BERENGO, Marino
Nacque a Venezia l’8 novembre 1928 da Pietro, discendente da un’antica famiglia veneziana, e da Diana Melli, ebrea ferrarese. Frequentò il liceo classico Marco Polo, ma subito dopo aver vinto il concorso per l’ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa (1947) fu colpito da una malattia che lo costrinse a trascorrere quasi tre anni in un sanatorio e che comportò conseguenze durevoli per le sue condizioni di salute. Si iscrisse perciò all’Università di Padova, ma da lì si trasferì a Firenze per approfittare dell’insegnamento di Delio Cantimori, sotto la guida del quale si laureò nell’autunno del 1953 con una tesi sulla diffusione delle idee democratiche negli ultimi anni della Repubblica di Venezia. Da questa tesi, ampiamente rielaborata e allargata soprattutto in direzione delle strutture economico-sociali, ebbero origine l’ampio saggio del 1954 Problemi economico-sociali della Dalmazia veneta alla fine del Settecento (Rivista storica italiana, LXVI, pp. 469-510) e la prima importante monografia, La società veneta alla fine del Settecento che, consegnata all’editore Sansoni nel maggio del 1955, vide la luce agli inizi del 1956.
Quest’opera annunciava la comparsa di uno storico originale e dall’ampio respiro, il cui lavoro poggiava su una vastissima ricognizione delle fonti edite e inedite e si traduceva in una scrittura compatta e di grande forza evocativa.
Non tutte le sue parti hanno retto in uguale misura all’usura del tempo e al confronto con gli studi successivi: ciò vale soprattutto da un lato per la mancanza di una analisi approfondita degli ordinamenti costituzionali e del patriziato che ne era il pilastro, dall’altro per la gracilità del capitolo dedicato alla vita culturale. In risposta a una lunga lettera di Franco Venturi che ad ampi riconoscimenti univa alcune critiche, l’autore ammetteva la propria «scarsa simpatia per la cultura veneta settecentesca» (Torino, Archivio Venturi, 30 maggio 1956) e poco dopo scriveva al suo maestro Delio Cantimori: «Mi par di muovermi meglio a studiar storia sociale che non storia delle idee, o almeno sento il bisogno di agganciare così strettamente la seconda alla prima, dal finire col sacrificarla” (Pisa, Archivio storico della Scuola Normale Superiore, Carteggio Delio Cantimori, 22-24 giugno 1956). Troppo netto appare, in particolare, il giudizio sulla scarsa diffusione delle idee illuministiche e sull’assenza di uno spirito riformatore, un giudizio che Berengo manterrà fermo anche in seguito: «il Veneto ebbe interessanti testimonianze illuministiche, ma fu una delle regioni italiane meno realmente penetrate dall’illuminismo», scriveva ad esempio in una minuta di lettera non datata ma del 1973 (Venezia, Carteggio Marino Berengo). Tuttavia si può ancora sottoscrivere l’elogio che ne tracciava il suo maestro Delio Cantimori: «Il Berengo ci ha dato il lavoro che più si avvicina al mio ideale di lavoro storico, scientificamente serio, dalla tematica complessa, autonomo nella impostazione dei problemi, dall’orizzonte ampio […], condotto con reale intelligenza storica» (Pertici, 2004, p. 10), o quello molto più recente, di Giovanni Miccoli, secondo cui si trattava di un volume che «anche a rileggerlo oggi appare tuttora straordinario per maturità, larghezza e sicurezza d’impianto, rigore e freschezza di scrittura» (Tra Venezia e l'Europa, 2003, p. 96).
Nel frattempo Berengo era stato ammesso ai corsi di perfezionamento della Scuola Normale di Pisa, durante i quali ottenne una borsa di scambio per un anno di studio a Zurigo (1955-56): frutto di questo soggiorno, inframmezzato dalla frequentazione degli archivi svizzeri e grigionesi (poi anche viennesi), fu l’ampio saggio, quasi una monografia, “La via dei Grigioni” e la politica riformatrice austriaca (Archivio storico lombardo, s. 8, VIII (1958), pp. 5-111). A completare la sua formazione giunse poi l’anno accademico (1956-57) trascorso presso l’Istituto di studi storici di Napoli, dove ebbe come maestro Federico Chabod. E tra gli storici che influirono sulla sua formazione non si può trascurare, nella stessa Venezia, Gino Luzzatto, cui lo legarono un affetto particolare e una comunanza di idee sulla storia e sull’importanza della storiografia economico-giuridica che emerge chiara dallo splendido Profilo dedicatogli da Berengo sulle pagine della Rivista storica italiana (LXXVI (1964), pp. 879-905).
Vincitore di un concorso bandito nel 1957, Berengo entrò nella carriera direttiva degli archivi di Stato e prese servizio il 1° ottobre 1958 nella sede di Venezia, dove per quasi cinque anni si occupò di inventariazione dei fondi e dell’assistenza agli studiosi pur senza abbandonare i suoi studi, che si tradussero in un’importante edizione di testi (Giornali veneziani del Settecento, Milano 1962) e in due nuove monografie: Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento (edizione provvisoria 1962, edizione completa e definitiva Torino 1965) e L’agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all’Unità (Milano 1963). Si può dire che questi lavori inaugurassero tre nuovi filoni che, accanto alla storia veneta, mai davvero abbandonata, continueranno a contrassegnare la produzione scientifica di Berengo negli anni successivi: lo studio dell’agricoltura e dell’agronomia, che pur senza sfociare in un’opera di sintesi darà ancora frutti cospicui nel capitolo sul contado lucchese, nella rassegna A proposito di proprietà fondiaria (Rivista storica italiana, LXXXII (1970), pp. 121-147), nella splendida edizione critica del Ricordo d’agricoltura di Camillo Tarello (Torino 1975) oltreché nei profili degli agronomi cinquecenteschi Francesco Tommasi e Africo Clementi (1980-81). L’antologia dei Giornali veneziani fu a sua volta all’origine di un interesse costante per la storia dell’editoria e della stampa, che concorrerà con l’indagine sull’agricoltura veneta a porre al centro della sua attenzione, nei pieni e tardi anni Sessanta e nei primi anni Settanta, la storia politico-culturale dell’Italia della Restaurazione. Al suo maestro Delio Cantimori Berengo scriveva nel febbraio 1963 di volersi in futuro dedicare a un lavoro su «L’organizzazione culturale e la politica culturale austriaca nel Lombardo-Veneto» (Pisa, Archivio storico della Scuola Normale Superiore, Carteggio Delio Cantimori, lettera del 9 febbraio 1962). Ne scaturirono uno dei capolavori berenghiani, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione (Milano 1980) e buona parte dei numerosi saggi sull’Ottocento italiano ora opportunamente raccolti in volume (in Pertici, 2004).
Il libro su Lucca, più volte ristampato, si può considerare l’opera più fortunata e più letta di Berengo, a sua volta anticipatrice del lungo lavoro sulla città europea che lo occuperà nell’ultimo quindicennio di vita.
In sei densi capitoli, attingendo a una molteplicità di fonti, tra le quali sono in primo piano gli atti notarili, Berengo dipinge un quadro sfaccettato e ricchissimo delle istituzioni, della stratificazione economico-sociale e della vita culturale e religiosa di una piccola città-stato nell’ultimo periodo delle guerre d’Italia, tra il 1520 e il 1560. L’«immediato, continuo misurarsi con le fonti», la struttura narrativa, «il gusto e il piacere dell’evocazione», l’attenzione dedicata a tematiche che solo in seguito sarebbero diventate d’attualità nella storiografia italiana (la famiglia, l’ideologia nobiliare, la varietà e vitalità del mondo rurale) fanno «della Lucca berenghiana un modello difficilmente ripetibile, e di fatto non più riproposto dalla storiografia sulla città fino ad oggi» (Fasano Guarini, 1998, pp. 10-14). Nella relazione tenuta da Berengo al Congresso degli storici italiani del 1967, la vicenda lucchese, segnata nel tardo Cinquecento dal venir meno della antica prosperità basata su produzione e commercio della seta, dall’aristocratizzazione del dominante ceto mercantile e dall’imposizione dell’ortodossia religiosa tridentina, assurge a paradigma della crisi della libertà italiana, che si identifica con «il declino di quella civiltà urbana in cui le forme repubblicane più avevan avuto presa» e si esprime «nel trionfante particolarismo dei corpi, nella pigra custodia di privilegi nuovi e antichi, in un’egemonia nobiliare condannata a un precoce invecchiamento dal cessare d’ogni competizione e d’ogni alternativa di ricambio» (Il Cinquecento, in La storiografia italiana degli ultimi vent’anni, Milano 1970, p. 246). E neppure in seguito, di fronte ai nuovi orientamenti della storiografia italiana che mettevano da parte il paradigma della decadenza e ponevano al centro della scena i processi di statualizzazione e disciplinamento sociale, lo storico di Venezia e Lucca si ricrederà, come mostra il suo intervento su Stato moderno e corpi intermedi a un convegno del 1994 (ora in Folin 2010, pp. 250-255).
Nel frattempo, conseguita nel 1959 la libera docenza in storia moderna, Berengo era stato invitato a tenere un corso libero nell’Università di Padova (30 settembre 1959), che ripeté l’anno seguente. Questo esordio fu il preannuncio di un più assiduo e definitivo impegno nell’insegnamento universitario che, lasciati gli archivi, egli assunse dopo essere stato 'ternato' nel 1962 in un concorso indetto dall’Università di Urbino. Inaspettatamente fu la facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Milano a chiamarlo, nel dicembre del 1962, a coprire dal successivo anno accademico la cattedra vacante di storia moderna, che si estendeva allora anche alla storia contemporanea.
A Milano Berengo si fermò per undici anni, assorbito in misura crescente da una mole di lavoro impressionante, se si guarda al numero di lezioni e seminari, di esami e di tesi e alle testimonianze di quanti ebbero in sorte di collaborare con lui. Il numero di esami verbalizzati si moltiplicò per sette tra il 1963-64 e il 1970-71; le tesi di cui fu relatore salirono da una media annua di 5 nel 1963-68 a una di 17 (con una punta di 28) nei sei anni solari 1969-1974 (cfr. C. Capra, Marino Berengo professore: gli anni milanesi, in Del Torre et al., 2003, pp. 191-199). È significativo che gli anni di più forte impegno didattico, tra il 1968 e il 1972, coincidessero con gli anni caldi della contestazione studentesca, verso la quale Berengo mantenne sempre un atteggiamento aperto e comprensivo, pur senza mai scendere a compromessi quanto alla serietà degli studi. Il prezzo che dovette pagare per questo fu la rottura con la parte maggioritaria del corpo accademico milanese. A questa maggioranza tutt’altro che silenziosa egli si riferiva quando ad esempio scriveva in una minuta di lettera del 1973: «L’Università del sottogoverno, dei professori intrallazzatori, profondamente antipopolare (nel senso non populistico ma correttamente storico del termine) che polizia e governo difendono non è la mia patria». E pochi giorni prima, il 14 febbraio, aveva scritto al collega, esponente del Partito comunista italiano (PCI), Gennaro Barbarisi: «Voto comunista dalla prima volta che ho avuto in mano una scheda […]. La contestazione studentesca può avere acuito il mio convincimento, ma non ne ha certo mutato la direzione»; aggiungeva però: «non condivido l’atteggiamento ufficiale della Federazione milanese e del Partito di fronte a quello che sta succedendo nella nostra Università” (Venezia, Carteggio Marino Berengo, minuta di lettera 26 febbraio 1973).
I gravosi impegni didattici degli anni milanesi determinarono un netto calo quantitativo della produzione scientifica di Berengo, ma non gli impedirono di partecipare o di promuovere importanti iniziative di carattere editoriale e culturale, come il progetto di un Atlante storico italiano che, avviato nel 1963-64, si sarebbe dovuto concludere con la pubblicazione di quattro volumi composti ciascuno di cento carte affiancate da quaderni illustrativi. Il progetto fruì inizialmente di uno stanziamento di quindici milioni di lire deliberato dal Consiglio nazionale delle ricerche, che fu però presto dimezzato e poi sospeso. Dopo la pubblicazione di un certo numero di quaderni ad opera di collaboratori scelti da Berengo e Lucio Gambi, e dopo l’uscita degli atti di un convegno tenuto a Gargnano nel 1968 (Problemi e ricerche per l’Atlante storico italiano dell’età moderna, con introduzione di M. Berengo, Firenze 1971), l’attività venne in pratica a cessare. Dai contatti con l’editore Sansoni per le carte e i quaderni scaturì un’altra iniziativa avviata negli ultimi anni milanesi: il lancio di una collana, dal titolo Scuola aperta, di agili volumetti per la scuola e l’università, affidati a noti studiosi italiani e stranieri. Va infine ricordato che l'inizio del periodo milanese coincise con l'ingresso di Berengo nel comitato direttivo della Rivista storica italiana.
Nel 1974 Berengo colse l’opportunità offertagli da Gaetano Cozzi di tornare a Venezia per coprire la cattedra di storia delle istituzioni politiche e sociali nella facoltà di lettere, otto anni dopo scambiata con quella di storia moderna, e nel 1975 si unì in matrimonio con Renata Segre, nota studiosa del mondo ebraico che aveva collaborato con lui a Milano dal 1963. A Ca’ Foscari trovò un clima più disteso, quanto ai rapporti con colleghi e studenti, e un carico di lavoro meno oneroso (nei 25 anni di insegnamento veneziano furono una sessantina le tesi da lui discusse come primo relatore), il che gli consentì di dedicare più tempo alla ricerca. Poté quindi portare a termine il lungo lavoro, iniziato subito dopo il trasferimento a Milano, sul mondo intellettuale ed editoriale lombardo cui si è accennato. Il libro pubblicato nel 1980, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, per unanime riconoscimento fa del suo autore «uno dei fondatori della storia del libro in Italia» e costituisce un vivacissimo e documentatissimo spaccato di due categorie sociali allora allo stato nascente e destinate a giocare un ruolo di primo piano nella successiva storia d’Italia (M. Infelise, Introduzione alla II edizione, Milano 2012, p. 15). Il ritrovato contatto con le fonti agevolò inoltre il suo ritorno ad argomenti di storia veneta, quali i rapporti tra Padova e Venezia alla vigilia della battaglia di Lepanto (1571) e il dominio veneziano su Ravenna, ma anche le vicende degli ebrei o degli istituti di cultura veneziani dopo l’unità d’Italia.
Lungi però dal trascurare l’attività didattica, Berengo continuò a tenere brillanti corsi ex-cathedra, che spaziavano dal Rinascimento alla Restaurazione, dalla storia europea a quella dell’Impero ottomano o dell’America Latina (se ne veda l’elenco in Tra Venezia e l'Europa, 2003, p. 183); e accanto a questi molte cure dedicò ai seminari su «Come si fa ricerca storica», rivolti ai laureandi e agli studenti desiderosi di approfondire la loro preparazione e dedicati, ad anni alterni, agli archivi e alle biblioteche. Il suo impegno civile si esplicò infine anche nell’attività politica in ambito cittadino; come consigliere comunale di Venezia-Mestre, eletto nel 1985 in qualità di indipendente nelle liste del PCI, si occupò in particolare del settore bibliotecario, nella convinzione che il buon funzionamento delle biblioteche fosse una condizione essenziale per la formazione dei giovani e per il progresso culturale e civile del Paese; alla stessa preoccupazione va ricondotta l’organizzazione, nel gennaio del 1993, di un convegno Sulle biblioteche pubbliche statali presso l’Accademia dei Lincei, di cui Berengo era membro dal 1988.
Al centro dei suoi interessi di ricerca, nell’ultimo quarto del secolo XIX, era ormai il tema della città d’antico regime, considerato su scala non più italiana ma europea, benché rimanesse ben vivo il legame con il libro su Lucca, come l’autore stesso sottolineava nell’introduzione alla terza edizione di Nobili e mercanti (Torino 1999, p. 3). Tra i lavori preparatori di questo magnum opus è da citare almeno la vivace Intervista a Roberto Lopez sulla città medievale (Roma-Bari 1984), dove è già evidente la scelta dell’oggetto dell’indagine, non tanto la città quanto «la società urbana», come Berengo stesso scriveva a Franco Venturi il 14 settembre 1982 (Torino, Archivio Venturi ): ovvero l’organizzazione e la distribuzione del potere politico e religioso, la fisionomia e l’articolazione dei ceti e dei corpi, la presenza eventuale di 'colonie' straniere e di minoranze etniche o religiose, i rapporti con il circostante mondo rurale, e non già la forma urbis cara a una storiografia largamente diffusa anche in Italia e legata alle facoltà di architettura. Da questa impostazione nasce direttamente la periodizzazione adottata (dal XIII secolo alla pace di Vestfalia del 1648), giacché la storia della civiltà cittadina, come Berengo la intende, «è più la storia dei cittadini che non della città” (Prefazione a L’Europa delle città. Il volto della società urbana tra Medioevo ed Età moderna, Torino 1999).
Non contraddice queste scelte la decisione di rinunciare al paradigma della decadenza e di privilegiare un approccio strutturale e comparativo al fenomeno urbano, l’unico possibile data la vastità dell’argomento. L’autore ricorre spesso alla metafora del viaggiatore, che si sposta nello spazio e nel tempo e osserva quanto c’è di particolare in ciascuna comunità, e al suo interno in ciascuna categoria sociale. «Il suo obiettivo non era tanto quello di costruire dei tipi o modelli ricorrenti, cercando analogie e affinità fra i suoi casi di studio, quanto quello di ampliare lo spettro dei confronti possibili per far risaltare l’estrema variabilità delle situazioni specifiche, contestando l’uso di categorie astratte» (Folin, 2010, p. 27); per rilevare in definitiva ciò che è unico e irripetibile in una città o al più in un’area geografica, contrapposta alle altre. E nell’impossibilità di trarre direttamente dagli archivi la mole enorme di informazioni e di dati di cui sono cosparse le quasi 900 pagine che compongono L’Europa delle città (senza contare le ulteriori 76 pagine di bibliografia), Berengo si basò massicciamente sui contributi di archivisti o di storici ed eruditi locali, consultati non solo nelle biblioteche italiane, ma in quelle di Parigi, Londra e Cambridge, Monaco e Princeton nel corso di lunghi soggiorni soprattutto estivi, anno dopo anno: contributi da lui utilizzati, come da più parti è stato osservato, alla stregua di fonti, con una tecnica che egli stesso, con voluto understatement, definì 'compilativa'.
Berengo fece appena a tempo a vedere pubblicata, sia pure priva dell’ultima mano, l’opera cui aveva consacrato gli ultimi venticinque anni di vita. Colpito da un ictus durante uno degli ultimi soggiorni di studio in Inghilterra, si spense dopo lunghe sofferenze il 3 agosto 2000. Per sua volontà fu sepolto nel cimitero ebraico di Ferrara, e la sua ricchissima biblioteca, insieme con quella dell’amico Lucio Gambi, andò a costituire un fondo speciale della Biblioteca Classense di Ravenna. Pochi storici hanno lasciato una così nutrita schiera di allievi, in gran parte tuttora attivi nelle università, nelle scuole, negli archivi, nelle biblioteche o in altre istituzioni culturali.
Tra le fonti inedite per la biografia di Marino Berengo riveste un’importanza primaria il suo carteggio, tuttora conservato nella sua residenza veneziana e solo parzialmente ordinato. Vi sono contenute in originale le lettere a lui dirette e in minuta autografa o dattiloscritta gran parte di quelle da lui spedite a centinaia di corrispondenti, oltre a molte carte relative a questioni universitarie o a iniziative culturali (come il progetto di Atlante storico italiano). Le lettere indirizzate a due personalità di primo piano particolarmente a lui legate, Delio Cantimori e Franco Venturi, sono consultabili rispettivamente presso l’Archivio storico della Scuola Normale Superiore di Pisa (Carteggio Delio Cantimori) e presso l’abitazione di Antonello Venturi a Torino (Archivio Venturi). La documentazione ufficiale sulla carriera di docente universitario va cercata soprattutto negli archivi dell’Università degli studi di Milano e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Tra le fonti edite, sono da considerare in primo luogo le opere stesse dell’autore e, tra gli studi di seguito citati, quelli degli amici e degli allievi che hanno largamente attinto alla conoscenza personale che ebbero di Marino Berengo.
Per una bibliografia completa si vedano: Bibliografia di M. B., a cura di G. Del Torre, in Tra Venezia e l’Europa. Gli itinerari di uno storico del Novecento: M. B., a cura di G. Del Torre, Padova 2003, pp. 233-245; Bibliografia degli scritti di M. B., versione aggiornata e corretta della precedente, in M. Berengo, Città italiana e città europea. Ricerche storiche, a cura di M. Folin, Roma 2017, pp. 275-290. Si elencano qui solo i lavori di particolare interesse non citati nel testo: La crisi dell’arte della stampa veneziana alla fine del secolo XVIII, in Studi in onore di Armando Sapori, II, Milano 1957, pp. 1321-1338; Il problema politico-sociale di Venezia e della sua Terraferma, in La civiltà veneziana del Settecento, Firenze 1960, pp. 69-95; Profilo di Gino Luzzatto, in Rivista storica italiana, LXXVI (1964), pp. 879-925; La ricerca storica di Delio Cantimori, in Rivista storica italiana, LXXIX (1967), pp. 902-943; L’insegnamento delle scienze storiche nell’Università, in Le scienze dell’uomo e la riforma universitaria, Bari 1969, pp. 273-284; A proposito di distribuzione catastale della proprietà terriera, in Rivista storica italiana, LXXXII (1970), pp. 374-386; Cesare Cantù scrittore autobiografico, ibid., pp. 714-735; Le origini del “Giornale storico della letteratura italiana”, in Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini, II, Padova 1970, pp. 239-268; Le origini del Lombardo-Veneto, in Rivista storica italiana, LXXXIII (1971), pp. 525-544; Italian Historical Scholarship since the Fascist Era, in Daedalus, C (1971), pp. 469-484; Gli ebrei veneti nelle inchieste austriache della Restaurazione, in Michael, I (1972), pp. 9-37; La città di antico regime, in Quaderni storici, IX (1974), pp. 661-692; Intellettuali e centri di cultura nell’Ottocento italiano, in Rivista storica italiana, LXXXVII (1975), pp. 103-148; Patriziato e nobiltà. Il caso veronese, ibid., pp. 191-213; Lo studio degli atti notarili dal XIV al XVI secolo, in Fonti medievali e problematica storiografica, I, Roma 1976, pp. 149-172; Intellettuali e organizzazione della cultura nell’età della Restaurazione, in La Restaurazione in Italia. Strutture e ideologie, Roma 1976; Un agronomo toscano del Cinquecento. Francesco Tommasi di Colle Valdelsa, in Studi di storia medievale e moderna, per Ernesto Sestan, Firenze 1980, pp. 495-518; Africo Clementi agronomo padovano del Cinquecento, in Miscellanea Augusto Campana, Padova 1981, pp. 27-69; Foscolo e il mito del patriziato, in Lezioni sul Foscolo, Firenze 1981, pp. 11-20; Città italiana e città europea. Spunti comparativi, in La demografia storica delle città italiane, Bologna 1982, pp. 3-19; La capitale nell’Europa d’antico regime, in Le città capitali, a cura di C. De Seta, Bari 1985, pp. 3-15; Le origini settecentesche della storia dell’agronomia italiana, in L’età dei Lumi. Studi storici sul Settecento in onore di Franco Venturi, Napoli 1985, pp. 863-890; Il governo veneziano a Ravenna, in Ravenna in età veneziana, a cura di D. Bolognesi, Ravenna 1986, pp. 31-67; La rifondazione della Scuola Normale nell’età della Destra, in Annuario della Scuola Normale Superiore di Pisa, VI (1987-88), pp. 33-57; Gli ebrei veneziani alla fine del Settecento, in Italia Judaica. Gli Ebrei in Italia dalla segregazione alla prima emancipazione, Roma 1989, pp. 9-30; Editoria e tipografia nella Venezia della Restaurazione. Gli esordi di Giuseppe Antonelli, in Studi politici in onore di Luigi Firpo, a cura di S. Rota Ghibaudi, pp. 357-379; Gino Luzzatto, Corrado Barbagallo e la censura fascista, in Studi in onore di Paolo Alatri, II, L’Italia contemporanea, Napoli 1991, pp. 261-274; Antonio Quadri e le statistiche venete della Restaurazione, in Studi veneti offerti a Gaetano Cozzi, Venezia 1993, pp. 391-407; Sull’organizzazione della cultura veneta dopo l’Unità. Lettera aperta a Gianfranco Folena, in Omaggio a Gianfranco Folena, II, Padova 1993, pp. 1781-1794; Luigi Luzzatti e la tradizione ebraica, in Luigi Luzzatti e il suo tempo, Venezia 1994, pp. 347-362; Premessa, in Giornate lincee sulle biblioteche pubbliche statali, Roma 1994, pp. 19-26; Una tipografia liberale veneziana della Restaurazione. Il Gondoliere, in Libri, tipografie, biblioteche. Ricerche storiche dedicate a Luigi Balsamo, Firenze 1997, pp. 335-354.
L. Gambi, Un atlante da 7 miliardi, in Quaderni storici, XIII (1978), pp. 732-747; A. Caracciolo, Il grande atlante storico che non si fece mai, in Quaderni storici, XXX (1995), pp. 257-259; E. Fasano Guarini et al., Per i trent’anni di “Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento”, Lucca 1998; G. Chittolini, L’Europa delle città secondo M. B., in Storica, 1999, n. 14, pp. 105-127; C. Vivanti, Ricordo di M. B., in Studi storici, XLI (2000), pp. 593-564; J. Amelang, L’Europa delle città di M. B., in Rivista storica italiana, CXIII (2001), pp. 754-763; E. Brambilla, M. B. e l’impegno dello storico, in Contemporanea, IV (2001), pp. 330-339; E. Fasano Guarini, L’Europa delle città di M. B.: l’opera e lo storico, in Società e storia, 2001, n. 92, pp. 313-326; A. Ventura, Ricordo di M. B., in Atti dell’Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, CLX, 2001-2002, pp. 121-133; Tra Venezia e l’Europa. Gli itinerari di uno storico del Novecento: M. B. Atti delle giornate di studio su M. B. storico. Venezia, 17-18 gennaio 2002, a cura di G. Del Torre, Padova 2003; R. Pertici, Introduzione: M. B. storico della Restaurazione, in M. Berengo, Cultura e istituzioni nell’Ottocento italiano, a cura di R. Pertici, Bologna 2004; G. Corazzol, Pensieri da un motorino. Diciassette variazioni di storia popolare, in Quaderni di storia Mestre, 2006, n. 6, pp. 117-127; P. Del Negro, Premessa a M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento, Roma 2009, pp. V-IX; M. Folin, M. B. storico della città europea, in M. Berengo, Città italiana e città europea, a cura di M. Folin, Reggio Emilia 2010 (2a ed. Roma 2017, con un’appendice bibliografica); M. Infelise, Presentazione di M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Milano 2012; C. Capra, Berengo Marino, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero. Storia e politica, a cura di G. Galasso - A. Prosperi, Roma 2013, pp. 830-836.
Foto: per cortesia del Comune di Venezia, Servizio Comunicazione Istituzionale, visiva e sito web.