Jonata, Marino
Poeta molisano (Agnone, Campobasso, 1400/1410 - ivi, dopo il 1465), notaio e terziario francescano, autore di un poema in terzine di 106 canti, El Giardeno.
Iniziato dopo il 1450, anno in cui J. fu pellegrino a Roma per il giubileo, il poema fu terminato, a quanto si afferma nell'explicit del manoscritto - probabilmente autografo, oggi conservato alla Biblioteca Nazionale di Napoli, XIII C 13 - il 17 luglio 1465. Nel 1490 Cristian Preller, tipografo napoletano, mise a stampa il poema; di questo incunabolo, oggi piuttosto raro, sono conservati esemplari a Roma (Biblioteca Corsiniana), a Napoli (Biblioteca Nazionale), a Parigi (Bibliotèque Mazarin) e a Londra (British Museum).
La prima (28 canti) e la seconda parte (31 canti) non presentano distinzione di contenuto: trattano ambedue, senza neppure un accenno di sistemazione strutturale, delle pene cui sono sottoposti indistintamente tanto i dannati quanto le anime penitenti; la terza invece (47 canti) descrive i gaudi del Paradiso e l'ordinamento delle gerarchie angeliche.
L'autore è guidato nel viaggio da un amico, Nicolò Gizio, cui sono assegnate le stesse funzioni del Virgilio dantesco; alle spiegazioni più complesse di argomento teologico, morale, storico provvede invece " Donna Morte " che si accompagna a loro.
La descrizione delle pene infernali, più che a D., può farsi risalire alla tradizione escatologica cui si allacciano per esempio Giacomino da Verona, Bonvesin da la Riva e tutti in genere i cosiddetti ‛ precursori ' di Dante.
Tra le pene " intrinseche ", quelle cioè che concernono la sensibilità del dannato, vi sono la " privation de beateza ", il " crudel verme mordente " del rimorso " che li brusa "; i dannati soffrono ricordando i piaceri terreni e sapendo che tutti conoscono ora i loro peccati. Tra le pene " estrinseche ", quelle cioè che descrivono materialmente l'aspetto dell'aldilà e i castighi riservati ai dannati, l'autore enumera sporcizia, oscurità, la visione orripilante dei demoni, il fuoco, il freddo, la fame, la sete, i veleni, i morsi di serpenti e di vermi, le colate di zolfo e di piombo fuso.
Il terzo regno è quello dei beati: nel cielo retto dagli Angeli sono le anime " che per castità santa son fatte belle "; il coro degli Arcangeli governa quelle di coloro che furono sempre devoti a Dio; quello dei Principati, le anime di chi esercitò la misericordia; le anime pazienti sono governate dal coro delle Dominazioni; le Virtù reggono coloro che hanno perdonato le offese, le Potestà coloro che riconoscono in Dio l'elargitore di ogni loro bene, i Troni chi frequenta le funzioni liturgiche, i Cherubini chi onorò la Chiesa cattolica, i Serafini le anime caritatevoli.
Il poema termina con le lodi di Gesù e con l'esortazione al lettore perché fruisca del poema come di un modesto ma efficace strumento di salvazione.
El Giardeno ha con la Commedia somiglianze di struttura più esterne che sostanziali, anche se non poche analogie, non pochi calchi e rispondenze testuali confermano la netta dipendenza dello scrittore molisano dal poema dantesco; come appare evidente da esempi come i seguenti: " Non curar troppo de suffiar de venti " (I XXVIII 157; cfr. Pg V 14-15); " Or ti giocunda, che tu hay ben onde, / tu prospero, tu felice, tu fortunato " (II XV 102-103; cfr. Pg VI 136-137); " Spenta non fo mai sagecta de corda / tanto veloce et al signo gionta / che al voler del mandante non discorda " (III II 102-104; cfr. If VIII 13-14).
El Giardeno, importante documento della fortuna di D. nel Quattrocento, è di notevole interesse particolarmente per la lingua in cui è scritto: vi abbondano forme dialettali e idiotismi molisani e napoletani. Non foss'altro che per questo il poema meriterebbe di essere studiato e meglio conosciuto.
Bibl. - P. Colomb de Batines, in " Etruria " I (1851); A. Marinelli, Alcune biografie di uomini illustri agnonesi, Napoli 1886; F. Ettari, ‛ El Giardeno ' of M.J. Agnonese, New York 1924.