CARACCIOLO, Marino Francesco Maria
Nacque a Resina, presso Napoli, il 17 luglio 1668, da Francesco Marino principe di Avellino e da Geronima di Ettore Pignatelli, duca di Monteleone. A soli sei anni rimase orfano del padre, dal quale ereditò, oltre il titolo di principe di Avellino, anche una fortuna colossale: infatti i feudi della casa comprendevano gran parte delle province interne della odierna Campania, e davano una rendita di molte migliaia di ducati ogni mese facendo così della casa Caracciolo d'Avellino la famiglia più ricca e più potente del Regno di Napoli. Nominato dal re Carlo II, con diploma del 4 marzo 1675, generale della cavalleria dei catafratti del Regno, (titolo ereditario nella sua famiglia), il C. trascorse la sua fanciullezza ad Avellino, educato dai migliori precettori napoletani, fra i quali Filippo Anastasio, notissimo uomo di lettere, il quale gli trasmise l'amore per gli studi letterari. Nel luglio 1687 il C. sposò Antonia Spinola Colonna marchesa de los Balbases, che gli portò una dote di 60.000 ducati. Con questo matrimonio, celebrato dallo stesso Anastasio, che per l'occasione compose anche alcuni sonetti, cresceva non solo la ricchezza ma anche la potenza del C., in quanto gli Spinola Colonna erano una famiglia influente: uno zio della moglie, Lorenzo Onofrio Colonna, era gran connestabile del Regno e poi, per la morte del viceré marchese Capio, ne fu nominato reggente. Fu per questo appoggio che il C. poté far assegnare nello stesso 1687 la cattedra di diritto civile e poi di diritto canonico nello Studio di Napoli a Filippo Anastasio, nonostante le proteste degli studiosi napoletani. In questi anni il C. fece parte della colonia sebezia dell'Arcadia di Napoli e, con lo pseudonimo di Clizio Lusiano, compose un Ragionamento pastorale, di scarso valore poetico. Ma ben presto il C., di carattere molto impulsivo, doveva rivelarsi più incline alla vita avventurosa che a quella tranquilla del letterato.
Nel 1687, per aver fatto uccidere alcuni soldati, fu salvato dalla prigione dallo zio reggente; cinque anni più tardi, fu imprigionato in Castel Sant'Elmo per l'uccisione di un suo vassallo che non aveva tenuto fede alla parola datagli: ma anche in questa occasione riuscì a salvarsi, ottenendo la grazia dal viceré. Nell'aprile del 1694 affrontò certi popolani che gli avevano mancato di rispetto: ma, essendo in forte svantaggio numerico, per salvare la vita, sia pure a danno della reputazione, il C. pensò bene di mettersi in fuga. A causa del suo carattere dispotico, ma anche per l'invidia che suscitava la sua potenza, il C. non gode mai di molte simpatie: così, quando nel 1699 morì Marino Festa, lasciando moltissimi debiti, si disse che questi si era indebitato per dare una forte somma al principe, allora gran cancelliere del Regno, in cambio dell'"ufficio" di segretario del Collegio dei dottori di Napoli. Sempre nello stesso anno il C. diede una prova della grande potenza della sua casa, facendo ottenere la promozione dell'Anastasio ad arcivescovo di Sorrento.
Negli anni difficili dell'inizio del sec. XVIII il C. seppe guadagnarsi la stima di Filippo V di Spagna: infatti, quando nel 1701 scoppiò a Napoli la congiura del principe di Macchia, per dimostrare la sua fedeltà al re, mandò un contingente di duecento soldati al preside della provincia di Principato Ultra, per aiutarlo a sedare la rivolta in quelle terre. L'anno dopo si recò di persona in Lombardia. con un grosso corpo d'esercito, armato a sue spese, per combattere agli ordini di Filippo V. Ma, nonostante i servizi resi e le alte spese sostenute (più di 100.000 scudi per la sola spedizione in Lombardia), il C. ottenne una meschina ricompensa, almeno tale gli apparve il titolo di maresciallo di campo, soprattutto se confrontato ai titoli ben più alti che altri nobili avevano ricevuto, pur non impegnandosi quanto lui. Da questo momento si incrinarono i rapporti fra il C. e il re di Spagna, sicché, quando scoppiò la guerra tra Spagnoli e Austriaci per il possesso del Regno: di Napoli, egli maturò il disegno di trame vendetta, ponendosi a capo del partito austriaco a Napoli. Infatti nel luglio del 1707 armò ben quattromila soldati, con i quali presidiò la gola di Monteforte, impedendo così al principe di Castiglione, comandante della cavalleria spagnola, di prendere la via degli Abruzzi: nello stesso tempo, con un altro contingente, occupò la campagna di Mercato San Severino, chiudendogli anche l'accesso al porto di Salerno. Intanto era già sceso dal nord il conte Daun, comandante in capo dell'armata austriaca, davanti al quale ben presto gli Spagnoli furono costretti ad arrendersi.
La vittoria e, poi, la conquista del Regno da parte dell'Austria portarono al C., con il titolo di cavaliere del Toson d'oro e quello, molto più ambito, di grande di Spagna di prima classe, anche molte invidie. Un anonimo e mordace scrittore del tempo lo definì, infatti, "empio Fellone", "vicario indegno" e "traditore di Dio, Re e Patria" erano accuse molto gravi, che il C. forse non meritava neppure, perché egli, più che quella del cospiratore e del traditore, aveva la tempra del cortigiano, sempre felice di prodigarsi, per qualsiasi governo, pur di ottenere in cambio dignità e onori tali da soddisfare la sua smodata ambizione.
Re Carlo comprese molto bene questa sua natura, e perciò lo nominò ambasciatore ordinario di Spagna presso il pontefice Clemente XI. Così nel 1710 con il suo numeroso seguito, più di centottanta persone fra servi e vassalli, si trasferì a Roma, nel palazzo Piombino a piazza Colonna, dove rimase per circa due anni. Agli inizi del 1712 chiese e ottenne di essere dispensato dall'incarico di ambasciatore, con una decisione tanto improvvisa, quanto inspiegabile. Eppure in quei due anni aveva assolto molto bene l'incarico, tanto è vero che Carlo VI lo premiò, per le spese straordinarie sostenute e per il buon servizio svolto, con un'alta gratifica in denaro che si aggiungeva allo stipendio di 40.000 ducati annui. Ritornò a Napoli, dove abitò ancora per pochi anni, e dove ricevette da Carlo VI due diplomi, che lo insignivano del titolo di principe del Sacro Romano Impero, nel 1715, e di consigliere intimo imperiale, nel 1716. Da Napoli si trasferì poi a Vienna, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita.
Morì, con sospetto di veleno, il 18 febbr. 1720 a Vienna, e le spoglie furono trasportate, alcuni anni dopo, ad Avellino.
Fonti e Bibl.: Napoli, Bibl. della Soc. napoletana di st. patria, ms. XXC. 23: Libro de' segreti o Epilogo di molti pregiuditij et obbrobrij delle fam. nobili della Città e Regno di Napoli,altrimenti chiamato libro d'inferno, pp. 1 s.; G. M. Crescimbeni, Dell'Historia della volgar poesia, VI, Venezia 1730, p. 373; Racconto [anonimo] di varie notizie accadute nella città di Napoli dall'anno 1700 al 1732, in Arch. stor. per le prov. napoletane, XXXI (1906), pp. 437, 439; D. Confuorto, Giornali di Napoli dal MDCLXXIX al MDCIC, a cura di N. Nicolini, Napoli 1930, I, pp. 180, 183 s., 192, 197-200, 708, 300, 305, 312, 333; II, pp. 5, 11, 18 s., 101, 121, 123, 1771, 334 ss., 339; G. Gravina, Curia romana e Regno di Napoli. Cron. polit. e relig. nelle lettere a F. Pignatelli, a cura di A. Sarubbi, Napoli 1972, pp. 323 s., 327, 332-34, 341, 3433 345 s., 352, 354 s., 358; L. Carini, L'Arcadia dal 1690 al 1890, I, Roma 1891, p. 393; F. Caracciolo, Mem. della famiglia Caracciolo di Napoli, II, Napoli 1896, pp. 174-177, 198-229, 313, 321-330, 333, 368 s., 389; A. Caracciolo di Torchiarolo, Una vittima della Giunta di Stato nella prima metà del sec. XVIII, Avellino 1936, pp. 3-5, 12-15; Relazioni di ambasciatori sabaudi,genovesi e veneti (1693-1713), a cura di C. Morandi, Bologna 1935, p. 124; A. Caracciolo di Torchiarolo, Una famiglia italianissima. I Caracciolo di Napoli nella storia e nella leggenda, Napoli 1939, pp. 97 ss.; G. Coniglio, Il Viceregno di Napoli nel sec. XVII, Roma 1955, p. 58; R. Colapietra, Vita pubblica e classi politiche del Viceregno napoletano (1656-1734), Roma 1961, pp. 12, 196 s.; F. Nicolini, Vico storico, Napoli 1967, pp. 365 s.; A. Di Vittorio, Gli Austriaci e il Regno di Napoli (1707-1734). Le finanzepubbliche, Napoli 1969, p. 41; G. Galasso, Napolispagnola dopo Masaniello, Napoli 1972, pp. 270 s.; F. Fabris, La geneal. della fam. Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tavv. VI, VIII A.