CECCOLI, Marino
Nacque a Perugia, quasi sicuramente tra l'ultimo decennio del sec. XIII e i primissimi del XIV, dato che i suoi scritti alludono a eventi occorsi tra il 1320 e il 1350, e che ancora nel 1369 Coluccio Salutati poteva sollecitarne epistolarmente l'appoggio per l'assegnazione del cancellierato perugino. Fu personalità di riguardo nella vita pubblica della sua città: in un documento del 1355 è ricordato, come giurisperito, tra i più insigni cittadini; nel 1366 rappresentò a Firenze il suo Comune nella stipula dell'atto della lega italiana contro le compagnie di ventura.
Con il C. non deve confondersi Martino di Ceccolo, notaio perugino da Porta San Pietro, il cui nome è sottoscritto al trattato di pace stipulato alla fine del 1352 tra l'arcivescovo di Milano, il Comune di Perugia e numerose altre città italiane. L'identità di Martino trova infatti ulteriore riscontro in una cronachetta perugina di anonimo (relativa agli anni 1352-1398), pubblicata parzialmente come supplemento al Diario del Graziani (p. 219), dove è citato tra coloro che nel 1372 subirono il confino a opera di Gherardo di Dupuis, allora rettore di Perugia.
Del C. non sono noti l'anno e il luogo della morte, intervenuta dopo il 1369.
Come letterato, il C. ebbe una certa fama anche fuori delle mura della sua città. Oggi può apparire intenzionalmente esagerato, e destinato piuttosto ad acquisire benevolenza, il modo in cui si rivolgeva a lui il Salutati nell'occasione cui si è fatto cenno: "Preclarissimi eloquii viro ... musarumque familiari egregio"; tuttavia le lodi che nel corso della lettera sono tributate al notaio perugino per la sua attività di dettatore in latino testimoniano almeno la diffusione della produzione che le è relativa, di cui comunque ciò che resta (tre epistole) non appare certamente adeguato al calore del giudizio di Coluccio.
Quel che sopravvive del lavoro letterario del C. è stato tramandato dal ms. della Bibl. Apost. Vaticana Barb. lat. 4036, il cosiddetto "codice dei Perugini", non più tardo del 1351, l'unico a documentarci su di un gruppo di rimatori che erano attivi a Perugia tra il 1320 e il 1350, gli stessi anni in cui il Comune cittadino conosceva uno dei suoi momenti di maggior floridezza, sia economica e politica sia culturale. I versi dei perugini trasmessi dal Barberiniano appaiono sostanzialmente omogenei sul piano stilistico e tematico: che poi quel gruppo di rimatori costituisse una sorta di cenacolo - provinciale ma non dilettantesco - è anche dimostrato dallo scambio relativamente fitto di sonetti tra tutti i suoi componenti.
Il loro tema qualificante era il canto degli amori sodomitici. L'insolita connotazione ha costituito il più importante nodo della discussione intorno a questi rimatori: soprattutto ad opera del Marti, che ha insistito a lungo nel disconoscere un qualsivoglia fondamento autobiografico all'uso di quel tema. Ma se è vero che bisogna andar cauti nell'identificare romanticamente ogni mito culturale o artistico con il segno di un'esperienza reale - soprattutto qui dove gioca il peso di una tradizione letteraria in cui l'ostentazione o l'accusa di omosessualità costituiva un diffuso topos "comico", animato di intenti parodistici nei confronti delle celebrazioni rarefatte dell'amore cortese, tema non sconosciuto ai comici toscani del Duecento -, neppure è da tacere che a Perugia la pratica omosessuale doveva essere particolarmente diffusa se gli statuti comminavano pene severissime a chi vi fosse incorso (si ricordi che il Boccaccio ambienta nella città umbra l'unica novella del Decameròn, V, 10, in cui si realizzino rapporti sodomitici), e che, nel caso specifico del C., l'adesione al tema è sicuramente originale e riconducibile soltanto marginalmente negli schemi di una finzione stilistica. Del resto il sonetto responsivo ad Ugolino da Fano (ed. Marti, p. 685) che, a proposito del C., è l'unico documento utilizzabile per far luce su questo problema, pare proprio contenere una malcelata ammissione da parte del poeta, che conclude invocando su di sé la comprensione caritatevole dell'amico destinatario. Questo particolare biografico privato non interesserebbe in alcun modo se i risultati cui eventualmente si pervenisse fossero finalizzati in sé: ma esso implica la definizione della stessa chiave di lettura della parte più significativa dell'opera del Ceccoli.
Il ruolo occupato dal C. nel circolo dei rimatori perugini della prima metà del Trecento è certamente di rilievo. Il manoscritto attribuisce a lui, oltre le tre epistole già menzionate, una canzone e venticinque sonetti, sei dei quali in tenzone. Tra i corrispondenti poetici spicca il nome di Cino da Pistoia, che il C. sicuramente conobbe in uno dei due periodi in cui il poeta toscano insegnò a Perugia (1326-1330 e 1332-1333). Oltre che con Cino il C. scambiò sonetti con i perugini Cecco Nuccoli e Gilio Lelli, quello già ricordato con Ugolino da Fano, e poi ancora con Ceccolo, Neri Moscoli e Simone da Pierile.
Nell'esile canzoniere ceccoliano sono grosso modo distinguibili tre momenti. Al tipo stilistico dell'unica canzone pervenuta, in lode di Amore, con qualche eco dantesca, tematicamente tradizionale, sono accostabili alcuni sonetti legati genericamente a un gusto corrente in tutta la poesia cortese; ma la convenzionalità dei temi è sovente riscattata - proprio in questo le rime del C. si accordano con i migliori prodotti degli altri rimatori del gruppo - da un impegno e una perizia tecnica particolari, che si evidenzia principalmente nell'uso della rima (rime difficili, sdrucciole, ecc.). Più prossime ai modi dei guittoniani sono le rime di argomento civile e morale. Sia che si tratti convenzionalmente della scomparsa delle virtù, sia che si affronti il tema della predestinazione e prescienza divina, o siano seguite con trepidazione le sorti del Comune perugino nella lotta contro i Tarlati di Pietramala, signori di Arezzo, il discorso si svolge sempre sentenziosamente, arricchito di immagini corpose, grazie a un lessico fortemente segnato dall'uso degli idiotismi.
Dove l'arte del C. fa la prova migliore è nel ristretto gruppo di sonetti amorosi composti per un non precisato "signore". Il C. in questi componimenti, puntando sugli effetti di un naturalismo fresco e vivace, ricco di movenze che spesso ricordano i modi degli strambotti, si aggiusta su di un tono medio che è parimenti lontano dalla stilizzazione manierata dello stilnovismo più corrivo come dai modi estroversi e ostentati dello stile comico. Qui si avverte la presenza di Cino, e soprattutto la suggestione di certi moduli cavalcantiani, ma appare anche la caratteristica più saliente della poesia del C.: che è proprio nell'aver fatto uso di un linguaggio sostanzialmente stilnovista per mettere in versi la sua insolita passione amorosa, sebbene tradizionalmente, nell'esercizio poetico, i temi omosessuali fossero sempre accordati con i precetti dello stile comico. E dinanzi a un sonetto come "Amor me tra' de mente ogni altra cosa" (ed. Marti, p. 668), il più bello della raccolta, dove, attraverso l'uso funzionalissimo e insistito delle allitterazioni e delle replicazioni si fa strada l'invocazione ansiosa del poeta innamorato, è difficile pensare, come vorrebbe il Marti, che un gioco parodistico valga a suffragare la realtà di un sentimento che nel suo incalzare appare così consistente e sincero. Se gioco vi è, starà piuttosto "nella traduzione della propria esperienza negli schemi psicologici, sottili e preziosi, dell'antica cortesia; e sarà allora il gioco di una raffinata ambiguità intellettuale" (Tartaro, p. 428).
L'intero corpus delle rime del C. è edito a cura di M. Marti, Poeti giocosi del tempo di Dante, Milano 1956, pp. 657-687. Altre edizioni parziali nei saggi elencati in bibliografia.
Fonti e Bibl.: G. Degli Azzi, Per la storia dell'antico arch. del Com. di Perugia. Notizie e docc., in Boll. d. R. Dep. di storia patria per l'Umbria, VIII (1902), p. 84; Documenti per servire alla storia della milizia italiana, a cura di G. Canestrini, in Archivio storico italiano, t. XV (1851), p. 91 n.; C. Salutati, Epistolario a cura di F. Novati, I, Roma 1891, pp. 76-78; A. Tenneroni, Sonetti ined. di ser M. C., Roma 1893; E. Monaci, Dai poeti antichi perugini del codice...,Roma 1905, ad Ind.; P. Tommasini Mattiucci, Sonetto di M. C. rimatore perugino, Perugia 1912; Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, a cura di A. F.Massera, Bari 1920, I, pp. 235-247; II, pp. 13, 15, 106 s., 142 s.; V. Corbucci, L'antico poeta perugino M. C. e la dominaz. dei Tarlati a Città di Castello, Città di Castello 1933; N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1933, pp. 89 s.; M. Marti, Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante, Pisa 1953, pp. 179 ss.; I. Baldelli, Lingua e letter. di un centro trecentesco: Perugia, in La Rassegna della letter. ital., s. 7, LXVI (1962), pp. 3-21; M. Marti, Dante e i poeti perugini del 1300, in Boll. d. Dep. di st. patria per l'Umbria, LXII (1965), pp. 190-211; Id., Con Dante fra i poeti del suo tempo, Lecce 1966, pp. 95-125; Rimatori del Trecento, a cura di G. Corsi, Torino 1969, pp. 710-716; A. Tartaro, Diffusione e persistenza della cultura poetica toscana, in Letter. Italiana. Storia e testi, diretta da C. Muscetta, II, 1, Bari 1971, pp. 427 s.; A. Bruni Bettarini, Postille ai poeti perugini del Trecento, in Studi di filologia ital., XXIX (1971), pp. 147-89; Il Notariato nella civiltà ital., Milano 1961, sub voce. Per Martino di Ceccolo si veda Cronaca di Perugia ... nota col nome di Diario del Graziani, a cura di A. Fabretti, in Arch. stor. ital.,t. XVI (1851) 1, pp. 168, 219.