CALCIGNI, Marino de'
Nacque a San Marino, forse sul finire del sec. XIV, da nobile famiglia i cui membri compaiono spesso nelle alte magistrature della Repubblica. Il giovane C., mandato a Bologna, vi si addottorò in diritto. Da questa città scrisse una nobile lettera ai concittadini, in data 1º nov. 1427, esortandoli alla pace interna senza la quale non sarebbe stato possibile conservare "… la libertà, la quale niun tessoro al mondo la pò comprare…" (Brizi). Grazie ai legami di amicizia che esistevano tra i signori di Urbino e la Repubblica, ben presto il C. poté essere avviato alla vita politica, entrando al servizio del conte Guidantonio da Montefeltro che gli affidò importanti cariche pubbliche in alcune città del suo dominio: podestà di Casteldurante nel 1437 (non appare documentabile la notizia, indicata dal Delfico, che egli abbia ricoperto la carica anche nel 1441: probabilmente nel 1441 ricoprì la carica di commissario della Massa Trabaria, con sede a Casteldurante); da una lettera di Guidantonio, ai Sammarinesi, dei primi mesi del 1441, risulta che il conte di Urbino faceva capo al C. per le sue relazioni con la Repubblica, nel quadro di una politica intesa a proteggere il piccolo Stato del Monte Titano, baluardo dei territori montefeltreschi contro i Malatesta. Nell'ottobre 1441 il C. fu eletto reggente per il semestre novembre 1441-aprile 1442 con Tommaso di Antonio: tale nomina, dati i rapporti che legavano il C. a Guidantonio, indicava, da parte dei Sammarinesi, una precisa presa di posizione in favore dei Montefeltro ben avvertibile nella vicina Rimini. A confermare il legame con i Montefeltro venne la successiva presenza del C. ad Urbino quale podestà, nel 1442.
Sono questi gli anni in cui le ambizioni dell'irrequieto signore di Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta, posero fine a quella politica di buon vicinato che aveva caratterizzato i rapporti fra le minori potenze della Romagna nella prima metà del sec. XV, dando inizio ad una feroce lotta per l'egemonia sulla regione cui non rimasero estranei i maggiori Stati italiani e che si sarebbe protratta per oltre vent'anni. Nelle vicende di questa lotta fu coinvolta, suo malgrado, anche la Repubblica di San Marino, che si era già vista costretta a rafforzare - contro la minaccia rappresentata nei confronti della sua integrità territoriale dalle mire espansionistiche del signore di Rimini - l'intesa con i conti di Montefeltro, sino a giungere a stipulare con essi, nel 1440, una vera e propria "confederatio et liga" difensiva. Ma furono proprio gli attentati del Malatesta contro la libertà della Repubblica - attentati rimasti peraltro infruttuosi grazie alla vigilanza dei Sammarinesi e all'appoggio a questi ultimi costantemente concesso da Guidantonio da Montefeltro - a spingere la comunità del Monte Titano in guerra aperta contro il signore di Rimini, al fianco dell'alleato conte di Urbino.
Il 9 dic. 1442, da Gubbio, Guidantonio informava la Repubblica di aver inviato il C. come suo plenipotenziario presso Sigismondo per stipulare a suo nome una tregua. L'aver scelto, per il delicato incarico, proprio il C., presuppone da parte del conte di Montefeltro una discreta fiducia nelle capacità diplomatiche del C., oltre che un'indubbia stima per la sua preparazione culturale e giuridica. Non conosciamo l'esito della missione: probabilmente si stipulò una delle tante tregue, la cui osservanza dipendeva quasi sempre da fatti contingenti, giacché nessuna delle parti intendeva effettivamente raggiungere una pace duratura. Il 21 febbr. 1443 moriva ad Urbino Guidantonio e gli succedeva il figlio legittimo Oddantonio da Montefeltro. Anche questi accolse il C. nel novero dei suoi consiglieri affidandogli la commissaria della Massa Trabaria. Rivestiva appunto tali fanzioni quando, secondo un documento conservato all'Archivio sammarinese (cfr. Malagola, p. 150 n. 1), il C. inviò durgenza alla sua città natale un contingente di 50 fanti sotto il comando di Gilberto dall'Agnello di Pisa, forse per sventare una minaccia di Sigismondo, deciso ad approfittare della inesperienza del nuovo signore di Urbino per colpire duramente i suoi alleati. La breve signoria di Oddantonio terminò tragicamente il 22 luglio 1444 sotto i pugnali di una congiura; venne allora riconosciuto conte di Urbino, non senza opposizione, il fratellastro Federico.
Nei due anni 1443-44, così densi di avvenimenti per gli Stati della Romagna, il C. potè seguire l'evolversi della situazione da un osservatorio privilegiato dato che il nuovo conte d'Urbino lo riconfermò commissario del Montefeltro per tutto il 1444. Considerata l'importanza strategica di questo territorio nei confronti dei domini del Malatesta, tale conferma dà la misura della stima goduta dal C. presso Federico. Da questo momento, infatti, il C. si affiancò ai Paltroni, ai Commandino, ai Galli, i fedelissimi del conte in questi primi difficili anni del suo governo, che lo videro non solo impegnato nella lotta contro i Malatesta, ma anche costretto a fronteggiare una subdola opposizione interna: alla fedeltà di questi uomini si può in buona parte ascrivere il fallimento della congiura del 1446.
Nel 1449 il C. era ancora ad Urbino, come attesta una lettera del 21 giugno con cui informava i reggenti di una congiura scoperta a Pesaro contro Alessandro Sforza e dell'esecuzione dei due responsabili. (Bibl. Oliv., ms. 376, c. 393) Anche in questo episodio è da vedere la longa manus di Sigismondo Malatesta, il quale intendeva in tal modo tornare in possesso di Pesaro che un suo parente, Galeazzo, aveva venduto allo Sforza quattro anni prima.
Nello stesso anno i rapporti tra il signore di Rimini e la comunità del Monte Titano erano tornati nuovamente tesi. Questa volta pretesto alla crisi era stata la questione - del resto regolata da una precisa convenzione bilaterale - delle imposte territoriali nell'agro riminese. Non riuscendo ad indurre con negoziati Sigismondo al rispetto degli accordi, la direzione politica della Repubblica risolse di chiedere l'intervento del pontefice, di cui il Malatesta era vicario in Romagna. Approfittando di una visita di Niccolò V a Spoleto, e contando sull'appoggio di Federico di Urbino, recatosi a rendere omaggio al papa, i Sammarinesi inviarono nella città umbra un'ambasceria, che sottoponesse la vertenza all'arbitrato del pontefice. Della deputazione - che non riuscì ad ottenere il desiderato intervento del papa in favore della Repubblica - fece parte anche il C.: questi, venuto a conoscenza di una congiura che si andava tramando a San Marino per rovesciare i poteri costituiti e consegnare la città al signore di Rimini, ne dette immediata comunicazione ai reggenti, i quali poterono intervenire tempestivamente, sventando in tal modo la macchinazione. Essendo stati arrestati i traditori, il C., da Spoleto, inviò ai reggenti una energica lettera, invitandoli a punire esemplarmente i responsabili.
Negli anni successivi fino al 1456, il C. fu ambasciatore presso Niccolò V e Callisto III; e, secondo il Delfico, a Pesaro presso Alessandro Sforza, amico dei Sammarinesi. Dal 1456 al '59 il C. fu presso Domenico Novello Malatesta, signore di Cesena. Potrebbe sembrare quanto meno strano questo passaggio dalla parte dei Malatesta; ma, in effetti, Domenico Novello in questi anni attuò una sua autonoma politica di disimpegno nei confronti del fratello Sigismondo. In questa nuova prospettiva deve essere vista la permanenza del C. alla corte cesenate, punto di osservazione di prim'ordine per seguire le mosse di Sigismondo e tenerne informati il governo della Repubblica di San Marino da un lato, e Federico da Montefeltro dall'altro.
Sono, questi, gli anni in cui, fallito ogni tentativo di mediazione da parte delle maggiori potenze italiane, erano esplosi in guerra aperta gli antichi rancori che dividevano il re di Napoli ed il papa dal Malatesta di Rimini: questi, infatti, non solo aveva colto ogni occasione per tramare contro il dominio della Chiesa in Romagna, ma si era da ultimo schierato nel campo avverso all'Aragonese, allacciando alleanze con i baroni ribelli del Regno, con Renato e con Giovanni d'Angiò. Le operazioni militari erano procedute alacremente sotto la guida di Federico di Urbino, capitano generale degli armati al servizio degli Aragonesi, e di Giacomo Piccinino, che era suo luogotenente: nel marzo del 1458 Federico e il Piccinino avevano raggiunto Monterolo e Sassocorvaro, sconfiggendo ripetutamente le milizie malatestiane. Sfruttando i risentimenti della comunità del Monte Titano nei confronti dell'irrequieto signore di Rimini, gli antichi e i nuovi nemici del Malatesta riuscirono ad indurre i reggenti ad entrare nella lega e a stringere un'alleanza col re di Napoli. Il trattato, che impegnava San Marino a precise prestazioni militari nella guerra contro Sigismondo, fu sottoscritto il 9 ott. 1458 dai reggenti, e ratificato il 12 successivo da Federico e dal Piccinino in nome del re di Napoli.
Il C., che subito dopo i suoi colloqui di Pesaro con Alessandro Sforza aveva cercato invano di convincere il governo sammarinese ad attaccare il signore di Rimini sfruttando la favorevole congiuntura politica - l'antico, alleato della repubblica, Federico, poteva infatti contare in quel momento sull'appoggio degli Aragonesi e di Venezia -, si mostrò successivamente contrario e al trattato di alleanza e ad una decisa presa di posizione nei confronti di Sigismondo, non stancandosi di raccomandare, dal suo osservatorio, una politica di prudenza ai reggenti perché, a suo parere, nonostante il trattato di alleanza, conveniva: "…ben vicinare, né dare occasione di doglianza, né ai vicini di sopra né a quelli di sotto [Urbino e Rimini], ché la guerra dà luogo alla pace e li vicini rimangono…" (disp. del C. ai reggenti, nov. 1458, riportato dal Delfico). Sotto la spinta, forse, di queste esortazioni, la Repubblica si mantenne in una posizione di non belligeranza, almeno fino agli inizi del 1459 quando, pressata da Federico e dal Piccinino, dovette romper in guerra aperta contro il Malatesta. Il 22 apr. 1459 il C. accettò di far parte del direttorio di dodici cittadini nominato per far fronte, sino al termine delle ostilità, all'incombente pericolo che era rappresentato dalla minaccia delle armi del signore di Rimini, quando la difficoltà della situazione politica, l'incertezza dello sviluppo degli eventi bellici, la brevità stessa delle magistrature repubblicane ebbero indotto i capitani reggenti in carica a rimettere i loro poteri nelle mani del Consiglio generale. L'azione del direttorio, improntata ad un robusto realismo, contribuì efficacemente alla difesa e al mantenimento della libertà di San Marino durante le vicende di questa guerra che si concluse col compromesso di Mantova (6 ag. 1459).
Con esso i contendenti si impegnavano ad accettare l'arbitrato che il papa avrebbe emesso entro tre mesi, e veniva stabilita una penale di 100.000 ducati per coloro che si fossero rifiutati di accettare la decisione pontificia. La Repubblica di San Marino ottenne qualche ampliamento territoriale (il castello di Fiorentino), ma non riuscì a farsi pagare dal Malatesta il rimborso delle spese di guerra. Riapertosi subito dopo, con la rivolta del Piccinino contro il re di Napoli, il conflitto, ed estesosi, in seguito all'accordo di Cesena (2 genn. 1460) e all'intervento del signore di Rimini, anche alle Marche e alla Romagna, la Repubblica di San Marino - malgrado l'alleanza che la legava all'Aragonese - preferì conservare un atteggiamento di neutralità nei confronti dei belligeranti, sino a quando il suo intervento non venne formalmente richiesto dal pontefice, e non ebbe ricevuto da quest'ultimo specifiche garanzie di ampliamenti territoriali a spese del Malatesta in caso di vittoria dei collegati (breve di Pio II, 30 dic. 1461). Il nuovo trattato di alleanza fu firmato dinnanzi al cardinale di Teano, a Fossombrone, dal C., plenipotenziario di San Marino insieme con ser Bartolomeo di Antonio e Giacomino di Belluzzi (21 sett. 1462).
Il C., fra i termini del trattato, ottenne la promessa di un notevole ingrandimento territoriale per la Repubblica ed ancora una volta vide coronati i suoi sforzi nel 1464 quando, battuto tra il 1461 ed il 1463 in una serie di scontri con gli eserciti alleati condotti da Federico di Urbino, Sigismondo Malatesta dovette piegarsi a chiedere al papa la pace, che gli venne concessa a durissime condizioni: il signore. di Rimini, il cui dominio fu ridotto ad un territorio di cinque miglia quadrate intorno alla stessa capitale, dovette cedere alla Repubblica di San Marino le località di Fiorentino, Montegiardino e Serravalle coi loro territori. è questo anno 1464 l'ultimo nel quale abbiamo notizie del C.: il 5 marzo da Casteldurante scrisse un dispaccio contenente informazioni su questioni correnti ai reggenti; il 29 apr. Federico da Montefeltro gli rilasciò una patente di nomina a rettore di Sant'Agata e i suoi castelli. Il C. doveva avere, allora, un'età già avanzata. Non conosciamo la data della sua morte, che dovette probabilmente avvenire in quest'anno o in quelli immediatamente successivi: in un atto stipulato a San Marino nel 1469 leggiamo infatti: "…in domibus heredum domini Marini de Calcignis…", che indica la sua scomparsa avvenuta nel giro degli anni sopraccennati. Non esistono notizie sulla vita privata del C.; ciò che ci riferiscono le fonti attiene solo alla sua attività pubblica ed è indicativo di una vita spesa per intero al servizio della patria e della sua libertà.
Fonti e Bibl.: Archivio governativo di San Marino, Rubrica 31del libro I degli Statuti, busta 33, Bolle, brevi, ecc., cc. 22, 24 ss.; Pesaro, Bibl. Oliveriana, ms. 374, c. 53; ms. 376, cc. 387-93 (Mazzatinti, Inventari, vol. XXXVIII, p. 35, vol. XXXIII, p. 156); Urbania, Biblioteca comunale, ms. 127: F. Timotei de' Salvetti, Storia di Urbania (sec. XVIII); P. A. Paltroni, Commentari della vita et gesti dell'illustrissimo Federico duca d'Urbino, a cura di W. Tommasoli, Urbino 1966, ad Indicem;M. Delfico, Memorie stor. della Repubblica di San Marino, Milano 1804, pp. 144-63 (docc. in app. XXVIII-XXXIX, XLIII); E. Bonelli, Compendio istor. della antica Repubblica di San Marino… sino all'anno MDCCCXXX, s.l. né d., passim;O.Brizi, Biografia degl'illustri Sammarinesi, Arezzo 1866, pp. 12-13; O. Olivieri, Mem. del Montefeltro, a cura di G. Ginepri, Pennabilli 1880, p. 149; C. Malagola, L'Archivio governativo della Repubblica di San Marino, Bologna 1891, p. 151; Libro d'oro della Repubblica di San Marino, compilato dal patrizio marchese De Liveri e Di Valdausa, Foligno 1912, p. 248; E. Rossi, Mem. civili di Casteldurante Urbania, Urbania 1945, p. 126; P. Zama, I Malatesta, Faenza s.d. (ma 1956), pp. 157-213, passim;G. Franceschini, IMontefeltro e la Repubblica di San Marino, in Studiromagnoli, IX(1958), pp. 46-65, passim;Id., Figure del Rinascimento urbinate, Urbino 1959, pp. 19-59, 195-212, 217-221, passim.