ZORZI, Marino.
– Nacque a Venezia nel 1465 da Bernardo di Marino, del ramo a S. Marina, e da Contarina Contarini di Alvise.
La famiglia era ricca e questo forse può dar ragione del mancato esercizio della mercatura da parte di Zorzi, prassi abituale dei giovani patrizi: il 29 marzo 1488 risulta infatti studente a Padova nelle facoltà di arti e di giurisprudenza. È probabile che si sia laureato in entrambe, dal momento che fu latinista di valore e che, da allora, il suo nome venne accompagnato dall’appellativo di ‘filosofo’.
Intraprese la carriera politica il 26 gennaio 1491 come ufficiale degli Imprestiti, magistratura minore che fu sostanzialmente un apprendistato per il primo importante incarico: l’ambasceria in Spagna presso i re cattolici per ratificare la lega antifrancese, che di lì a poco sarebbe risultata vittoriosa a Fornovo. Non fu eletto da solo, l’accompagnava il cavaliere Francesco Cappello; i due ricevettero le commissioni il 23 maggio 1495 e partirono separatamente, per primo Zorzi, molto dopo Cappello, che giunse a Burgos nel gennaio 1496. Allora Zorzi chiese il rimpatrio a causa della scomparsa del padre, e gli fu accordato, essendo ormai state superate dagli avvenimenti le ragioni della duplice ambasceria; lesse in Senato la relazione, che purtroppo non ci è stata conservata, il 7 marzo 1496.
Sette mesi dopo, il 15 ottobre, fu eletto ambasciatore a Napoli, per dolersi della morte del re Ferdinando e la successione al trono del figlio Federico. «Acceptò libentissime» scrive Marin Sanuto (I Diarii, a cura di R. Fulin et al., 1879-1897, I, col. 350), salvo poi a partire solo il 20 febbraio 1497, recandosi anzitutto a Urbino, dove la duchessa Elisabetta Gonzaga gli fece promettere che si sarebbe adoperato per la liberazione del marito, Guidubaldo da Montefeltro, prigioniero degli Orsini a Bracciano. Giunse a Napoli il 28 marzo, trovando la popolazione divisa tra i fautori dei francesi e degli spagnoli, come si verificò a fine luglio, nell’imminenza dell’incoronazione del re. Scrive Sanuto, riferendo lettere di Zorzi: «Chome in quel regno era più disturbo che ‘l fusse mai stato, et che il re, havendo mandà a chiamar tutti li baroni dovesse venir a la sua incoronatione, la qual si doveva far a dì 6 [agosto], ancora non erano venuti, et che il principe di Salerno non vi voleva vegnir» (coll. 709 s.). Sul Regno di Napoli si appuntavano le mire di molti sovrani, per cui il Senato ordinò a Zorzi di non prendere partito e, quando il 2 ottobre il re mosse contro il ribelle Antonello Sanseverino, gli vietò di accompagnarlo nella spedizione. All’inizio del 1498 Zorzi chiese il rimpatrio, essendo mancato il suo unico fratello Alvise, ma solo il 2 ottobre gli fu concesso di lasciare Napoli.
A Venezia la fama di persona dotata di elevata cultura viene testimoniata dalla sua partecipazione a dispute letterarie e teologiche tenutesi in più occasioni e dall’elogio, rivoltogli il 28 novembre 1500 da Pietro Bembo, che ne apprezzava la vasta erudizione e l’integrità dei costumi.
Il 6 ottobre 1499 fu eletto ufficiale alle Rason Vecchie, poi (6 gennaio 1500) a una nuova ambasceria, stavolta in Ungheria, per spingere Ladislao Jagellone a muover guerra ai turchi, che devastavano il Friuli con continue razzie, ma rifiutò. Il 4 giugno dovette però accettare la nomina ad ambasciatore a Roma, dove giunse il 9 settembre 1500.
Nei due anni della sua legazione, Zorzi si adoperò per coinvolgere la S. Sede nella guerra che la Repubblica stava sostenendo contro i turchi nella Morea, mentre il papa premeva perché Venezia si staccasse dall’alleanza con la Francia, che ambiva al Regno di Napoli. Gli sforzi di Zorzi si concretizzarono il 6 aprile 1501, quando – dopo lo scacco subito da Venezia allo Zonchio – si pervenne a un accordo tra la Repubblica, Roma, Francia e Spagna in funzione antiottomana; senonché Francia e Spagna si erano già accordate per la spartizione del Mezzogiorno. Zorzi lasciò Roma all’inizio dell’estate 1502, dopo aver ottenuto da Alessandro VI la concessione di uno speciale giubileo finalizzato alla predicazione di una crociata antiturca. A Venezia egli risulta essere savio di Terraferma il 22 agosto e sette giorni dopo venne eletto podestà a Bergamo, dove si recò il 2 dicembre. I principali problemi che dovette affrontare furono causati dagli svizzeri, che reclamavano il possesso della contea di Bellinzona, e dalle contese che opponevano alcune comunità ai feudatari locali.
A Venezia fu eletto ancora una volta savio di Terraferma (30 marzo 1504) e nei mesi che seguirono partecipò a dispute filosofiche o eventi mondani. Poi l’8 aprile 1505 entrò avogador di Comun e il 1° giugno capitano a Brescia, dove si occupò anche di completare le mura e la fortezza di Asolo; la relazione non ci è stata conservata, ma sappiamo da Sanuto che la lesse in Senato il 13 dicembre 1506.
Savio di Terraferma sino a tutto marzo 1507, riconfermato per il secondo semestre dell’anno, il 26 marzo 1508 entrò a far parte del Consiglio dei dieci, poi ancora savio di Terraferma per il semestre ottobre 1508-marzo 1509, quindi il 19 aprile 1509 fu eletto provveditore a Bergamo. Cercò di evitare la nomina («si scusò per aver uno mal di sangue di naso, et non aver praticha di arme», M. Sanuto, I Diarii, cit., VIII, col. 110), ma gli fu ingiunto di recarsi comunque nella città orobica, dove giunse il 3 maggio, nell’imminenza della rotta di Agnadello. Fatto prigioniero dai francesi, venne condotto nel castello di Milano e poi in Francia. Gli fu posta una taglia di mille scudi, seguì una lunga trattativa al termine della quale fu liberato e poté far ritorno a Venezia, dove giunse il 18 marzo 1511. A fine anno, il 18 dicembre, fece parte della legazione che si recò a Villaco per accompagnare il cardinale Matteo Lang che doveva recarsi a Roma; quindi, il 20 febbraio 1512 lasciò Venezia per andare ambasciatore al campo degli spagnoli, presso il viceré Raimondo Cardona. Poi, dopo la vittoria dei francesi a Ravenna (20 aprile 1512), riparò a Forlì, allora veneziana, e di lì a Urbino.
Tornò a Venezia in ottobre, ma la salute precaria lo costrinse a rimanere a lungo in casa, nonostante fosse stato eletto savio di Terraferma per il semestre ottobre 1512-marzo 1513.
Poi le cariche si susseguirono incalzanti: Consiglio dei dieci (18 novembre 1513), savio di Terraferma (31 dicembre 1513), procuratore sopra gli atti del Sovragastaldo (27 marzo 1514), ancora membro del Consiglio dei dieci (24 agosto 1514); in tale veste, il 7 febbraio 1515 propose di edificare una libreria dove ospitare i preziosi codici lasciati alla Repubblica dal cardinale Bessarione: si tratta dell’attuale Marciana.
Quindi, il 17 marzo dello stesso 1515 partì alla volta di Roma, dove era stato eletto ambasciatore il 4 gennaio; vi si sarebbe fermato due anni, accompagnando il papa a Bologna a fine novembre 1515, allorché Leone X incontrò Francesco I in un susseguirsi di convulse trattative che nell’aprile 1516 avrebbero portato Francia e Spagna a firmare il Trattato di Noyon. Zorzi riferì al Senato con tanta cura da risultare prolisso. Sanuto, in data 7 gennaio 1517, definisce un suo dispaccio: «Come al solito, non strinzente» (I Diarii, cit., XXIII, col. 481). Fruttuoso, comunque, il suo apporto per il riacquisto di Verona, non contemplato nella pace di Noyon. Rimpatriato nel febbraio 1517, lesse la relazione il 17 marzo, riportata sommariamente da Sanuto (XXIV, coll. 84-95).
Il 29 agosto dello stesso 1517 venne eletto riformatore dello Studio di Padova, titolo pertinente al compito; si trattava infatti di riattivare l’università che aveva sofferto gravi sconvolgimenti, e mai incarico fu più gradito a Zorzi, che vi prodigò qualificate attenzioni. La sua cultura godeva infatti di larga fama, come dimostra una lettera inviatagli da Carlo Miani (fratello del futuro santo Girolamo), castellano a Breno in Val Camonica, il 24 giugno 1518, nella quale chiedeva il suo parere circa alcuni quesiti teologici in proposito di stregoneria.
Savio del Consiglio da ottobre 1518 a marzo 1519, fu poi consigliere ducale da ottobre, per un anno; quindi il 4 marzo 1520 fu eletto podestà a Padova, dove si recò in luglio, suggerendo al Senato di varare una serie di provvedimenti in favore dello Studio, salvo poi a intervenire duramente in occasione della lite scoppiata il 16 febbraio 1521 fra studenti bergamaschi e bresciani.
Tornato a Venezia nel novembre 1521, il 19 gennaio 1522 fu eletto consigliere ducale per il sestiere di S. Marco, quindi (19 maggio 1523) fu dei 41 elettori del doge Andrea Gritti, poi savio del Consiglio per il secondo semestre dell’anno e ancora riformatore dello Studio di Padova per il biennio ottobre 1523-settembre 1525. Eletto consigliere ducale il 1° ottobre 1524, fu poi per alcuni mesi del Consiglio dei dieci, quindi savio del Consiglio dall’ottobre del 1524 al marzo del 1525.
Sanuto accenna spesso ai malesseri di Zorzi, la cui salute fu sempre precaria, come dimostra l’incidente occorsogli il 25 ottobre 1525 in Senato, mentre si discuteva se allearsi con l’imperatore; a un intervento di Marino Morosini, «rispose sier Marin Zorzi el dotor savio dil Consejo, e parlando li cascò alcuni denti, siché quasi non potè parlar, che non era aldito» (Sanuto, cit., XL, col. 139).
Savio del Consiglio e contemporaneamente riformatore dello Studio il 1° ottobre 1526, consigliere ducale da aprile 1527, il peggiorare della salute («è gotoso et a pena pol caminar», così Sanuto, XLV, col. 178, nel maggio dello stesso 1527) lo costrinse a prolungate assenze dagli incarichi, al punto da disertare il Senato per due anni continui, dall’agosto 1527 al settembre 1529. Eletto consigliere ducale per il sestiere di S. Marco il 19 dicembre 1529, un anno dopo (15 dicembre 1530) fu ancora una volta riformatore dello Studio di Padova, dove ebbe per collega Gasparo Contarini, assieme al quale condusse un’opera di contrasto alle diffuse corruttele; eletto nella zonta del Consiglio dei dieci il 1° ottobre 1531, la sua fu una presenza virtuale, date le numerose e prolungate assenze.
Morì a Venezia il 31 ottobre 1532, dopo aver fatto testamento qualche mese prima, l’11 febbraio; fu sepolto nella chiesa di S. Stefano con esequie solenni.
Dal matrimonio con Elena Moro di Cristoforo, avvenuto nel 1491, erano nate quattro figlie, tutte sposate, ma nessun maschio, per cui con Zorzi si estinse questo ramo della casata.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta,19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, pp. 405, 422; Segretario alle voci, Misti, regg. 6, cc. 19r, 112v; 7, cc. 3r, 9v, 29rv; 8, cc. 28v, 50v, 56v; 9, cc. 21v, 27v; Notarile Testamenti, b. 191/550; P. Bembo, Historiae Venetae, in Degl’istorici delle cose Veneziane..., II, Venezia 1718, pp. 269, 409, 453; D. Malipiero, Annali veneti, a cura di F. Longo - A. Sagredo, in Archivio storico italiano, VII (1843), parte I, pp. 190, 379 s., 473, 700; M. Sanuto, I Diarii, a cura di R. Fulin et al., I- XLVIII, Venezia 1879-97, L, 1898, ad ind.; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, V, Francia (1492-1600), Torino 1978, pp. V, 35-46, VIII, Spagna (1497-1598), 1981, p. IV.
F. Dupuigrenet Desroussilles, L’Università di Padova dal 1405 al Concilio di Trento, in Storia della cultura veneta, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, III, 2, Dal Primo Quattrocento al Concilio di Trento, Vicenza 1980, pp. 624, 627, 629, 634 s.; M. Zorzi, La Libreria di San Marco. Libri, lettori, società nella Venezia dei dogi, Milano 1987, p. 98; G. Oddone, Educazione culturale di Girolamo Miani, in Un evento miracoloso nella guerra della lega cambraica. 27 settembre 1511..., a cura di G. Gullino, Venezia 2012, pp. 72, 74 s.; G. Bonacina, Luca, Carlo e Marco Miani alla guerra della lega di Cambrai, ibid., pp. 216, 225, 227; G. Benzoni, Venezia, 11 agosto 1508: mille orecchie per Luca Pacioli, in Studi veneziani, n.s., LXIX (2014), pp. 107-113.