QUARTI TREVANO, Marino
QUARTI TREVANO, Marino. – Nacque a Venezia da Giovanni Luigi ed Emilia Giani, il 12 agosto 1910.
Si laureò presso la facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Padova con una tesi sperimentale su L’azione dei raggi X sul riassorbimento degli ematomi intracerebrali, sotto la guida del direttore della clinica neurologica, Giovanni Battista Belloni. L’argomento evidenziava come sin dall’inizio il suo interesse fosse rivolto alle problematiche neurocliniche.
Nel 1936 cominciò a svolgere l’attività chirurgica sotto la direzione di Gian Maria Fasiani – uno degli allievi prediletti del chirurgo torinese Antonio Carle – dal 1927 titolare della cattedra di clinica chirurgica nell’Università patavina. Proprio a Padova Fasiani iniziò a trasferire i propri interessi dalla chirurgia generale a quella del sistema nervoso, che in quegli anni, grazie alla grande opera dello statunitense William Harvey Cushing, entrava nella sua maturità scientifica e tecnica.
Quarti Trevano trovò nella neurochirurgia la perfetta sintesi tra i suoi interessi neurologici e chirurgici: da un lato la necessità di affiancare all’approccio semeiotico nuove tecniche diagnostiche in grado di chiarire il quadro clinico delle patologie neurologiche; dall’altro, l’urgenza di trovare soluzioni terapeutiche innovative ed efficaci per condizioni neuropatologiche non affrontate dai neurologi.
Dal 1938 egli era di fatto un ‘neurochirurgo puro’, anche se la specializzazione che conseguì nel 1941 fu in chirurgia generale. Emblematico era il titolo della sua tesi: Limiti e possibilità dell’angiografia cerebrale. Nel 1939 seguì a Milano il suo maestro Gian Maria Fasiani, chiamato a dirigere la clinica chirurgica dell’Università. Successe a Mario Donati, allontanato in seguito alle leggi razziali fasciste (1938-39). Durante il conflitto Quarti Trevano visse l’esperienza bellica come sottotenente medico, operando, prima di essere fatto prigioniero, un gran numero di traumatizzati nella sezione neurochirurgica dell’ospedale mobile per l’armata italiana in Russia, istituita e diretta da Fasiani. Tornato nel 1946 a Milano, gli venne quindi affidata la direzione della sezione neurochirurgica della clinica chirurgica universitaria.
La qualifica di neurochirurgo Quarti Trevano se l’era guadagnata sul campo, sia in pace sia in guerra: la figura del neurochirurgo era infatti inesistente a livello istituzionale.
La disciplina, ancora in attesa di un chiaro statuto scientifico e di un preciso quadro normativo, scaturiva dall’esigenza di trovare una risposta efficace alla complessità della patologia neurologica e nasceva dalla duplice convergenza tra la chirurgia e la neurologia, come Gian Maria Fasiani, uno dei padri fondatori della neurochirurgia italiana – l’altro fu Paolo Emilio Maspes – ricordava con sintetica chiarezza nella sua prefazione al Manuale di neurochirurgia cerebrale (Milano 1949) di Ulrico Sacchi: «Il primo passo per dare vita anche da noi alla neurochirurgia è stato fatto quando alcuni giovani volenterosi si sono decisamente indirizzati su questa via: il loro numero è esiguo ma grande è la loro passione […]. Alcuni sono nati nelle Cliniche Generali e in queste si sono addetti a reparti specializzati […], altri sono nati nelle Cliniche Neurologiche o in queste hanno trovato larga e cordiale ospitalità. E credo possa considerarsi chiusa la questione se il neurochirurgo debba sorgere dalla neurologia o dalla chirurgia […] ma è indiscutibile che egli deve essere in primo luogo un chirurgo, vale a dire un uomo che per sua costituzione e tendenza e preparazione risulti adatto ad affrontare le richieste dell’azione chirurgica» (pp. VII-VIII).
Proprio per chiarire sul piano pratico gli ambiti della nuova disciplina, nell’immediato secondo dopoguerra, in un incontro avvenuto a Torino il 29 maggio 1948, un gruppo di chirurghi del sistema nervoso aveva deciso di dare vita anche nel nostro Paese a un’associazione (legalmente nata a Milano il 21 ottobre 1950) che raggruppasse i neurochirurghi italiani, superando motivi contingenti e gelosie latenti. Tra questi anche Marino Quarti Trevano, tornato nel 1951 a Padova per dirigere, presso l’Ospedale civico, il servizio neurochirurgico, di cui divenne primario due anni dopo.
Morì a Padova il 26 febbraio 1954 in un tragico incidente automobilistico.
L’analisi della sua attività scientifica e operatoria mette in evidenza da un lato un interesse per gli aspetti diagnostici legati agli albori delle neuroradiologia e dall’altro l’attenzione alla dimensione tecnica peculiare della manualità neurochirurgica.
La necessità di poter vedere radiologicamente quali sono le alterazioni del contenuto della scatola cranica (meningee, liquorali, vascolari, encefaliche) aveva indotto Walter Edward Dandy a ‘inventare’ nel 1918 la ventricolografia, realizzata mediante l’iniezione diretta di aria sterile nella cavità ventricolari, in modo da poterle rendere più radiotrasparenti, consentendo così di evidenziare eventuali alterazioni di sede, di dimensione e di contenuto. Un fondamentale passo in avanti nelle indagini radiologiche del cervello venne compiuto nel 1927 con la messa a punto, da parte del neurologo Antonio Egas Moniz, dell’angiografia cerebrale, cioè la visualizzazione della vascolarizzazione intracerebrale con l’iniezione di un mezzo di contrasto iodato direttamente nella carotide.
Quarti Trevano comprese subito l’importanza diagnostica dell’angiografia cerebrale, ma ne modificò, semplificandola, la modalità tecnica di esecuzione. In luogo della chirurgia per l’iniezione nella carotide del mezzo di contrasto, elaborò una tecnica in grado di consentire di espletare l’angiografia cerebrale percutanea (Angiografia cerebrale per via percutanea, in Atti dell’Accademia medica lombarda, XXXIII (1942), pp. 115-118). Sottolineava poi in altri studi l’importanza di questo esame in ambito diagnostico (Sul valore dell’arteriografia cerebrale per la localizzazione dei tumori del lobo temporale, in La radiologia medica, 1942, vol. 24, n. 6, p. 205, e Considerazioni su due casi di trombosi della carotide interna con reperto agiografico, in Chirurgia, 1949, vol. 4, n. 5, p. 343, con F. Columella), interessandosi anche ai mezzi di contrasto più adeguati da utilizzare (Angiografia cerebrale con Joduron, ibid., 1947, vol. 2, n. 5-6, p. 157).
Esaminava attentamente anche la ventricolografia, la pneumoencefalografia e la cisternoencefalografia. Due lavori, entrambi del 1949, meritano di essere ricordati per le indicazioni tecniche e diagnostiche: Cisternoencefalografia frazionata per via occipitale, ibid., 1949, vol. 4, n. 6, pp. 403-411 e Il segno dell’acquedotto, ibid., p. 81. Il secondo è di fondamentale importanza perché, in un’epoca in cui le tecniche di neuroimaging non erano certo quelle attuali (tomografia assiale computerizzata, risonanza magnetica), la descrizione di quadri radiologici patognomonici di determinate localizzazioni patologiche era di grande importanza. ‘Il segno dell’acquedotto di Quarti’, che consentiva di stabilire attraverso l’esecuzione di una ventricolografia gassosa il lato di una lesione espansiva localizzata in fossa cranica posteriore, restò per molti anni un insostituibile elemento diagnostico in ambito neurochirurgico.
Quarti Trevano aveva sempre ben presente l’importanza del momento diagnostico in neurochirurgia. «Credo – scriveva in proposito (come riporta fedelmente Giovanni Battista Belloni nel suo ricordo funebre all’Accademia della Società medico-chirurgica padovana) – che il neurochirurgo più del neurologo abbia bisogno di condurre a fondo le indagini radiologiche interessandosi anche dei più piccoli particolari per poter precisare: e il punto di origine del tumore, e l’estensione e la configurazione della massa neoplastica, e i caratteri della sua vascolarizzazione e le arterie che vi concorrono, senza trascurare gli sconvolgimenti che la presenza del nuovo ospite ha portato nel contenuto endocranico e i nuovi rapporti che sono venuti a crearsi» (Belloni, 1954, p. 8).
Non da meno era la sua attenzione ai gesti tecnici che la chirurgia del sistema nervoso esige: calma e meticolosità nell’approccio chirurgico, pazienza e precisione nell’esecuzione operatoria, attenzione costante nel controllo dell’emostasi. Sempre Belloni, ricordandolo, sottolineava come egli fosse un operatore dotato di «sicurezza, eleganza, estrema delicatezza della mano precisa» (p. 10), doti sempre attuate nell’esecuzione degli oltre ottomila interventi realizzati in poco più di otto anni di effettiva attività neurochirurgica.
Fonti e Bibl.: G.B. Belloni, Ricordo del Prof. M. Q. nel trigesimo della morte, in Atti della Società medico-chirurgica di Padova, XXXII (1954), pp. 6-11; G. Salar - C. Carbonin - L. Peserico, M. Q.-T. neurochirurgo in Padova, in G. Zanchin - L. Premuda, Lo sviluppo storico della neurologia italiana: lo studio delle fonti, Padova 1990, pp. 229-232; V.A. Sironi, Breve storia della neurochirurgia, in La scoperta del cervello. Per una storia delle neuroscienze, a cura di V.A. Sironi, Bari 2009, pp. 139-192; Id., Il ricordo di due protagonisti della storia della Società Italiana di Neurochirurgia scomparsi prematuramente, in Newsletter SiNch, giugno 2015, n. 6, www.sinch.it/nuovo/ newsletter-sinch-giugno-2015-n6 (6 marzo 2016).