FRECCIA (Frezza), Marino
Nasce nel 1503 a Ravello, sulla costiera amalfitana, da Antonio, dottore in utroque iure, e da Sveva Ventimiglia, in una famiglia illustrata da autorevolissimi giuristi, come il suo stesso genitore. Seguendo, dunque, la consolidata tradizione domestica, è sollecitato agli studi di diritto che conclude il 28 febbraio 1522 discutendo il rapporto tra il testo della costituzione lotariana circa la vendita dei feudi e la disciplina fissata nel Regno. Egli stabilisce quindi uno stretto rapporto culturale e accademico con il gruppo dei Capece-Loffredo, che dominava in quegli anni lo scenario giuridico napoletano e intraprende con largo successo l'avvocatura, sostenendo con assiduità le ragioni processuali dei baroni. Il 20 marzo 1526 completa il Tractatus de praesentatione instrumentorum ad ritum magnae Curiae Vicariae, un "opuscolo", come egli stesso lo definisce, cui attenderà con integrazioni per tutta la vita e che sarà dato alle stampe postumo a cura e con le addizioni di P. Fusco vescovo di Ravello, successivamente di Sarno. Dedicato a Scipione e Carlo Freccia e sostenuto da una serie di riscontri puntuali, il trattato sul regime dei titoli esecutivi muove da un orientamento prammatico del F. rispetto alla linea teorica sviluppata dal genitore. Alla citata prima edizione veneziana del 1569 "apud M. de Maria", ne seguono altre due, una del 1589 "apud N. Morettum", in cui figurano acclusi altri trattati sul tema di P. Dal Pozzo, F. Antonio del Giudice, B. Pandi, A. Gagliardi, e l'altra del 1590 "apud N. Bottis & J.A. de Maria". Benché C. Borrelli voglia stornarne la paternità a suo zio B. Sirifilo (Summa decisionum de Laudemiis, Augustae Taurinorum 1629, II, tit. XIX, n. 37), l'opera è d'indubbia attribuzione, attestata dalla sottoscrizione finale (ed. 1590, p. 200 n. 5). In età toledana il F. svolge la lectura di ius feudorum, ma non è certa la sua presenza nello Studium in età giovanile, come è invece stato sostenuto (Cilento, p. 283). Sicura, benché dissimulata, è la presenza del F. nel dibattito culturale napoletano degli anni Trenta. La posizione da lui assunta nella disputa è indicata dalla vicenda della nomina a regio consigliere.
La controversia circa la spettanza degli emolumenti del viceprotonotaro tra Fernando Spinelli, duca di Castrovillari e protonotaro, e Cicco de Loffredo, presidente del Sacro Regio Consiglio e, in quanto tale, viceprotonotaro, contrappone due logiche di potere: una connessa al risalente "valore" della dignitas, l'altra ai criteri propri del gestire.
Il F., pur vicino al Loffredo, produce un'allegazione a sostegno delle ragioni del duca in cui adduce il pensiero di B. de Chasseneuz sull'unitarietà degli offici e "alia plurima" secondo una linea che, pur mossa da evidente logica di parte, si palesa tuttavia segnatamente ostile a una concezione frazionata del potere. Lo Spinelli ottiene dal sovrano di poter scegliere un consigliere che lo assista nel suo ufficio e nel 1533 segnala per la nomina il F. al viceré Pedro de Toledo. Tuttavia l'iter s'inceppa: il giurista, per non restar compromesso in un quadro confuso e incerto, dichiara che ha inteso tenersi in disparte, ma è evidente che resistenze entro l'apparato si determinano nei confronti di chi, alla prova, mostri di assumere posizioni filonobiliari. E la designazione del F. resta congelata fino alla visita dell'imperatore Carlo V a Napoli.
Nel nuovo contesto, attuata la riforma del Regio Consiglio e caduto il veto di Cicco de Loffredo in seguito alla nomina a reggente in Collaterale, l'8 dic. 1539 il F. consegue l'ufficio di consigliere con provvigione di 400 ducati.
Il primo decennio è caratterizzato dall'irrigidirsi del governo toledano verso tutti gli oppositori: dalla destituzione di Scipione Capece e di Nicola Jacopo de Raynaldis alla connessa chiusura delle accademie ritenute sedi di pericoloso dibattito (28 febbr. 1543), dall'acuirsi dello scontro al vertice dell'apparato alla formale sanzione sovrana dell'innovazione costituzionale (30 ott. 1543), fino alla drammatica vicenda del 1547.
In una temperie così tesa il F. si guarda bene persino dal far figurare il suo nome tra i soci dell'Accademia dei Sereni, costituita nel 1546 su iniziativa di G.F. Muscettola e F. Carafa dai patrizi del "seggio" di Nido, cui anch'egli è ascritto; ma intanto la sua esperienza resta segnata da opere storico-giuridiche di esimi accademici, come il Capece e l'Ottinelli.
Indicativa di specifiche linee di tendenza si palesa la questione complessa delle precedenze che, nella sua valenza definitoria delle gerarchie interne e fra i ceti, è tema ricorrente nelle pronunzie del giurista. Il criterio della prevalenza dell'ordine, ossia del gradus e non della mera dignitas, trova su questo terreno giustificazione non astratta e formale, ma effettuale.
Molto delicata per il F. si presenta in questa fase la vicenda del processo imbastito contro B. Camerario. Il F. figura tra i giudici commissari non sospetti per i quali il luogotenente esprime una compromettente satisfación, ma il 14 marzo 1547 concorre all'emanazione della sentenza capitale: le ragioni del potere ministeriale appaiono ancora una volta al F. più che mai intangibili.
La prudenza "sistematica" del F. si rivela nel 1550, quando redige il rituale indirizzo Ad lectorem per la pubblicazione, a cura e con le addizioni di M. Bono, dell'Aurea glossa di Bartolomeo di Capua alle Costituzioni, con annessi i più autorevoli commenti a Capitoli, Riti e Prammatiche del Regno: un patrimonio compatto della tradizione giuridica patria, colta secondo una larvata angolatura filoangioina. Sul giurista incline a perseguire una linea municipalistica, l'intimidazione del vertice, presente ancora il Toledo, perdura tuttavia efficace. La scomparsa di don Pedro sembra invece d'improvviso riaprire i giochi a molteplici livelli, politico, sociale e culturale.
Il clima di fervente aspettativa della nobiltà di spada in un'inversione politico-istituzionale assume espressioni molteplici: l'invio dell'autorevole ambasciatore G. Seripando a corte, la redazione del memoriale di G.C. Caracciolo, la risposta all'esigenza sentitissima nell'aristocrazia di seggio di "attestare" in via documentale i diritti, i privilegi, le precedenze, ossia il possesso consolidato, e perciò inespropriabile, del proprio status, un obiettivo specifico cui vengono finalizzati i Libri praecedentiarum.
Per la frequentazione giurisdizionale, come avvocato e regio consigliere, per la stessa lectura, la "chiave" feudale costituisce la costante, secondo cui il F., indotto dalla più autorevole e ben nota letteratura giuridica europea del primo Cinquecento (Alciato, Budé, Chasseneuz, Zasio) osserva tutta la complessa dimensione giuridica nel divenire storico. Con questa tipicità d'approccio, secondo circostanze molto varie per sede professionale ma soprattutto per matrice e contesto politico-giuridico, egli concepisce "aliquos labores… in abstrusa Feudorum Sylva".
Queste "formelle", come tessere disparate in un mosaico delineato solo a posteriori, risultano dunque nate, per riconoscimento stesso dell'autore, non da un preordinato disegno unificante, ed essendo pregne di valenza politica, non possono essere singolarmente decontestualizzate. Il "ponderato" disinteresse del giurista per un'aprioristica linea di reductio ad unum non si può, perciò, in sede storiografica riduttivamente ritenere un limite oggettivo come pur è stato sostenuto (Cilento). Men che mai un prestabilito criterio unico accompagna il F. nell'opera paziente e preziosa di estrazione di dati storici relativi al Regno, alla sua struttura geopolitica, ai suoi feudatari e ai suoi uffici, da rari manoscritti di cui era impreziosita la biblioteca del giurista. Del resto, è lo stesso F. a dichiarare di aver spesso meditato di voler dare a quella congerie di elementi disparati un impianto organico e sintetico.
Deliberata la messa in stampa, l'impresa editoriale è commissionata alla prestigiosa officina di M. Cancer, da oltre vent'anni presente sulla scena della tipografia napoletana e che nel 1554 realizza una trilogia di assoluto rilievo: la Praxis criminalis di P. Follerio, i Commentaria di A. Troisi alle Prammatiche del Regno e appunto il De subfeudis del Freccia. La commessa editoriale è conclusa dallo stesso giurista o, suo tramite, dai Seggi della capitale.
Contestualmente il F. compra con patto di retrovendita da F. Sanseverino il feudo di Castellabate in Principato e, pendente ancora il termine, senza aver quindi chiesto ai vassalli l'adiutorio, acquista dal marchese di Pescara F.F. d'Avalos la città di Lettere, già appartenuta ai progenitori materni. Il 12 marzo, però, a seguito della devoluzione dello "Stato" del principe di Salerno per fellonia, il fisco, sostenendo che il patto di retrovendita non era definitivamente perfezionato, avoca il possesso della terra di Castellabate, che dalla Regia Camera viene messa all'asta come terra venalis. Il F. riesce a conservarne la titolarità in quanto ultimo licitatore e miglior offerente, ma non a conseguire l'adiutorio dai vassalli di Lettere.
Sul versante più strettamente familiare, dal matrimonio con Delia Scatteretica, primogenita di Marino e di Beatrice Santomanco di Salerno, figlia del barone di Pannarano, nascono ben otto figli, sei maschi e due femmine. Ben cinque di questi moriranno però uno dopo l'altro e nel 1554, ossia durante la preparazione editoriale del De subfeudis, altri due figli si ammalano. Il 1° settembre il F. licenzia il secondo libro e, con l'auspicio che i figli possano recuperare la salute e che di conseguenza egli stesso possa recuperare la quiete d'animo, assicura di riuscire in breve a portare a termine l'opera. Ma le sue speranze non si realizzano: il 16 settembre a 15 anni muore il figlio Antonio e l'8 ottobre a 18 anni il primogenito "dilettissimo" Giovan Battista. Sopravvive in questo cruciale momento il solo figlio Scipione, cui più tardi si affiancherà Decio, dal matrimonio del quale con Alvina Rossi nascerà il non meno famoso giurista politico Fabio.
Intanto, l'accavallarsi delle vicende politiche nello scorcio del 1554 è singolare. Sorta controversia in Collaterale circa la precedenza del sindaco e degli eletti di Napoli sui baroni, il card. P. Pacheco incarica il F. di un parere. Questi tenta di rimettere ai Reggenti l'imbarazzante compito, ma pressato si pronunzia in favore degli eletti: il 20 ottobre il viceré dichiara che gli eletti hanno precedenza sui baroni. Domenica 25 ottobre, a seguito della rinuncia di Carlo V, viene prestato il solenne giuramento di fedeltà a Filippo innanzi al marchese di Pescara delegato della Corona e, come per il Te Deum del giorno successivo in cattedrale, l'ordine degli intervenuti si articola alla stregua del consulto frecciano: il 22 dicembre il F. sottoscrive l'importante parere anteposto al De subfeudis come Additio subito dopo il "Repertorio", redatto intanto dal Bono assieme con la "Epistola nuncupatoria". Il F. sembra al culmine della fortuna politica, ma il crollo è alle porte.
Restaurato nel 1556 il quadro politico, il F. ne è travolto. "Ex abrupto", istante l'avvocato fiscale O. De Curtis, viene sospeso "de facto" da Fadrique de Toledo per aver propalato i "voti" del Collegio giudicante in una famosa causa: una grave violazione al giuramento de silentio servando, che diventa fra giuristi oggetto emblematico di una diffusa trattazione, un vero e proprio caso di scuola. In effetti, a fronte della sospensione, gli addebiti che vengono via via mossi al F. si prospettano secondo una gamma molto ampia che va dal comportamento eticamente discutibile a veri e propri crimini di corruzione. Dal carteggio madrileno relativo alla visita (Cernigliaro, Iudex, passim) emerge un quadro ben diverso dall'"incidente tecnico" in cui si dice esser incappato il giurista: accuse precise e gravi (nella casa del F. giocano a carte e a dadi persino gli avvocati delle parti), benché riflettenti comportamenti diffusi nell'ambiente ministeriale. Tuttavia il F. non trova a discarico testi di prestigio come, invece, si verifica puntualmente in circostanze analoghe: a ben vedere, è ormai isolato.
Di fatto, dopo l'esilio a Capri per un biennio, nel giugno 1563 il F. viene estromesso dal ministero, nonostante il tentativo di autodifesa del 17 maggio proposto innanzi al visitatore. Vi si contesta la procedura di don Fadrique de Toledo, che ha applicato l'ordine sovrano in maniera indebita e ingiusta, utilizzandolo - senza ascoltare l'accusato - come pretesto per il decreto di privazione e di relegazione sulla base di testi sospetti oltreché contrari. Un vero processo politico a seguito del quale il F., privato di ogni dignità, è esposto agli attacchi dei nemici e alle accuse dei testimoni indotti con la violenza ad accusarlo.
Estromesso dai luoghi del potere, il F. si dedica a tempo pieno agli studi. La sua biblioteca si arricchisce di manoscritti preziosissimi (Chioccarello, p. 192), dove figurano, tra l'altro, le Leges Lombarde, l'Erchemperti historia cum chronica Salernitani, il Commentarius di Biagio da Morcone, il Chronicon Amalphitanum, il Chronicon Surrentinum, il De reintegratione feudorum di Paride Dal Pozzo. Il 16 ott. 1560 a Castellammare di Stabia porta a termine la fedele trascrizione dell'Historia di Erchemperto.
Dalle fonti manoscritte acquisisce elementi per redigere una Storia di Ravello, di cui fornisce puntuale notizia il Fusco, e per inserire diffusamente una messe di Additiones di carattere storico nel De subfeudis, senza tuttavia modificarne l'originario, disorganico impianto.
Pur integrato il Liber tertius, l'opera non sarà più pubblicata a Napoli. Nel 1575 viene, infatti, ristampata a Francoforte con il titolo Commentarii feudales in tres libros partiti a cura di S. Feyrabend. Nel 1579, dedicato al viceré I. Lopez Hurtado de Mendoza, il De subfeudis viene ristampato, per l'ultima volta, a Venezia per i tipi di N. de Bottis, a cura del nipote Cesare Freccia.
Il giurista produce nel contempo importanti Allegationes, tra cui molto rilevante è quella in tema di tratte, che lo vede pronunciarsi accanto a M. de Mauro in favore dei Lomellini. Dal Fusco, suo allievo devoto, si ha conoscenza di una silloge di Consilia di cui è possibile appurare contenuto e orientamento tramite i richiami puntuali nei Singularia del vescovo di Sarno. È significativo, altresí, il contributo che il F. diede alle Consuetudines Neapolitanae, che fin dall'edizione del 1588 ne attestano l'apporto.
Il 28 sett. 1566 il F. morì a Napoli e venne sepolto in S. Domenico.
Fonti e Bibl.: Archivo general de Simancas - Cons. naz. delle ricerche, Inventario, Visitas de Italia…, a cura di A. de La Plaza Bores - A. de La Plaza Santiago, Valladolid 1982, leg. 6, f. 2, leg. 91, ff. 1 s.: Visitas de Italia, 91.1-6; Napoli, Bibl. nazionale, Mss. I.F.62; P. Fusco, Singularia, Venetiis 1574, passim; B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus, Napoli 1780, ad vocem; L. Giustiniani, Memorie d. scrittori legali del Regno di Napoli, II, Napoli 1787, pp. 50-56. I testi indicati di seguito comprendono un'ampia bibliografia sul F.: N. Cilento, Di M. F. erudito napoletano del Cinquecento e di alcuni codici di cronache medievali a lui noti (Premessa allo studio del codice Vat. Lat. 5001), in Bull. dell'Istituto stor. italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, LXVIII (1956), pp. 281-309; B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari 1958, pp. 26-32; R. Colapietra, La storiografia napoletana del secondo Cinquecento, in Belfagor, XV (1960), 4, p. 435; C. Ghisalberti, M. F. e la storia del diritto feudale, in Clio, I (1965), pp. 576-598; V.I. Comparato, Uffici e società a Napoli (1600-47). Aspetti dell'ideologia del magistrato nell'Età moderna, Firenze 1974, pp. 59 n., 167, 171, 175 n., 177-180, 182, 335; A. Cernigliaro, Sovranità e feudo nel Regno di Napoli. 1505-1557, Napoli 1983, ad vocem; A.M. Rao, L'"amaro della feudalità", Napoli 1984, ad vocem; A. Cernigliaro, Patriae leges privatae rationes. Profili giuridico-istituzionali del Cinquecento napoletano, Napoli 1988, ad vocem; I. Del Bagno, Legum doctores. La formazione del ceto giuridico a Napoli tra Cinque e Seicento, Napoli 1993, pp. 105, 167, 208, 233; G. Vallone, Feudi e città. Studi di storia giuridica e istituzionale pugliese, Galatina 1993, pp. 48-52, 164 s.; R. Del Gratta, Feudum a fidelitate. Esperienze feudali e scienza giuridica dal Medioevo all'Età moderna, Pisa 1994, pp. 290 s., 301, 307; R. Pilati, Officia principis. Politica e amministrazione a Napoli nel Cinquecento, Napoli 1994, pp. 5, 265, 292; M.N. Miletti, Tra equità e dottrina. Il Sacro Regio Consiglio e le "Decisiones" di V. De Franchis, Napoli 1995, ad vocem; A. Cernigliaro, Iudex mutus, Torino 1996, ad vocem.