JONATA (Gionata), Marino
Nacque nei primi anni del Quattrocento ad Agnone, in Molise, dove trascorse la maggior parte della sua vita e dove svolse probabilmente l'attività di notaio. Le poche notizie sicure sulla sua biografia le ha fornite egli stesso nella sua opera El giardeno. Nel 1434 divenne terziario francescano per influenza di Giovanni da Capestrano che in quell'anno, durante il periodo della quaresima, aveva soggiornato ad Agnone. Nel febbraio 1443 lo J. si trovava a Napoli in occasione dell'ingresso solenne in città di Alfonso V d'Aragona; nel 1450, durante l'anno santo, si recò a Roma.
Lo J. ebbe almeno tre figli e si sposò due volte; nel 1455 rimase vedovo la prima volta; la seconda moglie era già morta nell'anno successivo. La peste del 1463 mieté numerose vittime nella sua famiglia. Non conosciamo la data della sua morte, che deve essere avvenuta tra il 1465 - dopo il completamento del Giardeno - e il 1490, data della pubblicazione postuma del testo.
El giardeno, poema in terza rima, si rifà, per contenuto e forma, alla Commedia di Dante. L'opera è divisa in tre parti: nella prima parte lo J. ragiona sulla morte, i demoni, gli angeli, il giudizio universale, l'inferno; nella seconda parte egli tratta delle punizioni e penitenze dei dannati; nella terza, infine, descrive la felice condizione delle anime beate e le gerarchie celesti.
L'opera dello J. ha riscosso attenzione soprattutto per due motivi: innanzitutto essa rappresenta un interessante contributo alla fortuna di Dante nel Quattrocento; inoltre essa presenta un rilevante interesse sotto l'aspetto linguistico. Lo J. scrive in un volgare meridionale, rara testimonianza del dialetto molisano del XV secolo. Egli inserisce nel testo diversi latinismi e compone i commentari al testo presenti nell'autografo in un latino d'uso italianizzato, che lo rivela senz'altro di buona cultura, anche se non propriamente uno studioso. I commentari al Giardeno contengono notizie sulla biografia dello J. e su avvenimenti storici, come l'ingresso solenne di Alfonso V d'Aragona a Napoli nel 1443. Lingua e contenuto mostrano che l'autore può essere ascritto al ceto medio.
Nella prima parte del Giardeno è enunciata una originale concezione della morte che consiste nell'incontro dell'autore con la sua personificazione. La problematizzazione della paura della morte e del suo superamento nell'ambito della prassi di vita cristiana può essere messo in relazione con la Confraternita dei morti, fondata ad Agnone nel 1438 con l'assistenza di Giovanni da Capestrano. La confraternita, laicale, aveva competenza sulle sepolture e sulle messe funebri, e a essa lo J., presumibilmente, come tutti i cittadini ragguardevoli, apparteneva.
La descrizione che lo J. fa della Morte è inusuale. Essa è presentata come personificazione femminile la cui forma consiste di due metà di significato opposto. Una parte è luminosa, chiara, incoronata di rose, con un'ala fatta di belle penne; l'altra è fosca, con un occhio di fuoco, incoronata di serpenti e con un'ala nera. Le due diverse metà indicano la morte felice dei beati e la morte colpevole dei peccatori. Questa morte personificata sembra essere un originale adattamento dell'iconografia della fortuna così come era stata sviluppata da Alano da Lilla nell'Anticlaudianus. La doppia immagine della fortuna appare frequentemente in miniature del XV secolo alata come la Morte dello J.: in tale forma egli avrebbe potuto vederla e interpretarla in modo diverso. Egli risulta così tramite creativo nella creazione di suggestive immagini letterarie.
L'autografo del Giardeno "composto dal Angionese [sic] Marino ad devoti Cristiani de fugire leterna morte" è conservato presso la Biblioteca nazionale di Napoli, Mss., XIII.C.13. Nel 1490 il figlio dello J., Francesco, fece stampare il Giardeno presso Cristianus Preller, a Napoli. L'incunabolo riproduce i versi senza le ricche glosse marginali presenti nel manoscritto.
I primi sette canti con i corrispondenti commentari e la "tabula breve" sono stati editi da F. Ettari, "El giardeno" di Marino Jonata Agnonese. Poema del secolo XV, in Giorn. napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, IX (1885), 32-33, pp. 772-842. Il testo è alle pp. 807-842. Questa edizione è stata tradotta in inglese: El giardeno di Marino Jonata Agnonese. An Italian poem of the fifteenth century, estratto da Romanic Review, XIV (1924), New York 1924, rist. ibid. 1966. B. Croce ha pubblicato un frammento non contenuto nell'incunabolo: il cosiddetto "canto in lode di l'Aquila" in cui lo J. ricorda alcuni contemporanei aquilani (B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, Bari 1942, pp. 45-47).
Fonti e Bibl.: V. Imbriani, Notizie di M. J. Agnonese, in Rendiconti della R. Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, XXIV (1885), pp. 44-77; A. Marinelli, Memorie patrie con alcune biografie di uomini illustri agnonesi, Agnone 1888, pp. 101-131; V. Zabughin, L'Oltretomba classico medievale dantesco nel Rinascimento, Roma 1922, pp. 124-128, 168 s.; Statuti e capitoli della Terra di Agnone, a cura di F. La Gamba, Napoli 1972, pp. 216-219; A. Altamura, Imitazioni dantesche di quattrocentisti meridionali, Napoli 1976, pp. 55-68; Id., La lirica napoletana del Quattrocento, Napoli 1978, pp. 53-58; A. Di Jorio, M. J. e il poema "El giardeno". Un poeta molisano del XV secolo, in Misura, n.s., III (1979-81), 2, pp. 67-77; N. De Blasi - A. Varvaro, Il Regno angioino. La Sicilia indipendente, in Letteratura italiana. Storia e geografia, I, L'età medievale, Torino 1987, p. 476; Id., Napoli e l'Italia meridionale. L'ambiente abruzzese, in A. Asor Rosa, Letteratura italiana, Storia e geografia, II, 1, L'età moderna, Torino 1988, p. 287; N. De Blasi, Il Giardeno, poema d'imitazione dantesca del '400: edizioni promesse e citazioni reticenti in un secolo di bibliografia, in Quaderni d'italianistica, X (1989), 1-2, pp. 299-309; F. Tateo, Sulla ricezione di Dante in ambiente devoto: "Il giardeno" di M. J., in Aspetti della cultura dei laici in area adriatica. Saggi sul tardo Medioevo e sulla prima Età moderna, a cura di R. Paciocco - A. Appignani, Napoli 1998, pp. 241-256; Letteratura italiana, Gli autori, II, p. 1009; Enc. dantesca, III, pp. 502 s.