TOMACELLI, Marino
– Nacque nel 1418/1419, quasi certamente a Napoli, da Bofuzio, signore di Pietrapulcina e di Montemalo. Si ignora chi fosse la madre.
La famiglia, di antica nobiltà napoletana, era ascritta al seggio nobile di Capuana ed ebbe il suo momento di maggiore splendore all’epoca di papa Bonifacio IX (Pietro Tomacelli). Il padre Bofuzio era figlio di Guglielmo, detto Filiolo – cugino del papa e fratello di Marino, governatore pontificio di Spoleto, da cui probabilmente il nostro ereditò il nome – e cugino di Pirro, abate di Montecassino.
Le uniche notizie pervenute sull’adolescenza di Tomacelli riguardano la sua formazione culturale. Il suo precettore fu il segretario dello zio abate, Lucio da Visso, che per lui copiò alcune opere di Tibullo. Svolse i primi studi forse proprio a Montecassino, dove si trovava quando, durante l’assedio posto dalle truppe papali alla rocca di Spoleto (1437-38), fu dato in ostaggio dallo zio abate agli assedianti e fu condotto a Perugia, da dove riuscì a fuggire poco dopo. A Napoli fu poi discepolo di Lorenzo Valla.
Quando il padre morì, nel 1457, gli successe nei feudi, poi confiscatigli per essersi ribellato al re per un breve periodo. Membro dell’amministrazione aragonese almeno dall’agosto del 1445, fu razionale della Sommaria, sostituto del gran camerario e del segretario (giugno-dicembre 1458), misuratore delle vettovaglie estratte dal Regno e guardiano dei porti (prima del 1460). Tornato fedele al re, fu luogotenente del protonotario (maggio 1461) e del segretario Antonello Petrucci come conservatore del grande sigillo (22 giugno 1462), scrivano della Cancelleria reale e sottoscrittore di atti per il gran camerario (1463), nonché credenziere della dogana di Gaeta (1464).
Per oltre un trentennio svolse la delicata attività di ambasciatore aragonese. Inviato già da Alfonso d’Aragona presso papa Niccolò V (1455), tornò a Roma nel 1462, anno in cui partecipò alla battaglia di Troia, al termine della quale fu mandato dal re presso papa Pio II perché lo convincesse a concedergli un prestito, indispensabile per proseguire la guerra. Nel 1463 fu inviato a Milano per trattare con i ribelli di casa Caldora (marzo-aprile) e in Puglia, prima per tentare l’accordo con il principe di Taranto (giugno) e poi per prendere possesso del castello di Altamura e sequestrare l’ingente patrimonio del principe, nel frattempo defunto (dicembre); nel 1464 fu incaricato di conquistare terre ribellatesi a Matteo da Capua. Ristabilita la pace, su segnalazione del segretario Petrucci, fu inviato come ambasciatore residente a Firenze, dove giunse prima del 3 giugno 1466 in sostituzione del dimissionario Tommaso Vassallo e dove sarebbe rimasto, a parte qualche breve periodo, per circa trent’anni.
Figura di grande influenza in città, strinse un solido rapporto con Lorenzo il Magnifico ed ebbe un ruolo fondamentale nell’alleanza di quest’ultimo con Napoli. A nome del re ratificò l’entrata di Lucca nella lega fra Napoli, Milano e Firenze (aprile 1467) e partecipò alla dieta organizzata per sanare le questioni aperte dalla guerra di Rimini (dicembre 1469). Ottenne dalla Signoria la concessione della cittadinanza fiorentina (21 gennaio 1471). Per le mutate alleanze conseguenti alla lega stipulata tra Napoli e Venezia fu poi richiamato da re Ferrante I a Napoli (gennaio 1471) e sostituito come oratore residente da Bartolomeo Antici. Inviato a Ferrara per tentare una mediazione nella successione al morente Borso d’Este (agosto 1471) rientrò poi a Napoli, riprendendo l’incarico di luogotenente del protonotario. Per le pressioni del Magnifico, che non gradì l’operato di Antici, Tomacelli fu poi rimandato a Firenze (30 dicembre 1471).
Inviato a Milano per evitare il paventato duello proposto dal duca Galeazzo Maria Sforza a Bartolomeo Colleoni, concluse con successo la sua missione (gennaio-marzo 1472) e, dopo una breve sosta a Mantova, tornò a Firenze. Fu di nuovo brevemente a Napoli nel settembre del 1473, mentre nell’agosto del 1475 andò a Siena per dieci giorni e visitò il cardinale Iacopo Ammannati Piccolomini. Ancora a Napoli (ottobre-dicembre 1477), rientrò a Firenze per pochi mesi poiché la congiura dei Pazzi (26 aprile 1478) portò alla guerra tra Napoli e Firenze. A seguito della congiura si trasferì a Siena, dove stipulò la lega antimedicea tra Napoli, Siena e il papa (17 maggio). Fece ritorno a Firenze (7 giugno) nel tentativo, poi fallito, di convincere i Medici a riappacificarsi con il papa mediante re Ferrante, ma il suo ritorno destò gravi malumori e fu costretto ad abbandonare la città (22 giugno). Unitosi alle truppe aragonesi impegnate in Toscana, rientrò poi a Napoli, dove fu nominato assessore a vita nelle contee abruzzesi di Albe e Tagliacozzo (12 agosto 1479).
Ristabilita la pace tra Napoli e Firenze (13 marzo 1480), dopo un breve soggiorno a Roma ritornò nella città toscana dove fu impegnato a lungo nella controversa trattativa per la restituzione ai fiorentini delle terre conquistate dalle truppe napoletane a nome proprio e dei senesi. Richiamato nuovamente a Napoli e sostituito da Antonio Sperandeo (1484), grazie all’intercessione del Magnifico ripartì per Firenze (13 maggio 1485), dove rimase per tutto il periodo della seconda rivolta dei baroni napoletani, a parte un breve soggiorno a Napoli (1487).
Confermato quale oratore residente anche dal nuovo re Alfonso II d’Aragona, all’arrivo a Firenze di Carlo VIII di Valois fu catturato fuori città dai francesi, che posero una taglia per la sua liberazione e lo tennero prigioniero finché gli ambasciatori fiorentini ne ottennero il rilascio (16 novembre 1494). Abbandonata Firenze, tornò presumibilmente a Napoli, dove con l’arrivo di Carlo VIII gli furono confiscati i beni. Successivamente, il re francese gli confermò l’incarico di portolano e custode dei porti di Capitanata e Terra di Bari (3 aprile 1495). Dopo la riconquista aragonese del Regno riottenne i suoi beni e ritornò a Firenze (1496).
Ignoriamo chi sia stata la moglie, ma sappiamo che ebbe almeno un figlio (Benedetto) e tre fratelli (Leone o Leonte, Pilamide e Francesca), tutti morti prima di lui. Di piccola statura ma di grande astuzia e prudenza, fu uomo di cultura e membro dell’Accademia Pontaniana. Legato da una lunga amicizia con Giovanni Pontano, che gli dedicò una serie di opere e lo ricordò in altre composizioni, fu un importante tramite culturale tra Napoli e Firenze, dove fece diversi acquisti per la Biblioteca aragonese e per la sua notevole collezione personale.
Si ignora quando sia definitivamente rientrato a Napoli, dove dettò le sue ultime volontà (1506 e 1514) e morì nel 1515 (non sono noti il giorno e il mese). Fu sepolto nella chiesa benedettina di S. Severino, dove si trovava la cappella di famiglia e il monumento funebre.
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