopo strategico: essa aveva infatti vincolato la flotta nemica esercitando la protezione indiretta del convoglio.
La vittoriosa campagna di Bonaparte in Italia e la conclusione dell'alleanza franco-spagnola nella seconda metà del 1796 costrinsero la flotta inglese del Mediterraneo a ritirarsi a Gibilterra; così il potere terrestre restituì alla Francia il dominio del Mediterraneo.
Il potere marittimo diede tuttavia all'Inghilterra la possibilità di continuare la lotta e impedire il grande concentramento di forze navali che nel 1797 i suoi nemici si proponevano di attuare nella Manica, riunendo alla flotta francese di Brest quella spagnola e la squadra olandese, per riprendere il progetto d'invasione nelle isole britanniche. Questo piano fu sventato dalla vittoria che l'ammiraglio Jervis (v.) riportò nelle acque di Capo San Vincenzo contro la flotta spagnola (14 febbraio 1797) e dalla vittoria di Camperdown riportata dalla squadra dell'ammiraglio Duncan (v.) contro gli Olandesi (31 ottobre 1797).
Della libertà d'azione nel Mediterraneo i Francesi si valsero nel 1798 effettuando la spedizione in Egitto al comando di Bonaparte; la squadra di Tolone lasciò la sua base eludendo la vigilanza di Nelson e il 12 giugno occupò Malta; il 2 luglio fu occupata Alessandria. Ma il 1° agosto la squadra francese fu annientata dalla squadra inglese di Nelson ad Abukir (v.); in tal modo gli Inglesi riconquistarono il dominio del Mediterraneo tagliando le comunicazioni fra l'esercito d'Egitto e la Francia. Oltre a produrre il fallimento del piano egiziano-siriaco di Bonaparte, quella battaglia navale ebbe gravissime ripercussioni sulla situazione continentale europea, specialmente in Italia.
Nell'ottobre 1798 una squadra russa uscì dai Dardanelli e tolse ai Francesi l'isola di Corfù; nel novembre dello stesso anno gli Inglesi rioccuparono Minorca e attaccarono Malta, dove il presidio francese resistette a lungo, ma non poté essere soccorso; nel settembre 1800 l'Inghilterra s'impadronì di quell'isola, punto di appoggio navale di capitale importanza strategica.
Il potere marittimo all'epoca del Consolato e dell'impero napoleonico. - La campagna del 1800 ricondusse la pace sul continente; ma la Gran Bretagna rimaneva in guerra contro la Francia. I successi francesi acuivano le lagnanze dei neutri verso i dominatori del mare; si stipulò (1800) un trattato di neutralità armata fra Russia, Danimarca, Svezia e Prussia; ma la lega si sciolse dopo la distruzione della flotta danese per opera di quella inglese (2 marzo 1801: v. copenaghen) e dopo la morte dello zar Paolo I.
Nel marzo 1801 Bonaparte nei porti settentrionali della Francia fece costruire una flottiglia formata da piccole navi cannoniere di poca pescagione, costruite per navigare a vela e a remi, con capacità di trasportare truppe nella traversata della Manica. Dal maggio all'agosto il concentramento di questa flottiglia a Boulogne provocò piccoli combattimenti; gl'Inglesi raccolsero truppe sulle coste e rinforzarono la squadra della Manica; Nelson con una spedizione di bombarde attaccò Boulogne, per distruggere la flottiglia, ma senza successo. L'allarme destato dai preparativi francesi e la stanchezza della guerra indussero l'Inghilterra a conchiudere nell'ottobre 1801 l'armistizio, seguito dopo sei mesi dalla pace di Amiens, che riconobbe l'egemonia francese sul continente. Gl'intralci creati dalla Francia al ripristinamento del commercio inglese con l'Europa, e il risorgere delle ambizioni e dell'attività marittima francese, nonché il desiderio inglese di non mantenere i patti stabiliti ad Amiens per lo sgombro di Malta, furono le cause principali per cui l'Inghilterra dichiarò nuovamente la guerra nel maggio 1803.
I preparativi francesi per la flottiglia d'invasione assunsero sviluppo grandioso e le truppe della Grande Armée furono concentrate sulle rive della Manica, ma il 1804 passò senza che l'offensiva francese avvenisse. Gl'Inglesi compresero che la flottiglia non avrebbe potuto attraversare la Manica senza il dominio del mare e perciò con le loro forze navali stabilirono la prima linea di difesa davanti ai porti in cui erano le navi da battaglia avversarie, bloccando le squadre della Francia e quelle della Spagna (alleatasi alla Francia nel dicembre 1804). Il piano napoleonico del 2 marzo 1805 stabilì che le squadre francesi e spagnole forzassero il blocco ed eseguissero una manovra diversiva concentrandosi alle Antille, per poi ritornare in Europa in modo da sorprendere il nemico e conquistare nella Manica il libero uso del mare, necessario per effettuare l'invasione. Il piano fallì per la reazione delle squadre inglesi e per la mancanza di decisione del comando navale francese. La squadra partita da Tolone il 29 marzo 1805, al comando dell'ammiraglio Villeneuve (v.), arrivò alle Antille dove fu inseguita dalla squadra inglese del Mediterraneo al comamdo di Nelson. La squadra di Villeneuve non fu però raggiunta alle Antille dalle altre forze navali francesi e alleate, e perdette un tempo prezioso; nel ritorno in Europa, dopo uno scontro indeciso con una squadra inglese al largo di Capo Finisterre (22 luglio), detta squadra approdò al Ferrol. La sua riunione con navi spagnole e francesi che erano in quella base offriva a Villeneuve favorevoli probabilità di successo per l'azione decisiva nello scacchiere della Manica, perché le forze navali inglesi erano frazionate; ma Villeneuve mancò di ardimento e ripiegò su Cadice, dove giunse il 28 agosto. Napoleone ne ebbe notizia il 2 settembre, quando (per la situazione risultante dall'alleanza della Russia con l'Austria contro la Francia) egli già aveva inviato dal 22 agosto il suo ultimatum all'Austria e messo in movimento l'esercito verso il Reno.
Abbandonando il piano d'azione nella Manica, Napoleone ordinò alla flotta di entrare nel Mediterraneo; primo obiettivo doveva essere il concorso alle operazioni terrestri contro il regno di Napoli. La flotta franco-spagnola rimase tuttavia in Cadice, mentre crescevano le forze inglesi di sorveglianza; alla fine di settembre Nelson assunse il comando della squadra bloccante; quando la flotta franco-spagnola tentò di riprendere il mare, fu annientata il 21 ottobre 1805 nella grande battaglia di Capo Trafalgar (v.). L'obiettivo che si proponeva la flotta franco-spagnola aveva importanza secondaria, e quindi la strepitosa vittoria navale inglese non ebbe immediate ripercussioni sulla situazione continentale; Trafalgar sembrò eclissata da Austerlitz.
Dopo vani tentativi per una pace di compromesso nel 1806 la Gran Bretagna proclamò il blocco navale delle coste dalle foci dell'Elba a Brest; a sua volta Napoleone proclamò il blocco continentale, chiudendo agl'Inglesi tutti i porti dalla Vistola all'Adriatico, e dichiarò passibile di cattura qualunque nave neutrale avesse approdato a un porto inglese prima di sbarcare il proprio carico sul suolo francese. La marina inglese bloccò tutte le coste continentali ed ebbe perciò un compito estremamente gravoso; per la scarsità di equipaggi, siccome molti marinai avevano disertato in America, la marina inglese ricorse all'arruolamento forzato fermando navi americane e privandole di parte del personale; questa fu tra le cause principali per cui, dal 1812 al 1815, parallelamente alla guerra europea, l'Inghilterra fu in conflitto con gli Stati Uniti.
L'Inghilterra agì energicamente contro i neutri che secondavano i piani di Napoleone; così nel 1807 una sua squadra forzò i Dardanelli e minacciò Costantinopoli per obbligare la Turchia ad abbandonare l'alleanza francese; nello stesso anno fu nuovamente bombardata Copenaghen; nel 1809 truppe inglesi occuparono Flessinga e l'isola di Walcheren. L'aspra guerra nella penisola iberica, il conseguente sbarco di truppe inglesi, e la loro resistenza incrollabile nelle linee di Torres-Vedras, risvegliarono nelle potenze continentali la speranza di mettere fine alla supremazia francese; fu questo il principio della crisi risolutiva che l'Inghilterra alimentò con gli sbarchi di truppe e col finanziamento della coalizione. Da ciò emerge come il blocco continentale fosse un'arma pericolosa: sugli eventi che ebbero il loro epilogo a Waterloo il potere marittimo esercitò la sua influenza occulta; il dominio del mare, conseguito a Trafalgar, mantenne nell'Inghilterra la fede nell'esito del conflitto e fu causa precipua della caduta dell'impero napoleonico.
Dal 1815 alla guerra mondiale. - Nelle colonie ispano-americane la Spagna fu incapace di domare la rivoluzione scoppiata nel 1810 (v. america: Storia dell'America latina). La sua decadenza marittima fu la ragione fondamentale per cui la rivolta poté assumere carattere di gravità. In questo periodo l'egemonia marittima della Gran Bretagna diede a questa potenza una posizione predominante in Europa e nel mondo.
Spedizioni contro i Barbareschi. - Nel tempo in cui le grandi marine erano state impegnate nelle reciproche lotte, l'attività piratesca aveva avuto incremento nel Mediterraneo e perciò nel dopoguerra furono necessarie spedizioni punitive. Gli Stati Uniti pagavano un tributo al dey d'Algeri per assicurare il loro commercio; nel 1815 mandarono contro Algeri una forza navale che ottenne la rinunzia del dey alle sue pretese. Allo stesso scopo una forza navale anglo-olandese nell'agosto 1816 bombardò Algeri; nel 1825 avvenne la prima azione della marina sarda, col bombardamento di Tripoli.
Decadenza della Turchia. - Si manifestò nel combattere l'insurrezione scoppiata in Grecia nel 1821; con piccole navi che appoggiavano l'attacco di brulotti, mediante la guerriglia, i Greci ebbero successi contro la marina turca. Ma nel 1825 la repressione divenne energica, quando il sultano ricorse per aiuto al suo vassallo Moḥammed ‛Alī viceré d'Egitto; la flotta egiziana stabilì la sua base a Navarino e sbarcò truppe per la conquista della Morea. Di questa situazione cercò di profittare la Russia che anelava a Costantinopoli e ad acquistare una posizione nel Mediterraneo; per evitare l'intervento isolato della Russia, anche l'Inghilterra e la Francia nel luglio 1827 si dichiararono pronte a imporre l'autonomia della Grecia. Nella battaglia di Navarino la flotta turco-egiziana fu distrutta. Questa battaglia assicurò l'indipendenza della Grecia e iniziò il disgregamento dell'impero turco.
Nel 1833 Moḥammed ‛Alī, non avendo ricevuto dal sultano i compensi attesi per l'aiuto contro l'insurrezione greca, conquistò la Siria e minacciò Costantinopoli; per difendere la Turchia, la flotta russa entrò nel Mar di Marmara e la sua presenza impedì l'attacco egiziano; in seguito a ciò la Russia aumentò la sua influenza in Turchia, e ottenne per otto anni il passaggio delle sue navi da guerra attraverso gli Stretti.
Ripresa di attività coloniale della Francia. - Avvenne nel 1830 con la grande spedizione che occupò Algeri (v. algeria). Mentre nell'Africa settentrionale creava un impero, la Francia aiutava i preparativi militari dell'Egitto; nel 1839 Moḥammed ‛Alī poté riprendere l'offensiva allo scopo d'impossessarsi della Siria e dell'isola di Creta, per formare con l'Egitto un grande stato gravitante nell'orbita francese. Da questo derivò nel 1840 una grave crisi europea, che si risolse in uno scacco per la Francia; Moḥammed ‛Alī fu obbligato ad accettare lo statu quo ante, allorché la flotta inglese bombardò Beirut e San Giovanni d'Acri e bloccò le coste egiziane. Nel 1841 la convenzione degli Stretti chiuse il Bosforo e i Dardanelli alle navi da guerra di tutte le potenze.
In seguito agli sviluppi dell'azione nell'Africa settentrionale, la squadra francese nel 1844 bombardò Tangeri e Mogador; l'espansione francese determinò attriti con l'Inghilterra. La politica navale della Francia fu in armonia con la politica estera; il passaggio dalla marina a vela a quella a vapore svalutava la marina velica, consentendo un'occasione propizia per modificare le condizioni di relatività rispetto alla marina inglese; perciò nel 1846 la Francia decise un grande programma navale. Sull'evoluzione delle flotte dalla vela al vapore, v. guerra, XVIII, p. 87 seg.; nave.
Dal 1848 al 1866. - Le marine svolsero attività guerresca in molteplici campi: nelle acque italiane, nel Mar Nero e nel Baltico, nel Mare del Nord e in Estremo Oriente (Cina, Cocincina, Giappone), negli Stati Uniti, nel Messico e nell'America Meridionale.
L'Inghilterra e la Francia furono solidali, quando la Russia nel 1853 attaccò la Turchia; il loro intervento avvenne per impedire alla Russia l'accesso nel Mediterraneo, ossia per tutelare i loro interessi marittimi. La prevalenza navale consentì la libertà dei trasporti di truppe e dei rifornimenti degli alleati occidentali per via di mare, e la possibilità d'isolare un obiettivo di guerra limitato. Mancò la battaglia navale, perché la flotta russa rimase inerte e affondò le proprie navi per ostruire l'entrata di Sebastopoli, stimando che il contrasto navale in quelle condizioni d'inferiorità fosse impossibile.
Nella guerra di secessione americana (v. stati uniti), come nella guerra di Crimea, una delle parti belligeranti (stati settentrionali) aveva un deciso predominio marittimo. Sull'andamento del conflitto la marina ebbe grandissima influenza, bloccando le coste degli stati meridionali e impossessandosi della grande arteria fluviale del Mississippi separante gli stati meridionali in due parti.
Nelle guerre per l'indipendenza italiana l'azione marittima ebbe invece importanza assai limitata.
Dal 1870 al 1900. - Durante la guerra franco-prussiana del 1870-71 la marina francese ebbe il dominio incontrastato del mare; però in primo tempo la sua influenza fu limitata a vincolare una notevole aliquota di truppe prussiane, mantenute nella Germania settentrionale per l'eventualità di uno sbarco; in secondo tempo (dopo Sedan) la libertà delle vie del mare facilitò alla Francia la costituzione di nuovi eserciti. Nel complesso il potere marittimo fu incapace d'influire in modo apprezzabile sull'andamento del conflitto; tale esperienza produsse nel dopoguerra l'indifferenza per la marina.
Intanto l'apertura del Canale di Suez (1869) produceva la rivalutazione del Mediterraneo, che diveniva una grande via del traffico mondiale, ponendo in primo piano l'importanza delle posizioni strategiche nel Mediterraneo orientale e in quello centrale. In seguito alla guerra russo-turca del 1877-78 l'Inghilterra, in compenso della sua protezione alla Turchia, ottenne la cessione di Cipro; cioè un punto di appoggio navale nel Mediterraneo orientale. La Francia nel 1881 riprese la sua espansione occupando Tunisi; questa grave alterazione della situazione mediterranea ebbe per conseguenza la partecipazione dell'Italia all'alleanza fra la Germania e l'Austria-Ungheria. Il problema egiziano entrò nella fase acuta nel giugno 1882 con la rivolta militare contro l'ingerenza europea (v. egitto: Storia); l'Inghilterra ne approfittò per intervenire col bombardamento navale d'Alessandria (11 luglio), a cui seguì lo sbarco a Porto Said e l'occupazione del canale.
Mentre l'Inghilterra stabiliva il suo dominio in Egitto la Francia svolgeva un'intensa attività coloniale accrescendo i suoi possedimenti nell'Oceano Indiano e in Estremo Oriente, con le spedizioni al Madagascar e la conquista dell'Annam e del Tonchino, che portò alla guerra franco-cinese (1884-85) in cui la squadra al comando dell'ammiraglio Courbet (v.) ottenne brillanti risultati.
Ma la preparazione marittima della Francia non era adeguata all'intraprendente politica coloniale, in concorrenza con l'Inghilterra; il bilancio della marina era mantenuto in limiti troppo modesti e sui programmi di costruzioni navali influivano le teorie della Jeune école (v. guerra, XVIII, p. 88). Le conseguenze si manifestarono nel 1898 quando la Francia cercò di contrastare l'azione inglese in Egitto con l'occupazione di Fashoda (v.); quella grave crisi dimostrò come la politica mondiale della Francia avesse basi malsicure.
La marina francese era la seconda del mondo; però era molto inferiore a quella inglese, che dal Naval defence act del 1889 regolava il suo sviluppo in conformità del two powers standard (eguaglianza rispetto all'insieme. delle forze delle due marine più potenti, con aggiuntȧ di un margine del 10 per cento).
La marina italiana nel 1890 aveva raggiunto il terzo posto; ma poi, per le ristrettezze finanziarie, rallentava il suo sforzo e peggioravano le sue condizioni di relatività (v. italia: Marina militare).
La marina russa era fra le principali; ma la sua potenza era assai inferiore alla totalità delle forze disponibili, perché la chiusura degli Stretti isolava la flotta nel Mar Nero. La marina del Giappone, quella degli Stati Uniti e quella della Germania erano di second'ordine; ma erano in via di rapido sviluppo.
Nel 1898 avvenne la guerra ispano-americana, in cui la Spagna subì le conseguenze della sua assoluta impreparazione marittima. Gli Stati Uniti divennero padroni dei preziosi resti dell'impero coloniale spagnolo e, in previsione dell'apertura del canale di Panamá, si assicurarono le posizioni marittime per dominare gli accessi all'istmo.
Nel 1895 la Germania aveva inaugurato il canale di Kiel. Nel 1898 il parlamento tedesco approvò una legge navale: più che per il numero e per la specie delle navi, di cui stabiliva la costruzione nel periodo di 6 anni, la legge navale aveva vasta portata perché conteneva disposizioni di carattere continuativo. Infatti fissava il numero di unità di varia specie che dovevano comporre la flotta; stabiliva il sistema della sostituzione di ogni nave al raggiungimento di un certo limite d'età; determinava la forza da tenere nella posizione d'armamento, cioè pronta all'azione, e quella nella posizione di riserva con nuclei di personale. La legge prescriveva inoltre che i fondi necessarî per le nuove costruzioni navali fossero stabiliti annualmente, in armonia con lo sviluppo determinato dalla legge stessa.
Pochi mesi prima della legge navale del 1898 la Germania aveva occupato Kiao-Ciao e aveva conchiuso con la Cina la convenzione dello Sciantung; creando una grande flotta e mettendo piede in Cina si additavano al popolo tedesco nuovi orizzonti.
Col rapido sviluppo industriale, commerciale e marittimo della Germania sorgeva la rivalità anglo-tedesca; dalla politica continentale, unicamente basata sulla forza dell'esercito, la Germania passava alla politica mondiale, e la creazione di una grande flotta era necessaria a questa politica.
All'inizio del sec. XX, mentre l'Inghilterra era impegnata nella guerra del Transvaal, la Germania profittò della situazione per raddoppiare, con la legge navale del 1900, la flotta prevista nella legge del 1898. Nella relazione della nuova legge fu proclamato il cosiddetto "criterio del rischio"; che cioè la flotta tedesca da battaglia doveva divenire così forte, che anche per la più grande potenza marittima una guerra con la Germania mettesse in pericolo la sua posizione nel mondo.
La prima precauzione dell'Inghilterra in conseguenza dello sviluppo marittimo della Germania fu l'alleanza col Giappone (conchiusa nel 1902), che permise all'Inghilterra di diminuire le sue forze nell'Estremo Oriente; reciprocamente il Giappone fu garantito dal pericolo di dover soggiacere a coalizioni come quella del 1895. Sull'esito di un conflitto limitato alla Russia e al Giappone il potere marittimo doveva avere necessariamente una parte essenziale: infatti nella guerra russo-giapponese (v.) le conseguenze dell'offensiva della marina nipponica furono decisive per l'andamento generale del conflitto.
Nella primavera del 1904 il crescente sviluppo della marina germanica provocò l'entente cordiale anglo-francese. L'attitudine imposta alla Francia dalla sua condizione di alleata con la Russia non era facilmente conciliabile con la nuova amicizia per l'Inghilterra. Il contrasto emerse nell'incidente dell'ottobre 1904, quando la 2ª squadra russa, partita dal Baltico per l'Estremo Oriente al comando dell'ammiraglio Roždestvenskij, nel passare sul Dogger Bank aprì il fuoco su una flottiglia peschereccia inglese, credendosi attaccata da siluranti. L'Inghilterra e la Francia stavano per essere attratte nel conflitto, ma per il comune desiderio di accordo l'incidente fu risolto da una commissione internazionale di arbitrato; così pure furono risolti gl'incidenti che nacquero per l'appoggio dato dalla Francia alla squadra di Rozdestvenskii durante il viaggio (permanenza di tale squadra al Madagascar e poi sulle coste dell'Annam).
La gara degli armamenti navali. - In seguito alla legge navale tedesca del 1900 l'ammiragliato inglese cercò di fare in modo che per l'inferiorità di risorse finanziarie la Germania si trovasse nell'impossibilità di sviluppare la flotta secondo il piano prestabilito. A questo scopo nel 1904 l'Inghilterra intraprese la costruzione delle dreadnoughts e degl'incrociatori da battaglia, ossia di navi più grandi e quindi di maggiore costo di quelle preesistenti. Per il periodo d'incertezza che il nuovo indirizzo delle costruzioni produsse nello sviluppo della marina tedesca, e per l'alacrità con cui l'Inghilterra procedette alla costruzione delle corazzate di nuovo tipo, nel 1906 e nel 1907 l'Inghilterra varò sette dreadnoughts e incrociatori da battaglia senza nessuna nave corrispondente da parte tedesca. Ma la Germania dimostrava di non avere alcuna intenzione di restringere lo sviluppo previsto; anzi nel 1906 un emendamento alla legge navale del 1900 stabilì un aumento di 6 grandi incrociatori; infine nel 1908 un altro emendamento abbassò il limite d'età delle corazzate da 25 a 20 anni. L'ammiragliato inglese dovette rallentare le costruzioni, perché spinto dal desiderio di economia del governo democratico, il quale nutriva l'illusione che la seconda conferenza dell'Aia potesse condurre a un accordo per la limitazione degli armamenti; così nel 1908-09 la Germania poté riguadagnare parzialmente il tempo perduto. Nel 1909, essendo svanite le speranze di limitazione degli armamenti, l'Inghilterra intensificò le costruzioni. Lo sviluppo della flotta tedesca imponeva di stabilire rispetto ad essa il rapporto di potenzialità; perciò l'Inghilterra proclamò che avrebbe mantenuto la superiorità del 100 per cento (two keels to one standard); ne risultò il grande programma inglese del 1909-10 relativo a 8 grandi navi.
Ma si rilevò impossibile di continuare le costruzioni così intensamente. Il primo lord dell'ammiraglìato inglese (Churchill) il 18 marzo 1912 dichiarò sufficiente per l'Inghilterra una superiorità del 60% di navi della categoria dreadnoughts (fra corazzate e incrociatori da battaglia); fino a quell'epoca l'Inghilterra aveva varato 23 grandi navi, contro 15 unità similari tedesche; quindi non faceva che dichiararsi soddisfatta del mantenimento del rapporto di potenzialità allora esistente.
La gara degli armamenti ebbe importanti ripercussioni sugli avvenimenti politici. In correlazione con l'incremento della flotta la Germania aveva assunto un'attitudine più energica per reagire contro la politica di "accerchiamento" attribuita all'Inghilterra; così nel 1905 la crisi per lo sbarco di Guglielmo II a Tangeri (v.); nel 1908 la crisi determinata dall'annessione della Bosnia-Erzegovina all'impero austro-ungarico; nel 1911 la crisi derivata dall'invio della nave tedesca Panther sulle coste del Marocco (v. agadir). L'accordo franco-tedesco, che chiuse l'incidente di Agadir, tolse gli ultimi ostacoli all'azione marocchina della Francia; in conseguenza l'Italia intraprese la guerra di Libia, che diede all'Austria l'occasione di dimostrare da quali sentimenti fosse animata a riguardo dell'Italia nella circostanza di operazioni eseguite da navi sottili della marina italiana a Prevesa.
Dopo Agadir, la Germania preparò la legge navale del 1912. La nuova legge stabiliva l'accrescimento di tre corazzate nell'organico della flotta tedesca; ma la decisione di maggiore importanza era quella di tenere 7/10 della flotta sul piede di guerra, giovandosi della larga disponibilità di personale derivante dal servizio obbligatorio, mentre ogni aumento presentava assai maggiori difficoltà col sistema del reclutamento volontario inglese.
Tre giorni prima del discorso della Corona, nel quale la nuova legge doveva essere annunziata, cioè il 4 febbraio 1912, il Kaiser aveva fatto privatamente conoscere al Ministero degli esteri inglese che la Germania avrebbe fatto concessioni nella legge navale se avesse avuto sufficienti garanzie per un amichevole orientamento della politica britannica, nel senso che ambedue le potenze si saserebbero astenute dal prendere parte in ogni combinazione politica che fosse diretta sia contro l'una sia contro l'altra. Dunque le condizioni che la Germania poneva, per rinunziare alla nuova legge navale, consistevano nella garanzia della neutralità inglese, qualora la Germania venisse in lotta con altre potenze. Così la Germania applicava nei riguardi dell'Inghilterra il criterio del rischio.
Il ministro inglese della Guerra, R. B. Haldane, andò a Berlino per le trattative, che non riuscirono. Pure non avendo ottenuta l'assicurazione della neutralità inglese, il governo tedesco conservò l'illusione che si sarebbe verificata, in un conflitto in cui la Germania non dimostrasse verso l'Inghilterra un'attitudine minacciosa. Questa illusione influì grandemente sul contegno della Germania durante la crisi che provocò la guerra mondiale, e anche sulla condotta della guerra nel Mare del Nord, nel primo tempo delle ostilità; la Germania presumeva che le sue vittorie terrestri decidessero l'Inghilterra a conchiudere la pace, se la flotta rimanesse intatta (v. guerra mondiale).
La marina militare nel dopo guerra. - Confronto fra la situazione dell'anteguerra e quella del 1920. - Nelle condizioni relative di potenzialità delle flotte, la guerra mondiale produsse radicali mutamenti per la perdita di navi, nonché per le differenti condizioni delle varie marine nei riguardi delle possibilità costruttive e delle impellenti necessità guerresche e infine per le condizioni stabilite dai trattati di pace. I dati più importanti per apprezzare le conseguenze marittime del conflitto mondiale emergono dalla seguente tabella, in cui, prendendo come unità 100.000 tonn., è riportato il tonnellaggio delle principali marine nelle navi della categoria dreadnoughts (corazzate e incrociatori da battaglia); le cifre esprimono il tonnellaggio delle navi varate (cioè in servizio o in allestimento) all'epoca considerata.
Il trattato di Versailles limitò la flotta tedesca nel numero e nelle qualità delle navi, concedendo di mantenere: sei vecchie corazzate del tipo predreadnought; sei incrociatori leggieri, dodici cacciatorpediniere e dodici torpediniere, nessun sommergibile. Il trattato consentì la sostituzione di tali navi, quando avessero raggiunto il limite d'età (20 anni per le corazzate e gli incrociatori, 15 anni per i cacciatorpediniere e le torpediniere), stabilendo il massimo di 10.000 tonnellate per le corazzate (con armamento del calibro di 280 mm.), 6000 tonnellate per gli incrociatori leggieri, 800 tonnellate per i cacciatorpediniere e 200 tonnellate per le torpediniere.
Durante la guerra, per far fronte a imperiose necessità, la Francia e l'Italia avevano dovuto sospendere la costruzione delle navi di linea, di cui l'Intesa disponeva ad esuberanza. Dopo l'armistizio le due nazioni rinunziarono a proseguire la costruzione delle corazzate che erano sullo scalo o in allestimento; tale rinunzia, a cui contribuì il dubbio infondato che le corazzate fossero divenute un anacronismo, fu soprattutto imposta dalle esigenze finanziarie.
Con la distruzione della flotta tedesca la potenza britannica raggiunse l'apogeo; però il suo predominio marittimo era esposto a un rapido deprezzamento. Infatti le navi di linea della marina inglese, a eccezione di tre, risultavano da concezioni di anteguerra; ma la sostituzione delle grandi navi antiquate era inconciliabile con le necessità di economia. I dati dell'ultimo alinea della tabella mostrano come fosse per prodursi una situazione molto minacciosa a causa degli armamenti navali degli Stati Uniti e del Giappone.
Dal 1919 la marina degli Stati Uniti si sviluppava in modo formidabile, avendo in costruzione 16 grandi corazzate, in conformità di un programma che era stato approvato sin dal 1916, ma che era stato sospeso nel 1917-18 per la partecipazione alla guerra mondiale. Nel 1919 la maggior parte delle navi degli Stati Uniti passò il Canale di Panamá, costituendo la flotta del Pacifico; a questa dislocazione e al grande programma navale americano corrispose nel 1920 un grande programma della marina giapponese.
La conferenza navale di Washington e le sue conseguenze. - Nella situazione suaccennata gli Stati Uniti presero nel 1921 l'iniziativa d'invitare i governi delle principali potenze marittime alla conferenza navale di Washington (v. disarmo: Disarmo navale); il trattato conchiuso il 6 febbraio 1922 limitò il tonnellaggio unitario e complessivo delle navi di linea (fino al 1931). Quest'accordo non derivò dal criterio della svalutazione delle navi di linea, bensì dal comune desiderio di ridurre le spese per gli armamenti navali. In fatto d'incrociatori, la sola limitazione su cui fu possibile accordarsi a Washington fu quella relativa al dislocamento unitario e al calibro massimo delle artiglierie (10.000 tonn. e 203 mm. rispettivamente); nacquero così gli "incrociatori leggieri tipo Washington".
Per le tre maggiori potenze marittime (Inghilterra, Stati Uniti e Giappone) le forze di linea continuarono a formare la spina dorsale della flotta; tuttavia quel trattato costituì una riduzione effettiva, mediante la radiazione di una notevole aliquota di navi di linea e l'annullamento delle costruzioni in corso, stabilendo la parità fra la marina degli Stati Uniti e quella inglese (525.000 tonnellate) e assegnando al Giappone un tonnellaggio complessivo di navi di linea nel rapporto di 3/5 rispetto a quello delle due maggiori marine. Il trattato stabilì lo statu quo delle basi navali nel Pacifico, e fu la causa dello scioglimento dell'alleanza anglo-giapponese.
La Francia e l'Italia avevano forze così esigue, che l'accordo di Washington non portò alcuna riduzione, ma solo stabilì la parità fra le forze di linea e una limitazione per il futuro (175.000 tonnellate); per l'età antiquata delle navi di linea in servizio le due potenze ottennero la facoltà di limitare la vacanza navale al 1927.
In luogo delle cifre risultanti dall'ultimo alinea della tabella innanzi riportata, la potenzialità relativa del naviglio di linea delle cinque grandi potenze navali fu dunque così concordata: 5,25; 5,25; 315; 1,75; 175.
Alla conferenza di Washington l'opposizione della Francia fece fallire le trattative per la limitazione quantitativa in tonnellaggio di naviglio leggiero e sottile e dei sommergibili; in conseguenza la imitazione concordata nel tonnellaggio del naviglio di linea fece rivolgere l'attività costruttiva al naviglio delle altre categorie, con un rapido incremento, in contrasto con lo spirito della conferenza di Washington, inquantoché quello che grava sull'economia non è il costo di ogni singola nave, bensì il costo dei programmi navali.
La situazione mediterranea. - Nell'anteguerra le condizioni di relatività marittima fra l'Intesa e la Triplice alleanza erano prossime all'equilibrio. A dimostrarlo basta ricordare il patto navale anglo-francese del febbraio 1913; quantunque nel Mediterraneo fosse concentrata la flotta francese, l'incertezza sull'attitudine dell'Italia costringeva l'Inghilterra a distrarre dal Mare del Nord una forza navale di entità notevolmente superiore a quella che la Germania destinava nel Mediterraneo.
Nel 1912 il parlamento francese aveva approvato una legge che determinava lo sviluppo della flotta fino al 1919 e in analogia alle leggi navali tedesche stabiliva il sistema della sostituzione di ogni nave al raggiungere di un certo limite di età. Ma l'applicazione di quella legge ebbe un arresto a causa della guerra; perciò nel marzo 1922, cioè subito dopo la conferenza di Washington, la Francia decise un importante programma navale. Nel 1924 quel programma fu esteso formulando lo "statuto navale" che fissa il seguente sviluppo quantitativo:
Alla conferenza riunitasi a Londra nel 1930 per la limitazione degli armamenti navali il memorandum della delegazione francese pose in rilievo che tale programma costituiva una riduzione di 339.000 tonnellate rispetto al tonnellaggio della flotta francese nel 1914, "riduzione tanto più significativa - secondo il memorandum - non essendo più in vigore l'accordo franco-britannico che esisteva nel 1914 per la distribuzione delle flotte. Ma è profondamente mutata la generale situazione marittima del 1914: la grande flotta tedesca è ridotta a una piccola marina; esiste il trattato di Locarno; la marina austriaca è scomparsa e la costa orientale dell'Adriatico è in mano di una potenza alleata della Francia. Di fronte a tali cambiamenti (a parte la riduzione della flotta italiana) perde ogni importanza la riduzione prospettata dalla Francia.
La situazione internazionale risultata dalla guerra ha grandemente semplificato il problema della sicurezza marittima della Francia, mentre ha aggravato quello dell'Italia (v. sopra); sono scomparsi i fattori di equilibrio marittimo che esistevano al tempo della Triplice Alleanza e, nell'eventualità di un conflitto, la quasi totalità delle forze navali francesi potrebbe essere concentrata nel Mediterraneo. L'Italia è circondata da tre mari; la situazione geografica nel Mediterraneo e le specie degli obiettivi favoriscono maggiormente da parte francese la concentrazione delle forze e la libertà d'iniziativa; anche se esistesse la parità di forze tale situazione si tradurrebbe in effetti per la Francia in una condizione di superiorità.
Per queste ragioni, nelle trattative per la limitazione degli armamenti l'Italia ha affermato il suo pieno diritto alla parità navale con la Francia; tale affermazione deriva da un criterio di relatività, essendo l'Italia disposta a qualsiasi limitazione. Invece lo sviluppo stabilito dallo statuto navale è considerato dalla Francia come un fabbisogno assoluto; da tale criterio è derivato il fallimento della conferenza di Londra del 1930, e dei tentativi ripetutamente fatti dall'Italia per raggiungere un accordo.
La ripresa della costruzione delle corazzate. - La conferenza di Londra ha prorogato al 1936 la vacanza per le navi di linea stabilita fino al 1931 dal trattato di Washington; ma ha conservato alla Francia e all'Italia il diritto di costruire anche prima di quell'epoca 70.000 tonnellate di navi di detta categoria. Valendosi di questo diritto la Francia alla fine del 1932 ha iniziato la costruzione della corazzata Dunkerque, di 26.500 tonnellate, prendendo pretesto dal fatto che la Germania, valendosi del diritto consentito dal trattato di Versailles, aveva varato la nave Deutschland di 10.000 tonnellate (armata con cannoni da 280 mm., cioè di calibro superiore a quello da 203 mm. degl'incrociatori tipo Washington) e aveva autorizzato i fondi per due altre navi dello stesso tipo (v. nave). Per effetto della costruzione del Dunkerque e della prossima scadenza della tregua che ebbe inizio col trattato di Washington, la nuova fase della politica navale sembra caratterizzata dalla ripresa della costruzione di navi corazzate, accoppianti a una grande potenza offensiva una capacità difensiva adeguata rispetto ai moderni mezzi di offesa.
Influenza del potere marittimo sulla politica mondiale. - "Le marine da guerra hanno avuto parte preminente sugli avvenimenti politici del dopoguerra, come la crisi d'Oriente del 1922, l'incidente italo-greco del 1923 e la conferenza di Washington. Le relazioni attuali della Gran Bretagna con gli Stati Uniti, il Giappone e la Francia, della Francia con l'Italia e degli Stati Uniti col Giappone, sono largamente influenzate, se non dominate, dal fattore navale; forse mai l'elemento navale ebbe un'importanza così universale come quella che oggi possiede nel dominio politico" (H. C. Bywater). La priorità attribuita al problema della limitazione degli armamenti navali, nel quadro generale del disarmo, dipende essenzialmente dal fatto che la relatività marittima, come ha detto Benito Mussolini, stabilisce la gerarchia delle nazioni.
Bibl.: Sull'organizzazione delle marine da guerra greche, v. G. Busolt, Griechische Staatskunde, Monaco 1920-26, passim (letteratura, p. 568, n. 2). Eccellenti schizzi di storia della marina militare in J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., Strasburgo e Berlino 1912-1927, I, i, p. 274; II, i, p. 114; III, i, p. 460; IV, i, p. 358; A. Koster, Das Seekriegwesen bei den Griechen, in J. Kromayer e G. Veith, Heerwsen u. Kriegführung der Griechen u. Römer, Monaco 1928, p. 163 seg.; F. Miltner, art. Seewsen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., suppl. V, 1931, col. 906 segg. Sull'organizzazione della marina romana: oltre alle opere generali citate (in Kromayer e Veith, Heerwesen, ecc., la marina da guerra romana è trattata da A. Köster e E. Nischer, p. 609 seg.), v. O. Fiebiger, art. Classis, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, col. 2632; B. Mussolini, Roma antica sul mare, Milano 1926; L.A. Stela, Italia antica sul mare, Milano 1930; E. Ferrero, L'ordinamento delle armate romane, Torino 1878; J. Kromayer, Die Entwickelung der römischen Flotte von Seeräuberkriege des Pompeius bis zum Schlacht von Actium, in Philologus, LVI (1897), p. 426 seg.; O. Fiebiger, De classium italicarum historia et institutis, in Leipziger Studien, XV (1894), p. 275; V. Chapot, La flotte de Misène, Parigi 1896; R. Grosse, Röm. Militärgeschichte, Berlino 1920, pp. 70 e 294.
Dalla caduta dell'impero romano ai nostri tempi: a) Storia generale della marina di tutti i popoli: C. Chabaud Arnault, Tableau général de l'histoire maritime contemporaine, Parigi 1881; C. Randaccio, Storia navale universale antica e moderna, voll. 2, Roma 1891; A. V. Vecchi (Jack La Bolina), Storia generale delle marine militari, voll. 3, 3ª ed., Livorno 1897; W. O. Stevens e A. Westcott, A history of sea power, New York 1920. L'influenza della marina è notevolmente considerata nelle seguenti opere: G. Volpe, Il Medioevo, Firenze 1927; P. Silva, Il Mediterraneo dall'unità di Roma all'unità d'Italia, Milano 1927 (nuova edizione, 1934; con ampia bibliografia); G. Vannutelli, Il Mediterraneo. Origine e fonte risorgente della civiltà mondiale, Bologna 1932. b) Storia delle varie marine: Per la storia marittima italiana sono fondamentali le opere di C. Manfroni, Storia della marina italiana dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo, Livorno 1899; id., Storia della marina italiana dal trattato di Ninfeo alla caduta di Costantinopoli, opera in voll. di cui è pubblicato solo il I: Dal trattato di Ninfeo alle nuove crociate, Livorno 1902; id., Storia della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto, Roma 1897. Per il riferimento all'influenza della marina, è di particoalre interesse l'opera di G. Volpe, Momenti di storia italiana, Firenze 1926.
Per la storia delle singole marine degli stati italiani prima dell'unità, v. alle singole voci; fra le opere che si riferiscono a tale epoca, sono specialmente importanti le seguenti: A. Guglielmotti, Storia della marina pontificia, voll. 9, Roma 1886-87; C. Manfroni, La marina militare del granducato mediceo, voll. 2, Roma 1895-96.
Marina francese: E. Sue, Histoire de la marine française, voll. 4, Parigi 1845; L. Guérin, Histoire maritime de la France, voll. 6, Parigi 1851; V. Brun, Guerres maritimes de la France, voll. 2, Parigi 1867; J. De La Gravière, Guerres maritimes sous la république et l'empire, voll. 2, Parigi 1883 (lo stesso autore pubblicò una serie di volumi sulle lotte dei popoli cristiani del sec. XVI contro i Barbareschi e i Turchi: Doria et Barberousse, Parigi 1887; Les corsaires barbaresques et la marine de Soliman le Grand, Parigi 1887; Les chevaliers de Malte et la marine de Philippe II, voll. 2, Parigi 1887; La guerre de Chypre et la bataille de Lépante, voll. 2, Parigi 1888); E. Chevalier, Histoire de la marine française pendant la guerre de l'indépendance américaine, Parigi 1877, e il seguito a quest'opera in 3 voll., Parigi 1886; C. Chabaud Arnault, Histoire des flottes militaires, Parigi 1889; C. De La Roncière, Histoire de la marine française, voll. 6, Parigi 1899-1932 (l'ultimo volume si rifericse al crepuscolo del regno di Luigi XIV e all'apogeo della guerra di corsa); J. Tramond, Manuel d'histoire maritime de la France des origines à 1815, 2ª ed., Parigi 1927; id. e A. Reussner, Éléments d'histoire maritime et coloniale contemporaine 1815-1914, Parigi 1924; R. Jouan, Histoire de la marine française, voll. 2, Parigi 1932.
Marina germanica: H. von Borcke, Die brandeburg-preuss. Marine, Colonia 1864; A. Tesdorpf, Geschichte der kaiserl. deutschen Kriegsmarine, Kiel 1889; E. von Mantey, Histoire de la marine allemande, trad., Parigi 1930.
Marina inglese: Nicolas, History of the Navy from the earliest times, Londra 1847; James, The naval history of Great Britain from the declaration of war by France to the accession of George IV, voll. 6, Londra 1886; W. Laird-Clowes, The Royal Navy. A history from the earliest times to the present, voll. 7, Londra 1897-1903; J. S. Corbett, Drake and the Tudor navy, voll. 2, Londra 1898; id., The successors of Drake, Londra 1900; id., England in the Mediterranean, a study of the rise and influence of British pwoer within the straits, 1603-1713, voll. 2, Londra 1904; id., England in the seven years' war, voll. 2, Londra 1907; id., The campaign of Trafalgar, Londra 1910; A. T. Mahan, The life of Nelson, The embodiment of sea power of Great Britain, vol. 2, Londra 1897; id., Types of naval officers drawn from the history of the British Navy, Londra 1904; J. Laughton, From Howard to Nelson, Londra 1907.
Marina olandese: F. P. Renault, Le crépuscule d'une puissance navale, la Marine hollandaise de 1776 à 1783, Parigi 1932.
Marina russa: E. Sydenhan Clarke, Russia's sea power, past and present, or rise of the Russian navy, Londra 1898; F. T. Jane, The imperial Russian navy, Londra 1899; W. Semenoff, Rassplata, 7ª ed., voll. 2, Parigi 1917-19; N. Klado, The Russian navy in the russo-japanese war, Londra 1905 (dalla tard. franc. dell'originale russo); N. Monasterev e S. Terestchenko, Histoire de la Marine russe, Parigi 1932.
Marina spagnola: C. Fernández Duro, La Armada invencible, voll. 2, Madrid 1884; id., Armada española desde la unión de los reinos de Catsilla y de León, voll. 9, Madrid 1895; A. Navarrete, Historia maritima militár de Espana, Madrid 1907.
Marina degli Stati Uniti: R. J. Spears, History of the United States navy from its origin to the present day, voll. 4, Londra 1898; A. T. Mahan, Admiral Farragut, Londra 1904; id., car of 1812, Londra 195; id., Lessons of the war with Spain (trad. it., Spezia 1900); U. S. Navy Department, The spanish american war; War notes, Washington 1899 segg.; E. Clark, W. O. Stevens, C. S. Alden, H. F. Kraft, Histoire de la Marine des États Unis (trad.), Parigi 1930.
Sull'evoluzione del naviglio: M. Vocino, La nave nel tempo, Roma 1927; G. de la Roërie e J. Vivielle, Navires et Marins de la rame a l'helice, voll. 2, Parigi 1930.
Le seguenti opere hanno saliente importanza perché lo studio degli avvenimenti vi è approfondito allo scopo d'illustrare l'influenza spesso decisiva esercitata dal potere marittimo: A. T. Mahan, The influence of sea power upon history, 1660-1783, Londra 1890; id., The influence of sea power upon the French revolution and Empire, voll. 2, Londra 1892 (trad. italiana di C. Manfroni, Roma 1895).
Marina mercantile.
Generalità. - L'influenza del mare sulla vita sociale non come per i fenomeni fisici, spontanea; occorre che un'attività privata e pubblica la stimoli. L'attività privata si estrinseca nella marina mercantile, espressione che denota il complesso delle persone, delle cose e dei servizi mediante i quali è posta in atto la partecipazione del mare al soddisfacimento degli umani bisogni. L'attività pubblica si svolge a tutelare l'esistenza della marina mercantile, a regolarne il funzionamento, a eccitarne le manifestazioni. Non è raro, peraltro, che eventi straordinarî (p. es. guerre), o indirizzi di governo, determinino un esercizio marittimo mercantile anche da parte della pubblica amministrazione. In tali casi, comunque, l'esercizio di stato è condotto allo stesso titolo dell'esercizio privato, è regolato, specie nei rapporti internazionali, dalle medesime discipline giuridiche, ed è sottoposto, se agisce nel campo della libera concorrenza, alle medesime leggi economiche.
Ristretta alla sua significazione etimologica, l'espressione "marina mercantile" dovrebbe solo riferirsi allo svolgimento dell'attività privata avente per scopo il trasporto delle merci; ma l'ampiezza e la varietà dei bisogni sociali ai quali il mare sovviene, l'identità delle contingenze e delle leggi naturali cui, nelle varie esplicazioni, ogni esercizio marittimo è soggetto, la necessità di norme comuni alle diverse forme d'attività coesistenti nel medesimo ambiente e legate da costanti rapporti anche quando le finalità ne siano differenti, ne hanno esteso la portata. È così che nel concetto di "marina mercantile" rientra il trasporto di cose e persone (affidato al naviglio da carico, da passeggeri o misto), anche quando il trasporto delle persone non sia fatto a scopo di speculazione commerciale, ma a scopi d'istruzione (navi-scuola) o di svago (naviglio da diporto); vi rientrano pure l'esercizio della pesca marittima (naviglio peschereccio), e tutte le altre forme d'attività privata spiegate in mare per spedizioni scientifiche, per posa di cavi telegrafici, per dragaggio dei porti, ecc. Vi rientrano infine tutte quelle forme d'attività che si manifestano nel territorio marittimo (porti e zone litoranee) per provvedere ai bisogni dell'esercizio nautico: in modo particolare le attività attinenti alla costruzione, riparazione e manutenzione delle navi, al ricovero, alle manovre d'imbarco e sbarco di merci e passeggeri, al deposito e alla custodia di merci.
L'ampia portata dell'espressione "marina mercantile" si deduce più chiaramente quando questa si raffronti con altre espressioni che nella terminologia corrente tendono ad eguagliarne il significato: navigazione o esercizio nautico, commercio o traffico marittimo, trasporto marittimo, comunicazioni o servizî marittimi. Queste espressioni comprendono solo parzialmente i concetti racchiusi nella prima, ché "navigazione" è locuzione tecnica intesa quale arte del navigare, "esercizio nautico" è utilizzazione del naviglio, "commercio" o "traffico" marittimo è lo scambio dei beni che si effettua per via di mare, "trasporto marittimo" è l'azione del trasferimento di cose o persone da porto a porto, "comunicazioni o servizi" marittimi si riferiscono alla funzione più rilevante cui provvede la marina mercantile. La navigazione s'identifica con la figura del capitano, l'esercizio nautico con quella dell'armatore, il commercio o traffico marittimo col commerciante, il trasporto marittimo col vettore, le comunicazioni o i servizî marittimi con l'assuntore e con la pubblica amministrazione che vi sovrintende nell'interesse della collettività.
La marina mercantile ha caratteri comuni con la marina militare e caratteri nettamente distinti.
Unico essendo l'elemento nel quale svolgono la loro azione, uniformi sono i principî generali ai quali per l'una e per l'altra s'ispirano l'arte del navigare e l'arte costruttiva del naviglio. Ma anche sotto questi riguardi l'uniformità cessa dove comincia l'influenza delle due diverse destinazioni: utilità economica per la marina mercantile, fini bellici per la marina militare. Nelle navi mercantili la struttura deve conciliare le esigenze della sicurezza nautica con la necessità di offrire la più grande disponibilità di spazî e le maggiori comodità per merci e passeggeri; nelle navi militari con la necessità di conseguire il massimo di potere offensivo e di capacità di resistenza alle aggressioni nemiche.
I caratteri distintivi delle due marine, dapprima scarsissimi, tanto che le stesse navi e gli stessi uomini servivano quasi indifferentemente alla guerra e al commercio, si sono a mano a mano resi più spiccati e numerosi. Esistono, peraltro, numerosi e frequenti rapporti e connessioni. Marina militare e marina mercantile sono fattori essenziali della politica nazionale e procedono di pari passo nella considerazione di chi ha la responsabilità del governo d'uno stato. Chi presiede alla marina militare, e provvede alla preparazione della guerra marittima; mira ad assicurare al proprio paese quanto più possibile l'integro uso della via marittima per il rifornimento delle armate e della popolazione civile; chi presiede alla marina mercantile sa che questa è elemento essenziale per la difesa e la resistenza del paese, e che quindi per numero di navi, quantità di tonnellaggio, composizione qualitativa, essa deve rispondere non soltanto ai bisogni di pace, ma alle varie esigenze della guerra.
La marina mercantile nella sua funzione più rilevante, quella cioè che si attiene alle comunicazioni, ha inoltre rapporti e connessioni con gli altri sistemi di trasporto, sia perché identico ne è lo scopo, sia perché nei trasferimenti di passeggeri, posta e merci nessun sistema può isolarsi dagli altri, ma ciascuno di essi opera a integrazione dell'altro. I punti in cui avviene quest'integrazione sono i porti marittimi, nei quali convergono tutti i mezzi di trassporto; comincia, tuttavia, a manifestarsi anche in alto mare il collegamento fra il trasporto marittimo e quello aereo.
Ma se identici ne sono gli scopi e un reciproco completamento si verifica nella funzione, i varî sistemi sono governati da leggi fisiche ed economiche e da norme giuridiche differenti. Le leggi fisiche che influiscono sulla costruzione, sulla condotta e sull'esercizio dei mezzi di trasporto marittimo trovano solo rispondenze nel trasporto per vie acquee interne e analogie nel trasporto aereo. Attinenze e analogie numerose si riscontrano anche nel regime economico e giuridico di questi tre sistemi di trasporti.
La differenza è invece profonda tra il sistema marittimo e il sistema ferroviario, non soltanto in rapporto alla natura dell'elemento su cui l'uno e l'altro agiscono, e che conferisce diversa potenzialità ai loro mezzi, ma perché, a differenza della ferrovia, la via marittima, salvo che nei punti terminali, non richiede spese di costruzione o manutenzione, è sottratta a singole sovranità, è aperta a tutti, e si esercita in regime di libera concorrenza.
Non meno si differenziano il trasporto marittimo e quello automobilistico o a trazione animale, eccetto che nel regime della concorrenza per quanto generalmente ristretta, per i due ultimi, all'ambito nazionale.
Vi è tuttavia un punto di vista politico che insieme accomuna le varie forme di trasporto, ed esso costituisce il motivo principale per cui v'è ovunque la tendenza, già concretatasi in Italia, di affidare a uno stesso ministro responsabile l'attività di governo inerente a tutte le comunicazioni.
La marina mercantile svolge la sua azione in un campo ancora chiuso, nella più gran parte, ad ogni competizione degli altri sistemi di trasporto: comincia peraltro anche in questo campo, e cioè nelle comunicazioni fra i territorî separati dal mare, a manifestarsi la concorrenza del trasporto aereo, per ora generalmente limitata, ma destinata ad accentuarsi in avvenire. Fra territorî che sono collegati sia dalla via marittima sia dalla terrestre o dalla via terrestre e fluviale insieme, la competizione è sempre possibile, ed elementi decisivi per la prevalenza dell'uno o dell'altro sistema di trasporto sono il costo e la rapidità del viaggio.
Studî comparativi sul costo teorico del trasporto merci in grandi masse per tonnellata-chilometro sono stati compiuti, e ne è risultato che nella scala dei costi il gradino più basso spetta al trasporto per mare, mentre si ascende, per tutti gli altri sistemi, nell'ordine seguente: via fluviale, canali, ferrovia, autotrasporti, carreggio ordinario, carreggio veloce, dorso di cavallo, dorso di mulo, spalla d'uomo.
La superiorità della marina mercantile nei riguardi del costo appare evidente solo che si considerino le seguenti sue caratteristiche, che hanno efficacia permanente perché ad essa connaturate: a) la via marittima non richiede spese di costruzione o manutenzione, se non ai suoi termini, né pagamento di pedaggi se non per brevi tratti, quando percorre canali artificiali; in condizioni analoghe ed anzi più favorevoli non si trova che la via aerea; b) al mezzo di trasporto marittimo non si oppongono le difficoltà dei dislivelli, se non quando (e sono del resto lievissimi e per brevi tratti) deve risalire il corso di taluni fiumi; c) il mezzo di trasporto che galleggia in acqua perde interamente il suo peso (eguale a quello del liquido spostato), cosicché, a differenza della quasi totalità degli altri mezzi, la forza di trazione necessaria affinché esso si rechi da un luogo all'altro dev'essere proporzionata alla sola resistenza che oppone l'acqua e non anche al peso del mezzo; d) a differenza di ciò che avviene nelle comunicazioni terrestri, in quelle marittime, aumentando le dimensioni del veicolo, aumenta in misura progressivamente crescente la sua capacità di carico, e aumenta invece in misura progressivamente ridotta la forza di trazione necessaria a mantenere costante velocità, sicché i veicoli più grandi sono più economici dei più piccoli, ciò che costituisce un elemento a tutto vantaggio della via marittima, nella quale i mezzi di trasporto possono assumere proporzioni gigantesche.
Nei riguardi della rapidità del viaggio, invece, la via marittima è in condizioni d'inferiorità rispetto alle vie aeree o terrestri, per la maggiore resistenza che l'acqua di mare presenta al moto del veicolo. In pratica infatti la marina mercantile, quando è in lizza con gli altri sistemi di trasporto, non tende a competere con essi per la velocità, ma per il basso costo, e gli aumenti di velocità sono quindi contenuti sino al limite che non assorba quel vantaggio.
Le merci di massa, cioè le merci povere, che anche per via di terra non possono sostenere l'onere delle grandi velocità, preferiscono in genere la via di mare, specie per i lunghi percorsi. Ma la stessa via non seguono i passeggeri, le merci deperibili, le merci ricche, la posta, per i quali la rapidità del viaggio costituisce per sé stesso un elemento economico che in genere attenua o annulla o rende anche più favorevole del più basso costo marittimo il maggior costo del trasporto terrestre. Occorre peraltro avvertire che, nel trasporto dei passeggeri, diversi elementi possono ancora influire a determinare la preferenza per la via marittima o per quella terrestre. Comunque, se è vasto il campo in cui il trasporto è conteso dai varî mezzi che operano in mare, in acqua dolce, in aria e in terraferma, molto più vasto è quello in cui la marina mercantile predomina.
Cenni storici. - Antichità. - Se i primi passi delle civiltà primitive sono stati mossi intorno ai grandi fiumi che ne hanno costituito l'ossatura e le arterie nutritive (Nilo, Eufrate, Gange, Yang-tze), i perfezionamenti successivi nelle relazioni fra i popoli e nella vita economica si sono invece sviluppati intorno ai mari mediterranei. Strumento essenziale per lo sviluppo della civiltà è quindi stato il mezzo nautico, evolutosi attraverso progressi dapprima lenti, poi sempre più rapidi, dal tronco d'albero incavato fino ai moderni transatlantici.
Come la navigazione in genere, anche il trasporto delle merci per mezzo d'imbarcazioni risale, per tutti i popoli che abitavano in prossimità del mare o lungo le rive dei fiumi, alla più remota preistoria, come è dimostrato dai reperti archeologici. In Egitto, sino dai tempi predinastici, il trasporto delle cose, come delle persone, si faceva navigando sul Nilo e sui canali da esso derivati; si usavano dapprima solo piccole imbarcazioni di papiro, alle quali s'aggiunsero poi grosse barche, costruite con il legno dell'acacia indigena o con i cedri della Palestina. Sotto l'antico impero navi egiziane solcano già i mari contigui all'Egitto per procurare specialmente le materie prime necessarie alle industrie del paese. Esse navigano verso settentrione lungo la costa palestinense e toccano specialmente Biblos, dove imbarcano i legnami dell'Amano e del Libano, schiavi, olî, ecc. Abbiamo notizie che sotto il faraone Snefru della IV dinastia, e quindi al più tardi poco dopo il 3000 a. C., una flotta di 40 navi trasportò in Egitto tronchi di cedri del Libano. Carovane di navi egiziane si avventuravano poi nella più difficile navigazione del Mar Rosso, e, oltrepassando lo stretto di Bāb el-Mandeb, approdavano al paese di Punt (Arabia meridionale o Somalia), di dove riportavano in patria gli aromi, le pietre preziose, metalli, avorio, pelli, ece. Il commercio con le isole dell'Egeo pare fosse fatto in gran parte da navi cretesi; ma vi dovettero partecipare anche navi egiziane, almeno sotto il nuovo impero.
Verso la fine del II millennio a. C., con la potenza politica dell'Egitto decaddero anche il commercio e la marineria egiziana, il cui posto fu preso dalla marineria fenicia. I Fenici appresero la tecnica navale dagli Egiziani, pur subendo anche l'influsso dei Babilonesi e delle popolazioni egee, soprattutto di quelle che finirono con lo stabilirsi sulla costa della Palestina. Le loro navi commerciali, di forma quasi rotonda, dette gauli, erano piuttosto piccole e pescavano poco, in modo da poter facilmente approdare sulle spiagge basse e risalire le foci dei fiumi; erano mosse dalla vela e sussidiariamente con i remi. I Fenici perfezionarono molto l'arte del navigare; si orientavano, per es., sulla stella polare, della quale ebbero forse cognizione dai Babilonesi. Quando, per la decadenza politica dell'Egitto e della Babilonia, poterono formarsi sulla costa fenicia degli stati autonomi (i più notevoli furono Tiro e Sidone), la marina mercantile fenicia prese un grande sviluppo. Essa allargò la sua sfera d'affari a quasi tutte le coste del Mediterraneo, e pare anche a quelle atlantiche, raccoglieva le materie prime, soprattutto i metalli, i prodotti indigeni dei varî paesi circummediterranei, gli schiavi, e dava in cambio i manufatti industriali, specialmente metallurgici, delle fabbriche siriache, babilonesi, egiziane e della stessa Fenicia, o i prodotti d'altri paesi e dell'Asia anteriore. Nei primi secoli del I millennio a. C. i Fenici stabilirono fattorie su molti punti delle coste del Mediterraneo, specie in Africa e in Spagna: alcune di queste fattorie divennero poi città considerevoli, come Cartagine. Le loro navi impiegavano un'ottantina di giorni per giungere dalle coste siriache allo stretto di Gibilterra. Respinti più tardi da alcuni mari per il sorgere della marineria greca e etrusca, continuarono però a svolgere per tutta l'antichità un'attività commerciale marittima considerevole. Il faraone Necho fece appunto circumnavigare da Fenici l'Africa, intorno al 600 a. C.
Anche i popoli della valle del Tigri e dell'Eufrate furono da tempi remotissimi navigatori fluviali: il trasporto dei prodotti della valle e di quelli che in essa affluivano dalle regioni montuose circostanti e per mare dal Golfo Persico, diede vita a un traffico notevole, che si svolgeva in parte per via acquea, in parte per mezzo di carovane di bestie da soma. Si conoscono, soprattutto dai bassorilievi assiri, i tipi delle imbarcazioni assirobabilonesi, specialmente la barca rotonda da trasporto descritta da Erodoto e anche oggi in uso col nome di quffah. Per la costruzione dei tipi più perfezionati di queste navi e per guidarle, i re assiri si valsero certo largamente di costruttori e di marinai fenici, come più tardi i re persiani ricorsero ai Fenici per le loro squadre da guerra.
Le popolazioni preelleniche dell'Egeo commerciavano attraverso i mari con le loro navi di tipo particolare, indipendente da quello egiziano, e mosse specialmente dalla vela. L'archeologia dimostra che questo traffico risale al III millennio a. C. e divenne intenso nel II. Le materie prime venivano portate da ogni parte ai centri manifatturieri cretesi, specie l'avorio e l'oro dell'Egitto e il rame di Cipro, e i manufatti venivano poi distribuiti per tutto il Mediterraneo. Il commercio era vivo soprattutto con l'Egitto, sotto la XVIII e XIX dinastia, e sui monumenti egiziani di quell'epoca appaiono spesso i commercianti cretesi recanti i loro manufatti. Anche prodotti agricoli, come olio e vino, venivano trasportati sulle navi degli Egei, come dimostrano i numerosi cocci di dolî cretesi trovati in Egitto.
Eredi della marineria egea furono i Greci. Passarono però dei secoli prima che i Greci, per quanto divenuti pratici del mare dal tempo delle loro migrazioni attraverso l'Egeo, sviluppassero una vera e propria marina mercantile. I nobili dell'Iliade non si dànno al commercio, che è anche nell'Egeo esercitato soprattutto dal mercante fenicio, ma viaggi marittimi commerciali sono ricordati nell'Odissea e poi da Esiodo. E poiché nel tempo più antico si trattava di trasportare di solito merci di alto valore e di poco volume, le navi greche a remi e vela, che servivano per i viaggi e le spedizioni guerresche marittime, servivano anche a siffatti trasporti. Solo quando, in conseguenza del grande movimento colonizzatore dei secoli VIII e VII, cominciarono a prodursi scambî commerciali anche quantitativamente notevoli tra la Grecia e i nuovi paesi colonizzati (specialmente per l'importazione del grano dalle colonie nella madrepatria e l'esportazione del vino, dell'olio e dei manufatti dalla madrepatria nelle colonie), la necessità d'una vera e propria marina mercantile si fece sentire nelle città che, come Mileto e Corinto, divennero i centri della produzione industriale e degli scambî transmarini e nelle quali anche i ricchi agrarî cominciavano a interessarsi alle imprese marittime. L'antica pentecontoro a 50 remi si trasformò sino a divenire l'agile e lunga trireme da guerra, nella quale non v'è posto che per la massa dei rematori e dei soldati e che è spinta solo dai remi; invece la nave mercantile greca ricordava la nave da trasporto fenicia, era larga e alta, ricorreva alla vela e riservava lo spazio entro il suo scafo alle merci. La differenziazione fra navi da guerra, a remi e rostrate, e navi da trasporto a vela, appare già dal sec. VII sulle pitture vascolari greche.
La nave commerciale assunse tipi vari nelle varie regioni; ma la sua larghezza in generale era fra ¼ e ⅓ della lunghezza. Aveva alcuni remi per la manovra; per la velatura un albero, o un albero principale e un albero minore sussidiario verso la prora, o due alberi. Dato il peso della nave mercantile, specialmente se carica, non era più possibile trarla in secco sulla spiaggia e fu perciò inventata (sec. VII ?) l'ancora. La portata delle navi commerciali era naturalmente molto varia. Sono ricordate piccole navi della portata di 500 talenti (il talento di kg. 26,196, equivalente all'amphora romana di 26,2 l.), cioè di 13,1 tonnellate, evidentemente destinate al traffico minuto e a brevi viaggi. Spesso si citano navi da 3000 talenti, 78 tonn., sufficienti per viaggi più lunghi. Ma già all'epoca della guerra del Peloponneso troviamo navi commerciali relativamente grosse, ναῦς μυριοϕόρος, cioè della portata di 10.000 talenti 261 tonn. Nel corso del sec. IV a. C., come nelle flotte militari si passò dalle triere alle più grosse poliere, così per il traffico si costruirono anche navi commerciali di maggiore portata. Demostene ricorda una nave che aveva a bordo 300 uomini, e 800 mercenarî furono nel 357 trasportati da due sole navi da carico. Un "gigante del mare" doveva essere la Syrakosia che il re Gerone (268-214) fece costruire dal corinzio Archias; essa doveva essere adibita al trasporto di merci e nello stesso tempo di passeggeri per i quali era disposto ogni comodo. Il suo equipaggio era di 600 marinai, oltre a 300 soldati per la difesa contro i pirati. La sua portata fu dai moderni calcolata da 3300 a 4200 tonnellate. Questa grande nave avrebbe dovuto servire al traffico tra Siracusa, Alessandria e la Grecia, ma in pratica si rivelò troppo grossa e di difficile manovra, così che Gerone la regalò al re Tolomeo. Tuttavia sappiamo che navi di portata superiore alle 1000 tonn. facevano effettivo servizio nell'epoca romana, come le navi che trasportarono a Roma gli obelischi flaminio e vaticano, la cui portata doveva essere di circa 1300 tonn., o la ὁλκάς (nave da trasporto) citata da Tzetze, che portava circa 1040 tonn. L'Isis ricordata da Luciano era una nave commerciale di 120 cubiti di lunghezza, un po' più di 30 di larghezza e 29 di profondità (cioè all'incirca m. 60 × 15 × 14,5) e la sua portata può calcolarsi a 3000-3500 tonn. La nave sulla quale S. Paolo partì da Alessandria per Roma aveva, oltre il carico, 276 persone a bordo, e quella su cui viaggiava Flavio Giuseppe, 600. Ma gran parte del traffico si fece sempre con piccole navi: quelle imbarcazioni che la legge romana del 218 a. C. permetteva ai senatori per il trasporto dei prodotti dei loro fondi erano di 300 anfore, cioè di 2,78 tonn.
La navigazione nell'epoca più antica aveva luogo solo nella buona stagione, specialmente nell'agosto e settembre e con il bel tempo; ma la mancanza d'ogni sussidio nautico (carte marittime, compasso, fari, ecc.) la rendeva difficile e rischiosa, così che si navigava di solito di giorno e lungo le coste, avventurandosi nell'alto mare solo quando era necessario; per es., per andare dalla Grecia in Sicilia, si toccavano Corcira e Taranto. Perciò i capitali richiesti per il commercio marittimo esigevano una rimunerazione corrispondente al rischio. La forma più comune del finanziamento del commercio marittimo era quella del prestito a cambio marittimo; un capitalista o una società di capitalisti facevano al proprietario della nave un mutuo garantito dalla nave stessa e dal carico e correvano con lui il rischio dell'impresa; ma l'interesse richiesto per il capitale così impiegato, il ναυτικὸς τόχος, nel sec. IV a. C. al Pireo, il maggior centro greco d'affari marittimi, andava dal 20 al 33,5%, mentre il saggio normale per altri investimenti più sicuri s'aggirava sul 12%. Per questo e per il fatto che la nave e l'equipaggio non potevano essere sfruttati che per breve tempo dell'anno, assai alti erano anche i prezzi dei trasporti marittimi, che andavano dal 10-12% del valore per traversate facili, come dal Pireo a Bisanzio, al 22-30% per il Bosforo Cimmerio, e al 100% per il pericoloso Adriatico. Agli ostacoli naturali s'aggiungeva poi il pericolo dei pirati, in alcune epoche fortissimo. Tuttavia, date le difficoltà dei trasporti terrestri, quasi tutto il traffico antico trovava sempre la convenienza di ricorrere alla via marittima. Abbiamo qualche dato sul volume del traffico marittimo greco. Intorno al 400 a. C., al Pireo s'importavano ed esportavano merci per un valore di circa 14 milioni di lire oro (il valore d'acquisto dell'oro era allora da 3 a 4 volte maggiore dell'attuale). Per Rodi, il maggiore porto commerciale dell'età ellenistica, si calcola invece per il 170 a. C. una cifra 4 volte maggiore.
Nell'età alessandrina e romana, anche la marina mercantile fece notevoli progressi. In seguito alla migliorata tecnica delle costruzioni navali e per le accresciute cognizioni geografiche, astronomiche e nautiche, si poteva navigare più sicuramente anche di notte e in alto mare, per es. fare rotta direttamente da Alessandria a Rodi, da Cirene a Siracusa, da Siracusa al Peloponneso o a Creta, da Palermo a Napoli o ad Ostia. Il traffico marittimo venne in parte continuato anche durante la stagione meno favorevole. Anche la velocità oraria venne aumentando e diminuiva la durata del viaggio; per quanto le condizioni occasionali del mare e del vento avessero sempre una grande influenza. Ma nelle migliori condizioni, le navi mercantili antiche potevano raggiungere da 4 a 6 nodi e anche più all'ora di velocità; si scendeva però anche a 1 0 2 nodi con correnti contrarie, venti sfavorevoli o cattivo tempo. I dati che si hanno sulla durata dei viaggi sono naturalmente di valore assai incerto per quest'influenza di elementi molto incostanti: ne riferiamo alcuni che possono dare un'idea generale. Da Alessandria a Rodi si impiegavano 4 giorni, e 10 da Rodi al Bosforo Cimmerio; da Messina ad Alessandria 6-7 giorni, da Cartagine alle Colonne d'Ercole 7 giorni, da Cadice a Ostia 7 giorni. Gl'intensi rapporti fra la Grecia e l'Italia, fra i Greci italioti e sicelioti e gl'Italici fecero sì che, come la marina da guerra, anche la marina mercantile d'Italia in generale, e romana in particolare, si modellasse sulla marina greca, con varianti e adattamenti locali. Anche le navi commerciali etrusche e romane più usate erano velieri, a scafo largo e profondo, condotti da limitato equipaggio. Dal sec. III a. C. in poi, si può dire che il commercio marittimo in tutto il Mediterraneo si svolge con carattere uniforme e molti elementi della marineria antica durarono sostanzialmente identici attraverso il Medioevo sino a tempi recenti e alla rivoluzione che in questo campo apportò la macchina a vapore. La marina mercantile italica, che aveva avuto giorni gloriosi con gli Etruschi e le colonie greche dell'Italia meridionale e della Sicilia, iniziò un nuovo periodo di grande sviluppo nel sec. II a. C., quando le vittorie militari di Roma le aprirono tutti i porti del Mediterraneo. Essa fu lo strumento di gran lunga più importante del commercio mondiale dell'impero romano. Perciò il governo centrale e le città dell'impero fecero quanto poterono per favorire il traffico marittimo, anche oltre i limiti del Mediterraneo, come nel Mar Rosso e nell'Oceano Indiano. Non si ebbero progressi tecnici notevoli nella costruzione delle navi, ma i sussidî nautici furono, per quanto era possibile, migliorati, con l'apertura e la sistemazione di porti, l'innalzamento di numerosissimi fari, ecc. La navigazione fluviale assunse pure un'estensione e un'importanza, quale mai aveva avuto nel passato.
Medioevo ed età moderna. - Dopo Roma si assiste alla decadenza delle marine militari e mercantili. Ha inizio il periodo bizantino-islamico (507-1096), e nel caos generale rimangono soltanto attivi il commercio e la marina di Bisanzio che seguono, dapprima, le orme romane. Le dure lotte sostenute dall'impero, specialmente contro gli Arabi che dal sec. VlI al X terranno fortemente la signoria dei mari, inducono a dare maggiore importanza al Mar Nero dove Trebisonda e Cherson costituiscono i punti di raccolta del commercio pontico. Ma la decadenza della navigazione apporta un'involuzione nella tecnica, nell'economia e nel diritto marittimo. Quest'ultimo, peraltro, assume impronta originale nella legge pseudo-rodia (sorta fra il 600 e l'800), vero codice navale che ebbe larga diffusione e indiscussa efficacia nella posteriore legislazione marittima mediterranea.
Nel successivo periodo (1096-1492) si affermano gl'Italiani e gli Anseatici. Nei secoli IX, X, XI le genti mediterranee sentono la necessità di difendersi contro i musulmani; acquistano forza, frattanto, i comuni italiani e dànno sviluppo alle imprese nautiche. La legge pseudo-rodia, vigente come consuetudine nell'Italia meridionale, seguita a esercitare la maggiore influenza sull'economia della navigazione, sviluppando, accanto al principio della comunione dei rischi, i germi della società navale, l'istituto intorno al quale si plasma la successiva legislazione statutaria. All'inizio del Medioevo si ha la caratteristica d'un doppio ordine di legislazione, la romana scritta per il diritto civile e terrestre, la consuetudinaria per gli affari marittimi. Seguono le leggi scritte, ma intessute di consuetudini e con continuo riferimento ad esse.
Comunque una caratteristica della legislazione italiana del tempo consiste nell'intervento diretto dei governi comunali per controllare la navigazione. A Venezia il primo provvedimento scritto che si ricordi è costituito dagli Ordinamenti del doge Ziani, i quali impongono che la nave sia carenata, calafatata, zavorrata, non sovraccaricata, bene stivata. Anche gli statuti di Zara, di Spalato, di Ragusa, di Ancona dettano norme al riguardo: lo statuto Ziani impone la linea di massimo carico e la norma è adottata anche dallo statuto di Ancona, dal Breve pisano, dall'Officium Gazariae di Genova. Quest'ultimo dà anche minutissime disposizioni sull'arredamento delle navi; gli statuti veneti ripetutamente stabiliscono che la nave debba essere decenter ornata, e regolano la stazzatura e il carico (seguiti in ciò dall'Officium Gazariae). Il Breve pisano impone l'uso della bandiera, lo Statuto di Genova del 1330 anche le insegne del capitano; è consuetudine costante, tra la fine del sec. XII e l'inizio del XIII, l'apposizione del nome alle navi. Anche la vendita è disciplinata e vietata, spesso, ai forestieri (Capitolare navium del doge Ziani del 13 settembre 1229; statuti di Ragusa e di Ancona).
Anche nel diritto privato, peraltro, istituti tipici sorgono e si affermano. Al nauclerus del diritto pseudo-rodio subentra il patronus che dirige la navigazione e compie nell'interesse dei parcenevoli tutti gli atti inerentí all'impresa navigatoria e commerciale. Ma data la scarsezza di cognizioni scientifiche, la quale fa ritenere che l'esperienza nautica di tutti gli imbarcati fosse al medesimo livello, non vi è mai una deliberazione del solo dirigente, ma un intervento e deliberazione collettiva. Così nel caso d'avaria comune, nel quale domina il concetto di comunione dei rischi.
Nelle imprese marittime si verifica poi una completa comunione di interessi fra proprietarî di navi mercantili e marinai, una societas lucri. Sorgono quindi i varî tipi di contratto a carattere associativo: la colonna della Tavola amalfitana, l'entega disciplinata dallo Statuto di Ragusa; la collegantia e la rogadia del diritto veneto; la commenda sviluppatasi a Pisa ed a Genova; la maona di Genova nel sec. XVI, praticata anche a Firenze nel 1435.
Le crociate diedero grande impulso ai trasporti marittimi; la presenza di passeggeri, distinti dai mercanti, a bordo, che è scarsamente regolata dalla legge pseudo-rodia, divenne allora più frequente. Difatti i supersalientes (pellegrini) costituirono per quasi tutto il Medioevo il massimo contingente dei viaggiatori marittimi non commercianti. Nemmeno la legislazione statutaria regolò molto il trasporto di persone; venne tuttavia in essa (statuti di Venezia, Ancona, Zara, Pisa) ben differenziata la posizione del passeggero da quella del pellegrino. La materia è invece trattata con ampiezza nel Consolato del mare (v.).
L'espansione commerciale dei comuni marittimi d'Italia è anteriore alle crociate; la loro ricchezza cominciò a costituirsi con il commercio del sale, che fu esercitato in particolare da Venezia e da Pisa. Su questo primo e antico monopolio delle città marittime sorsero le ulteriori fortune di esse pur nell'antagonismo d'interessi che insanguinò i mari italiani e che si manifestò più intenso quando, dopo il breve consorzio creato dalle prime crociate alle quali Venezia offriva 200 navi e Pisa 120 per il passaggio oltremare, le città marinare ebbero fondato stabili emporî commerciali nel Levante.
Naturalmente i traffici marittimi si sviluppavano sempre più attivamente. Venezia organizza i suoi convogli; nei secoli XIV e XV le galere di Romania caricavano i prodotti orientali d'alto prezzo che venivano poi riesportati; quelle di Barberia nel lungo viaggio annuale toccavano Siracusa, Tripoli e Tunisi, altri porti nord-africani, Malaga e Almeria; quelle di Fiandra, istituite nel 1317, passavano lo Stretto e navigavano di conserva sino alla Manica; qui una parte andava a Londra e in altri porti britannici, una parte ad Anversa e in altri scali fiamminghi (queste ultime costituirono per alcuni secoli, insieme con le caracche genovesi, l'unica via marittima fra l'Europa settentrionale e il Mediterraneo).
Malgrado, poi, le lotte intestine, i comuni italiani avevano tanto rigoglio di vita da costituire il fermento attivo di marine estere; così i Genovesi che organizzano e guidano per quasi due secoli la marina di Castiglia dall'epoca della chiamata nella Spagna (1116-1120) del ligure Ogerio, per la lotta contro i Saraceni. E Genovesi, ancora, occupano nel sec. XIII alti uffici in quella aragonese e creano sotto Luigi IX la marina francese.
Sino a quando le marine italiche, e specialmente quella veneta, ebbero il monopolio dei traffici orientali, il primato navale e civile fu degli stati mediterranei. Ma se le marine nordiche erano costrette a non partecipare al traffico diretto con l'Oriente, esse disponevano, peraltro, del monopolio della via marittima del Nord lungo la quale arrivavano i prodotti della Russia, dei paesi baltici, della Scandinavia. A questi traffici presero parte cospicua, per tre secoli, le navi della Lega anseatica (v.), specialmente per ciò che riguarda il commercio delle aringhe. Ai traffici del Nord partecipano pure in questo periodo, in misura più o meno larga, le marine fiamminga, inglese, francese, spagnola, ecc.
La fine del sec. XV e l'inizio del XVI vedono una grande rivoluzione nel traffico marittimo mondiale con l'apertura delle rotte oceaniche determinata da spirito d'avventura e da desiderio di gloria, ma soprattutto da cause economiche. L'importanza antica del commercio delle Indie era difatti aumentata nel Medioevo per il posto che le spezierie e le droghe - affluenti dal retroterra nei porti del Mar Nero e del Levante - tenevano allora nella medicina e nell'arte culinaria. L'esistenza, dal Volga al Pacifico, dell'impero dei Mongoli, indifferente alle contese religiose, consentiva la frequenza delle comunicazioni, ma nel sec. XIV, la dislocazione della potenza mongola e l'avvento, in Cina, dei Ming (1368), chiusero quel paese agli occidentali. La successiva caduta di Costantinopoli (1453) sotto l'urto degli Ottomani determinò, verso la fine del sec. XV, la chiusura delle rotte verso l'Oriente e l'interdizione del commercio europeo nei porti del Levante e del Mar Nero. Già la previsione di questa fine d'ogni dominio cristiano nelle terre asiatiche aveva spinto sullo scorcio del sec. XIII le repubbliche italiane a tentare nuove vie per arrivare alle Indie; ma gli sforzi non erano stati persistenti. Circa un secolo dopo s'inizia invece l'era delle grandi scoperte, e alla consapevolezza delle nuove grandiose possibilità offerte al traffico marittimo s'aggiunse l'idea che quand'anche i Turchi avessero ad ammettere di nuovo i commercianti cristiani nei loro porti, la vecchia via, su cui gravavano oneri d'ogni specie, sarebbe abbandonata per sempre. Ha quindi origine e gradualmente s'intensifica la navigazione oceanica. Le Indie orientali assicurano ai Portoghesi un commercio notevole: spezierie, ambra, muschio, seta, velluto, porcellane, ecc. Le partenze dal Portogallo per le Indie furono, in media, 7 all'anno durante il sec. XVI. L'America fornì invece principalmente metalli preziosi; l'oro e l'argento circolanti in Europa si triplicarono in un secolo (da 1250 a 3300 milioni), donde importanti trasformazioni economiche, affermazione progressiva della fortuna mobiliare, ecc. Muta l'assetto commerciale e politico europeo; il centro del traffico e del potere navale si sposta dal Mediterraneo all'Atlantico. Aumenta contemporaneamente l'importanza dei paesi rivieraschi di quest'ultimo e la Spagna aspira al predominio universale.
Il taffico spagnolo col nuovo mondo, gravato da oneri ma sostanzialmente libero, era concentrato nel porto di Siviglia. Dalla Spagna partivano annualmente, in estate, due flotte separate (con merci in uscita destinate ai coloni) composte da 30-45 navi ciascuna di 200-500 tonn. unitarie; svernavano in America; ripartivano insieme dall'Avana alla metà di marzo, cariche di metalli preziosi ma anche di pellami, materie coloranti, cotone, ecc. La qualità delle navi era però mediocre, e la scarsezza di tonnellaggio indusse spesso a noleggiare scafi tedeschi e fiamminghi disadatti alla navigazione di altura. Gli elevati noli e il contrabbando di carico non autorizzato inducevano a sovraccaricare le navi per altro male equipaggiate; frequentissimi erano i sinistri.
L'impero portoghese d'oltremare già nel 1635, sotto i colpi di Inglesi, Olandesi, Francesi, è in piena díssoluzione; la grandezza della Spagna dura maggiormente. Essa riesce difatti a isolare, per lungo tempo, le Indie Occidentali dal resto del mondo; e per tutto il sec. XVII ne trae da 50 ad 80 milioni all'anno: questi proventi le consentono le lunghe ed estenuanti guerre che la condurranno alla decadenza.
Sulla rovina marittima dei due imperi si afferma dapprima la marina olandese. Gradualmente strappato agli Anseatici, nel sec. XVI, il rifornimento del pesce salato per la Francia, le Fiandre, l'Inghilterra, dal principio del secolo successivo essa comincia a introdursi anche nei mercati baltici e tedeschi. La flotta peschereccia olandese è costituita, nel 1620, da 2000 navi sulle quali sono imbarcati 30.000 uomini; nel 1669 l'industria della pesca darà lavoro a 450 mila persone circa. Ma il monopolio di tale traffico dà all'Olanda la possibilità di buoni noli d'entrata; i porti di Amsterdam e di Rotterdam diventano frattanto entrepôts per i prodotti dell'Europa centrale al posto delle decadute città anseatiche alle quali dà l'ultimo colpo la guerra dei Trent'anni. La marina olandese si dedica a un attivo contrabbando con le colonie spagnole dove sbarca schiavi e merci europee (fornite dall'industria che i profughi di Francia e di Fiandra avevano costituito a Leida, Utrecht, Amsterdam dando lavoro a circa 600 mila persone) traendone in cambio cacao, tabacco, argento, polvere d'oro, perle. Nel 1608 la Spagna deve impegnarsi a rispettare la bandiera olandese su tutti i mari; chiusa la Schelda (e quindi Anversa) al traffico internazionale, ecco la giovane marina prendere prodigioso impulso effettuando (verso il 1660) i 4/5 del traffico marittimo mondiale. Nel 1596 Filippo II, per rovinare i suoi sudditi olandesi, aveva ideato di chiudere loro il porto di Lisbona dove essi caricavano le spezierie. Furiosi per lo scacco, essi cercarono di pervenire direttamente alle regioni donde provenivano i coloniali predetti; e dopo varî tentativi falliti, ma comunque utilissimi dal punto di vista esplorativo e commerciale, nel 1598 J. H. v. Linschoten e C. de Houtman riescono ad arrivare, per il Capo di Buona Speranza, alle Isole della Sonda. Venne subito (1602) costituita la Compagnia generale delle Indie Orientali, che detenne il monopolio del traffico di là dai capi Horn e di Buona Speranza. Uno dopo l'altro, i possedimenti portoghesi passarono in sua mano; si costituì un impero immenso, i dividendi furono favolosi (30% l'anno sino al 1662). Il successo fu dovuto, peraltro, non soltanto al monopolio acquistato ma ai savî provvedimenti adottati, fra i quali la creazione nel 1609 della Banca di Amsterdam. Questo esempio diede poi origine, nel 1621, alla Compagnia delle Indie Occidentali, che ebbe benefici enormi, ma che nel 1678 dovette chiedere la liquidazione.
La potenza marittima olandese doveva incontrare il più grave ostacolo nell'Inghilterra, per quanto ancora nel sec. XVI questa fosse un paese agricolo e abbandonasse a bandiere straniere il flusso, in certo modo notevole, delle sue merci in entrata e in uscita. L'ingerenza statale nella marina britannica, di cui troviamo traccia sin dal sec. X, si accentua con l'avvento al trono d'Enrico VII (1485) e s'estrinseca in riserve di trasporti alla bandiera inglese, in riduzioni di dazî, ecc. Quest'ultimo sistema di compenso fu anche più attivamente proseguito da Enrico VIII, la cui vera benemerenza fu, peraltro, la costituzione d'un naviglio militare potente, principalmente progettato e costruito per fini bellici e con una amministrazione navale permanente. I traffici usuali britannici erano limitati, durante il regno di Enrico VIII, alla Fiandra, al Baltico, a Bordeaux, alla Spagna e al Portogallo; la pesca costiera e verso l'Islanda era esercitata attivamente. Nel Mediterraneo le navi inglesi ordinariamente non si arrischiavano; ma partite da Southampton il 22 maggio 1532, per non più tornare, le ultime galee venete di Fiandra, la marina britannica cominciò a mirare a più vasti orizzonti. Nel 1551 essa effettua già traffici diretti con il Marocco, l'Algeria, Tunisi. Il primo viaggio di J. Hawkins nel nuovo mondo rimonta al 1530 ed è seguito, sporadicamente, da altri; nel 1553 hanno inizio spedizioni regolari sulla costa di Guinea; ma ancora l'Inghilterra non è in grado di sfidare la potenza spagnola nelle Indie Occidentali introducendosi stabilmente in quei traffici. E tenta quindi di trovare il passaggio, per i mari polari, alle Indie, riuscendo soltanto ad acquisire il magro traffico di Arcangelo; nella via per l'America Settentrionale (Baffin, 1614; Fotherby, 1615) non si trovano che solitudini ghiacciate. Frattanto si cerca di danneggiare in ogni modo la Spagna. Corsari e navigatori come J. Hawkins, F. Drake, T. Cavendish, J. Lancaster "bruciano la barba al re di Spagna"; si ha il disastro della Invencible Armada (1588). E la marina mercantile, in tanto fervore, prospera; le navi superiori a 100 tonn. da 77 nel 1560 passano a 177 nel 1582; gli armatori, così come avverrà dovunque sin verso il 1850, sono anche commercianti e imbarcano su navi proprie merci altrui lucrando il relativo nolo. Le spedizioni in mari lontani, dove il diritto al traffico dev'essere sostenuto col cannone, richiedono navi robuste, equipaggi arditi e attrezzatura scelta. Tutto ciò importa gravi spese e non bastando le ricchezze individuali né gli appoggi dei banchieri, è necessario costituire dei sindacati, di sei membrì generalmente, che ripartiscono fra conoscenti e amici le azioni, ma che conservano, come promotori, il controllo della spedizione.
Ma lo sviluppo dei traffici impone un'attività permanente, cosicché i sindacati, nati in genere per imprese singole, si trasformavano talvolta in chartered companies: associazioni di mercanti, costituite per lo sfruttamento di determinati settori marittimi ai quali la Corona garantisce per periodi più o meno limitati il monopolio del traffico e il diritto di disciplinarlo. La Eastland Co. (1579) sorge per il traffico del Baltico, sulle rovine della Hansa; è seguita dalla Turkey Co. nel 1581, dalla Venice Co. nel 1583 (nel 1592 queste due ultime s'uniscono sotto la ragione sociale Levant Co.); dalla Guinea Co. nel 1588 e dalla East India Co. nel 1599. Tale fervore marinaro comincia a declinare alla morte d'Elisabetta; frattanto erano sorte colonie britanniche in America e fattorie e depositi in Africa e in Asia: il cui traffico verso la metà del sec. XVII era già notevole. La protezione della marina britannica prese quindi, naturalmente, la forma d'una serie di Acts, destinati a dare agli armatori e commercianti britannici il monopolio del trasporto delle derrate coloniali e, nello stesso tempo, a procurare il maggior male possibile agli Olandesi che si introducevano dovunque: temibili nemici col loro basso prezzo. La base del sistema protezionistico inglese fu il famoso Atto di navigazione del 1651, che porta il nome di Cromwell (v. gran bretagna: Marina mercantile) e che ebbe la massima influenza sugli ulteriori sviluppi della marina mercantile inglese.
La prosperità olandese aveva anche esasperato il cardinale di Richelieu, il quale riteneva che la decadenza marittima francese fosse dovuta alla dispersione degli sforzi e reclamava l'avvento delle grandi compagnie; l'ondata protezionistica inglese spinge, quindi, all'adozione del sistema anche in Francia. Dopo alcune disposizioni di carattere secondario e transitorio si hanno le leggi di Colbert (1643, 1661) e la costituzione (1664) delle due compagnie delle Indie, Orientali e Occidentali. Segue tutta una politica protezionistica, che più o meno rigorosa si mantiene sino ai tempi moderni (v. francia: Marina mercantile). I sistemi protettivi francesi sono stati imitati da varî paesi (specie per quanto riguarda i premî di navigazione) sullo scorcio del sec. XIX. Ma ora la protezione s'intensifica, ed è da notare al riguardo il colossale sforzo dello Shipping Board che, con fondi erariali, ha creato una marina americana.
La marina mercantile mondiale, che s'aggirava nel 1820 su 3.500.000 tonn. lorde, era già costituita alla fine del sec. XIX da 28.957.358 tonn.; nel 1933 da 67.920.185 tonn.; in poco più d'un secolo, quindi, si è avuto un incremento da 1 a 20. Ma la percentuale delle diverse marine nel complesso mondiale è nel frattempo molto variata; la quota del Regno Unito cade da 50,2 nel 1901 a 27,9 nel 1933; ne traggono vantaggio altri paesi: Stati Uniti che passano da 4,2 a 15,1; Italia da 2,7 a 4,6, Giappone da 2,2 a 6,4; Norvegia da 3,4 a 6,1; Francia da 4,4 a 5,2; Olanda da 2,1 a 4,1. Decade, per note ragioni, la Germania: da 10,1 a 5,8.
A datare dal 1500, la marina progredisce sotto il punto di vista tecnico e con questa evoluzione si perfezionano gl'istituti giuridici. Fra i monumenti legislativi dell'epoca predomina l'ordinanza touchant la marine del Colbert (1681) alla quale, assieme al Consolato, ai Rôles d'Oléron (1266), al diritto di Wisby, ecc., attingono le legislazioni moderne. Quelle degli stati europei sono orientate tutte sull'ordinanza francese. Inoltre l'ingerenza statale sulla navigazione si fa sempre più intensa e rigorosa; lo stato interviene a indicare la norma per la composizione degli equipaggi; più riġida in questo senso è la citata ordinanza del Colbert, che stabilisce, fra l'altro, un sistema di inscript on maritime che militarizza tutti gli addetti alla navigazione e alle arti marittime, imponendo loro obblighi precisi dai 18 ai 50 anni. Comunque anche in molti altri paesi la gente di mare comincia ad essere, nel periodo del quale ci occupiamo, più o meno rigidamente inquadrata.
Se dalla fine del sec. XV, con le successive scoperte di nuove vie e di nuovi continenti, nelle quali tanto rifulse il genio e l'ardimento degli Italiani, la marina comincia a non conoscere limiti di spazio per l'estensione della sua attività, col sec. XIX la propulsione meccanica e l'impiego del metallo nella costruzione degli scafi rivoluzionano l'industria delle costruzioni e della navigazione e recano impensati sviluppi ai traffici marittimi. La regolarità dei servizî e la potenzialità di trasporto delle navi, che ne conseguono, aprono nuovi mermti alle produzioni agricole e manifatturiere. La facilità di muoversi, di commerciare, di sfruttare terre incolte, di conoscere il mondo, dà nuova esca al trasferimento delle persone, è stimolo a nuovi e fecondi rapporti fra i popoli.
Struttura. - La via marittima. - La marina mercantile, essendo un complesso d'industrie, abbisogna di matetie naturali, di capitali, di forze umane. Diversi sono gli elementi che s'identificano in queste tre categorie, a seconda che si tratti dell'una o dell'altra industria; ma se si considera l'industria del trasporto marittimo, cioè quella che primeggia, e ha più spiccati caratteri d'autonomia, si rileva che gli agenti produttivi vi sono rappresentati dal mare, dal naviglio, dal personale.
Le vie del mare non sono tutte uniformi; elementi differenziatori si hanno tra una zona e l'altra in rapporto alla sicurezza, alla capacità di traffico, ai limiti d'utilizzazione.
Sulla sicurezza delle vie marittime influiscono elementi naturali e umani. In rapporto ai primi le vie marittime sono rese più facili o difficili dalle condizioni meteorologiche e idrodinamiche che le caratterizzano.
Quanto ai fattori umani, essi non generano ormai alla sicurezza delle vie marittime altri pericoli caratteristici che quelli inerenti allo stato di guerra. Scomparsa quasi completamente la pirateria, non si possono qualificare pericoli caratteristici a tali vie quelli derivanti da imperizia, negligenza o da altri eventi colposi o dolosi imputabili a comandanti di navi, ufficiali o altre persone dell'equipaggio. Si tratta di fatti che, pur rivestendo configurazione propria per l'ambiente speciale nel quale si verificano, rientrano nel novero delle vicende comuni a ogni genere d'attività umana.
La capacità di traffico delle vie marittime dipende dalla configurazione e dallo sviluppo economico e civile delle regioni che se ne servono per le loro comunicazioni. Le vie più battute dalla navigazione mercantile sono infatti quelle che congiungono i paesi europei (Europa settentrionale da una parte, Mediterraneo dall'altra) all'America Settentrionale, Centrale e Meridionale; quelle che provenendo dall'Europa settentrionale attraverso il Mediterraneo o partendo dal Mediterraneo si irradiano per Suez, sino alle Indie, all'Estremo Oriente, all'Australia, all'Africa orientale, e viceversa; quelle che dall'Europa settentrionale o dal Mediterraneo si spingono all'Africa del Sud; quelle che uniscono l'America Settentrionale a quella Meridionale, questa all'Africa meridionale, quest'ultima alle Indie, l'Estremo Oriente all'America Settentrionale (Pacifico e Atlantico).
I limiti all'utilizzazione delle vie marittime derivano pure o da elementi naturali o dall'opera dell'uomo. Tra i primi sono da annoverare i ghiacci che rendono completamente impraticabili talune regioni, come le polari, o non praticabili nella stagione più rigida se non in zone limitate e con l'ausilio di navi rompighiaccio. Dal fatto dell'uomo derivano limiti d'utilizzazione più estesi in tempo di guerra, più lievi in tempo di pace. Importantissima è sotto questo profilo la distinzione fra l'"alto mare" e il "mare territoriale".
La via marittima non è però costituita unicamente dall'amplissima distesa dei mari. A sussidio della via naturale, altre ne ha create l'uomo per rendere più facili e rapidi la navigazione e gli scambî, mediante l'apertura di canali di comunicazione fra oceani e fra mari diversi. Le vie marittime trovano infine i loro termini nei porti mediante i quali esse s'innestano alle vie interne terrestri o acquee, o alle vie aeree.
L'esercizio delle vie marittime richiede poi un complesso di servizî sussidiarî, che è venuto sempre più perfezionandosi e completandosi in modo da concorrere efficacemente al progresso della navigazione. Tra questi servizî hanno particolare rilievo quelli dei fari e segnalamenti marittimi, quelli semaforici, radiotelegrafici, idrografici, di pilotaggio, di rimorchio e di salvataggio, di raddobbo e di rifornimento delle navi.
Il naviglio. - Se nella via marittima signoreggia l'opera della natura, nella nave eccelle l'opera dell'uomo. Per l'origine della nave i progressi, i tipi, le caratteristiche, i requisiti, le leggi fisiche cui risponde la sua struttura, le leggi economiche e gli ordinamenti che la governano, v. nave. Qui le navi verranno considerate nel loro insieme (naviglio, flotta) come complesso di mezzi per lo svolgimento dell'attività umana sui mari.
Il naviglio mondiale comprende tutte le navi a remi, a vela, a propulsione meccanica d'ogni paese. La sua composizione e il suo complessivo tonnellaggio sono correlativi ai bisogni sociali che si manifestano nel tempo e alla possibilità di soddisfarli.
Le possibilità crescono con la capacità tecnica ed economica del naviglio di creare utilità nuove, con la capacità cioè di estendere per le merci l'ampiezza dei mercati mediante la maggiore rapidità e il più basso costo del trasporto e con le maggiori garanzie della loro integrità e della loro sicurezza; con la capacità di promuovere nelle persone la convenienza e il diletto di viaggiare per mare mediante la sicurezza, la rapidità e la comodità delle traversate. Quando non si manifestano utilità nuove e i bisogni sociali sono compressi da elementi turbativi, si hanno le crisi che interrompono lo sviluppo del naviglio, ne deprimono l'attività e ne riducono la consistenza. Tale la crisi che insieme con le altre manifestazioni dell'economia mondiale travaglia la marina mercantile dal 1930, e che ancora nel 1934 non accennava alla fine.
Alla formazione del naviglio mondiale concorrono con le loro flotte mercantili i varî paesi; ciascuna di queste si distingue dalle altre per la bandiera che è autorizzata a battere. Ma questi diversi navigli nazionali non sono che complemento e integrazione l'uno dell'altro,. perché, dato il carattere internazionale degli scambî e il regime di libera concorrenza in cui si esercita la navigazione (tranne che nei servizî di cabotaggio, generalmente preclusi alle bandiere estere), unica è la legge economica che tutti insieme domina, col proporzionamento del tonnellaggio nautico al volume del traffico. I progressi d'una bandiera, quando non derivino da cresciute necessità commerciali, si risolvono dunque in situazione di disagio e in motivo di decadenza delle altre. Da ciò la sollecitudine con la quale gli stati seguono e sorreggono il rispettivo naviglio, alla cui vitalità si ricollegano i più alti interessi nazionali. Occorre considerare, però, che la concorrenza opera nel seno stesso di ciascuna bandiera, fra gli organismi che con mezzi similari esercitano l'industria della navigazione. Essa è lo stimolo più efficace al progressivo perfezionamento del naviglio, e malgrado gli accordi che frequentemente intervengono fra gli esercenti taluni servizî di navigazione, sia nella fissazione dei noli sia nell'attribuzione dei mercati o delle merci e dei passeggeri da trasportare (conferences, rings), sia nella ripartizione dei profitti (pools), la concorrenza più fortemente che in qualsiasi altra industria agisce in quella marittima per il più vasto campo in cui quest'ultima si svolge.
Si è visto più sopra quali balzi innanzi abbiano compiuto l'economia e la civiltà dei popoli col trapasso dalla marina remica alla velica, dalla velica a quella a propulsione meccanica. Il sorgere di strumenti più complessi ha tuttavia determinato non la scomparsa dei più semplici, ma una limitazione delle loro funzioni
Così p. es., il naviglio a remi in parte, con le imbarcazioni, costituisce un accessorio del naviglio maggiore, in parte serve ancora nell'interno dei porti o in adiacenza delle spiagge per trasporto di persone o di cose o per la pesca; ma anche in questi servizî di bordo e locali risente della trasformazione che si è andata operando specialmente con lo sviluppo dei motori endotermici.
Piû grave è il decadimento che si è prodotto nel naviglio velico, che, non tenuto conto dei velieri di stazza unitaria inferiore a 100 tonnellate, ancora nel 1895 formava nel mondo un complesso di 8.198.222 tonnellate lorde, mentre nel 1910 s'era ridotto a 4.593.428 tonnellate, nel 1920 a 3.376.112 tonnellate e nel 1932, benché abbia da varî anni cercato di resistere con l'impiego sempre crescente di motori ausiliarî, è scaduto a 1.366.169 tonnellate. Il naviglio a propulsione meccanica è invece rapidamente cresciuto: nel 1860 superava già il milione di tonnellate, nel 1895 contava 16.887.971 tonnellate, nel 1910 tonn. 37.290.695, nel 1932 tonn. 68.368.141. Progressi, come si vede, non proporzionali ai regressi della marina velica, ma di gran lunga maggiori e con impulsi sempre più vigorosi, e ciò appunto per le utilità nuove che, come s'è detto, il sorgere e il perfezionarsi della meccanica applicata alla navigazione ha saputo creare nel campo dei trasporti.
Si è fin qui espressamente contrapposto al naviglio a vela quello a propulsione meccanica, per non limitare i riferimenti al solo naviglio a vapore. Oltre alla propulsione a vapore, si è venuta infatti sviluppando, in proporzione crescente, quella con motori endotermici, e comincia anche ad affermarsi l'impiego dei motori elettrici. Esperimenti interessanti ma non vittoriosi sono stati inoltre tentati per l'utilizzazione del vento nella propulsione meccanica (rotonavi).
L'incremento del naviglio dotato di motori endotermici (motonavi) è indicato dalle seguenti cifre: tonnellate 234.287 nel 1914, tonn. 9.532.731 nel 1932; quello del naviglio a propulsione turbo-elettrica o diesel-elettrica dalle altre cifre che seguono: tonnellate 110.304 nel 1925, tonnellate 505.646 nel 1932.
Il naviglio a vapore, d'altronde, si è anch'esso grandemente giovato, nei suoi accrescimenti, del perfezionamento intervenuto sia nel tipo del propulsore (prima a ruote poi ad elica) sia nei tipi di macchine e in quelli delle caldaie. Rinviando per questi perfezionamenti alla voce nave, si rileva l'importanza che per i generatori di vapore ha avuto l'uso del combustibile liquido, che adottato nel 1914 in navi a vapore per 1.310.209 tonnellate, nel 1932 si è esteso a navi per 20.135.006 tonnellate.
Il tonnellaggio mondiale a propulsione meccanica esistente nel 1932 era così ripartito a seconda dei tipi di macchina: macchine alternative tonn. 49.098.475; turbine a vapore tonn. 9.231.289; motori tonnellate 10.038.377; totale tonn. 68.368.141. Lo stesso tonnellaggio era ripartito, a seconda del combustibile impiegato: a carbone tonn. 38.194.758; a olio minerale (motonavi e piroscafi) tonn. 30.173.383.
Ma agli accennati sviluppi non ha concorso soltanto il progresso degli apparati motori e generatori: coefficiente importantissimo è stato anche l'impiego del ferro e dell'acciaio nella costruzione degli scafi. Contributo pure importante al progresso del naviglio a propulsione meccanica ha dato il perfezionamento degli apparecchi di carico e scarico, degli strumenti nautici, delle installazioni per passeggeri, dell'igiene di bordo e della radiotecnica.
La prima metà del sec. XIX può considerarsi quale periodo sperimentale per la navigazione a propulsione meccanica. La concorrenza fra il motore e la vela non si sviluppò che ulteriormente allorché, abbandonati i tentativi di associare il ferro al legno nella costruzione degli scafi e la forza del vento a quella meccanica, il vapore vinse tutte le diffidenze. I perfezionamenti del naviglio a vapore e il successo dei motori endotermici marini condussero la propulsione meccanica alla vittoria.
La prima nave a propulsione meccanica, il piroscafo americano a ruote Clermont, lungo m. 39, fece le sue prove sul Hudson nel 1807. La prima traversata meccanica con nave a vapore fu compiuta dal Savannah, americano, di 350 tonnellate, nel 1819. Il propulsore ad elica ebbe la sua prima applicazione nel 1838. Il primo piroscafo in ferro fu costruito nel 1843. Il primo piroscafo a turbine, il Turbinia, inglese, fu varato nel 1894. La prima importante applicazione dei motori endotermici alla navigazione mercantile fu fatta nel 1912, con la motonave danese Selandia.
La causa prima del trionfo risiede nella regolarità e nella minore durata che la forza meccanica assicura alle traversate, e che si traducono in vantaggio economico, permettendo all'acquirente di disporre della merce al momento in cui prevede di utilizzarla, e al venditore di realizzarne più rapidamente il valore. Anche in rapporto al capitale che la nave rappresenta, la propulsione meccanica, consentendo un più accelerato ciclo di viaggi, offre maggiore capacità d'impiego e di rendimento. Questi vantaggi si sono intensificati per il costo d'esercizio divenuto sempre più basso, sia nei riguardi dei consumi del combustibile sia in quelli della composizione numerica degli equipaggi. La forza meccanica adoperata anche nei mezzi di carico e scarico ha fatto sì che la maggiore potenzialità economica per le cresciute dimensioni delle navi non venisse neutralizzata dalle lunghe giacenze nei porti.
V'è, inoltre, quel processo di specializzazione cui la propulsione meccanica ha dato luogo e che ha condotto alla partizione del naviglio in tre grandi categorie: naviglio da carico se destinato unicamente al trasporto di cose; da passeggeri se utilizzato nel trasporto di persone, pur con qualche possibilità di carico di merci ricche; misto se destinato al trasporto di merci, ma con sistemazioni per trasporti di persone.
Il naviglio da passeggeri e il misto esercitano linee regolari con itinerarî e orarî stabilmente preordinati; ma quello da passeggeri si allontana dalle linee regolari se destinato a crociere turistiche.
Il naviglio da carico è in parte addetto anch'esso a linee regolari periodiche per servire correnti di traffico a carattere continuo. Questi servizî tendono costantemente ad aumentare; ma nel trasporto delle merci sono tuttora in maggioranza le navi "randage" (ingl. tramps), quelle cioè che, senza itinerarî prestabiliti, si recano là dove si presenta l'offerta di nolo, e compiono viaggi differenti non solo in quanto ai porti di caricamento e scaricamento, ma anche in quanto alle merci che trasportano.
Le navi da carico sono nella grande maggioranza atte a trasportare qualsiasi merce, sia alla rinfusa sia imballate o contenute in recipienti; la specializzazione ha tuttavia agito nella formazione di tipi speciali, tra cui le navi cisterna per materie liquide, le navi frigorifere per carni e altri prodotti animali deperibili, le navi munite di speciali sistemi di ventilazione e refrigerazione per trasporto di frutta e d'altre derrate, le navi traghetto per trasporto di vagoni ferroviarî, le navi adatte a trasporto di locomotive e macchinari di grande volume, ecc.
Ma la specializzazione è ancora più accentuata nelle navi da passeggeri, che appartengono a gruppi diversi per sistemazione interna, organizzazione di servizî, velocità. Il naviglio addetto a brevi traversate diurne può dispensarsi dal servizio alberghiero, che invece è necessario per il naviglio destinato a lunghe navigazioni. In quelle linee dove può farsi maggiore assegnamento su ricca clientela, più elevata è la velocità delle navi, più lussuoso l'arredamento, più curato lo svago dei viaggiatori. Si ha così tutta una serie di navi a caratteristiche differenti, e poiché è l'Atlantico ad offrire la corrente più intensa di viaggiatori con larga partecipazione di persone agiate, sulle linee transatlantiche si trovano le navi più grandi, più belle, più rapide. Sono pure ottimamente servite le linee fra l'Europa, l'India, l'Estremo Oriente, fra l'Europa e l'Australia, fra l'Estremo Oriente e le Americhe. Navi lussuose e veloci sono anche destinate a linee mediterranee. In tutti questi servizî grande è l'importanza assunta dalla bandiera italiana.
Sulle linee transatlantiche primeggiano i seguenti piroscafi a turbine: gli italiani Rex (tonn. 51.062, detentore del record della traversata atlantica) e Conte di Savoia (tonn. 48.502), i germanici Bremen (tonn. 51.656) ed Europa (tonn. 49.746), tutti e quattro di velocità superiore a 26 miglia orarie; gl'inglesi Majestic (tonn. 56.621) e il Mauretania (tonn. 30.696), l'americano (S. U.) Leviathan (tonn. 48.943), di velocità fra 25 e 26 miglia. Nei servizî fra l'Europa e l'Estremo Oriente primeggiano i piroscafi italiani Conte Rosso (tonn. 17.048) e Conte Verde (tonn. 18.765), di velocità superiore a 19 miglia. Nei servizî per l'Europa e l'India primeggiano la motonave italiana Vittoria (tonn. 13.068, velocità 23 miglia) e la nave turbo-elettrica Strathnaver (tonn. 22.547 e 20 miglia). Fra l'Europa e l'Egitto eccellono i piroscafi italiani a turbine Esperia (tonn. 11.405) e Ausonia (tonn. 12.995), di velocità fra 21 e 22 miglia.
Nella seguente tabella si riportano i dati inerenti alla consistenza del naviglio di stazza unitaria superiore a 100 tonnellate, appartenente ai paesi la cui flotta mercantile nel giugno 1933 superava le 400.000 tonnellate, e quelli complessivi riguardanti tutte le flotte del mondo (dati del Lloyd's Reaster in tonnellate lorde):
Lo sviluppo del tonnellaggio delle principali marine mercantili nel sec. XX è dato dalle seguenti cifre, in tonnellate lorde, che si riferiscono al naviglio a propulsione meccanica di stazza lorda unitaria superiore a 100 tonnellate:
Le persone. - Al vasto movimento economico e civile derivante dalle industrie del mare si riflette l'attività di numerose categorie di persone.
La via marittima, come si è detto, è soprattutto opera della natura; ma ai suoi punti terminali opere grandiose sono erette dall'uomo per offrire alle navi ogni difesa e ogni facilità di imbarco e sbarco di merci e passeggeri. Per la costruzione e manutenzione di tali opere si hanno le imprese, con i loro dirigenti, i loro tecnici, le loro maestranze specializzate di terra e di mare. Per il loro esercizio si hanno i proprietarî e gestori di magazzini generali, silo, depositi frigoriferi, depositi di combustibili liquidi e solidi, bacini di carenaggio, apparecchi di carico e scarico, capannoni, ecc., con dirigenti, contabili; custodi, personale di fatica. Si hanno poi le organizzazioni dei lavoratori portuali per il carico e lo scarico delle merci, dei bagagli, della posta. Questi lavoratori prestano la loro opera a bordo (stivatori, verricellai), o a terra (facchini), o sui galleggianti (chiattaioli, barcaioli). I loro dirigenti si chiamano consoli, direttori, capi squadra.
Servizî ausiliarî al commercio prestano gli spedizionieri o transitarî, gl'impresarî d'imbarco e sbarco, i guardiani; servizî ausiliarî alla navigazione prestano gli agenti e raccomandatarî di navi, i piloti, il personale dei rimorchiatori
Il naviglio sorge in cantieri, mercé l'attività delle imprese costruttrici, con i loro dirigenti e le loro maestranze; ma l'opera dei cantieri navali è integrata da quella degli stabilimenti meccanici e degli svariati opicifi che fabbricano catene, ancore, cordami, vele, strumenti nautici, meccanismi varî, arredamenti: a dar vita alla grande nave da passeggeri si può dire che oggi tutte le industrie concorrano con le loro maestranze specializzate. Continua è inoltre l'opera di coloro che intervengono ai lavori di manutenzione e riparazione delle navi.
V'è, infine, chi esercita il naviglio: armatori da una parte, equipaggi dall'altra.
Fra tutte queste persone è un continuo intrecciarsi di rapporti, mentre altri svariati rapporti intercorrono fra le stesse persone e coloro che del trasporto marittimo si valgono (noleggiatori, caricatori, ricevitori di merce, passeggeri) o che in forme diverse sopperiscono alle varie necessità dell'esercizio nautico, quali finanziatori o assicuratori.
Fra le persone menzionate, sono particolarmente da considerare, per l'importanza del loro contributo all'esistenza e allo sviluppo della marina mercantile e per il carattere spiccatamente marittimo della loro opera, gli armatori e gli equipaggi (v. alle singole voci).
I naviganti e i tecnici delle costruzioni navali formano nel loro insieme la "gente di mare", e a questa appartengono anche quando, per le varie vicende della vita, non esercitano la loro professione, senza peraltro averla definitivamente abbandonata. Secondo la legislazione italiana, la gente di mare è distinta in due categorie: la prima comprende i capitani e padroni, i marinai e mozzi, i macchinisti, fuochisti e altri addetti con qualunque denominazione al servizio delle macchine di bordo, il personale navigante addetto a servizî sanitari e di carattere alberghiero, i pescatori d'alto mare. La seconda i costruttori navali, i maestri d'ascia e calafati, i piloti pratici locali, i barcaioli e pescatori del litorale.
L'intervento dello stato. - Attività giuridica. - Lo stato interviene nella marina mercantile sia con le manifestazioni comuni a tutto il campo della coesistenza sociale, sia con manifestazioni ad essa peculiari (v. marittimo, diritto).
La singolarità del regime si rivela, anzitutto, nelle norme di diritto interno e internazionale. Si hanno infatti autonomi ordinamenti amministrativi per i quali: a) alla marina mercantile sovrintendono organi speciali dello stato sia al centro sia alla periferia; b) il personale marittimo ha uno statuto proprio, è inquadrato a seconda dei varî gradi e delle diverse categorie ed è sottoposto ad una disciplina quasi militare; c) il comandante della nave è rivestito di speciali poteri, in rappresentanza dello stato; d) le navi sono sottoposte a speciale vigilanza da parte dello stato sia durante la loro costruzione, sia durante l'esercizio, per garantirne l'attitudine ai servizî cui sono destinate; e) la circolazione nautica, la coesistenza delle persone a bordo e nel territorio marittimo, gli approdi, le partenze delle navi e la loro sosta nei porti e tutti i servizî portuali sono regolati da speciali norme di polizia che mirano a salvaguardare la sanità, la sicurezza e l'ordine pubblico; f l'uso delle acque territoriali e del suolo demaniale marittimo è governato da speciali disposizioni intese a tutelare i pubblici interessi.
Attività giuridica speciale per la marina mercantile lo stato esplica anche nel campo del diritto penale. In rapporto al diritto processuale, le necessità della navigazione e della vita portuale hanno fatto sorgere particolari giurisdizioni e procedure, sia per la decisione delle controversie, sia per la repressione dei reati.
Caratteri particolari assume pure il diritto internazionale. Convenzioni o usi costanti o leggi interne governano per il tempo di pace e per il tempo di guerra, sia i rapporti fra gli stati e le navi straniere che approdano nei loro porti o percorrono le loro acque territoriali, sia i rapporti che si costituiscono in alto mare fra navi di diversa nazionalità. Taluni casi eccezionali d'intervento anche in alto mare sono infine regolati nei riguardi delle navi straniere.
Ai rapporti di diritto marittimo pubblico, sia amministrativo sia penale e processuale, provvedono in Italia il codice per la marina mercantile e un complesso di leggi e regolamenti complementari. Lo stesso codice contiene pure numerose norme di diritto internazionale marittimo.
Nel campo del diritto privato lo stato regola con disposizioni speciali i rapporti patrimoniali che intercorrono fra costruttori e proprietarî di navi, fra compartecipi alla proprietà delle navi, fra armatori e capitani ed equipaggi, fra armatori, caricatori e assicuratori, fra armatori, noleggiatori e caricatori, fra armatori e passeggeri, fra proprietarî di navi e beneficiarî di diritti reali afferenti alle navi, fra proprietarî di navi e loro creditori. Queste disposizioni hanno in Italia la loro sede nel codice di commercio e in leggi complementari.
Prevalsa in Italia la tendenza a rafforzare il carattere di disciplina autonoma nel complesso della legislazione attinente alla marina mercantile, si sta (1934) provvedendo alla promulgazione d'un codice marittimo unico inteso a regolare gli accennati rapporti di diritto pubblico e privato.
Attività sociale. - Lo speciale regime non si riscontra solamente nel campo del diritto. Tutti gli stati hanno in ogni tempo cercato di favorire con interventi di vario genere la propria marina mercantile per gli alti interessi pubblici cui essa risponde. Questi interventi si sono ispirati a direttive che, per variare di luogo e di tempo, hanno assunto forme e contenuto diversi. Nei tempi più lontani prevalse l'uso della forza. Ritenendosi male conciliabile la prosperità propria con l'altrui, i popoli più forti cercarono di sopraffare i più deboli, e fra gli strumenti di predominio adoperarono il naviglio, nel quale non sempre era possibile sceverare il militare dal mercantile o dal piratesco. Anche quando i principî di diritto cominciarono a governare la navigazione, essi furono volti piuttosto a disciplinare le contrattazioni private che a moderare l'azione dei pubblici poteri. I principî della libertà dei mari non cominciarono ad affermarsi nel diritto internazionale che nella seconda metà del sec. XVII dopo le lunghe contese non soltanto belliche, ma anche dottrinali, le quali ultime ebbero le maggiori espressioni in Ugo Grozio e in Giovanni Selden.
Gli stati moderni hanno attenuato i sistemi protettivi che si fondavano sulle discriminazioni di bandiera dei traffici internazionali, non tanto per ragioni etiche quanto per ragioni di convenienza economica.
Discriminazioni si hanno nel traffico di cabotaggio (cioè fra porto e porto di un medesimo stato), o nei servizî di rimorchio e salvataggio o nell'esercizio della pesca, riservati in generale alla bandiera nazionale, o concessi caso per caso a bandiere estere sotto speciali condizioni, principalmente riferite alla reciprocità.
Il trattamento delle bandiere estere è regolato dai trattati di commercio e navigazione e da altre convenzioni o accordi internazionali. Importante a questo riguardo è la convenzione sul regime internazionale dei porti marittimi, stipulata a Ginevra il 9 dicembre 1923 da 25 stati, ma non da tutti subito ratificata. Le disposizioni dello statuto approvato con tale convenzione impegnano ogni stato contraente ad assicurare alle navi degli altri stati contraenti nel traffico internazionale il trattamento delle navi nazionali sia per l'accesso ai porti, sia per l'utilizzazione dei porti stessi e per lo svolgimento delle operazioni commerciali inerenti alle navi, alle loro merci e ai loro passeggeri, sia per la riscossione di diritti e tasse portuali. La diversità della bandiera non può inoltre influire sull'applicazione dei dazî doganali e assimilati o delle tariffe ferroviarie.
Non mancano, tuttavia, esempî di discriminazione, quali: monopolio per la bandiera nazionale in traffici con taluni possedimenti (Francia); dazî di favore per merci trasportate dalla bandiera nazionale, soprattasse su merci che arrivano da porti nazionali non direttamente dai paesi di origine (Francia, Portogallo); tariffe ferroviarie preferenziali per convogliare le merci dell'entroterra a porti nazionali (Germania).
A questi mezzi di discriminazione si aggiungono anche altri sistemi di protezione indiretta, consistenti soprattutto in esenzione o rimborso di tributi fiscali (Iugoslavia).
Si hanno poi mezzi di protezione diretta sia per l'industria delle costruzioni navali, sia per quella della navigazione.
Per le costruzioni si concedono compensi ragguagliati al tonnellaggio di stazza e alla forza di macchina delle navi costruite, esenzioni di dazi per materiali importati (Argentina, Italia, Spagna): favori ben giustificati per paesi, come l'Italia, in cui fanno difetto combustibili e materiali metallici.
L'industria della navigazione è assistita da: a) facilitazioni di credito (Francia, Germania, Giappone, Inghilterra, Irlanda, Italia, Polonia, Stati Uniti, Svezia); b) premî di navigazione (Argentina, Spagna e temporaneamente anche in Italia); c) interventi finanziarî a favore di talune società di navigazione (Belgio, Francia, Germania, Stati Uniti) o di talune forme di esercizio nautico (Francia, per le navi petroliere); d) sovvenzioni o compensi per servizî postali (quasi tutti gli stati marittimi); e) contributi finanziarî per istituzione di previdenza marittima (Francia). Né mancano forme di esercizî di stato (Russia, Stati Uniti, Romania) o cointeressamento degli stati nell'industria dell'armamento marittimo.
L'ingerenza sociale dello stato se da una parte si volge a promuovere lo sviluppo delle industrie marittime, si manifesta pure, con sempre maggiore intensità, in favore delle varie categorie di produttori. Le provvidenze in favore degli equipaggi costituiscono il nucleo centrale dell'attività marittima; ma qui conviene ancora fare riferimento alle istituzioni intese a garantire la pace sociale in rapporto all'attività marittima mercantile. Tutti gli stati hanno cercato d'intervenire nell'equo contemperamento degl'interessi dei produttori; ma i più felici risultati si sono avuti e si hanno in Italia, dove il regime fascista, col sistema corporativo, ha saputo creare un nuovo ordine giuridico, che, togliendo valore alle pressioni degli scioperi e delle serrate, dà parità di diritti e di forza a datori e prestatori di lavoro, e consente che la formazione dei patti di lavoro e la risoluzione delle controversie sociali, ove manchi l'accordo delle parti, siano affidati all'imparziale giudizio della magistratura.
Agli effetti sindacali, la gente di mare e il personale sussidiario delle aziende di navigazione sono in Italia inquadrati nella Confederazione nazionale fascista della gente di mare; gli armatori sono inquadrati nella Confederazione nazionale fascista delle imprese di trasporto marittimo.
È da notare ancora l'intervento dello stato nella istruzione professionale, mediante corsi di studio per le maestranze, istitutî nautici per la formazione di ufficiali di coperta e di macchina e di costruttori navali, scuole superiori per ingegneri navali. Sono inoltre promosse dallo stato le navi scuola per favorire il tirocinio pratico necessario a complemento degli studî teorici.
Di grande importanza è, infine, l'azione che lo stato esercita, sia direttamente, sia per mezzo di enti autarchici, sia con concessioni a privati, per dare sicurezza e accrescere capacità di traffico alla via marittima, mediante la costruzione e l'esercizio di porti e di canali e l'organizzazione dei servizî sussidiarî che abbiamo menzionato precedentemente.
Rinviando, per una più precisa comprensione di tale intervento, alle voci canale; navigazione; porto; segnalamento marittimo, qui si vuol porre in rilievo che lo sviluppo delle opere e dei servizî portuali e sussidiarî è fra le condizioni più essenziali per l'incremento dei traffici e della marina mercantile.
Le nuove esigenze sorte dal cresciuto movimento dei porti e dal celere andamento della navigazione hanno inoltre determinato una più larga ingerenza della pubblica amministrazione nella disciplina dei servizî e della mano d'opera. Anche in questo campo l'Italia, con gli uffici del lavoro portuale creati dal regime fascista, si è posta all'avanguardia, riuscendo ad armonizzare, come termini concorrenti e non contrastanti, la regolarità delle operazioni, le necessità della marina mercantile e il progresso del traffico con la elevazione economica e morale delle maestranze.
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Per il Medioevo e l'età moderna: W. S. Lindsay, History of merchant shipping, voll. 4, Londra 1874-76; Inchiesta parlamentare Boselli sulla marina mercantile, 1881-1882, voll. 7, Roma 1881-83; C. Supino, La navigazione dal punto di vista economico, 3ª ed., Milano 1913; A. W. Kirkaldy, British Shipping, Londra 1914; R. Mayr, Manuale di storia del commercio, Milano 1915; E. Corbino, Economia dei trasporti marittimi, Città di Castello 1926; T. Gropallo, Il romanzo della vela, Milano 1929; A. Brunetti, Manuale di diritto marittimo privato italiano, voll. 2, Torino 1929-30; L. Fea, La marina mercantile moderna, in Rivista Marittima, settembre 1931; C. E. Fayle, A short history of the world's shipping industry, Londra 1933. Cfr. inoltre le relazioni annuali sulla marina mercantile della Direzione generale della marina mercantile e il Lloyd's Register.
Marina da diporto.
Ha sue caratteristiche particolari, specialmente inerenti al lato tecnico e costruttivo. Vedi perciò la voce naviglio da diporto, in cui, oltre ai varî tipi d'imbarcazioni, si esamina la marina da diporto anche da un punto di vista storico e propriamente sportivo.