Bava, Mario
Direttore della fotografia e regista cinematografico, nato a San Remo il 31 luglio 1914 e morto a Roma il 26 aprile 1980. Operatore e direttore della fotografia dalla fine degli anni Trenta, con la sua attività di regista negli anni Sessanta e Settanta rinnovò, rivisitandone i codici narrativi, diversi generi del cinema popolare, e in particolare l'horror e il thriller, dei cui filoni italiani può essere considerato tra gli iniziatori. Ignorato in vita dalla critica italiana, godette della stima di quella francese più attenta, e di un'intera generazione di registi statunitensi cinefili (come Joe Dante e Tim Burton), che gli hanno reso omaggio più volte nei loro film. La sua opera, che ha indubbiamente segnato il thriller italiano degli anni Settanta, a partire da Dario Argento, dopo la sua morte è stata oggetto di una rivalutazione crescente in tutto il mondo. Si avvicinò al cinema grazie al padre Eugenio (1886-1966), scenografo per la casa di produzione francese Pathé dal 1906, poi operatore, regista, e infine direttore del reparto trucchi cinematografici all'Istituto Luce dal 1930. Terminati gli studi liceali senza conseguire il diploma, nel 1934 B. iniziò a lavorare all'Istituto Luce come titolista. Nel 1939 esordì come direttore della fotografia in due cortometraggi di Roberto Rossellini (Il tacchino prepotente e La vispa Teresa). Operatore dal 1940 (La comédie du bonheur, Ecco la felicità!, di Marcel L'Herbier), direttore della fotografia di lungometraggi dal 1943 (L'avventura di Annabella di Luigi Menardi), lavorò con registi come Mario Soldati, Luciano Emmer, Steno e Raoul Walsh, facendosi apprezzare sia per l'uso sapiente delle ombre nel bianco e nero, sia per i cromatismi audaci. Ideatore di effetti speciali economici quanto efficaci (I vampiri, 1957, e Caltiki, il mostro immortale, 1959, entrambi di Riccardo Freda), il suo ruolo creativo spesso esorbitava da quello del semplice direttore delle luci. Proprio come ricompensa per avere portato a termine le travagliate riprese di La battaglia di Maratona (1959) di Bruno Vailati e Jacques Tourneur, i dirigenti della casa di produzione Galatea decisero di promuoverlo ufficialmente a regista. Diresse così La maschera del demonio (1960) che, influenzato dagli horror inglesi della Hammer Film Productions, fu capostipite di una breve stagione di opere italiane dello stesso genere, che da questo film ripresero, oltre alla protagonista Barbara Steele, le atmosfere ambigue e i temi per l'epoca morbosi. In seguito B., pur specializzandosi nell'horror e nel thriller, compì incursioni negli altri generi del cinema popolare, dal mitologico al fantascientifico, dall'avventuroso al western, dal comico all'erotico. Film come Ercole al centro della Terra (1961), La ragazza che sapeva troppo (1963), La frusta e il corpo (1963), I tre volti della paura (1963), Sei donne per l'assassino (1964), Operazione paura (1966), su cui all'estero si basò la sua fama, appaiono oggi più complessi di semplici prodotti di genere: e non solo per la cura formale e il talento figurativo del regista (che spesso si faceva carico anche della fotografia, della scenografia e degli effetti speciali). Ingarbugliando a bella posta risibili vicende di vampiri, fantasmi e morti viventi, B. puntava infatti sulla creazione di atmosfere oniriche e di paradossi spazio-temporali (come la stanza ad anello di Moebius di Operazione paura); da una parte attento ai risvolti psicoanalitici, dall'altra lieto di indulgere in un ironico grand-guignol. Se appare ormai assodato che il suo cinema esula dal semplice artigianato popolare, un'interpretazione limitativa ha visto in lui un formalista barocco, cinicamente disinteressato alle vicende che racconta; altri lo hanno invece elevato a poeta del nulla e della vanità umana, che distrugge consapevolmente ogni possibilità di interpretazione razionale delle storie. Queste due diverse letture valgono anche per la produzione successiva, che accentua il for- malismo e il sarcasmo, fino a esiti che sono stati paragonati alla Pop Art e sfiorano lo sperimentalismo: Diabolik (1968), Il rosso segno della follia ‒ Un'accetta per la luna di miele (1970), 5 bambole per la luna d'agosto (1970), Ecologia del delitto (1971). Negli anni Settanta B. fu sempre più isolato: alcuni suoi film non uscirono (Cani arrabbiati, cruda vicenda on the road girata nel 1974 e riemersa nel 1996), o vennero manipolati e rimontati (Lisa e il diavolo, 1972, uscito in Italia come La casa dell'esorcismo nel 1975).Il figlio Lamberto (nato nel 1944) ha seguito le orme del padre, ed è infatti regista di horror.
Omaggio a Mario Bava, a cura di L. Bava e G. Falucchi, in "La lettura", 1980, 47.
P. Martinet, Mario Bava, Paris 1984.
Mario Bava, éd. J.-L. Leutrat, Liège 1994.
A. Pezzotta, Mario Bava, Milano 1995.
T. Lucas, Mario Bava. All the colors of the dark, Cincinnati 2001.