MARINO da Venezia
MARINO da Venezia. – Nacque, secondo quanto si deduce dal suo necrologio, tra il 1487 e il 1488. Riguardo alla famiglia, vi è incertezza storiografica dal momento che il cognome Venier o Valier, attribuitogli da alcuni, sembra essere il risultato di un’errata lettura dell’aggettivo venetus affiancato al nome. Dalle testimonianze pare che M. fosse zoppo, caratteristica che gli valse il soprannome di «zotto».
Entrò a far parte dell’Ordine dei frati minori conventuali in data imprecisata: si trovano sue notizie all’interno dei registri del convento di S. Maria dei Frari nel 1535 e nel 1545. Il 15 dic. 1536 gli fu conferito il dottorato in teologia presso l’Università di Padova dal conte palatino Federico Capodilista.
Dal 1544 M. fu inquisitore della Serenissima. La nomina è generalmente datata al 3 dicembre, giorno dell’apertura del processo intentato contro il frate agostiniano Ambrogio Cavalli da Milano, in cui M. appare come inquisitore per la prima volta. In realtà, è probabile che negli anni precedenti M. avesse avuto modo di partecipare come consulente alle attività del tribunale: lo dimostrerebbe, tra l’altro, un resoconto sulla predicazione quaresimale di Bernardino Ochino, steso nell’ottobre 1542. Egli operò in anni di importanti trasformazioni per il tribunale del S. Uffizio.
Nel 1547 il doge Francesco Donà istituì la magistratura dei Savi all’eresia, formata da laici appartenenti al patriziato cittadino e destinata a garantire un controllo politico sulle attività degli inquisitori (il nunzio pontificio, allora Giovanni Della Casa, l’uditore e il fiscale della nunziatura, l’inquisitore e il suo commissario).
Fra il 1544 e il 1550 M. portò a termine ventiquattro processi in cui furono effettivamente coinvolte trentacinque persone.
Gli studiosi hanno esaminato la personalità del frate attraverso prospettive diverse. C’è chi ha interpretato la figura di M. come autore di una politica di «copertura e favoreggiamento nei confronti del movimento riformatore veneziano» sottolineando la sua attenzione nei confronti di imputati di alta posizione sociale o intellettuale (Del Col, p. 489). C’è chi lo ha visto come una figura simbolica legata a una prima fase della storia dell’Inquisizione, in cui l’inquisitore, animato da apertura al dialogo e comprensione del dissenso, «ebbe una funzione di mediazione ed armonizzazione» (Seidel Menchi, p. 53). Jacobson Schutte ha individuato due ulteriori aspetti dell’attività inquisitoriale di M., legati alla sua azione di inquisitore in processi meno noti e alla sua «venezianità», mettendo in evidenza i rapporti personali con personaggi di spicco della classe dirigente veneziana del tempo come il patrizio Pietro Loredan, futuro doge, nella cui casa M. fu cappellano.
L’interesse della storiografia nei confronti di M. è da ricondurre al comportamento spesso ambiguo, se non esplicitamente favorevole, che egli tenne nei confronti di personaggi sospettati di eresia. Nel campo della censura e del controllo dell’editoria non si fece scrupolo di autorizzare opere eterodosse quali l’Espositione letterale del testo di Mattheo evangelista di Bernardino Tomitano stampata da Giovanni dal Griffo nel 1547 a Venezia (traduzione della Paraphrasis in Evangelium Matthaei di Erasmo da Rotterdam), le Rime di Marco Pagano e la Dechiaratione delli dieci commandamenti, un testo di pietà attribuito a Martin Lutero edito a Venezia nel 1543 da Bernardino Viani. Egli era certamente a conoscenza dei contenuti delle opere in questione, essendo stato il redattore del Catalogo dei libri proibiti pubblicato a Venezia nel 1549 e mai applicato.
M. protesse personaggi apertamente simpatizzanti per idee non ortodosse o di chiara matrice protestante. Fra costoro sono da annoverare Antonio Brucioli (che il 6 dic. 1548, a conclusione del processo inquisitoriale, ottenne da M. la dichiarazione di essere stato perseguito solo per aver stampato libri eretici e non per opinioni eterodosse personali, ciò che l’interessato fece valere come dimostrazione di comprovata ortodossia), alcuni predicatori accusati di diffondere l’eresia come don Ippolito Chizzola, i frati Giuliano da Colle, Michele da Udine, Sebastiano Castello, e soprattutto il vescovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio. La condotta di M. nel corso del processo a Vergerio, mai conclusosi a causa della sua fuga nei Grigioni (1549), fu uno degli elementi principali che lo resero sospetto e gli valsero la denuncia al tribunale stesso. Inoltre fra Nicola da Venezia, che il 13 luglio 1550 sarebbe stato nominato successore di M. dal generale dell’Ordine Iacopo da Montefalcone, lo denunciò al Tribunale centrale dell’Inquisizione nel 1549 e nel 1551. M. poté evitare di presentarsi a Roma grazie all’intervento del governo veneziano, pur sottoponendosi al procedimento intentato dai Savi.
Una delle accuse, secondo le deposizioni rilasciate da alcuni testimoni nel settembre del 1551, fu quella di aver accettato del denaro per aiutare Vergerio durante il processo. Ma soprattutto gli s’imputò di aver difeso il vescovo di Capodistria con una lettera inviata al cardinale di Mantova Ercole Gonzaga in cui M. testimoniava dell’ottima condotta di quest’ultimo nel governo della diocesi. Oltre alla connivenza con personaggi eretici, fra le imputazioni comparivano inoltre la sodomia, la frequentazione di prostitute, la maldicenza delle autorità ecclesiastiche e della stessa Inquisizione, il favoreggiamento di ebrei, la critica esplicita a pratiche di devozione popolare. Interrogato personalmente da fra Nicola da Venezia nell’estate del 1555, M. seppe difendersi abilmente affermando di non essere a conoscenza dei contenuti incriminati delle opere da lui approvate (aggiunti a suo parere in seguito alla concessione del permesso di stampa o presenti, come nel caso del Brucioli, in testi che circolavano ampiamente). Negò anche di aver scritto la lettera al Gonzaga in difesa del Vergerio, accusando quest’ultimo di averla falsificata.
Il processo durò fino al 1561, quando M. si rivolse direttamente al doge Girolamo Priuli con una supplica affinché il governo intervenisse per trovare una conclusione alla vicenda. Il Collegio dei dieci si pronunciò favorevolmente alla richiesta e tramite l’ambasciatore a Roma, Girolamo Soranzo, ottenne che il processo si chiudesse il 2 dicembre di quell’anno con l’assoluzione tramite la purgazione canonica.
M. morì presumibilmente a Venezia il 1° febbr. 1564.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Provveditori e Sopraprovveditori alla Sanità, 799 (necrologio, 1563 m.v.), 1° febbr. 1563-64; S. Maria Gloriosa de’ Frari, regg. 5, cc. 38r, 41r; 7, cc. 32v, 35r; Santo Ufficio, bb. 1, ff. 3-4; 4-7, 8, ff. 16, 17, 19; 24, 31, 41 (atti dei processi condotti da M.), 12: Patris Marini veneti alias dicti Zotto; 159: Acta Sancti Officii Venetiarum 1554-55, ff. 2, cc. 21-25, 3, cc. 34r-35r; Consiglio di dieci, Deliberazioni Comuni, filza 82 (supplica di M., 17 sett. 1561); Acta graduum academicorum ab anno 1538 ad annum 1550, in Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini, a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1971, p. 410 n. 2310; Index des livres interdits, a cura di J.M. De Bujanda, Genève 1987, III, Index de Venise (1549). Venise et Milan (1554), pp. 46 s., 69-71, 73, 78; G. Buschbell, Reformation und Inquisition in Italien um die Mitte des XVI. Jahrhunderts, Paderborn 1910, pp. 239 s.; A. Santosuosso, The moderate inquisitor: Giovanni Della Casa’s Venetian nunciature. 1544-1549, in Studi veneziani, n.s., II (1978), pp. 168, 180 s., 186, 199; A. Del Col, Il controllo della stampa a Venezia e i processi di Antonio Brucioli (1548-1559), in Critica storica, XVII (1980), pp. 472 s., 487-489; S. Seidel Menchi, Inquisizione come repressione o Inquisizione come mediazione? Una proposta di periodizzazione, in Annuario dell’Ist. stor. italiano per l’Età moderna e contemporanea, XXXV-XXXVI (1983-84), in part. pp. 53, 69-75; A. Jacobson Schutte, Un inquisitore al lavoro: fra M. da V. e l’Inquisizione veneziana, in I francescani in Europa tra Riforma e Controriforma. Atti del XIII Convegno della Soc. internazionale di studi francescani, Assisi… 1985, Perugia 1987, pp. 167-195; Id., Pier Paolo Vergerio e la Riforma a Venezia, 1498-1549, Roma 1988, pp. 286, 344, 348, 377, 390.