DEL GIUDICE, Marino
Appartenente ad una nobile famiglia amalfitana, fu dapprima canonico nella Chiesa locale, della quale un suo omonimo e probabile parente, che non va confuso con lui, fu arcivescovo dal 1361, dopo essere stato vescovo di Teano, fino alla morte nel 1374. Conseguì il dottorato in diritto canonico e fu cappellano del cardinale Roberto da Ginevra. Il 18 febbr. 1370 fu nominato da Urbano V vescovo di Castellammare di Stabia; il 18 maggio 1373 fu trasferito da Gregorio XI alla diocesi di Cassano in Calabria.
Come familiare di Roberto da Ginevra, fu presente a Roma nel marzo-aprile 1378 agli avvenimenti che precedettero e accompagnarono l'elezione al pontificato di Bartolomeo Prignano, il quale prese il nome di Urbano VI. Ne rese successivamente una importante testimonianza. Il D., il quale pare avesse buoni rapporti col Prignano già prima della sua elezione, gli rimase fedele anche dopo lo scisma provocato dai cardinali dissidenti, e benché questi ultimi come nuovo papa avessero eletto a Fondi il 20 sett. 1378 proprio il suo antico protettore, il cardinale Roberto da Ginevra. Urbano VI lo compensò nominandolo nel 1379 arcivescovo di Brindisi e Oria.
Nel novembre di quell'anno il nuovo arcivescovo rendeva a Roma la sua deposizione testimoniale in favore del Prignano. Egli dichiarò che Roberto da Ginevra, consacrato papa a Fondi il 31 ott. 1378 col nome di Clemente VII, già prima della morte di Gregorio XI e fino al suo ingresso in conclave, si era adoperato con altri sette cardinali per impedire l'elezione di un limosino e vi aveva contrapposto due candidature, una delle quali, come egli stesso gli aveva rivelato, era quella dell'arcivescovo di Bari, il Prignano. Tale testimonianza - la cui corrispondenza al vero non è ora accertabile e rimane perciò dubbia ai nostri occhi, ma non del tutto inverosimile - aveva lo scopo di dimostrare che la scelta del Prignano non era stata influenzata minimamente dai disordini popolari avvenuti durante lo svolgimento del conclave cardinalizio; e inoltre denunciava, da parte di chi gli era stato vicino, la malafede di Clemente VII.
Pare che il D. non abbia mai preso possesso effettivo della diocesi di Brindisi, il cui governo era invece nelle mani di Gurello, l'arcivescovo nominato nel febbraio 1379 da Clemente VII, pontefice al quale aderiva il Regno napoletano per volontà della regina Giovanna I d'Angiò. Fu poi trasferito da Urbano VI, prima del giugno 1380, all'arcidiocesi di Taranto, dove pure gli fu contrapposto un arcivescovo di nomina clementista. Ma il D., che in anni non definiti sarebbe già stato cappellano pontificio e "causarum palatii apostolici auditor", continuò a prestare la sua attività alla Curia di Urbano VI, del quale era tesoriere nel giugno del 1380. Fu pure inviato dal papa come legato apostolico in Ungheria (probabilmente nella prima metà del 1380, e comunque prima dell'agosto) per trattare col sovrano di quel Regno, Luigi I, la decisa azione contro Giovanna I di Napoli che si era dichiarata per Clemente VII: alla guida dell'impresa doveva essere posto Carlo d'Angiò Durazzo, designato come nuovo re di Napoli. Il D. venne intanto nominato anche camerario pontificio e vicario in temporalibus nella città di Todi. Il 13 nov. 1381 Urbano VI lo nominò suo vicario nel Patrimonio di S. Pietro e nel Ducato di Spoleto. Nello stesso anno divenne pure amministratore della diocesi di Aversa. Dopo il 15 luglio 1383, quando compare ancora in un documento soltanto come camerario e arcivescovo di Taranto, e prima del 1385, fu creato da Urbano VI cardinale del titolo di S. Pudenziana.
Ai primi di gennaio del 1385 fu accusato, su rivelazione del cardinale Tommaso Orsini di Manoppello, di avere partecipato ad una congiura contro Urbano VI organizzata dal cardinale Bartolomeo Mezzavacca con la complicità del nuovo re di Napoli, Carlo III. L'11 gennaio fu arrestato dal nipote del papa, Francesco Prignano, insieme con altri cinque cardinali - Bartolomeo di Cogorno, Gentile da Sangro, Giovanni d'Amelia, Ludovico Donati, e l'inglese Adam Easton - che, come lui, si trovavano nel castello di Nocera, nel quale si erano recati per prendere parte alla riunione concistoriale che aveva luogo ogni settimana.
Sottoposti a lunghe ed atroci torture nel corso degli interrogatori condotti da parte del priore gerosolimitano Basilio da Levanto, il D. ed i suoi sventurati compagni avrebbero confessato che lo scopo del loro complotto era quello di impadronirsi della persona del pontefice per poter accusare quest'ultimo di eresia, farlo sottoporre a processo da parte del Collegio cardinalizio e infine farlo condannare al rogo. Ma era stata anche contemplata la possibilità giuridica di fare dichiarare dal Collegio dei cardinali l'incapacità mentale del pontefice e di giungere così alla nomina di uno o più curatori della Sede apostolica. L'obiettivo - si volesse o no arrivare alla condanna a morte e all'elezione al soglio di Pietro dello stesso Mezzavacca o del cardinale Ludovico Donati - era comunque quello di porre termine, attraverso un colpo di mano previsto, sembra, per il 13 o il 20 gennaio, alla politica di Urbano VI: questi non riconosceva al Collegio cardinalizio le pretese di partecipazione, che esso accampava nei confronti del governo della Chiesa, e nella questione napoletana aveva assunto un atteggiamento ostile al re Carlo III.
All'arresto e alla confessione del D. seguirono naturalmente la sua deposizione e la sua scomunica; pure scomunicati furono gli altri cardinali e gli stessi sovrani napoletani. Il D. trascorse una terribile prigionia nel castello di Nocera, che era assediato dall'esercito di Carlo III: rinchiuso nell'umido di una vecchia cisterna, legato con pesanti catene, soffrì la fame, la sete, il freddo. L'8 luglio 1385 fu costretto a seguire Urbano VI che, con l'aiuto di Tommaso Sanseverino, riuscì a rompere l'assedio e trascinò con sé i cardinali prigionieri in una drammatica fuga attraverso gli Appennini che si concluse a Bari, dove il papa si imbarcò su navi genovesi. Il 23 settembre, quando il papa entrò a Genova e stabilì la sua residenza nella commenda di S. Giovanni di Pre, lo seguivano ancora il D. e gli altri prigionieri, che furono rinchiusi nei sotterranei dell'edificio. Ne uscì soltanto il cardinale Adam Easton, liberato perché pare avesse avuto una parte secondaria nella congiura e per l'interessamento del re Riccardo II d'Inghilterra.
A nulla valsero per tutti gli altri prigionieri le intercessioni dei Genovesi e un tentativo anche a mano armata di procurarne l'evasione; si sospettò anzi che questo fallito colpo di mano fosse parte di un nuovo complotto per uccidere Urbano VI, al quale avrebbe partecipato ancora Bartolomeo Mezzavacca. Appunto a Genova si perdono, sul finire del 1386, le tracce del Del Giudice. Allorché il 16 dicembre Urbano VI lasciò la città con la Curia pontificia, il D. e gli altri quattro cardinali ancora prigionieri non erano più con lui. La loro sorte è oscura. Corse voce che prima della partenza fossero stati fatti uccidere dal papa.
Fonti e Bibl.: T. Walsingham, Historia Anglicana, a cura di H. T. Riley, I, London 1863, pp. 122 s.; Chronicon Siculum, a cura di G. De Blasiis, Napoli 1887, pp. 54-57; T. de Nyem, De scismate libri tres, a cura di G. Erler, Lipsiae 1890, pp. 39, 77-95, 101 ss., 110; G. Person, Cosmidromius, a cura di M. Jansen, Münster 1900, pp. 97-101, 106, 110, 116, 120 s.; O. Rinaldi, Annales eccles., XVII, Coloniae Agrippinae 1694, pp. 1 s.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, col. 492; VI, ibid. 1720, coll. 570, 661; VII, ibid. 1721, coll. 233-36; IX, ibid. 1721, coll. 139 s.; H. Simonsfeld, Analekten zur Papst- und Konziliengeschichte im 14. und 15. Jahrhundert, in Abhandlungen der histor. Classe der Königlichen bayerischen Akademie der Wissenschaften, XX (1892), p. 41; H. V. Sauerland, Aktenstücke zur Gesch. des Papstes Urban VI., in Historisches Jahrbuch, XIV (1893). p. 822; N. Valois, La France et le grand schisme d'Occident, I, Paris 1896, p. 27; G. Cogo, Delle relazioni tra Urbano VI e la Repubblica di Genova, in Giorn. ligustico di archeol., storia e letter., XXII (1897), pp. 444, 450-53; M. Souchon, Die Papstwahlen in der Zeit des grossen Schismas. Entwicklung und Verfassungskämpfe des Kardinalates von 1378-1417, I, Braunschweig 1899, pp. 37, 274 s.; S. Baluze, Vitae Paparum Avenionensium, a cura di G. Mollat, II, Paris 1928, p. 648; F. Babudri, Lo scisma d'Occidente e i suoi riflessi sulla Chiesa di Brindisi, in Arch. stor. pugliese, VIII (1955), pp. 102-08; P. Stacul, Il cardinale Pileo da Prata, Roma 1957, p. 176; O. Přerovský, L'elezione di Urbano VI e l'insorgere dello scisma d'Occidente, Roma 1960, p. 51; S. Fodale, La politica napol. di Urbano VI, Caltanissetta-Roma 1973, pp. 115, 120; E. Pasztor, La Curia romana all'inizio dello scisma d'Occidente, in Genèse et débuts du grand schisme d'Occident (1362-1394), Paris 1980, p. 37; P. B. Gams, Series episcoporum Ecclesiae catholicae, pp. 855, 862, 871 s., 929; C. Eubel, Hierarchia catholica…, I, Monasterii 1913, pp. 24, 149, 170, 462, 473.