BERGAMO, Mario
Nato a Montebelluna (Treviso) l'8 febbr. 1892, fratello di Guido, studiò presso i padri Cavanis a Possagno; frequentò quindi l'università di Bologna, laureandosi nel 1914 in legge e iscrivendosi quindi alla facoltà di lettere. A Bologna fece anche le sue prime esperienze politiche, fondando nel 1912 con Natale Mazzolà l'Alleanza universitaria repubblicana. Repubblicano e antitriplicista, dopo l'assassinio di Sarajevo fu interventista deciso e collaborò a varie pubblicazioni interventisticorivoluzionarie, come Guerra alla guerra. Volontario, più volte citato nei bollettini di guerra e congedato con il grado di con l'armistizio riprese l'attività politica nel partito repubblicano, schierandosi sulle posizioni di "Repubblica sociale ", presto definita la corrente bergamiana, a carattere nettamente rinnovatore e sociale. Con L. Arpinati, P. Nenni e il fratello Guido il 9 apr. 1919 aveva fondato a Bologna il Fascio di combattimento locale, da cui si dimise il 4 marzo 1920 di fronte all'involuzione politica dei fasci, all'intiepidirsi del loro repubblicanesimo e ai loro equivoci contatti con alcuni ambienti capitalistici. Scatenatasi, con la fine dell'anno, l'offensiva delle squadre fasciste, il B. ebbe lo studio di avvocato devastato tre volte ed egli stesso fu picchiato, come capo ormai riconosciuto dei repubblicani bolognesi e della corrente di sinistra del partito. Importante fu la sua campagna di stampa in difesa dell'organizzazione cooperativistica di Massarenti a Molinella; fu anche molto vicino ai gruppi dannunziano-deambrisiani e in particolare a La riscossa dei legionari fiumani, che sostenne in polemica con L'Assalto, organo dei fascisti bolognesi.
In occasione delle elezioni del 1924 fu eletto deputato repubblicano in Emilia. Nel partito combatté le correnti tradizionaliste, sostenendo "nell'ordine ideale: sostituire aila pregiudiziale la conseguenziale repubblicana; nell'ordine reale: rendere fra i due partiti - il socialista e il repubblicano - inutile uno dei due ". Nonostante le diffidenze che tale indirizzo politico suscitava, al congresso repubblicano di Milano del maggio 1925 fu eletto nella direzione, e quindi segretario politico.
Sotto la sua guida l'azione dei partito assunse un carattere più intransigente, e il B., dalle colonne della Voce repubblicana, fu uno dei più tenaci oppositori del fascismo. In polemica con la secessione dell'Aventino, il B. negò l'esistenza di una mera "questione morale" nei confronti della dittatura; esistevano radici storiche ben precise e reati dei fascismo che andavano combattute a fondo, e i deputati secessionisti dovevano anzitutto tentare di abbattere il fascismo. Quanto al partito repubblicano, il B. cercò di lanciare, in vista di una "repubblica sociale", l'idea della costituzione di un partito repubblicano-socialista.
Dopo l'attentato di Bologna contro Mussolini del 31 ott. 1926, ricercato dai fascisti, alcuni dei quali lo accusavano falsamente di esserne stato il mandante, il B. il 12 novembre con P. Nenni raggiunse clandestinamente Lugano. Di qui passò a Zurigo e quindi a Parigi.
A Parigi il B. ricostituì subito la direzione del partito repubblicano, che rappresentò in seno alla Concentrazione antifascista schierandosi all'opposizione, "predicandovi repubblica e organiche iniziative in Italia" e sostenendo che si dovesse abbandonare ogni possibilismo, proclamare la decadenza della monarchia e adoperarsi concretamente sul piano di una nuova, originale elaborazione culturale e politica.
In questa prospettiva redasse, sino all'estate del '28, buona parte de L'Italia del popolo, l'organo dei repubblicani in esilio, collaborò a L'Iniziativa di A. Jacometti e a Il pungolo di G. Donati, e pubblicò vari articoli su L'Oeuvre di Parigi e La dépéche di Tolosa. Per questa attività fu privato dal governo fascista della cittadinanza italiana e degradato.
Nell'estate del 1928, per gravi concontrasti con i compagni di partito, ormai integrati nella politica della Concentrazione, si dimise da segretario politico, senza per altro abbandonare l'attività politica. Anzi, della fine del '28 è un tentativo del B. di dar vita ad una Internazionale repubblicana a spiccato carattere sociale (M. B., L'Internazionale repubblicana, in La difesa, S. Paolo del Brasile, 16, 23, 30 dic. 1928). Allo stesso periodo risale anche la sua teoria - su cui insisté sempre più - della necessità di una sorta di "nazionalcomunismo" in cui si riassumevano le aspirazioni ad un radicale rinnovamento politico-sociale Da qui il suo quasi totale isolamento nel mondo dell'emigrazione antifascista, con cui si trovò in continua, spesso violenta, polemica; isolamento al quale, reagì con una intensa attività pubblicistica che ebbe echi anche in Italia, dato che suoi scritti furono discussi dal Popolod'Italia, dal Regime fascista e da Bibliografia fascista.
Nel 1931 il B. pubblicò a Parigi La France et l'Italie sous le signe du Latran (parzialmente anticipato in una serie di articoli apparsi, a commento della Conciliazione, su L'amitié francaise), tutto incentrato su due concetti: un laicismo integrale, spirituale, politico e sociale, e la necessità - sulla via degli Stati Uniti d'Europa - di una repubblica francoitaliana, a carattere federale e, appunto, laicointegrale. Sempre a Parigi pubblicò Donati o dell'esilio, scritto di polemica contro la Concentrazione, e a Marsiglia De l'Etat Barbare ou l'arbitraire comme conception juridique dans la Iègislation fasciste. Nel '32, su suggerimento di R. Rossetti, precisò il suo programma politico in alcuni Lineamenti di programma repubblicano usciti a Parigi, e tornò con Saturnia o l'elogio della discordia (pubblicato sempre a Parigi) a polemizzare con le posizioni della Concentrazione. In quest'opera - una delle sue più felici ed incisive - il B. negava ogni validità effettiva all'unità dell'antifascismo, da lui considerata artificiosa perché nelle file antifasciste molti erano esponenti di una politica che era stata alla base del fascismo; in queste condizioni la "concordia" era solo elisione reciproca e causa di immobilismo: l'antifascismo, vivendo di frasi fatte, perdeva il contatto con la realtà italiana. Pure del '32 è una sua prefazione all'Antifascismo nuovo di Italicus (A. Pesenti). Lo sforzo sistematico maggiore il B. lo tentò però nel 1933-34 con una rivistina quindicinale (in tutto ne pubblicò 28 numeri), I novissimi annunci, in cui, oltre a seguire gli avvenimenti italiani, espose la sua teoria dell'" opposizione storica" (cioè delle cause storiche del fascismo) e dei "nazionalcomunismo ". I novissimi annunci, che il B. mandava regolarmente a Mussolini, sono sotto questo profilo una delle pubblicazioni più vive e stimolanti del nostro antifascismo. Nel 1935, ìnfine, il B. pubblicò a Parigi Un italien révolté (raccolta di lettere a personalità francesi e inglesi e ad amici italiani) in cui, se da un lato dimostrava l'immoralità e l'incongruenza economico-sociale della politica fascista in Etiopia, da un altro lato attaccava l'ipocrisia della Società delle Nazioni e dell'Inghilterra in specie, che, sotto la veste dell'antifascismo, mirava solo al mantenimento delle posizioni imperialiste.
Nel 1938-1939 il B. aderì alla Lega internazionale dei combattenti per la pace e collaborò a Le barrage, il giornale di H. Guilbeaux e M. Capy che fiancheggiava l'opera della Lega stessa. Occupata nel 1940 la Francia dai Tedeschi, il B. lasciò il posto presso le Messaggerie Hachette, che occupava dal '30, e si prodigò durante tutto il periodo dell'occupazione per aiutare gli ebrei e gli antifascisti ricercati. Alla fine del 1943 Mussolini, tramite un suo agente, invitò invano il B. a rientrare in Italia (a un analogo invito del '33 questi aveva risposto di essere pronto a tornare ma "alla testa di tutti gli emigrati politici") precisando che si trattava di partecipare alla stesura della costituzione della Repubblica Sociale ("l'espressione è vostra"). Il B. non rientrò in Italia neanche dopo la fine della guerra, rifiutandosi di riconoscere validità morale e politica alla restaurata democrazia italiana, cui rimproverava di non aver nulla imparato dalle vicende del precedente cinquantennio. A Parigi si adoperò per orientare l'opinione pubblica francese in senso meno ostile all'Italia; a questo scopo, tra l'altro, il 1° maggio 1946 diresse al ministro degli Esteri G. Bidault un'appassionata lettera aperta. Assunto come consigliere legale dall'editore Del Duca, il B. trascorse gli ultimi anni della sua vita rifugiandosi nel conforto della poesia (cfr. soprattutto: Elegia materna, Paris 1945; L'evasione e la fuga, Milano 1956; Giunco pensatore, Alpignano 1963) e collaborando saltuariamente ad alcuni periodici italiani. Sono di questo ultimo periodo L'Italia che resta (Milano 1960) e Novissimo annuncio di Mussolini (Milano 1962), sorta di bilancio morale e politico della sua esperienza e del suo "nazional comunismo" (cfr. anche Nazionalcomunismo, a c. di Giorgio Bergamo, Milano 1965, raccolta di scritti scelti, editi ed inediti).
Il B. morì a Parigi il 24 maggio 1963.
Fonti e Bibl.: Mestre, Arch. privato Bergamo; Archivio Centrale dello Stato, Segr. part. del Duce, Cart. ris. (1922-43), H/R, fasc. Bergamo Mario; M. Giampaoli, 1919, Milano 1928, p. 191; A. Garosci, Storia dei fuorusciti, Bari 1953, pp. 45, 274; A. Schiavi, Esilio e morte di F. Turati, Roma 1956, v. Indice; P. Nenni, Venti anni di fascismo, Milano 1964, pp. 105, 201, 402; R. De Felice, Mussolini, I, Il rivoluzionario, Torino 1965, p. 588.