FILANGIERI, Marino
Nacque intorno al 1195 da Giordano, documentato come possessore di feudi a Nocera (Salerno) tra il 1176 e il 1227, e da Oranpiasa, in una famiglia discendente dal normanno Angerius, insediatasi verso il 1100 nel Nocerino. Fratello dell'imperialis marescalcus Riccardo, abbracciò lo stato ecclesiastico e ottenne il suo primo canonicato a Salerno. Il rango della famiglia gli consentì studi giuridici a Bologna, dove nel giugno 1224 fece glossare il suo apparato dell'Ugolinus.
Dopo la morte dell'arcivescovo di Bari Andrea di Celano, nel settembre 1225 il capitolo del duomo presentò a papa Onorio III tre candidati alla successione: il F., il priore di S. Nicola di Bari Blandemirusde Baro e il vescovo Giovanni di Boiano. Su queste candidature si svolsero trattative tra il pontefice e i rappresentanti dell'imperatore probabilmente già nel gennaio 1226. Il 21 dic. 1226 però Onorio III, col pretesto di vizi procedurali, respinte le candidature e le richieste del capitolo, di sua autorità nominò il F. nuovo arcivescovo di Bari, ordinandolo diacono mentre si trovava a Roma. Il nuovo papa Gregorio IX eseguì personalmente la consacrazione arcivescovile nel marzo 1227 e, prima che il F. partisse per la sua diocesi, gli conferì anche il pallio.
Come arcivescovo di Bari nel 1227 il F. entrò nel Consiglio dell'imperatore con il rango di familiare, soggiornò regolarmente a corte e svolse diverse missioni diplomatiche. Nell'ottobre 1227 con l'arcivescovo Lando di Reggio, il duca Rainaldo da Spoleto e l'ammiraglio Enrico conte di Malta si recò in Curia, per giustificare la rinuncia alla crociata da parte di Federico II. La missione si risolse in un insuccesso perché Gregorio IX non accettò le ragioni dell'imperatore, e il 18 nov. 1227 nella basilica di S. Pietro a Roma rinnovò solennemente la scomunica già inflitta a Federico ad Anagni il 29 settembre.
Nell'estate 1228 il F. seguì Federico nella crociata in Terrasanta. Subito dopo l'arrivo a San Giovanni d'Acri, in settembre, l'imperatore però lo rinviò insieme con il conte Enrico di Malta al papa per tentare di ricomporre il conflitto con la Chiesa di Roma. Gregorio IX, pur ricevendo gli inviati, non accettò l'offerta di trattative da parte dell'imperatore. Parimenti infruttuoso fu il nuovo tentativo di Federico II che, rientrato in Puglia dalla crociata, formò un esercito per riconquistare le province occupate durante la sua assenza dagli eserciti pontifici, nominando Hermann von Salza, Lando da Reggio e il F. legatos pro pace per trattare con il pontefice (giugno 1229).
Quando la pace con la Chiesa fu finalmente conclusa, il 22 luglio 1230, il F. era a San Germano tra i grandi del Regno che con la loro presenza dovevano dare valore ai giuramenti e alle promesse di risarcimento prestati per conto dell'imperatore da Tommaso d'Aquino conte di Acerra.
Durante l'elaborazione delle costituzioni di Melfi il F., come familiare dell'imperatore, soggiornò nella città. Nell'agosto 1231 era però di nuovo impegnato a trattare, a fianco di Hermann von Salza, con il papa a Rieti. Tra le questioni in discussione vi erano la situazione lombarda e l'assetto politico della Terrasanta: Gregorio IX si dichiarò pronto a riconoscere Federico II re di Gerusalemme e ad accettare l'invio del fratello del F., Riccardo, in Terrasanta come suo legato e luogotenente.
Anche se negli anni successivi il F. non è più menzionato tra i membri della corte, due lettere di Gregorio IX del 1236 e del 1238 provano che non aveva messo piede nella sua diocesi per anni, motivo per cui si può ritenere che per un lungo periodo sia rimasto al seguito dell'imperatore. Nel giugno 1238 partecipò alla consacrazione della chiesa di S. Maria Materdomini a Verona alla presenza di Federico. Nel febbraio 1242 insieme con il nuovo gran maestro dell'Ordine teutonico Gerhard von Malberg e il cappellano di corte Ruggero Porcastrella fece parte di un'ennesima ambasceria imperiale presso il Collegio cardinalizio. Nel maggio 1242 fu per l'ultima volta alla corte dell'imperatore a Capua.
Gregorio IX col passare degli anni affidò al F. una serie crescente di incarichi per conto della Curia e scambiò ripetutamente missive con lui a proposito dei cristiani di rito greco nell'Italia meridionale. Nel 1231 il F. condusse un'indagine sulla situazione del monastero di S. Tommaso a Rutigliano, presso Conversano, e ne affidò la riforma alla Congregazione florense, molto apprezzata da Gregorio IX. Numerose furono le inchieste svolte dal F. su prelati discussi come Andrea d'Acerenza e Tommasino da Potenza, su abati sospetti e su episodi di decadenza della vita monastica. In seguito dovette anche comporre tensioni tra alti prelati e i domenicani. Del resto indulgenze e dispense provano la costante benevolenza di Gregorio IX nei suoi confronti.
A Bari, poco dopo il suo arrivo, il F. richiese l'obbedienza dal priore e dal capitolo di S. Nicola e conseguentemente la rinuncia all'esenzione e al rango di chiesa di corte. Il processo, che si inasprì progressivamente e riattizzò l'antica rivalità tra la cattedrale e la chiesa di corte, finì dinanzi alla Curia di Roma. Mentre la vertenza era ancora indecisa, il F., spazientitosi per le manovre dilatorie del capitolo di S. Nicola, fece comminare l'interdetto contro la chiesa di corte e scomunicare i suoi chierici. Pietro della Vigna e il cappellano di corte Porcastrella nel 1238-39 consigliarono tuttavia al F. di levare l'interdetto per evitare di irritare l'imperatore. Quando nel 1243 il F. cadde in disgrazia presso Federico II, il capitolo di S. Nicola portò il processo dinanzi al tribunale della magna curia, la cui sentenza ci è ignota, ma, dato che l'immunità e l'esenzione della chiesa nel 1254 furono apertamente riconosciute dal successore del F. e nel 1268 da papa Clemente IV, possiamo concludere che l'attacco del F. si risolse di fatto in un rafforzamento dello status giuridico della chiesa di S. Nicola.
Un altro conflitto lo oppose al monastero di Ognissanti di Cuti, al quale contestò l'esenzione dalla giurisdizione arcivescovile. Ma l'iniziativa si risolse in un insuccesso, dato che Alessandro IV nel 1256 confermò esplicitamente l'esenzione goduta dai monaci.
Nel giugno 1243 i fratelli del F. Riccardo, Enrico e Lottiero in circostanze poco onorevoli abbandonarono Tiro nelle mani dei baroni della Terrasanta in rivolta, determinando così la caduta dell'ultimo bastione del dominio di Federico II e Corrado in Oriente, che l'imperatore aveva affidato a Riccardo con l'autorità di reggente. La collera di Federico si abbatté pure sui familiari di questo, e il F. fu probabilmente costretto all'esilio. Negli anni 1243-44 visse a Roma. Nel dicembre 1243 per incarico di Innocenzo IV assolse il conte Raimondo di Tolosa, che era intervenuto presso l'imperatore a favore della liberazione dei fratelli del F. e aveva offerto loro rifugio a Tolosa. Da Roma il F. nel 1245 si recò a Lione, dove insieme con altri prelati in luglio autenticò la copia dei documenti emessi dalla Chiesa di Roma per la preparazione del processo contro l'imperatore, pur non prendendo di fronte al concilio una posizione di aperta accusa contro Federico. In un mandato dell'ottobre 1246 questi lo qualificava ancora come "fidelis noster". In seguito la rottura fra il F. e l'imperatore diventò inevitabile. Quando Federico II riunì alla corona il feudo barese di Bitritto, nel 1248 il F. si appellò al papa per la restituzione. Nel maggio 1249 spedì un vidimus all'abate di Cluny, il che prova che in quel periodo si trovava ancora in Francia, nei pressi del monastero borgognone.
Dopo la morte di Lando da Messina il F. era divenuto l'alto prelato più illustre e anche, grazie all'influenza della sua famiglia, il più influente fra il clero meridionale in esilio. Per tale ragione Innocenzo IV inviò, poco dopo la morte dell'imperatore e ancora prima del legato Pietro Capocci, proprio il F. nel Regno per alimentare i disordini scoppiati contro il dominio svevo e promuovere un partito filoecclesiastico tra i baroni, l'alto clero e le città. Il F. non ebbe però modo di portare a termine il delicato incarico. Morì infatti il 6 luglio 1251, secondo le indicazioni trasmesseci dall'obituario del monastero femminile di S. Patrizia a Napoli, nella cui comunità di preghiera il F. era stato accolto.
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