ANELLI, Mario
Nato a Parma il 9 giugno 1882 dall'avvocato Egisto e da Elvira Ughi, frequentò il liceo "G. D. Romagnosi" e si laureò nell'università di Parma in scienze naturali a pieni voti nel 1905. Assistente volontario all'istituto di mineralogia fino al 1910, passò effettivo a quello di geologia, ove rimase fino all'ottobre del 1924, quando fu soppressa la facoltà di scienze. Venne quindi incaricato della conservazione dell'istituto e del Museo di geologia e paleontologia. Libero docente dal 1927, diresse per incarico l'istituto di mineralogia dell'università di Parma e dal 1929 fu nominato membro del Comitato nazionale delle ricerche per la geologia. Nel dicembre di quello stesso anno fu incaricato della direzione dell'istituto di geologia dell'università di Modena, ove nel 1936 passò di ruolo come professore di geologia. Rimase in quella sede, come direttore, fino al 1938, ma restò nel contempo incaricato del corso di geologia all'università di Parma. Dal 1942 fu direttore dell'istituto di geologia di Parma, carica che mantenne fino al 31 ott. 1952 quando venne collocato fuori ruolo.
L'A. morì a Parma il 3 sett. 1953.
La sua produzione scientifica consta di una quarantina di pubblicazioni nel campo geologico: una produzione che potrebbe sembrare numericamente modesta, se non si soppesassero la densità dei problemi, la quantità dei dati e la grande mole di lavoro che dietro quelle poche pagine e quegli schizzi appare chiaramente. Un'eccessiva cautela nell'esporre le sue ipotesi di lavoro e di ricerca sulla evoluzione geologica dell'Appennino e la sua innata modestia lo frenarono nel rendere pubblici dati e idee che sicuramente avrebbero potuto avere un peso determinante sulle nuove concezioni di tettonica gravitativa che da pochi anni cominciavano a farsi strada sia nello studio della catena appenninica sia in quelle della catena alpina. La sua competenza, tuttavia, dovette certamente essere apprezzata al di fuori del campo strettamente accademico, se alcune importanti società minerarie, tra le prime ad iniziare l'esplorazione in Italia, si rivolsero a lui per molti anni: così divenne consulente dell'AGIP e dell'Ente zolfi italiani, nonché collaboratore disinteressato di geologi impegnati con altre società. Oggi, anche tra gli studiosi di geologia dell'Appennino, il riconoscimento del valore delle sue ricerche è divenuto generale e concorde.
Nel 1908 l'A. presentò in un saggio (L'Eocene nella vallata del Parma, in Boll. della Soc. geol. ital., XXVII [1908], pp. 124-158) la classica successione geologica dell'alta e media Val Parma, solo di recente "riscoperta" e completata da nuove ricerche biostratigrafiche e tettoniche. Tra il 1913 e il 1915 egli segnalò e descrisse organicamente, per la prima volta, gli affioramenti miocenici dell'Appennino parmense, argomento approfondito in successivi lavori sull'evoluzione morfologica del Modenese e del Reggiano (I terreni miocenici tra il Parma e il Baganza, ibid., XXXII [1913], pp. 195-272; Cenni geologici sui dintorni di Traversetolo e di Lesignano Bagni, ibid., XXXIV [1915], pp.79-136; Contributo alla morfologia dell'Appennino modenese e reggiano, ibid., XXXVII [1918], pp. 93-114, Sulla presenza dell'Oligocene nel Subappennino reggiano, ibid., XLII [1923], pp. 182-194; Tettonica dell'Appennino parmense e reggiano. Cenni su alcune località presentanti manifestazioni di idrocarburi, ibid., pp. 377-398). Per dare una spiegazione logica alle intercalazioni di "argille scagliose" fra i sedimenti marini dell'Oligocene, per la prima volta da lui segnalati, e del Miocene, propose l'idea di uno "scivolamento gravitativo" di materiali prevalentemente argillosi "caoticizzati" entro il bacino di sedimentazione oligomiocenico, anticipando nel 1923 di quasi trent'anni, la scoperta degli "olistostromi" ora descritti in tutto il mondo e conosciuti in tutte le serie marine: "L'intercalazione - scriveva l'A. - di una falda di argille scagliose fra i terreni oligocenici e quelli miocenici … in corrispondenza di un'area di oltre cento chilometri quadrati, potrebbe spiegarsi o con una gigantesca intrusione di tipo laccolitico (il che, data l'enorme estensione, non mi sembra probabile), oppure ammettendo che, in conseguenza di un formidabile corrugamento orogenetico, di data anteriore al deposito dei terreni miocenici, si sia effettuato un grandioso slittamento di argille scagliose con ricopertura dell'Oligocene" (Sul comportamento tettonico delle argille scagliose nell'Appennino emiliano, in Rend. della R. Accad. naz. dei Lincei, cl. sc. mat. fis. nat., s. 5, XXXII [1923], 2, pp. 416-419). Inoltre ai fenomeni di ricoprimento offerti dall'Oligocene sono anche da aggiungere quelli consimili, benché in scala più ridotta, nei terreni miocenici e pliocenici (Sualcuni fenomeni di ricoprimento nell'Appennino emiliano, ibid., s. 6, IX [1929], pp. 202-205; Ricoprimento di terreni pliocenici nell'Appennino reggiano, ibid., XV [1932], pp. 478-482). In antitesi con i sostenitori di scuola germanica delle falde di ricoprimento di stile alpino nell'Appennino, l'A. precisava: "tuttavia, il contrasto tra lo spiegazzamento degli strati … e l'andamento quasi orizzontale dei piani di separazione potrebbe essere … assai suggestivo … considerando il grandioso ricoprimento appenninico delle argille scagliose come dovuto ad un formidabile, lento slittamento regionale, probabilmente effettuatosi su di una superficie sottomarina situata a mediocre profondità ed avvallantesi gradualmente sotto l'avanzata della colossale frana…" (Leacque minerali nelle colline fra lo Stirone e ilTaro, in Giorn. ital. di sc. idromin. clim., X-XI [1930], pp. 3-21). Del 1927 è un'importante messa a punto del problema delle arenarie appenniniche con una prima distinzione e discussione su quelle a facies di macigno (Sopra alcuni lembi di macignodell'Appennino parmense, in Giorn. di geologia, II[1927], pp. 65-71). Tale argomento, ripreso otto anni dopo ed inquadrato in più ampi orizzonti di geologia regionale (Sopra alcuni lembi di arenarie superiori dell'Appennino settentrionale, in Ateneo parmense, VII [1935], pp. 89-99), chiariva ulteriormente il problema delle "arenarie superiori".
Una serie di importanti lavori scientifici è rivolta alla esplorazione geologica del sottosuolo, che in quegli anni prendeva vigore e attualità. Così il tema della struttura di Salsomaggiore (Cenni tettonici sulla regione collinosainterposta tra lo Stirone edil Taro, in Boll. del R. Uff. geol., LII [1927], pp. 1-56), zona famosa per le sue manifestazioni di idrocarburi, viene presentato in modo completo e come esempio da seguire per le nuove indagini petrolifere. Sempre a questo argomento l'A. dedicò una serie di contributi scientifici, anche in collaborazione con geofisici (Hangend und Liegendplatte, in Zentralblatt für Min. und Geol., VI [1926], p. 187 [in collaboraz. con W. Salomon]; L'acqua minerale di Montepelato nella pianura parmense, in Miniera ital., 1925, n. 7, pp. 201 s.; Contributo alle ricerche petrolifere nell'Appennino emiliano, ibid., 1926, n. 3, pp. 65-76; Il colle di S. Colombano al Lambro, ibid., 1928, n. 5, pp. 145-148 [in coll. con C. Porro]; A proposito di una perforazione in corso nell'Appennino parmense, ibid., 1928, n. 6, pp. 305-307; Search of Oil in Parma District Western Italy, in Bull. of the Am. Assoc. of Petrol. Geol., XVI [1932], pp. 1152-1159 [in coll. con A. Belluigi]; Cenni geologici sulla regione collinosa fra il Secchia e il torrente Tiepido, in AGIP. Ricerche in Italia, 1935, pp. 37-75; A proposito di terreni petroliferi dell'Italia settentrionale, in Industria mineraria, 1936, pp. 118-122; I risultati geologici dell'esploraz. per petrolio nella valle Padana, ibid., pp. 263-265; Descrizione geologica del giacimento di Podenzano, in IIconvegno naz. metano (AGIP), XIV [1939], pp. 5-14) che dimostrano come la ricerca applicata agli idrocarburi con criteri moderni, trovasse in lui uno dei primi ed entusiasti sostenitori. Proprio in questo periodo svolse un'intensa attività di rilevamento geologico, utilizzato pure per la Carta geologica d'Italia, che lo condusse a cartografare - insieme con F. Sacco - al 25.000circa duemila chilometri quadrati di collina e di montagna appenninica (Carta geologica d'Italia, a cura del R. Uff. Geol., Foglio Parma, Roma 1931; Foglio Castelnuovo ne' Monti, ibid. 1931; Foglio Modena, ibid. 1932). Con questa enorme massa di dati e di informazioni scientifiche, l'A. formula l'ipotesi delle "frane tettoniche" per spiegare gli anormali ricoprimenti di formazioni "caoticizzate" sopra l'autoctono e come questi si ripetessero per tutta l'era terziaria fino al Pliocene. Riconosce inoltre la parautoctonia del flysch nummulitico esterno, scollato dal suo substrato argilloso dalla "falda gravitativa" avanzante verso l'attuale pianura padana. A questo grandioso fenomeno che dovette coinvolgere quasi tutto il futuro Appennino settentrionale, sarebbero seguiti nuovi scollamenti e scendimenti gravitativi "mentre a settentrione della avanfossa ormai colmata si generava, per reazione, il primo abbozzo di quella ruga che, durante il Miocene, forse separava l'arca appenninica da quella corrispondente alla pianura ed è ancora avanti a questa che più tardi, anteriormente al Pliocene, sorsero, dove oggi si distende la pianura padana, quei rilievi la cui esistenza ci è rivelata dalla gravimetria ed accertata dalle sonde, rilievi che, come hanno mostrato le perforazioni petrolifere, furono interessati per quanto debolmente da disturbi tettonici agli albori del Quaternario" (Note stratigrafiche e tettoniche sull'appennino di Piacenza, in Atti e mem. della R. Acc. di sc., lett. e arti di Modena, III [1938], pp. 228-262).
Delle sue escursioni geologiche nell'arco alpino o nell'Appennino centrale e meridionale, purtroppo non ci rimane che una importante nota del 1938, di carattere riassuntivo e sintetico riguardante i monti del Salernitano e della Lucania (Sulla presenza di falde di ricoprimento nell'Italia merid., in Atti della Soc. dei nat. e mat. di Modena, LXIX [1938], pp. 1-15). In essa l'A., dopo un breve quadro dei principali problemi geologici, afferma che "il Trias dolomitico insieme ai più recenti terreni calcarei costituenti il gruppo del Cilento e buona parte dei monti salernitani, è venuto a sovrapporsi al Trias selcifero della Lucania rivestito dal flysch terziario …", anticipando di alcuni decenni le attuali concezioni geologiche.
L'opera scientifica dell'A. non si esaurì certamente nel 1942, anno a cui risale l'ultima delle sue pubblicazioni. Anche dopo il rientro a Parma, fino al 1952, quando venne collocato fuori ruolo, egli continuò le ricerche su quell'Appennino che, oltre ai problemi da lui già brillantemente risolti, presentava sempre enormi interrogativi, tanto che di fronte ad essi gli sembrava vano sforzo il suo stesso lavoro.
Oltre a quelli citati nel testo si segnalano i seguenti scritti dell'A.: Cenni petrografici sui conglomerati dei Salti del Diavolo in val Baganza, in Boll. della Soc. geol. ital., XXIX (1910), pp. 257-286; I dintorni di Rossena, ibid., XLI (1922), pp. 17-29; I graniti di Groppo del Vescovo, in Giorn. di geol., II (1927), pp. 58-64; Sopra alcune particolarità tettoniche dell'Appennino emiliano, ibid., pp. 72-74; A proposito di una sezione geologica nell'Appennino reggiano, in Rend. della R. Accad. naz. dei Lincei, cl. di sc. mat. fis. nat., X (1930), pp. 202-205; Sezioni geologiche attraverso l'Appennino parmense, in Giorn. di geologia, X (1935), pp. 1-27; Considerazioni sulla posizione tettonica del Trias nell'alta valle della Secchia, in Atti della Soc. dei nat. e mat. di Modena, LXVI (1935), pp. 20-36; Appunti paleontologici a proposito delle cosiddette argille scagliose, in Riv. ital. di paleontol., XLI (1935), pp. 33-44; Il golfo Pliocenico di Castellarquato, in Giovane montagna, Parma 1938, p. 2; Somalia italiana di G. Corni, in Atti e mem. della R. Acc. di sc. lett. arti di Modena, III (1938), pp. 3-15 [in coll. con B. Donati e A. Vaccari]; Sulla presenza di Aptici nelle cosiddette Argille scagliose dell'Appennino emiliano, in Riv. ital. di paleontologia, XLIV (1938), pp. 82-93, Calcari a Calpionelle, diaspri e rocce ofiolitiche nell'Appennino settentr., in Atti della Soc. dei nat. e mat. di Modena, LXIX (1938), pp. 67-77; Sulle concentrazioni albitiche dell'alta Val Taro, in Boll. della Soc. geol. ital., LXI (1942), pp. 273-288 (in coll. con G. Carobbi).
Fonti e Bibl.: Boll. della Soc. geol. ital., LXXI (1953), pp. 156-159 (necrol.); E. Mutti, Sul possibile significato stratigrafico del macigno della Val Trebbia, in Riv. ital. di paleont., LXVII (1961), p. 6; G. Zanzucchi, Commemorazione, in Ateneo parmense, XXXIV (1963), pp. 3-11; P. Elter-C. Gratziu-B. Labesse, Sul significato della esistenza di una unità tettonica…, in Boll. della Soc. geol. ital., LXXXIII (1964), p. 14; G. Braga, Geologia delle valli Nure e Perino, in Atti dell'ist. di geol. dell'univ. di Pavia, XVII (1965), p. 19; E. Montanaro Gallitelli, Quarant'anni di geologia…, in Atti della Soc. dei nat. e mat. di Modena, XLVII (1966), pp. 259-266; K. J. Reutter, Die tektonischen Einheiten des Nordapennins, in Ecl. Geol. Helvetiae, LXI (1968), p. 185; E. Abbate e altri, Introduction to the Geol. of the Northern Apennines, in Development of the Northern Appennines Geosyncline, a cura di G. Sestini, in Sedimentary Geology, IV (1970), p. 242; E. Abbate-M. Sagri, The Eugeosynclinal Sequences, ibid., p. 278; G. Zanzucchi, Tectonics of the Parma Province Apennines, in Alps, Apennines, Hellenides, in Inter Union Comm. Geodyn., Scientific Report, n. 58, Stuttgart 1978, p. 277; S. Iaccarino-G. Papani, Il Messiniano dell'Appennino settentrionale, in Volume dedicato a S. Venzo, Parma 1980, pp. 16, 33, 40 s.; G. Zanzucchi, I lineamenti geologici dell'Appennino parmense, ibid., p. 227; B. D'Argenio, Lo sviluppo delle conoscenze geol. moderne nell'Italia merid., in Cento anni di geol. ital. Volume giubilare della Soc. geol. italiana, Bologna 1984, p. 306; G. Merla, La tettonica dell'Appermino settentrionale dagli albori al 1950: riflessioni e ricordi, ibid., p. 182; M. Pieri, Storia delle ricerche nel sottosuolo padano, ibid., pp. 158-161; L. Trevisan, Autoctonismo e faldismo nella storia…, ibid., p. 191.