MARINA
(XXII, p. 324; App. I, p. 821; II, II, p. 265; III, II, p. 32; IV, II, p. 394)
Marina militare. - Potere aeromarittimo. − Gli elementi essenziali della politica di sicurezza di tutti i paesi, per i quali il potere aeromarittimo rappresenta un elemento significativo, sono stati profondamente modificati dal cambiamento nel panorama geostrategico mondiale e in particolare in quello europeo verificatosi all'inizio degli anni Novanta. La rivoluzione democratica nei paesi dell'Est europeo, la riunificazione della Germania nella NATO, la dissoluzione del Patto di Varsavia, le aspirazioni unificatrici nell'ambito della comunità europea, nonché le contrarie istanze centrifughe che hanno portato a un vero e proprio smembramento della stessa Unione Sovietica ne costituiscono gli elementi essenziali.
In questo nuovo contesto, caratterizzato dalla scomparsa della contrapposizione che aveva per oltre quarant'anni opposto il mondo occidentale a quello di ideologia comunista, il rischio di un conflitto maggiore − già ridotto anche negli anni precedenti grazie a un sostanziale equilibrio militare tra i due blocchi − è diventato ancora più remoto. Per contro, i rischi di conflitti di carattere regionale, generati dall'instabilità connessa proprio alla scomparsa della precedente polarizzazione, si sono moltiplicati. Ne sono esempi clamorosi la Guerra del Golfo originata dall'invasione del Kuwait da parte dell'῾Irāq (agosto 1990-febbraio 1991), nonché la perdurante guerra interna iugoslava.
Si sta assistendo quindi a una profonda evoluzione delle concezioni di difesa, con uno spostamento sempre più marcato dalle esigenze di reazione a un attacco massiccio verso la capacità di controllo di crisi, relativamente minori ma caratterizzate da elevata incertezza. Ciò conferma le tendenze, già avvertibili alla fine degli anni Ottanta, sul destino del potere aeronavale a svolgere un ruolo di primo piano quale fattore di stabilità mondiale, per la sua attitudine ad appoggiare l'azione politica con un impiego flessibile e graduale delle forze, in tutta la gamma delle sue manifestazioni, di cui l'effettivo impiego bellico rappresenta soltanto un caso estremo.
Il potere aeronavale rappresenta un caso particolare anche nel campo del controllo degli armamenti, che si sta sviluppando positivamente in Europa per le componenti terrestre e aerea delle forze. Sono proprio le caratteristiche globali del potere aeromarittimo a rendere problematica la formulazione di veri e propri trattati di disarmo a carattere regionale: per contro, l'alto costo degli armamenti navali ha già causato un processo spontaneo di contrazione che fa prevedere una sensibile diminuzione quantitativa degli armamenti complessivi.
Le forze aeromarittime dal 1980. − Il panorama dell'evoluzione della situazione navale continua a essere caratterizzato da tre elementi fondamentali: evoluzione tecnologica; variazione dei rapporti di forza tra le m. militari maggiori (USA-ex URSS); proliferazione degli armamenti navali tra le nazioni emergenti.
L'evoluzione tecnologica ha proseguito in modo accelerato, specialmente nel campo delle armi e delle apparecchiature, accomunate sotto la denominazione di ''sistema di combattimento'' e funzionalmente dedicate alla lotta ''sopra'', ''sulla'' e ''sotto la superficie''.
Nel primo caso − lotta sopra la superficie − la minaccia aerea e missilistica ha presentato progressi notevoli per la letalità delle armi e le caratteristiche dei loro vettori (velocità sempre maggiori, profili di volo sempre più pericolosi, sistemi di guida/autoguida sempre più intelligenti). Anche la difesa ha però realizzato un rilevante salto di qualità con l'introduzione in servizio dei radar multifunzionali a scansione elettronica (l'antenna emittente è costituita da una serie di grandi piastre fissate alle sovrastrutture della nave, mentre i lobi radar di ricerca ruotano e si muovono nell'aria grazie a particolari sistemi di emissione) e dei missili contraerei a lancio verticale (il quale moltiplica il numero di armi che possono essere usate contemporaneamente). Nel campo delle m. occidentali, il sistema Aegis sviluppato dalla m. USA rappresenta l'estremo sviluppo tecnologico di tale concetto, in quanto consente di vedere, seguire e reagire contemporaneamente contro decine di bersagli di ogni tipo.
Nel secondo caso − lotta sulla superficie − il costante sviluppo del missile navale ha fornito armi di portata di gran lunga eccedente la possibilità di discriminare efficacemente l'identità dei bersagli contro i quali esse vengono lanciate. Di qui la necessità di disporre di sistemi di sorveglianza (aerea/satellitare) e di potenti sistemi di trattazione dati (centrali operative ad altissimo livello di automazione), per coordinare l'impiego di tali armi. All'estremo opposto della scala tecnologica, in periodi di tensione o di conflitti non dichiarati, mezzi di superficie dotati di armi relativamente rustiche hanno confermato di poter costituire minaccia non indifferente. In entrambi i casi i mezzi di difesa/offesa hanno evoluto nella direzione di armi ad altissimo volume di fuoco associate a sistemi di scoperta/direzione tiro specializzati e verso sistemi d'inganno delle teste autocercanti dei missili. L'artiglieria di tipo tradizionale (v. artiglieria: Artiglierie navali, in questa Appendice) ha peraltro conservato la propria funzione di sistema insostituibile e risolutivo in tutti i casi in cui l'impiego della forza dev'essere esattamente commisurato al livello della crisi, e quindi potrà trovare rinnovato favore tra gli armamenti navali.
Nel terzo caso − lotta sotto la superficie − l'alternarsi dei vantaggi relativi tra le capacità dei mezzi subacquei e le possibilità del complesso di mezzi destinati a contrastarli prosegue, con un perfetto parallelismo alla gara ''corazzacannone'' nella prima metà del 20° secolo.
I progressi compiuti nelle tecniche di scoperta subacquea e nella qualità delle armi antisommergibili, specialmente nel campo dell'elaborazione dei segnali di rumore ricevuti dai mezzi di scoperta passiva (idrofoni) ed emessi dal sommergibile stesso (eliche-macchinari), sono stati bilanciati da tecniche altrettanto sofisticate per il silenziamento dei sommergibili stessi. Il sottomarino costituisce quindi più che mai un'arma formidabile, sia in campo tattico quale mezzo capace d'interdire o limitare con i propri siluri e missili il libero uso del mare anche alle m. maggiori, sia in campo strategico quale vettore di missili balistici.
Rinnovata attenzione ha ricevuto la guerra di mine, in seguito all'esteso impiego che ne è stato fatto prima dall'Iran durante la guerra con l'῾Irāq, e poi dallo stesso ῾Irāq durante la Guerra del Golfo. La minaccia costituita dalle mine di vario tipo utilizzate in tale occasione è stata limitata dal dominio del mare da parte della coalizione anti-῾Irāq, ma ha messo in luce la scarsità dei mezzi disponibili per contrastarla e l'esigenza del loro adeguamento tecnologico. È quindi in corso un generale sforzo nel settore, ma il compromesso tra la quantità dei mezzi necessari e il loro costo unitario (è necessario utilizzare materiali e tecniche speciali affinché i mezzi di contromisure mine non siano essi stessi vittime delle armi che devono neutralizzare) continuerà a costituire un problema di difficile soluzione.
Il secondo fattore che ha dominato gli anni Ottanta e che tuttora condiziona la situazione è costituito dai mutati rapporti di forza tra le due maggiori m. mondiali (USA-ex URSS). Durante lo scorso decennio la m. sovietica aveva realizzato uno straordinario incremento qualitativo che l'aveva portata a un livello di pratica parità operativa con le m. occidentali. Pur essendo ora generale convinzione che la m. russa, erede della parte più significativa delle forze navali sovietiche, sia precipitata in una condizione di pratica impotenza soprattutto in termini di efficienza/addestramento, essa rimane pur sempre un'organizzazione potenzialmente formidabile (oltre 200 sommergibili, 5 portaerei, 29 incrociatori, 188 tra cacciatorpediniere e fregate), anche perché nel contempo la riduzione delle spese militari in USA sta portando tale m. a riduzioni numeriche tali da far pensare a un nuovo bilanciamento a livelli più bassi.
Il terzo fattore, cioè la proliferazione degli armamenti navali tra le nazioni emergenti, ha oramai determinato una sostanziale modifica nel panorama aeromarittimo mondiale, anche se il fenomeno è stato notevolmente rallentato dalle difficoltà finanziarie in cui versa gran parte dei paesi interessati. La grande maggioranza dei paesi terzi possiede infatti strumenti navali che, seppure limitati nel numero e nel tipo dei mezzi (missili - sommergibili), permettono loro d'interdire le proprie acque o, quanto meno, di porre seri problemi a chi vi volesse operare. Alcuni di questi paesi, quale l'India, sono assurti a rango di vera e propria potenza marittima locale.
L'emergere degli USA come unica superpotenza mondiale sta peraltro nuovamente ridimensionando il valore concreto delle potenze regionali, tanto più che la Guerra del Golfo ha riconfermato la capacità delle grandi m. di operare anche in zone limitate e assai pericolose per lunghi periodi senza subire attriti insostenibili.
Prospettive. − Lo scorcio finale del secolo 20° conferma la tendenza evolutiva degli anni precedenti. La cessazione della conflittualità tra le superpotenze ha già portato alla contrazione delle spese militari, con un immediato riscontro in una riduzione degli armamenti aeronavali, che è prevedibile possa accentuarsi negli anni a venire.
Permarrà tuttavia l'esigenza di mantenere un adeguato equilibrio tra le capacità attuali, ancora assai significative sia nel campo strategico-nucleare, sia in quello convenzionale, per non turbare la stabilità generale ed evitare (deterrenza) l'insorgere di avventurismi di qualsiasi provenienza. È altresì probabile che le forze militari aeronavali trovino crescente impiego sia in operazioni internazionali di mantenimento della pace sotto l'egida dell'ONU, come verificatosi in occasione della crisi dei paesi ex-iugoslavi, sia in attività di ''polizia internazionale'' quale il controllo del traffico della droga o di fenomeni di emigrazione via mare massiccia e incontrollata.
Sotto l'aspetto più specificatamente tecnico, maggiore evoluzione s'intravvede nel settore del "maneggio delle informazioni e delle decisioni" che non nel campo dei mezzi veri e propri, che continueranno peraltro a perfezionarsi e ad accrescere le doti di affidabilità e automazione. Anche per quanto riguarda gli scafi veri e propri, le prospettive rivoluzionarie di realizzazioni a ''effetto di superficie'' (aliscafi, hovercraft, ecc.) sono state ricondotte entro ambiti più evolutivi.
Programmi navali. − La proliferazione di m. militari, molte delle quali di dimensioni assai ridotte se non addirittura simboliche, non consente la trattazione analitica dei singoli programmi navali in corso, per i quali si rimanda a pubblicazioni specializzate (in particolare Almanacco navale e Jane's Fighting Ships).
Per una visione sintetica si è seguita invece una suddivisione di carattere geopolitico, atta cioè a fornire la linea evolutiva in termini regionali, mentre la m. italiana verrà trattata a parte.
NATO. Le m. NATO formano tuttora un complesso di grande rilievo, il cui elemento fondamentale è costituito dalla marina degli Stati Uniti (US Navy). Essa ha goduto di un vasto programma di sviluppo attuato durante le amministrazioni Reagan: pur non avendo conseguito il traguardo delle 600 unità combattenti inizialmente stabilito, si presenta nuovamente come un'organizzazione rinnovata nei mezzi, con personale addestrato e di morale elevato. Se ne è avuta prova nella Guerra del Golfo, ove sono state spiegate forze assai rilevanti, che hanno operato con successo per periodi prolungati.
La tab. 1 indica l'imponenza dello sforzo, che tuttavia tende ad affievolirsi (come peraltro in tutte le nazioni occidentali), a causa della generale tendenza a ridurre i bilanci della difesa. Ciò comporterà anche per la m. USA una riduzione quantitativa che potrà anche superare il 20%, riducendo a 12 (non è escluso un numero ancora minore) i gruppi di combattimento basati sulle grandi portaerei, mettendo nuovamente fuori uso le corazzate tipo Missouri (già più volte riattivate in momenti di crisi) e ridimensionando il numero dei sommergibili nucleari d'attacco. Il dibattito in corso sul futuro del programma Seawolf, che avrebbe dovuto assicurare il futuro della categoria, costituisce chiara indicazione dell'influenza delle ristrettezze finanziarie imposte dai recenti bilanci della difesa. Inoltre, la forza balistica subacquea, pur essendo destinata a diventare la componente maggiore del deterrente nucleare (tra l'altro assegnata organicamente al nuovo comando strategico interforze), sembra destinata a ridursi ai soli 18 sottomarini nucleari classe Ohio (Trident) entro la fine del decennio Novanta, anche in relazione ad un favorevole andamento dei negoziati per la riduzione delle armi nucleari strategiche. Significativa, infine, l'eliminazione (per decisione unilaterale) delle testate nucleari in dotazione alle unità di superficie.
Anche la m. militare della Gran Bretagna, forte delle sue tradizioni e della professionalità del suo personale, rappresenta un elemento di tutto rilievo, come dimostrato durante la crisi con l'Argentina per il possesso delle isole Falkland e i successivi interventi nella crisi del Golfo. Difficoltà economiche, unite all'elevato costo della componente strategica subacquea, hanno dato origine un declino quantitativo, specie nelle unità di superficie, che desta dubbi sulla capacità della Royal Navy di sostenere l'attuale livello degli impegni operativi. Non minore preoccupazione desta l'interruzione di unità subacquee ormai confinate al completamento di sommergibili balistici classe Vanguard.
Scomparse le grandi portaerei, il potere navale britannico è ora costituito:
a) da una componente strategica basata su 4 sommergibili nucleari con missili balistici tipo Polaris ammodernati (programma Chevaline), i quali, datando dai primi anni Sessanta, dovranno essere sostituiti da una classe di nuove unità (classe Vanguard) dotata di missili Trident che potrebbe essere anche limitata a 3 esemplari;
b) da una componente convenzionale di 3 incrociatori tuttoponte tipo Invincibile (di cui 1 in riserva) operanti velivoli a decollo corto/appontaggio verticale (STO/VC) tipo Harrier, affiancati da 42 unità di scorta (di cui 1 in riserva) e 19 sommergibili da attacco, di cui 13 nucleari.
Il programma di nuove costruzioni, peraltro in corso di revisione riduttiva in relazione ai nuovi orientamenti della difesa britannica, sembra indirizzato verso un numero di unità inferiore all'attuale. È per contro previsto il mantenimento di una limitata componente di trasporto anfibio.
La Francia continua a sua volta a mantenere un importante dispositivo aeronavale; c'è tuttavia da rilevare che lo sforzo di sostenere e ammodernare una componente strategica di 5 sommergibili balistici (sono attualmente in costruzione 3 unità classe Le Triomphant che dovranno iniziare il rimpiazzo della classe L'Inflexible attualmente in servizio) ritarda i programmi della componente convenzionale.
In ogni caso, l'attuale forza di 2 portaerei medie (oltre alla nave scuola portaelicotteri Jeanne d'Arc), una quarantina di unità combattenti di superficie e 13 sommergibili d'attacco (di cui 5 nucleari), integrati da un moderno e ben bilanciato complesso di unità specialistiche e di supporto, ne fa un potente strumento di appoggio alla politica estera nazionale. Il programma di rinnovamento − basato sulla costruzione di una portaerei a propulsione nucleare, altri 2 sommergibili nucleari d'attacco, 10 fregate, 7 cacciamine nonché mezzi minori e logistici − sembra adeguato, ma sarà forse soggetto a diluizioni o ritardi per ristrettezze finanziarie, dalle quali la m. francese non è esclusa.
Le altre m. militari NATO (esclusa la m. militare italiana, per la quale v. oltre) proseguono, compatibilmente con limitazioni di carattere economico, programmi di ammodernamento tecnologico. Tutte incontrano difficoltà a mantenere gli attuali livelli numerici delle forze, in quanto i costi richiesti dalla sofisticazione dei moderni sistemi rendono problematico il rimpiazzo delle unità in un momento di drastiche e generalizzate riduzioni dei bilanci militari. Ciò interessa tutte le m. rivierasche settentrionali (Belgio, Paesi Bassi, Germania, Danimarca, Norvegia) che, pur avendo programmato una ristrutturazione riduttiva, pianificano il mantenimento di un significativo contributo di mezzi moderni alle forze navali NATO. Esse hanno partecipato con successo, anche se in varia misura e con diverse dislocazioni (m. tedesca solo in Mediterraneo) alle operazioni connesse con la Guerra del Golfo. Alcune di esse contribuiscono, con le m. maggiori, alle operazioni che dal luglio 1992 si svolgono nell'Adriatico per far rispettare le sanzioni ONU contro l'ex repubblica di Iugoslavia. Particolare interesse rappresentano sia lo sforzo della m. spagnola per dotarsi di una componente aerea imbarcata attraverso la costruzione di una portaerei leggera (Principe de Asturias) e di un'aliquota di velivoli STO/VL di fabbricazione americana, sia l'abortito progetto del Canada di procurarsi sottomarini nucleari, il cui costo avrebbe troppo condizionato il mantenimento delle già limitate forze convenzionali. Dal punto di vista operativo, durante la crisi del Golfo le m. NATO hanno dimostrato di poter operare congiuntamente, anche in condizioni di comando e controllo più complesse di quelle sperimentate durante le esercitazioni alleate, in quanto le caratteristiche politiche del conflitto hanno determinato lo stretto coordinamento ma non la totale integrazione delle forze.
In campo tecnico, meno successo hanno avuto i tentativi di progetti navali comuni, che avrebbero certamente migliorato la standardizzazione degli equipaggiamenti: particolarmente significativo è il fallimento del progetto per la cosiddetta ''Fregata NATO anni '90'', che per soddisfare i requisiti specifici di tutti i partecipanti aveva assunto dimensioni (e costi) inaccettabili. L'esigenza di gran parte delle m. di sostituire entro la fine del secolo le unità di difesa aerea costruite negli anni Settanta/Ottanta sta tuttavia provocando aggregazioni multinazionali meno ambiziose ma forse più realistiche, quali tra Francia e Regno Unito, cui si è aggiunta l'Italia.
Repubbliche ex URSS. La dissoluzione dell'Unione Sovietica pone interrogativi per ora non soluti sul futuro organizzativo della ex m. sovietica, in relazione alle pretese delle varie nuove repubbliche indipendenti − prima fra tutte l'Ucrania − a ereditare una parte delle forze navali dell'URSS: è tuttavia ormai indubbio che la parte sostanziale della flotta, primi fra tutto i sommergibili balistici, è saldamente in mano russa, e che le cessioni alle repubbliche ne modificano solo marginalmente la struttura. In ogni caso, l'atteggiamento operativo della m. russa ha già subito un drastico mutamento, che si estende dal dichiarato orientamento difensivo alla pratica eliminazione degli spiegamenti operativi globali (persino in Mediterraneo la presenza delle navi russe è diventata saltuaria), confermando così tendenze già avvertite alla fine degli anni Ottanta. A ciò si aggiungono condizioni di efficienza particolarmente difficili connesse con la crisi economica di cui soffre il paese, con un panorama complessivo ben lontano da quello di una potenza navale pari a quella degli USA cui tendeva l'ambizioso programma iniziato trent'anni or sono dell'amm. Gorshokov.
Per contro, il livello tecnologico delle più recenti unità russe non è lontano da quello delle corrispondenti unità occidentali; nel campo dei sommergibili − sia nucleari che convenzionali − le ultime serie costruite sono sempre più silenziose e in grado di operare a quote sempre più profonde. Inoltre l'entrata in servizio di una vera e propria portaerei (Admiral Kuztnetsov, ex Tbilisi) dotata di velivoli ad ala fissa ad alte prestazioni, alla quale se ne affiancherà probabilmente una seconda, aggiunge una nuova dimensione e flessibilità allo strumento navale russo.
Nel complesso, la m. russa si presenta come uno strumento di efficacia ridotta, ma con possibilità potenziali di estensione tale da sostenere il ruolo di grande potenza del paese, se e quando le condizioni politiche ed economiche interne lo consentiranno. Molto dipenderà dal programma di nuove costruzioni che, seppure in scala minore rispetto allo scorso decennio, sembra procedere ancora in misura che non sembra giustificata dai mutamenti geopolitici e geostrategici avvenuti (risultano in costruzione 14 sommergibili, 2 portaerei, 2 incrociatori, 14 cacciatorpediniere e fregate, nonché numeroso naviglio minore). Quanto questo sia dovuto alla volontà di conservare la potenza navale del paese, oppure all'inerzia del sistema produttivo e alle difficoltà presentate dalla conversione a scopi civili dell'immenso complesso cantieristico militare, non è ancor a sufficientemente chiaro, anche in relazione alle lotte di potere in corso, anche nell'ambito delle forze armate.
Mediterraneo. A parte la presenza delle m. militari della NATO e dell'ex Unione Sovietica, il Mediterraneo conosce una forte concentrazione di armamenti navali. La diffusa caratteristica delle m. locali, che raggiunge la sua massima espressione con la m. della Libia, è di presentare dimensioni numeriche e qualitative molto maggiori delle effettive capacità di conduzione tecnica, nonché delle reali esigenze politico-militari dei paesi di appartenenza. Caso a parte rappresentano sia la giovane m. israeliana, che vanta capacità operative e tecnologiche di primo piano pur nell'ambito di dimensioni limitate, sia la m. egiziana, che ha buone tradizioni di efficienza e sta faticosamente ammodernando il proprio materiale. Dal punto di vista strategico vanno considerate nello stesso contesto anche le nascenti m. dei paesi del Golfo Arabico e delle zone adiacenti. In questa regione, infatti, la lunga guerra Iran-῾Irāq e il successivo conflitto per l'invasione irachena del Kuwait hanno praticamente eliminato sia la m. iraniana che quella irachena quali fattori dominanti, mentre hanno favorito la crescita dei servizi navali degli altri paesi rivieraschi.
America. Le m. centro e sudamericane sono segnate dalla carenza di risorse che affligge i paesi di appartenenza. Agli ambiziosi programmi di sviluppo dei primi anni Ottanta sono state sostituite più caute e dilazionate operazioni tese in sostanza a non far decadere le capacità esistenti. In tale contesto spicca il programma brasiliano per un proprio sommergibile nucleare, la cui costruzione peraltro condizionerà negativamente l'ammodernamento del resto della flotta.
Oceano Pacifico. In una regione eminentemente ''marittima'' quale l'oceano Pacifico, l'evoluzione della situazione aeronavale rappresenta un fattore politico e militare di primario interesse.
Gli sviluppi più significativi sono rappresentati, da un lato, dalla presa di coscienza delle proprie responsabilità da parte del Giappone (protezione delle rotte di rifornimento e zona di responsabilità estesa sino a 1000 miglia dalle proprie coste), dall'altro dallo sforzo di ammodernamento della Cina della propria m., che per dimensioni rappresenta una forza di primaria grandezza, ma di cui è difficile valutare efficienza, addestramento e reali orientamenti operativi. Le altre due m. significative della zona − quella australiana e quella indonesiana − si sforzano di sostenere programmi di costruzione autarchici e idonei a soddisfare le esigenze di controllo delle vastissime zone marittime di competenza.
Oceano Indiano. La continua crescita della m. dell'India, entrata ormai nel rango delle m. maggiori grazie alla disponibilità di supporto aereo imbarcato (portaerei Viraat e Vikrant), ha posto la stessa in posizione dominante nell'Oceano Indiano. Ciò spingerà il Pakistan a proseguire l'ammodernamento delle proprie forze navali, nonostante le limitazioni imposte dalle condizioni economiche del paese. Le forze aeronavali del Sud Africa non costituiscono invece un fattore significativo nella zona nonostante la loro posizione strategica a cavallo delle rotte attorno al Capo di Buona Speranza, in quanto severamente limitate dai vincoli economici e politici del paese.
Marina italiana. − Gli elementi più significativi che caratterizzano la m. italiana degli anni Novanta sono costituiti da: a) i prolungati schieramenti oltremare in occasione delle crisi succedutesi nel Golfo Arabico, che hanno confermato la sua capacità di operare efficacemente e per lunghi periodi a fianco delle m. alleate anche in zone lontane dalle proprie basi tecniche e logistiche; b) l'avvio dell'acquisizione di una componente aerea ad ala fissa (a conclusione della lunga e controversa vicenda che ha portato alla promulgazione di una specifica legge in merito) che consentirà di dotare l'incrociatore portaeromobili Giuseppe Garibaldi- unità maggiore della flotta − di aerei a decollo corto e atterraggio verticale (STO/VL) idonei a contribuire alla protezione aerea delle forze in mare, colmando così la lacuna che aveva, da sempre, condizionato lo strumento navale italiano; c) l'individuazione, nell'ambito della proposta legislativa di un ''nuovo modello di difesa'' presentato nel 1992 in Parlamento, di una struttura di riferimento a cui tendere nel futuro.
La configurazione attuale delle forze navali nazionali è determinata essenzialmente dal programma realizzato in base alla "Legge Navale" (1975), programma ora in via di completamento attraverso la costruzione dei due cacciatorpediniere missilistici classe Mimbelli, ex Animoso (4500 t; sistema missilistico AA ''Standard'') e di una serie di 6 cacciamine (Classe Gaeta; simili ai precedenti Classe Lerici). Con questi il programma iniziale − costituito da un incrociatore portaeromobili (Garibaldi), 2 CCTT missilistici, 8 fregate (Cl. Maestrale), 2 sommergibili (Cl. Sauro), 6 aliscafi (Cl. Sparviero), 10 cacciamine (Cl. Lerici), una unità da sbarco (San Giorgio), una unità salvataggio (Anteo) − si conclude dando origine, assieme alle unità preesistenti o realizzate con le risorse disponibili nell'ambito dei bilanci ordinari, a uno strumento aeronavale di limitate dimensioni ma bilanciato e di moderna concezione (tab. 3).
I programmi futuri della m., al momento severamente condizionati da ridotte disponibilità di bilancio, comprendono il completamento delle costruzioni in atto, nonché, nei prossimi anni, l'acquisizione di una terza unità rifornitrice di squadra, di un'unità per trasporto anfibio utilizzabile come nave scuola, di un'aliquota (16/18) di velivoli a decollo corto e atterraggio verticali tipo AV8B, nonché la graduale sostituzione degli elicotteri pesanti con i nuovi EH 101 e il rimpiazzo dell'incrociatore V. Veneto al termine della sua vita operativa con un'unità ''tutto ponte'' simile al Garibaldi.
I programmi indicati dovranno essere tuttavia integrati nel futuro da un complesso di costruzioni/acquisizioni atto a mantenere, nel tempo, lo strumento aeronavale minimo individuato nel nuovo modello di difesa che, quando approvato, rappresenterà una struttura ulteriormente ridotta rispetto all'attuale (20 unità di altura, di cui 2 inc. e 4 CCTT; 20 unità costiere, di cui 8 corv.; 8 smgb; 18 unità MCM; 106 aeromobili) ma tale da consentire la protezione degli interessi marittimi nazionali nell'ambito della difesa collettiva (NATO-UEO) nella quale l'Italia è inserita.
Bibl.: Almanacco Navale, anni vari; Jane's Fighting Ships, 1992-93.
Marina mercantile. - Nel periodo 1975-92 l'industria dei trasporti marittimi mondiale ha avuto movimenti di vasta portata in senso sia positivo che negativo, movimenti che hanno trasformato radicalmente lo scenario nel quale si svolgono le attività connesse: flotte mercantili e relativi traffici, porti, cantieri navali, demolitori, ecc. Il tutto è caratterizzato da elementi dinamici, destinati a svilupparsi verso dimensioni nuove ed equilibri non facilmente determinabili.
Gli sviluppi positivi si possono indicare nella maggiore diffusione dell'industria, specialmente fra i paesi di nuova indipendenza e in via di sviluppo; nella forte spinta tecnologica e organizzativa che ha portato a nuove soluzioni armatoriali (come le linee intorno al mondo) grazie all'espansione del naviglio specializzato, all'applicazione della logistica nelle grandi organizzazioni armatoriali, all'automazione del naviglio; nella forte riduzione dei consumi di combustibile sollecitata dall'alto costo del petrolio. Un aspetto particolare si è avuto con il generalizzarsi del trasporto intermodale, nel quale il tratto marittimo s'integra come copertura di un segmento dell'itinerario tra caricatore e ricevitore della merce con una concezione unitaria. Tutto ciò ha permesso un consistente risparmio nei costi del puro trasporto marittimo, cui si aggiunge quello della manipolazione dei carichi nei porti: per il solo trasporto marittimo mondiale, l'UNCTAD (United Nations Conference on Trade And Development) ha stimato una riduzione dell'incidenza del nolo sul totale del commercio mondiale tra il 1980 e il 1986 dal 6,64 al 5,34%, pari a oltre il 20%, e tutto fa ritenere che tale costo si sia ulteriormente ridotto.
Il traffico passeggeri, cessato praticamente quello delle linee transatlantiche, si è vivificato in grande misura nei brevi percorsi serviti da traghetti con auto al seguito; inoltre, un'espansione crescente, al ritmo del 10÷12% annuo, si è avuta nel traffico crocieristico.
Infine, va ricordata l'intensa opera di regolamentazione internazionale della navigazione, in sede ONU e di organismi internazionali da essa controllati. In particolare, si sono affrontati nuovi problemi per il trattamento sicuro della nave, per la manipolazione dei carichi e soprattutto per l'addestramento e l'utilizzazione del personale di bordo. Altri fattori innovativi si sono avuti nelle operazioni a terra, in parte come risultato delle nuove forme esecutive dei contratti di trasporto, ma soprattutto per il miglioramento dei metodi di comunicazione fra nave e armatore. Importante è anche il contributo fornito dalla CEE nel settore marittimo.
Per quanto vistosi, gli sviluppi positivi non sono bastati a bilanciare l'azione dei fattori negativi: alcuni di carattere generale, che hanno profondamente inciso sui traffici internazionali; altri come conseguenza degli eccessivi investimenti nelle nuove costruzioni, secondo una tendenza che appare caratteristica dell'industria marittima.
I fatti di carattere generale sono costituiti dalla seconda crisi del petrolio (1979) che, portando il prezzo di riferimento del barile a 30÷34 dollari, provocò un forte calo del consumo e quindi del trasporto marittimo di una fondamentale materia prima. Essa, inoltre, avviò un pronunciato movimento inflazionistico in tutto il mondo, che influì decisamente sull'economia sia dei paesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo, e, quindi, sull'andamento degli scambi internazionali che sono determinanti per i traffici marittimi. Nel contempo, la lunga guerra scoppiata nel 1980 tra Iran e ῾Irāq, interessando il maggiore bacino del traffico petrolifero mondiale e di grande importanza anche per i traffici di merci secche, contribuì ad aggravare ulteriormente la situazione generale dei mercati marittimi, in considerazione delle molteplici interrelazioni esistenti fra i vari bacini di traffici. In particolare, nonostante la netta riduzione del naviglio di nuova costruzione, si andò formando un vistoso eccesso, prima del tonnellaggio cisterniero, poi di quello per i carichi secchi, soprattutto per quelli di massa. Sta di fatto che tra la primavera e l'estate del 1983 le navi in disarmo giunsero alla cifra massima che, secondo il Consiglio generale degli armatori inglesi, fu di 100,5 milioni di t di portata (circa 60 milioni di t lorde), pari al 14% della consistenza mondiale del naviglio da traffico. L'eccesso di offerta provocò la caduta delle consegne dell'industria cantieristica, che aveva moltiplicato il suo potenziale in seguito alla crescente domanda di naviglio della prima metà degli anni Settanta. Le navi completate, che nel 1975 avevano raggiunto la cifra primato di 34,2 milioni di t lorde, andarono gradatamente diminuendo fino a ridursi a meno del terzo nel 1988. Questo fatto ha provocato un forte ridimensionamento della capacità produttiva dei cantieri, con un processo che è andato aggravandosi per l'entrata nel mercato di potenti concorrenti. Ne è risultata una struttura del tutto nuova dell'industria mondiale, con lo sviluppo della cantieristica in Giappone, Corea del Sud, Cina e Taiwan, la cui produzione ha raggiunto il 70% del totale mondiale, per poi assumere un andamento più moderato.
La crisi dei mercati marittimi si è ripercossa su larghi settori dell'armamento mondiale, provocando dissesti anche di imprese di vecchia tradizione, e ciò anche a seguito di una più rigorosa disciplina dei finanziamenti alle nuove costruzioni, che già avevano contribuito all'eccessivo aumento del naviglio. Altro effetto della crisi è l'esasperazione della concorrenza che si è sempre più estrinsecata nel ricorso alle bandiere ombra, nelle misure di protezionismo, di dumping nei noli, di discriminazione di bandiera, di riserve dei traffici, e simili.
Quattro sono state le fasi che hanno caratterizzato nel periodo in esame l'andamento dell'industria dei trasporti marittimi.
Nella prima fase, durata dal 1975 al 1978-79, si registrò la continuazione ad alto livello dell'espansione dei traffici secondo il modello dei 25 anni precedenti, e ciò nonostante qualche effetto temporaneo della prima crisi del petrolio del 1973. L'espansione della domanda fu parallela al rilevante aumento del tonnellaggio di nuova costruzione che i cantieri lanciavano sul mercato.
Il volume delle merci liquide e solide caricate aumentò tra il 1975 e il 1979 di circa il 22%. Contemporaneamente, la stazza lorda complessiva della flotta mondiale aumentò del 21% e la portata lorda del 23%. Ciò condusse a un buon andamento del mercato dei noli che registrò addirittura un vero e proprio boom nel 1979, tanto per quelli petroliferi che per le merci secche.
Nella seconda fase (1979-82) si registrò un graduale aumento nell'eccesso dell'offerta: mentre le merci caricate in traffico internazionale calavano del 14%, il tonnellaggio offerto raggiunse nel 1982 la sua consistenza massima, con un ulteriore aumento del 2,3% nel tonnellaggio lordo e del 3% nella portata. Nel giugno 1982 la flotta mondiale comprendeva 751.151 navi con un TSL di 424.742.000 t, un primato storico superato solo negli anni Novanta. In questa seconda fase si rivelò una divaricazione tra i trasporti petroliferi e quelli delle merci secche, perché i primi subirono una falcidia del 28,3%, mentre gli altri continuarono ad aumentare, sia pure a ritmo attenuato.
La caduta dei carichi petroliferi fu poi aggravata dalla riduzione dei percorsi, tanto che le t/miglia effettuate per il loro trasporto si contrassero del 42%. Tale contrazione fu dovuta al fatto che vennero aperti allo sfruttamento nuovi giacimenti nel Mar del Nord e in Alaska, più vicini ai mercati di consumo. Inoltre, anche a causa del conflitto Iran-῾Irāq, venne intensificata la realizzazione di un sistema di oleodotti dai campi gravitanti sul Golfo Arabico verso il Mediterraneo. Si concesse infine la possibilità di traversare il canale di Suez alle petroliere di maggiori dimensioni, che prima erano costrette a circumnavigare l'Africa, con percorsi molto più lunghi.
A partire dal 1980, anno nel quale il naviglio cisterniero per il trasporto degli oli minerali e derivati toccò la punta massima di 175 milioni di t lorde, ebbe inizio il suo ridimensionamento, tanto che già nel 1983 si riscontrava una perdita di 18 milioni di t, mentre la flotta per il trasporto delle merci secche e di altri prodotti liquidi continuava ad aumentare, nonostante il rallentamento della domanda. Così, tanto per i carichi liquidi che per quelli secchi, i noli crollarono. Non fu raro il caso di navi di nuova costruzione mandate direttamente al disarmo per mancanza d'impiego.
Con la terza fase, iniziata nel 1983, s'intensificò il laborioso processo di adeguamento dell'offerta alla domanda anche per il carico secco. Nel campo delle petroliere il tonnellaggio in eccesso nel periodo di maggior crisi veniva stimato dall'Intertanko (l'organizzazione internazionale che riunisce gli armatori privati di petroliere) intorno al 33% per le unità di medio tonnellaggio, e addirittura del 50% per le superpetroliere. Per ridurre tale eccesso si presero misure di emergenza, quali il rallentamento della velocità di esercizio del naviglio, l'utilizzazione di un certo numero di supercisterne come navi deposito galleggianti; tuttavia, la misura più radicale fu la demolizione di naviglio anche di età recente, ma non più rispondente alle necessità del traffico. Le cifre delle demolizioni dopo il 1983 sono le più elevate nella storia della m. mercantile: esse raggiunsero il massimo di 22,5 milioni di t lorde nel 1985, per ridiscendere poi gradatamente. Nel periodo 1983-88 si ebbe un totale di demolizioni per circa 100 milioni di t, pari al 4% dell'intera consistenza mondiale.
Di conseguenza, l'eccesso di tonnellaggio del naviglio cisterniero veniva eliminato e anzi una certa ripresa della domanda di trasporti solidi e liquidi consentì un'adeguata retribuzione del naviglio e un basso ricorso ai disarmi per un periodo durato fino all'estate del 1990, quando iniziò una nuova fase con il conflitto 'Irāq-Kuwait. Risolta la crisi con l'intervento delle Nazioni Unite (v. guerra del golfo, in questa Appendice), il quadro politico registrò un'altra profonda trasformazione con il ritorno all'indipendenza delle repubbliche baltiche e con la fine dell'economia comunista nell'URSS e nei paesi balcanici. Questi fatti clamorosi ebbero tuttavia influenza limitata sui traffici marittimi, tanto che l'industria cantieristica riprese a svilupparsi e il tonnellaggio complessivo della flotta mondiale segnò nuovi primati che, a partire dal 1991, superarono il precedente massimo del 1982, raggiungendo nel 1992 la cifra di 444.304.000 t lorde. Anche l'andamento dei disarmi rimase limitato. Il tutto si risolse in una riduzione d'incremento del traffico nella misura dell'1,2% nel 1991 contro il 3% nell'anno precedente, ripartito per lo 0,1% per i petroli e per il 2% per i carichi secchi.
Le macroscopiche mutazioni provocate da questi fatti risultano da un confronto della struttura della flotta mondiale al 30 giugno 1992 rispetto a quella esistente al 30 giugno 1975, secondo i dati del Lloyd's Register of Shipping (v. tab. 4, in cui sono esposti per ordine discendente i dati delle flotte che al 30 giugno 1992 superavano il milione di t. Va tenuto conto che in questi dati sono compresi anche quelli relativi ai pescherecci e al naviglio non da traffico, che rappresentano circa il 5% del tonnellaggio complessivo).
Tra il 1975 e il 1992 le flotte censite dal Lloyd's Register of Shipping sono salite da 141 a quasi 200, comprese quelle iscritte nei territori autonomi e coloniali, che hanno assunto una funzione particolare. Le flotte con consistenza superiore al milione di t di stazza lorda sono salite da 33 a 46, e quelle con consistenza superiore a 5 milioni di t da 14 sono diventate 22.
Al primo posto è rimasta la Liberia, paese con registro ''aperto'' o di bandiera ombra, che tuttavia ha subito una notevole falcidia dovuta all'eliminazione del naviglio cisterniero che costituiva la principale componente della sua flotta: da notare che questo paese è l'unico fra quelli di bandiera ombra a lamentare una riduzione, mentre tutti gli altri hanno moltiplicato la loro consistenza. Così Panama ha più che triplicato il proprio tonnellaggio, passando dall'ottavo al secondo posto. A sua volta Cipro ha moltiplicato per oltre sei volte il tonnellaggio iscritto nel suo registro aperto. Le proporzioni dell'accrescimento delle flotte con regime più o meno aperto sono ancora maggiori per altri casi: Filippine, Bahamas, Bermuda, Malta, Corea del Sud, Singapore, Vanuatu, Isole Marshall, St. Vincent, Lussemburgo.
Al contrario, sono cospicue le perdite subite dalle flotte di paesi tradizionalmente marittimi. Può infatti servire l'esempio della flotta iscritta nei registri dei paesi della CEE che dal 1975 al 1992 è caduta da 105,9 milioni di t lorde a 64,9 milioni. La sua partecipazione al totale mondiale è andata pertanto riducendosi dal 31 al 17,6%. Naturalmente tale riduzione è solo apparente, in quanto è dovuta in massima parte al ricorso alle bandiere ombra.
Per quanto poi riguarda queste ultime, risulta dal complesso, cioè dal tonnellaggio che viaggia sotto bandiera nazionale più quello che viaggia sotto bandiera ombra delle maggiori flotte che la Grecia detiene di fatto il primato mondiale con il 14% del totale del tonnellaggio mondiale (oltre 55 milioni di t l.), seguita dal Giappone al 13%, dagli Stati Uniti al 9%.
Nel 1991 il 66% della flotta greca era sotto bandiera ombra, mentre la Gran Bretagna aveva il 63%, la Germania il 50%, la Francia il 33%, la Norvegia il 66%, gli Stati Uniti il 56% e il Giappone il 43%. A sua volta l'Italia dispone di una cifra molto modesta di naviglio iscritta permanentemente in tali registri.
Alcuni paesi hanno reagito alla fuga del naviglio dai registri nazionali, istituendo dei secondi registri che però offrono facilitazioni inferiori a quelli di bandiera ombra. Il numero di tali registri va aumentando con un notevole ritmo: ne esistono già operanti in Gran Bretagna, Norvegia, Germania, Francia (territori coloniali), Danimarca e Spagna (per gli effetti sulla concorrenza delle bandiere-ombra, v. oltre).
Di notevole portata sono stati anche i mutamenti nel naviglio impiegato e la creazione di molteplici mercati con regole proprie in rapporto alle numerose specializzazioni che si sono affermate.
In primo luogo va rilevata la riduzione dell'incidenza del tonnellaggio addetto al trasporto del petrolio greggio e raffinato (tab. 5). Nel 1975 essa era del 44% e nel 1992 è scesa al 30,6%. Per contro, si sono affermate le navi per i trasporti di massa solidi (bulk carriers; ore/oil carriers), passate dal 25 al 32%. Il naviglio convenzionale addetto al trasporto delle merci alla rinfusa ha subito una sensibile riduzione, mentre gli altri tipi di navi da carico, di linea, refrigerate, ecc. hanno consentito di portare un lieve aumento da 71 a 75 milioni di t (tab. 6). L'impiego nei servizi di linea è stato largamente sostituito dal naviglio portacontenitori che nel periodo in esame si è quadriplicato, con 28 milioni di t (6,5% del totale mondiale). Gli sviluppi di questo naviglio si mantengono molto vigorosi: si tende verso unità di sempre maggiore capacità, fino a 4800 TEU (Twenty-foot Equivalent Units), per poterle impiegare lungo le grandi rotte mondiali che si basano su pochi scali principali donde si dipartono o dove arrivano unità minori alimentatrici (feeders), le quali distribuiscono e fanno affluire i contenitori da sbarcare o imbarcare per o dai porti situati nell'ambito dei vari bacini di traffico gravitanti sugli scali maggiori. Da notare che all'aumento delle dimensioni ha corrisposto una notevole riduzione delle velocità per diminuire i costi di gestione.
Rilevante è poi la ripresa della flotta passeggeri, fenomeno apparentemente sorprendente dopo che l'avvento dell'aereo aveva praticamente cancellato i servizi di linea sulle grandi rotte oceaniche.
Il traffico passeggeri via mare ha assunto una doppia veste: sulle brevi distanze si è affermato con traghetti che consentono il trasferimento delle auto al seguito. Esso va aumentando a un ritmo assai elevato e il naviglio impiegato ha assunto dimensioni rilevanti, fino a oltre le 20.000 t di stazza lorda unitaria. Sulle lunghe distanze si è affermato il crocierismo. Al tempo delle grandi linee transoceaniche questa attività normale veniva praticata specialmente nei periodi di bassa stagione per il naviglio reso libero dalla riduzione del traffico, e con itinerari di preferenza nel Mediterraneo e in altre zone dal clima temperato. La clientela era costituita quasi esclusivamente da ceti economicamente elevati dei paesi anglosassoni, e quindi relativamente limitata. Iniziative di turismo popolare a fine politico si ebbero prima della seconda guerra mondiale in Germania e in URSS, ma anch'esse di limitata clientela. Nel dopoguerra, man mano che lo sviluppo economico dei paesi industrializzati si andava affermando, la domanda del crocierismo ha segnato un'ascesa continua con un'elasticità della domanda che ha superato le più ottimistiche previsioni, interessando un po' tutte le classi sociali. L'offerta si è andata diversificando anche in funzione dei costi, per cui, accanto ai servizi di alto livello, si è sviluppata un'attività più modesta. Il numero dei crocieristi ha superato ormai i quattro milioni annui, di cui i tre quarti appartenenti al mercato nordamericano, mentre anche il tonnellaggio unitario del naviglio impiegato, che ha iniziato sulle 20.000÷30.000 t di stazza unitaria come massimo, si è gradatamente portato alle 50.000÷70.000 t. Progetti tendenti a soluzioni di massa, come quello di una nave da 160.000 t (capacità oltre 3000 passeggeri) e l'altro, denominato Phoenix World City, per un'unità da 260.000 t e una capacità di 5600 posti non hanno trovato realizzazione. D'altro canto, di fronte alla popolarizzazione del fenomeno si è formata una flotta di navi minori, anche velieri appositamente costruiti, capaci di qualche centinaio di passeggeri: ciò per un crocierismo di élite che consenta di approdare anche in tratti costieri meno frequentati, dove lo scarso pescaggio dell'imbarcazione consente un agevole ancoraggio. In conseguenza di questi sviluppi del traffico passeggeri su brevi percorsi e del crocierismo, il complesso delle navi traghetto e delle navi da crociera è passato da 7,3 milioni di t lorde nel 1975 a 19,5 milioni nel 1992. Questa cifra è destinata ad aumentare perché molto naviglio è in ordinazione.
La diversificazione dei carichi ha poi procurato altri mutamenti nella tipologia del naviglio chiamato a rispondere a esigenze specifiche.
L'esperienza delle navi portachiatte e snodabili, che avevano fatto nutrire ottimistiche previsioni, è stata deludente, rispetto al successo delle navi traghetto tutto merci (roll on/roll off ships) e delle portacontenitori. Grandi progressi si sono ottenuti per le navi cisterna per prodotti speciali, passate da 1,1 a 10,5 milioni di t, mentre quelle per il trasporto di gas liquefatti sono passate da 3 milioni di t lorde a 12 milioni. Le unità per il rifornimento delle piattaforme petrolifere hanno a loro volta raddoppiato la consistenza, da 0,7 a 1,4 milioni di t. Le navi per il trasporto delle automobili destinate ai mercati di vendita, specialmente americani, sono balzate da 0,5 a 3,9 milioni di t lorde.
È proseguita l'espansione della propulsione a motore diesel rispetto a quella a vapore, quasi esclusivamente a turbina. Il motore diesel viene ormai applicato anche alle navi di maggiori dimensioni.
Le petroliere di stazza lorda superiore alle 100.000 t erano (1975) 506, per 62,3 milioni di t; nel 1988 si erano ridotte a 390, per 52,9 milioni di t, dopo aver raggiunto il massimo storico di 657 per 86,8 milioni di t nel 1981. Una certa ripresa si è avuta successivamente: al 30 giugno 1992 esse sono risalite a 420, per 59,8 milioni di t. In particolare, sono pressoché scomparse le navi giganti di portata intorno alle 500.000 t, mentre i progetti per arrivare a unità da 700.000 e anche un milione di t, approntati negli anni Settanta, sono stati accantonati. Prevalente si è dimostrata la dimensione fra le 200.000 e le 250.000 t di portata (125.000÷150.000 t lorde). L'eliminazione operata in questo settore è stata causata soprattutto dall'antieconomicità della propulsione a turbine, utilizzata su di esse, e dalla non rispondenza alle nuove norme internazionali per la lotta all'inquinamento marino.
Nello stesso periodo le navi per il trasporto di massa e quelle combinate per il trasporto di minerali e petrolio (ore/oil carriers), superiori alle 100.000 t di stazza lorda unitaria, sono passate da 32 per 4,1 milioni di t nel 1975 a 79 per 17,5 milioni di t nel 1992. Si aggiungono a queste poche altre unità per trasporti specializzati.
I fenomeni involutivi rivelatisi a partire dal 1982 hanno fortemente ridotto l'apporto delle nuove costruzioni e aumentato l'età media del naviglio in esercizio. Mentre infatti nel 1975 le navi di età fino ai 10 anni coprivano il 64% del tonnellaggio complessivo, a metà del 1992 esse erano ridotte al 38,8%. Stabile è invece rimasto il naviglio di età superiore ai 25 anni, pari al 5%. Il naviglio fra i 10 e 25 anni è salito dal 31 al 56,1% (tab. 7). Il mancato rinnovo della flotta è dovuto alla necessità di ridimensionare il naviglio esistente, perfino quello di costruzione recente, risultato antieconomico nei confronti delle nuove condizioni del mercato. La mancata sostituzione è da attribuirsi anche alle difficoltà dei finanziamenti, per i quali si era largheggiato in ottimismo negli anni Settanta. Gravi problemi sono sorti per il recupero dei crediti negli anni di crisi, e in non pochi casi gli istituti finanziatori hanno dovuto prendere possesso di unità da essi finanziate, che non avevano trovato impiego. L'esperienza negativa si è così tradotta in una grande cautela per la concessione di nuovi finanziamenti, rallentando il ritmo delle nuove ordinazioni e contribuendo al risanamento dello squilibrio tra domanda e offerta.
L'esame dei dati elaborati dall'Ufficio statistico dell'ONU per il periodo 1975-91, conferma i profondi mutamenti intervenuti nel traffico mondiale nel periodo sotto esame (tab. 8 e 9).
Il fatto di maggiore rilievo è dato dall'ascesa dei movimenti del petrolio fino a tutto il 1979, con conseguente crollo fino al 1983, per poi riprendersi con andamento lento e contrastato, e in misura limitata. I movimenti del greggio hanno subito i maggiori mutamenti, mentre i prodotti petroliferi hanno mostrato una lieve tendenza a crescere. Ciò perché nei paesi produttori del Golfo Arabico si è preferito sostituire in parte l'esportazione del greggio con i prodotti dell'industria della raffinazione all'uopo costituita.
Il secondo fatto di rilievo è dato dal capovolgimento dei rapporti tra il petrolio e le altre merci, in prevalenza solide. Fino al 1980 il petrolio con i suoi prodotti superò largamente le altre merci; successivamente queste hanno superato con ritmo crescente e con una sola pausa nel 1983 il petrolio e derivati. Così, tra il 1975 e il 1987 si è avuto un incremento complessivo per le prime del 38,3%, mentre per i secondi una perdita del 6,4%. Successivamente si è notata una ripresa, sia per il petrolio che per le merci secche (tab. 8). I maggiori progressi relativi per le merci secche sono stati quelli del carbone, soprattutto per quello da vapore, che in seguito all'aumento del prezzo del petrolio lo ha sostituito in parte non irrilevante nella produzione dell'energia elettrica. Il carbone da coke ha invece risentito della situazione meno brillante della siderurgia che negli anni precedenti aveva vivacizzato il mercato. Tuttavia, i carichi solidi di maggiore entità sono attualmente costituiti dal minerale di ferro, attestatosi fra i 294 e i 358 milioni di t annue, con sensibili oscillazioni tra un anno e l'altro, in seguito al rallentamento della produzione siderurgica dei paesi industrializzati. Al terzo posto vengono i cereali, i cui movimenti, dopo aver superato negli anni 1981-84 i 200 milioni di t, si sono attestati su tale livello.
Rilevante e continuo è stato l'incremento delle merci varie. Il traffico delle merci varie ha ricevuto impulso dalla diffusione del trasporto per contenitori e mediante veicoli e rimorchi carichi, questi ultimi anch'essi imbarcati su navi specializzate. Secondo Containerization International, i contenitori manipolati nei porti del mondo intero superarono i 59 milioni di TEU nel 1986, per un quantitativo pari ad alcune centinaia di milioni di t di merci. Successivamente la crescita si è avvicinata ai 100 milioni di contenitori.
Quanto alle t/miglia effettuate per i carichi petroliferi, esse, dopo aver raggiunto il massimo storico nel 1977, sono gradatamente scese a un minimo nel 1985, per poi risalire lievemente nel 1986-87. In complesso, la riduzione rispetto al massimo del 1977 è stata nel 1987 del 50%, e tale all'incirca è rimasta negli anni successivi. Per contro le t/miglia per gli altri carichi sono andate regolarmente crescendo, con qualche temporaneo contrasto; nel 1991 si è giunti a una cifra primato per i carichi secchi, ma, tenendo conto dei traffici petroliferi, il totale non ha raggiunto ancora le punte massime degli anni Settanta.
Quanto alla distribuzione del traffico fra i vari paesi, la tab. 10 indica poche variazioni, nel senso che i paesi a economia di mercato continuano ad avere un ruolo prevalente, sia pure con qualche variazione di rilievo. Così, essi hanno aumentato notevolmente l'aliquota delle merci imbarcate, dal 32,8% del totale nel 1975 al 45,5% nel 1987, per ridursi al 39,2% nel 1991. L'aumento maggiore è dovuto al petrolio per la produzione del Mar del Nord e dell'Alaska, nonché alle esportazioni carbonifere dall'Australia e dagli Stati Uniti. Per le merci sbarcate, i paesi a economia di mercato superano i due terzi del totale mondiale: ciò per la necessità d'importare grandi quantitativi di materie prime. Importante, ma di scarse dimensioni in senso assoluto, è il progresso dei paesi ex socialisti dell'Europa ai quali si aggiungono quelli socialisti dell'Asia, tanto nelle merci imbarcate quanto in quelle sbarcate. Per i paesi in via di sviluppo − che presentano però una grande varietà di condizioni − le merci imbarcate, che costituiscono una grande risorsa per le loro economie, si sono ridotte tra il 1975 e il 1991 dal 61 al 49,4%; quelle sbarcate sono aumentate dal 19,3% al 25,4%.
Tra i grandi settori del traffico marittimo mondiale, quello del Pacifico ha ormai superato l'Atlantico, conseguendo il primato mondiale. Le attività marittime sono particolarmente intense nell'arco che va dalla Corea del Sud a Singapore e all'Australia, e non solo per i traffici. La flotta di questi paesi si è fortemente sviluppata. In particolare, il Giappone è al secondo posto nel mondo per il traffico delle merci da e per l'estero, inferiore di poco soltanto a quello degli Stati Uniti. L'Australia è diventata il maggiore esportatore di carbone, superando largamente i 100 milioni di t annue, e uno dei principali esportatori di minerale di ferro e di altre materie prime. Rilevante è poi il traffico delle coste russe e cinesi, ma ancor più quello della costa occidentale dell'America, soprattutto del Canada e degli Stati Uniti.
Il problema che ha sempre dominato i mercati marittimi è quello della concorrenza, sia libera, attuata nei trasporti delle merci di massa, sia controllata attraverso le organizzazioni cosiddette conferenziali nel traffico di linea. Nel periodo in esame esso si è presentato in forme nuove, specialmente nel traffico di linea.
In generale, il fenomeno della concorrenza ha assunto tre aspetti particolari. Il primo è dato dalla politica dei paesi in via di sviluppo che adottano misure protezionistiche e dirigistiche molto pronunciate, non lontane da quelle mercantilistiche adottate nei secoli passati dalle grandi potenze marinare europee. Essa ha fatto sentire la sua crescente influenza a causa del continuo sviluppo del tonnellaggio controllato da tali paesi, che ha ormai superato il 20% del totale mondiale. Il secondo aspetto è dato dalla concorrenza delle flotte dei paesi già socialisti sottoposte a uno stretto controllo nel loro impiego, che sopravvive su molte rotte importanti del traffico di linea, specialmente fra paesi terzi. Il terzo aspetto di gran lunga più importante è dato dalla diffusione delle bandiere ombra o dei registri cosiddetti ''aperti'', o comunque anomali rispetto al regime giuridico tradizionale del naviglio.
Il fenomeno delle bandiere ombra ha assunto caratteristiche nuove negli ultimi decenni. Al suo sorgere si nutrirono molti dubbi sulla sua legalità, ravvisandosi in esso non pochi elementi negativi, quali l'evasione fiscale e la mancata osservanza della normativa sulla sicurezza. Col passare del tempo si sono avuti notevoli miglioramenti nella loro organizzazione che, per naturale contrasto, ha finito per apparire una reazione all'eccessivo vincolismo dei regimi amministrativi, operativi e anche politici dei paesi tradizionalmente marittimi. Le flotte di bandiera ombra hanno così ottenuto un crisma di legalità con l'approvazione della Convenzione dell'ONU sulle regole d'immatricolazione del naviglio, avvenuta nel febbraio 1986. Tale convenzione ha avuto un esito contraddittorio, perché era stata impostata per frenare il fenomeno delle bandiere ombra, mentre poi è stata formulata in modo da dare al fenomeno stesso un regime giuridico stabile. È significativo che tale Convenzione sia stata accolta de facto da molti paesi per regolarizzare la posizione del loro naviglio.
Sta di fatto che le flotte iscritte nei registri ''aperti'' o anomali coprono ormai oltre il 45% della flotta mondiale, e la loro quota va aumentando con ritmo sostenuto. È anche variato il modello normativo, che si è differenziato in una serie di istituti: partendo dal registro ''aperto'' al naviglio di qualsiasi paese, si è poi diffuso in registri di territori particolari (come per es. quello dell'isola di Man, facente parte del Regno Unito come territorio della Corona); oppure con registri di territori coloniali, come per la Francia (arcipelago delle Kerguelen), o per l'Olanda (Antille); oppure ancora con registri nazionali detti ''bis'' (come in Norvegia, Danimarca, Germania, Portogallo e Spagna, ai quali va aggiunto quello del Lussemburgo), perché messi a fianco del registro nazionale e destinati a offrire condizioni più favorevoli di esercizio per sostenere la concorrenza delle bandiere ombra vere e proprie. Il processo presenta ormai caratteristiche sempre più variate e ha come conseguenza quella di portare irreversibilmente verso un livellamento dei costi di esercizio del naviglio ai limiti più bassi possibili; in effetti, il fenomeno ha procurato una sensibile riduzione del costo dei trasporti marittimi. Anche i tradizionali vantaggi offerti dalle bandiere ombra hanno subito notevoli variazioni: quelli di natura fiscale si sono attenuati, come pure minore è la possibilità di finanziamenti per nuove costruzioni. Inoltre, la più attenta vigilanza esercitata dalle autorità di controllo e l'adesione, ormai generalizzata, alla normativa internazionale sulla sicurezza della vita umana in mare hanno limitato le inosservanze di tale normativa, che erano regola molto diffusa nell'armamento sotto bandiera ombra.
Ha assunto invece importanza fondamentale il costo degli equipaggi, date le notevoli differenze tra i salari dei marittimi dei paesi industrializzati e quelli dei paesi in via di sviluppo, la cui offerta cresce con ritmo molto elevato, coprendo la maggior parte degli effettivi. Per porre un freno ai bassi salari la Federazione Internazionale dei lavoratori dei Trasporti (International Trade Federation, ITF) propone dei parametri al disotto dei quali non dovrebbe esser consentito l'ingaggio dei marittimi, ma questa azione non è valsa a bloccare il dilagare del ricorso ai marittimi a basso salario.
Problemi di non minore rilievo sono sorti dopo l'entrata in vigore (ottobre 1983) del Codice di condotta delle conferenze marittime dell'UNCTAD. Questo prevede la ripartizione del 40% riservato alle navi di ognuno dei due paesi partecipanti negli scambi diretti serviti dalle conferenze stesse, mentre il restante 20% viene lasciato alle navi conferenziate dei paesi terzi. Il codice non riguarda i carichi su navi fuori conferenza, e per questa ragione la sua applicazione ha fatto crescere la quota dei servizi indipendenti che ormai supera il 50% del totale degli scambi.
La crescita dei servizi fuori conferenza è stata ulteriormente rafforzata dallo sviluppo dei servizi portacontenitori, per i quali si sono costituiti consorzi di compagnie in gran parte indipendenti. In particolare si distinguono le linee intorno al mondo, iniziate nei primi anni Ottanta, che hanno ottenuto grandi successi, anche se alternati con insuccessi non meno rilevanti. Particolari aspetti assume poi l'impiego delle grandi navi cellulari, ossia a struttura adatta solo al trasporto dei contenitori: si tratta di unità di grandi dimensioni, spesso disegnate per determinati itinerari e non impiegabili su qualunque rotta, e pertanto con impiego anelastico. Esse, infatti, non possono imbarcare altro tipo di carico, a differenza delle navi classiche di linea che sono in condizione d'integrare i propri carichi di merci varie con quantitativi più o meno rilevanti di merci di massa. Malgrado la forte riduzione dei costi realizzata nel trasporto dei contenitori, le grandi compagnie in esso impegnate non hanno soluzioni alternative rispetto alle scelte originarie, e corrono quindi il rischio di gravi insuccessi.
Notevole importanza è andata assumendo la cooperazione fra gruppi di paesi con interessi comuni. In questo campo ha assunto un ruolo determinante l'azione dell'UNCTAD, che svolge attività d'incentivazione, di coordinamento, di consulenza per la realizzazione di piani organici a favore dei paesi in via di sviluppo per i quali si va promuovendo una cooperazione a livello regionale. Tale attività si svolge nel settore economico e operativo, ed è stata realizzata con grande energia nel settore marittimo. Va poi ricordata l'azione dell'OCSE tra i paesi industrializzati e, in particolare, la raccomandazione del febbraio 1987 sui principi comuni di politica marittima dei paesi membri, con relativa risoluzione da dare ad essa in merito soprattutto al Codice delle operazioni invisibili correnti, concernenti i trasporti marittimi: raccomandazione alla quale hanno aderito tutti i 24 paesi membri. Norme che riguardano la collaborazione in campo marittimo sono in vigore in seno all'alleanza dei paesi dell'America latina e all'ASEAN che raccoglie i paesi del Sud Est asiatico. Di molto maggiore significato è tuttavia la politica comune che la CEE, dopo decenni di incertezze, ha iniziato con un programma che va dilatandosi gradualmente.
Una prima decisione è stata quella dell'adesione globale dei paesi CEE al Codice di condotta delle conferenze di cui si è già trattato. Successivamente, il 16 dicembre 1986, furono approvati quattro regolamenti che riguardano aspetti fondamentali, quali il principio della libera prestazione dei servizi applicato ai trasporti marittimi; la legittimazione delle conferenze marittime nel quadro della politica antimonopolistica dettata dal Trattato di Roma; la difesa contro le pratiche tariffarie sleali adottate da compagnie di navigazione di paesi terzi; l'azione contro le discriminazioni e le misure protezionistiche messe in atto da governi di paesi terzi. Nel 1993 è poi entrata in vigore la liberalizzazione del cabotaggio, che verrà gradualmente attuata entro il 2004, con particolare riguardo per l'Italia e la Grecia. L'istituzione del registro EUROS ha trovato notevole ostacoli nei paesi del Nord, specialmente in Gran Bretagna.
Molto più ampia è l'azione normativa e disciplinatrice nel campo della sicurezza della navigazione e di altri problemi affini. Questa azione è ormai assunta in responsabilità diretta dall'ONU, attraverso organizzazioni da essa controllate, come l'UNCTAD, già nominata, ma soprattutto dall'IMO (International Maritime Organization), che svolge un intenso e organico lavoro, in particolare, nel campo della sicurezza della navigazione.
L'ONU ha patrocinato direttamente la Convenzione sul diritto del Mare firmata a Montego Bay nel 1982, che contiene una serie di disposizioni sulle risorse marine ma anche in materia di navigazione, quali le zone d'influenza e un regime generale degli stretti che servono alla navigazione marittima internazionale. Altra convenzione è stata firmata nel 1980 sul trasporto multimodale, che interessa anche il campo marittimo per il trasporto in contenitori: in essa è definita la figura dell'operatore che assume il trasporto ''da porta a porta'', inclusi gli eventuali tratti marittimi. Va poi ricordata la Convenzione del 1978 contenente le cosiddette regole di Amburgo, sulla responsabilità del vettore marittimo entrata in vigore il 1° novembre 1992, che comporta norme rigorose e un notevole aggravio dei costi. Su quella del 6 febbraio 1986 relativa all'immatricolazione del naviglio è stato già riferito. In genere, queste convenzioni dell'ONU attendono ancora di entrare in vigore per mancanza delle necessarie ratifiche; tuttavia, esse già influenzano in un certo modo la regolamentazione interna dei singoli stati. Il lavoro più importante, coronato peraltro da ampio successo per la generalizzazione delle adesioni e per l'introduzione delle relative norme nelle legislazioni interne è quello svolto dall'IMO. Sono circa una ventina le convenzioni firmate e applicate, oltre a numerosi protocolli di aggiornamento e modifiche che ne completano l'efficacia. La convenzione fondamentale (nota con la sigla SoLaS, Safety of Life at Sea) sulla sicurezza della vita umana in mare, nella sua più recente edizione del 1974 con ulteriori aggiornamenti, è ormai universalmente accettata. Fra le convenzioni firmate e rese esecutive dopo il 1975 va ricordata quella relativa agli standard per l'addestramento alla guardia e dei marittimi, del 1978; quella per la ricerca in mare e salvataggio, del 1979; quella per la sicurezza del traffico dei contenitori, del 1977, e, infine, quella di Roma (1988) contro atti di terrorismo su navi passeggeri, come conseguenza del sequestro della nave italiana Achille Lauro. Altra convenzione riguarda la sicurezza delle navi traghetto resa necessaria dai gravi sinistri avvenuti con ingenti perdite di vite umane. Un'ulteriore convenzione ha riguardato l'istituto conferenziale, che ha consentito la partecipazione ad esso delle navi porta contenitori.
L'applicazione di queste convenzioni è resa più efficace dal sistematico controllo esercitato dalle autorità marittime: al riguardo esiste una disciplina unitaria nei porti dei paesi CEE. Di fondamentale importanza per la disciplina dei rapporti giuridici è poi il gruppo delle convenzioni di diritto marittimo, promosse dal Comité Maritime International, la cui responsabilità in fase conclusiva è stata assunta dall'ONU.
Marina mercantile italiana. − La flotta italiana ha avuto nel periodo in esame, grosso modo, vicende analoghe a quelle della flotta mondiale, dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo. Tra il 1975 e il 1978 essa ha aumentato la sua consistenza da 10,8 a 11,8 milioni di t lorde (misura inferiore alla media mondiale). Il suo primato storico fu registrato in tale anno; dopo cominciò il ridimensionamento, anticipando quello della flotta mondiale, e perdendo tonnellaggio in misura notevolmente superiore alla media mondiale. Al 30 giugno 1992 la perdita rispetto al suo massimo storico era pari al 34,4%, contro un incremento della flotta mondiale del 5,2%. La sua consistenza è infatti scesa a 7,7 milioni di t lorde.
Se riferita alle vicende delle flotte degli altri paesi industrializzati, quella italiana ha sostenuto tuttavia abbastanza bene l'avversa congiuntura, ma soltanto in apparenza. Ciò perché gli altri paesi hanno fatto largo ricorso alla bandiera ombra, perdendo solo apparentemente molto tonnellaggio, ma in realtà mantenendone il controllo. Solo gli Stati Uniti hanno aumentato il loro tonnellaggio nel periodo in esame. Per il naviglio italiano che faceva ricorso alla bandiera ombra si è avuto un crollo da oltre un milione a poche centinaia di migliaia di t: la perdita di tonnellaggio della flotta italiana risulta quindi maggiore anche rispetto ai paesi che sembrano aver diminuito la loro consistenza in misura rilevante. Tuttavia è stato consentito per legge il trasferimento temporaneo di navi a scafo nudo sotto bandiera estera: circa una quarantina hanno già usufruito di tale facoltà.
A metà del 1992 la flotta italiana si classificava al quattordicesimo posto nel mondo (vedi tab. 4), mentre nel 1975 si trovava al decimo. Paesi che erano molto indietro, come Cipro, Filippine e Bahamas, hanno largamente superato il tonnellaggio italiano. Come risulta dalla tab. 11 la struttura della flotta italiana ha subito ampie modifiche: vi è stata una forte caduta in alcune specializzazioni, come per le portarinfuse polivalenti e per le navi cisterna. La forte riduzione del naviglio per i carichi di massa secchi, che costituiva una delle forze portanti della flotta mercantile italiana, si è accentuata proprio quando lo sviluppo economico del paese ha richiesto crescenti quantità di materie prime da importare. In compenso vi è da rilevare lo sviluppo del naviglio di moderna tecnologia, come i traghetti per i passeggeri, gli aliscafi, particolarmente utili nei trasporti per le grandi e piccole isole, i traghetti tutto merci e le portacontenitori: la consistenza di queste ultime si è quasi triplicata tra il 1975 e il 1992, ma ciò malgrado il tonnellaggio di questa specialità non ha registrato aumenti paragonabili con quelli di altri paesi, anche di recente sviluppo.
Un altro aspetto negativo è l'invecchiamento del naviglio, che è al disopra della media mondiale. Rispetto al 1975, i valori percentuali sul tonnellaggio complessivo delle classi di età del naviglio di stazza lorda unitaria superiore alle 100 t, risultavano così variati al 30 giugno 1988: fino a 5 anni, da 36,6 a 10,9; da 5 a 10 anni, da 20,3 a 10,3; da 10 a 15 anni, da 14,5 a 43; da 15 a 20 anni, da 14,5 a 21,1; oltre i 20 anni, da 13,3 a 14,7. Nel 1991 la situazione era notevolmente migliorata: il naviglio al di sotto dei cinque anni era risalito al 23%. Quanto al naviglio minore al disotto delle 100 t lorde di stazza unitaria, esso ha subito una falcidia ancora più rilevante, estesa anche al settore della pesca, che ha registrato le maggiori perdite (−43%). Viene escluso dalla rilevazione il naviglio da diporto, che ha un regime speciale (v. naviglio da diporto, in questa Appendice).
Altro aspetto negativo è la contrazione degli equipaggi imbarcati, dovuta sia alla riduzione del tonnellaggio della flotta in senso assoluto, sia al progresso tecnologico, specie nel campo dell'automazione navale. Il numero degli imbarcati, stimato intorno a 40.000 unità nel 1978, è disceso a 32.000 nel 1983 e quindi a 26.000 nel 1988. Successivamente però, grazie allo sviluppo del naviglio specializzato (soprattutto traghetti), si è avuta una breve ripresa del numero di marittimi imbarcati che ha superato le 28.000 unità. Da notare che sulle navi italiane, in contrasto con quanto praticato dalla generalità degli altri paesi, l'imbarco di personale straniero è consentito solo in via eccezionale. Nel contempo, l'imbarco di marittimi italiani su navi di bandiera estera, che un tempo riguardava 15÷20.000 unità, è fortemente diminuito, in quanto per le mansioni specializzate vengono preferiti equipaggi filippini, coreani, cinesi, polacchi, ecc. Tutto ciò è causato dai maggiori costi sotto la bandiera italiana. Studi della CEE hanno accertato che una nave portacontenitori italiana ha costi di esercizio superiori dell'80% rispetto a un'unità similare immatricolata sotto bandiera ombra, del 50% rispetto a una nave di bandiera di convenienza (p.es. portoghese) e del 15% rispetto a una bandiera di alto reddito (tedesca).
La caduta del potenziale della flotta italiana si è verificata mentre il volume delle importazioni via mare (escludendo il petrolio in transito o riesportato dopo la lavorazione) si è mantenuto assai elevato. Tali importazioni si aggirano intorno al 5,5% delle merci caricate via mare nel mondo, mentre il tonnellaggio sotto bandiera italiana rappresenta soltanto l'1,8% della flotta mondiale. Ne consegue un grave deficit della bilancia economica italiana per i trasporti marittimi: esso è passato da 375 miliardi nel 1975 a 1866 miliardi nel 1985, per poi subire qualche assestamento, con 1637 miliardi nel 1987, a causa soprattutto della svalutazione del dollaro, e stabilizzarsi infine negli anni Novanta intorno ai 2000 miliardi. La bandiera italiana partecipa alle importazioni per circa il 30%, mentre per le esportazioni non va oltre il 18÷20%.
Il traffico delle merci nei porti italiani, dopo aver raggiunto un primato nel 1979 con 396,6 milioni di merci sbarcate e imbarcate, ha subito varie fasi alternative per poi riprendersi negli anni Novanta intorno ai 400 milioni di t sbarcate e imbarcate.
In questo periodo è diminuito il movimento da e per l'estero: nel 1979 si ebbero 238,4 milioni di t di merci sbarcate contro 46,4 milioni di t di merci imbarcate. Nel 1991 il traffico totale ha raggiunto una vivace punta di 399,1 milioni di t, ma le merci sbarcate dall'estero furono pari a 233,8 milioni di t e quelle imbarcate per l'estero 42,5 milioni di t. Per contro, il cabotaggio ha avuto una notevole crescita arrivando nel 1991 a 132,5 milioni di t sbarcate e imbarcate contro l'11,8 milioni nel 1979 (tab. 12). Nel traffico di cabotaggio nazionale si sta affermando il trasporto di autovetture e autotreni anche per evitare l'ingorgo delle strade nazionali.
Quanto al movimento dei passeggeri, esso non ha subito soste tanto nel traffico da e per l'estero, quanto, e più ancora, per quello nello stato. Esso si è stabilizzato intorno ai 4 milioni (ma con qualche contrazione nei primi anni Novanta) per i passeggeri da e per l'estero, mentre per il traffico nazionale si è avvicinato ai 22 milioni di passeggeri arrivati e altrettanti partiti.
Sulle linee interne e su quelle per il Mediterraneo si è ormai generalizzato l'impiego dei traghetti che consentono al passeggero di avere con sé la propria auto col pagamento di un nolo relativamente basso e senza particolari procedure. È difficile dare cifre a confronto per mancanza di dati retrospettivi, ma è indiscutibile che il trasporto delle auto al seguito si è notevolmente moltiplicato. In tale traffico sono impiegati anche nuovi tipi di navi a elevata velocità, di nuova concezione tecnica.
Bibl.: La letteratura sulla m. mercantile è vastissima. Le fonti statistiche sui problemi generali e particolari discussi in numerose sessioni internazionali offrono ampio materiale per la ricerca. Centri di studi marittimi operano in Gran Bretagna, Germania, Olanda, Norvegia, Giappone, Polonia, Argentina: quest'ultima è sede di un Istituto di studi per la m. mercantile dell'America latina.
L'Annuario statistico e il Bollettino statistico dell'ONU pubblicano regolarmente dati sulle attività marittime mondiali. Rassegne annuali, dedicate specialmente ai paesi in via di sviluppo, sono pubblicate sotto il titolo di Etude sur les Transports Maritimes dall'UNCTAD; altre rassegne annuali sono edite dall'OCSE sotto il titolo Les Transports Maritimes. Un annuario sulla m. mercantile mondiale, sui traffici e sulla cantieristica viene pubblicato dall'Istituto di Economia marittima di Brema sotto il titolo di Shipping Statistics, insieme con una serie di monografie e trattazioni scientifiche sui vari problemi dei trasporti marittimi.
Statistiche sul naviglio mercantile mondiale al 30 giugno di ogni anno sono pubblicate dal Lloyd's Register of Shipping (Statistical Tables). Relazioni vengono pubblicate dagli organismi armatoriali: di particolare importanza quelle del General Council of British Shipping (GCBS), del Comité Central des Armateurs de France, della Federazione degli armatori giapponesi, ecc. Altre statistiche vengono pubblicate dalla ditta norvegese Fearnley sui traffici marittimi mondiali e sulla flotta delle rinfuse; dalla John Jacobs di Londra sulla flotta cisterniera mondiale; dall'Intertanko che raccoglie gli armatori privati del naviglio cisterniero.
In Italia vanno ricordate: la Relazione annuale del ministero della Marina Mercantile; la Statistica della Navigazione marittima dell'Istituto centrale di Statistica; il capitolo sulla "bilancia dei pagamenti dei trasporti marittimi" della Relazione annuale del governatore della Banca d'Italia; le relazioni della Società Finanziaria Marittima (Finmare) per l'armamento a capitale pubblico, e della Confederazione degli armatori liberi (Confitarma).