CINGOLANI, Mario
Nacque a Roma il 2 ag. 1883 da Pollione e da Giuseppa Deserti. Laureatosi nell'università di Roma in chimica, intraprese in questo campo un'apprezzata attività di insegnamento e professionale, continuata per un quindicennio, fino agli anni Venti: fu assistente del prof. E. Paternò; fondò e diresse il laboratorio di restauro dei documenti antichi dell'Archivio di Stato di Roma, che sarebbe stato successivamente trasformato nell'Istituto di patologia del libro.
Ancora studente, nel 1900, entrò nella Gioventù cattolica e fu, presente ai lavori del I Congresso internazionale universitario cattolico. Nei, primi anni del secolo condivise e sostenne le idee e i programmi d'azione della democrazia cristiana di Romolo Murri. In rappresentanza del gruppo democratico cristiano romano - uno dei più avanzati nella tendenza autonomistica - prese parte, tra l'altro, nel novembre 1903 al congresso di Bologna dell'Opera dei congressi, ove si distinse per avere paragonato padre Zocchi al diavolo.
Ma operò precipuamente a fianco di Giambattista Valentenella Lega cattolica del lavoro di Roma., fondata nel 1902 da un gruppo, non molto numeroso, di lavoratori, specie tipografi (Ducci, Faccini, Lanzetti, ecc.). Uno dei circoli aveva sede presso la chiesa di S. Eusebio, a piazza Vittorio Emanuele II, e per assistente ecclesiastico il giovane Giovanni Nasalli Rocca (Valente, p. 8).
Segretario della Lega nel 1904, il C. fu propagandista e organizzatore di leghe bianche di lavoratori nel Lazio, in Umbria, nelle Marche. In questi anni collaborò ai periodici democratico-cristiani: dalla Cultura del popolo a Il Domani di Italia.
In seguito, praticamente durante tutto il corso della sua presenza pubblica, continuò a collaborare a quotidiani e periodici. Le collaborazioni giornalistiche, pur cospicue, sono tuttavia complementari e subordinate, comunque strettamente connesse, all'attività svolta nell'ambito dell'Azione cattolica, del partito popolare, della democrazia cristiana. Suoi articoli (alcuni di carattere memorialistico), dichiarazioni, interventi sono, infatti, esaminatì negli organì dì stampa direttamente o indirettamente espressione delle organizzazioni delle quali fece parte: dal Corriere d'Italia a Il Popolo, per ricordare solo i più noti.
Nel 1905 fu tra i promotori de L'Italia nuova, il quotidiano che ad Ancona, per pochi mesi, dopo la crisi e lo scioglimento dell'Opera dei congressi e le vicende che portarono alla soppressione de La Patria, tentò di "collegare fra loro tutti gli amici sparsi in giro per l'Italia, superando le divergenze fra ortodossi e "murriani" (G. Valente, p. 104). Concluso questo tentativo, pur mantenendo contatti e amicizie, il C., come molti altri, si staccò da R. Murri e dagli autonomi della Lega democratica nazionale. Preferì alle "chiesuole" l'impegno nelle organizzazioni ufficiali dell'Azione cattolica.
Il suo campo d'azione fu la Gioventù cattolica italiana (G. C. I.), della quale in pochi anni divenne un'autorevole esponente. Cominciò dal circolo di studenti medi "Dante e Leonardo" di Roma, da lui costituito nel 1903, nel quale svolse - seguendo in particolare gli studenti degli istituti tecnici - una efficace opera di formazione religiosa e sociale, in una prospettiva nazionale (si pensi, in proposito, alla partecipazione di quei giovani alle celebrazioni del cinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, nel 1911, e alla prima guerra mondiale).
Con la diffusione dei circoli si concretizzò il rinnovamento dell'organizzazione cattolica giovanile, che permise la costituzione nel 1908 della Federazione romana della Gioventù cattolica, della quale il C. fu uno dei dirigenti, segnalata anche in campo avversario per la sua incisiva presenza sociale e culturale. Nello stesso tempo, le posizioni del C. vennero gradualmente assunte dalla G. C. I.
Se al I Convegno giovanile cattolico, nel novembre 1904, il presidente della G. C. I., Paolo Pericoli, respinge il suo ordine del giorno, che riprendeva la polemica democratico-cristiana e "criticava l'opportunità delle alleanze elettorali clerico-moderate" (D. Veneruso, La Gioventù cattolica, p. 106), deviando dalle direttive pontificie, per insistere, invece, sulla necessità dell'azione economicosociale da realizzarsi tramite la costituzione di segretariati del popolo, di leghe professionali, confessionali e di classe, e sull'agitazione per il riposo festivo, non disgiunte dalle battaglie politiche; nel settembre 1909, al I Congresso cattolico umbro, la maggioranza era già schierata con il C., con Umberto Merlin, Giovanni Gronchi, Umberto Tupini, cioè con i "tenaci assertori dell'organizzazione di classe e professionali ed avversari dei connubi clerico-moderati" (ibid., p. 111).
Tra il 1910 e il 1915, l'ascesa del C., quale dirigente delle organizzazioni cattoliche, fu parallela alla sua multiforme attività, che lo vide presente oltre che a Roma, specialmente nell'Italia centrale e meridionale. Relatore al III Congresso della Federazione universitaria cattolica italiana (F.U.C.I.), a Napoli nell'aprile 1910, sull'organizzazione degli studenti delle scuole secondarie, e al XX Congresso cattolico di Modena, nel novembre, sull'attività della gioventù cattolica, al congresso di Roma della G. C. I., nel dicembre, venne eletto consigliere nazionale. Inoltre, la sua presenza nel consiglio della Federazione laziale delle Casse rurali, nel Consiglio nazionale per l'emigrazione e il lavoro, nel consiglio della Società per le industrie estrattive dei prodotti agricoli e la presidenza del Comitato nazionale per il lavoro e la cooperazione femminile documentano l'interesse e l'impegno del C. in campo economico e sociale, quest'ultimo realizzato anche con la partecipazione all'opera di soccorso da lui prestata ai terremotati di Sicilia, nel 1908, e d'Abruzzo, nel 1911.
Del resto, nel consiglio superiore della G. C. I., il C. fece valere queste vaste esperienze col chiedere, nel 1913, insieme con Cipriani, alla società di intraprendere "una grande inchiesta nazionale, condotta regione per regione, sulle condizioni dei contadini". L'inchiesta venne effettivamente iniziata, e continuata anche durante la guerra, favorendo per questo tramite, in assenza di iniziative dell'Unione economico-sociale, il radicarsi di "una base reale nelle campagne, a fianco delle Leghe e dei circoli specializzati per contadini" (ibid., pp. 114 ss.).
Conseguentemente, due anni dopo, nel corso dell'adunanza generale della G. C. I. (3-5 genn. 1915), sostenne la necessità per la Società di farsi promotrice di "una forte organizzazione nazionale degli agricoltori", come compito mediato dell'altro, attinente alla "formazione sociale dei soci rurali" (ibid.).
Ormai l'attività del C. si colloca ai vertici dell'organizzazione cattolica. Presidente della giunta diocesana romana dell'Azione cattolica, dopo l'elezione al pontificato di Benedetto XV, venne aggregato - insieme con don Sturzo e Grosoli - nel consiglio direttivo e, nell'ottobre 1914, nominato vicepresidente dell'Unione popolare. Con Sturzo, Mario Chiri, Bosco Lucarelli, Carlo De Cardona fece, inoltre, parte della commissione dell'Unione per il Mezzogiorno, costituitasi a Napoli nel 1915 con lo scopo di affrontare, per gradi, il grave.problema dell'Azione cattolica nel Sud, tramite il miglioramento della cultura religiosa e l'avvio di iniziative sociali ed economiche.
Nel 1914 il C. ebbe anche l'opportunità di affermarsi sul terreno politico-parlamentare. Infatti gli venne offerta la candidatura nella elezione suppletiva del collegio di Perugia II. Pressioni romane lo fecero desistere dalla prova, ma l'indicazione e la richiesta chiarirono l'inevitabilità della prospettiva politica e, ad un tempo, il punto di forza elettorale del C., legato all'Umbria non solo dalla vasta attività svoltavi negli anni precedenti, ma da solidi agganci familiari.
Contrario "all'ideologia dell'interventismo", prima dell'entrata in guerra della Italia, vi partecipò come ufficiale del corpo chimico e fu tra coloro che operarono perché i cattolici assumessero un inequivoco atteggiamento di sostegno allo sforzo nazionale, in vista di una loro presenza determinante a guerra conclusa.
Il 23 marzo 1915 nel Consiglio direttivo dell'Unione popolare presentò, con Filippo Crispolti, l'ordine del giorno, approvato, sul Belgio, del quale si chiedeva la rinascita "a dignità di nazione indipendente sotto le norme e le garanzie intangibili del diritto internazionale cristiano" (G. De Rosa, Storia del movimento cattolico, I, p. 595).
Il 17 genn. 1917, nel corso del convegno delle giunte diocesane della Unione popolare, incentrato sul tema della guerra e della condotta dei cattolici italiani, con Angelo Mauri, Giovanni M. Longinotti e Giovanni M. Bertini, presentò un ordine del giorno, approvato all'unanimità, nel quale si invitava "la giunta direttiva a sviluppare un'azione vigorosa e continua in senso decisamente popolare per indirizzare i cattolici verso tutti quei problemi nella cui impostazione e soluzione, durante e dopo la guerra, dovevano schiettamente affermare il loro programma sociale" (F. Magri, L'Azione cattolica, p. 367).
Ancora, in un analogo convegno del febbraio 1918, con Longinotti, Martire, Merlin, F. Crispolti, si schierò con Sturzo, sostenendo l'ordine del giorno presentato da don Bortolotti in opposizione all'altro di Guido Miglioli. L'ordine del giorno, superata l'ipotesi dell'opposizione assoluta al governo, sottolineava, con la necessità di una costante penetrazione cattolica nel popolo, l'opportunità "in quest'ora di sacrifici" di valutare "equamente tutti gli aspetti e i fattori della vita nazionale" (L. Masetti Zannini-A. Fappani, pp. 162 s.).
La prospettiva, che, con dop Sturzo, anche il C. contribui a costruire, si realizzò con il Partito popolare italiano (P.P.I.), di cui fu uno dei fondatori. Prese parte alle riunioni del 23 e 24 nov. 1918, convocate da don Sturzo nella sede dell'Unione romana, e agli incontri successivi; fu, nel dicembre, tra i componenti della "piccola costituente" del partito. Inoltre il C. "fu l'anima e il trascinatore di tutto il popolarismo umbro. Con un attivismo incessante e travolgente, circondato da pochi amici, fondò ovunque sezioni, cooperative, casse rurali, associazioni sindacali; si rese disponibile per comizi, conferenze, dibattiti, contraddittori" (A. Mencarelli; p. 345).
Al primo congresso nazionale del P. P. I. (Bologna, 14-16 giugno 1919) intervenne nel corso dei lavori della terza giornata sulla seconda parte dell'ordine del giorno Cavazzoni. Sostenne, con Tupini, la linea dell'intransigenza assoluta dei popolari sul terreno elettorale. Rilevato il "grave errore" dei liberali nel ritenere i popolari "come il sostegno del moderatismo di ieri", sottolineò l'opportunità di fugare ogni dubbio, caratterizzando la "funzione sociale" del P. P. I. e la sua forza.
Chiamato a far parte, per aggregazione, del Consiglio nazionale del P. P. I. il 28 giugno, come uno tra i nove suoi più significativi esponenti, venne candidatoielle elezioni politiche del 16 novembre nei collegi di Perugia e di Ancona-Pesaro-Urbino. Riuscì eletto deputato per la XXV legislatura a Perugia, con 7.835 voti di preferenza (su 20.159 ottenuti dalla lista); ma anche nell'altro collegio ottenne una buona affermazione, giungendo al terzo posto - primo dei non eletti - dopo Bertini e Cappa.
Molto attivo nel gruppo parlamentare e nel partito, del quale fu vicesegretario, all'inizio del 1920 si occupò, tra l'altro, della questione ferroviaria.
In vista dello sciopero dei ferrovieri e d'accordo con la loro Associazione nazionale, fece parte della delegazione - con Sturzo, Cavalli, Micheli - che ottenne dal governo la partecipazione dei lavoratori al consiglio di amministrazione dell'azienda; la riforma delle tabelle organiche del personale; l'estensione dell'indennità al personale delle officine; la riduzione a sette ore dell'orario di lavoro dei personale dei reparti a trazione.
Nel marzo 1921, a nome dei popolari, si dichiarò contrario a nuove elezioni politiche, che avrebbero inasprito la lotta e moltiplicato le violenze in corso. Deciso da Giolitti lo scioglimento della Camera e l'indizione di nuove elezioni per il iS maggio 1921, si ripresentò candidato nei collegi di Perugia e di Ancona (Pesaro e Urbino, Macerata, Ascoli Piceno). Venne rieletto a Perugia, aumentando i voti di preferenza a 17.163. Nominato vicesegretario del gruppo parlamentare popolare, continuò a prendere attivamente parte ai lavori della Camera, con frequenti interventi, tendenti, in particolare, a sostenere e a precisare le proposte riformiste del partito.
Così, ad esempio, in occasione della discussione sulla riforma dell'amministrazione dello Stato, nel luglio 1921, ripresentò l'ordine del giorno Tangorra sull'istituto regionale; e, successivamente, propose - ottenendo l'appoggio di quasi tutti i settori della Camera - con Pietro Romani di trasformare, nell'ambito della riforma doganale, la protezione dell'industria siderurgica in premi transitori alla produzione. Parallelamente, nel partito, il ruolo del C., costantemente allineato con don Sturzo, si accrebbe.
Mentre al secondo congresso del P.P.I (Napoli, 8-11 apr. 1920) la sua presenza fu secondaria, al terzo congresso (Venezia, 20-23 ottobre 1921), fu designato a svolgere la relazione sulla "situazione politica del Paese e i limiti della collaborazione parlamentare", che era un "compito ingrato" (S. Jacini, p. 140).
Nella relazione congressuale del 21 ottobre, il C. affrontò subito la questione della collaborazione parlamentare del partito con i gruppi liberali di sinistra. Essa era stata necessaria per due ragioni: da un lato, per ridare tono all'istituto parlamentare e per riaffermare, così, l'autorità dello Stato; dall'altro, per accrescere il ruolo della forza sociale del P. P. I. e per sostenere alcuni punti del suo programma riformatore. L'impegno dei deputati popolari e le attese degli strati sociali da essi rappresentati erano stati tuttavia logorati, in parte dall'intrecciarsi degli avvenimenti, in parte dall'incapacità degli altri gruppi costituenti le maggioranze di governo di comprendere e di farsi carico delle situazioni reali.
Il partito popolare non doveva sbagliarsi soprattutto su un punto: l'atteggiamento dei socialisti. Oltre le dichiarazioni, era in corso il tentativo di rendere possibile una collaborazione tra sinistre liberal i e destra socialista, un blocco radical-demo-socialista, che si sarebbe risolto in una politica anticlericale. Se "esteticamente e forse politicamente - osservò il C. - sarebbe interessante per noi guardare dal di fuori un esperimento di governo di questo genere", in realtà il vero interesse del partito. come forza di massa, era quello di tendere, "per il giorno nel quale rispondendo ad, un imperativo scaturente da una situazione ancora imprevedibile", ad essere parte costitutiva di una maggioranza coi socialisti. Anche in questo caso, come nella presente situazione - concluse il C. - si doveva rispettare il P. P. I. come forza di ricostruzione, con i suoi ideali, i suoi obiettivi programmatici, non come "una semplice forza di riporto".
"Il congresso... si trovò d'accordo con la relazione Cingolani" (G. De Rosa, Storia del movimento cattolico, II, p. 206), tanto che la sua replica si ridusse ad una rapida rassegna dei nuovi ordini del giorno e delle aggiunte e degli emendamenti presentati al proprio. Recependo alcune osservazioni emerse dal dibattito, l'ordine del giomo venne. approvato senza difficoltà.
Il documento si rifaceva largamente alla relazione. Sottolineava, inoltre, l'opportunità di procedere alla "formazione di un comitato di maggioranza responsabile dell'osservanza dello spirito e delle contrattazioni delle alleanze parlamentari"; e precisava - sulla base delle richieste fatte da F. L. Ferrari di escludere ogni collaborazione con i fascisti, gli agrari, i nazionalisti - la disponibilità dei popolari ad accordarsi soltanto "con gli aggruppamenti politici responsabili, efficienti, espressioni di forza reale, che non siano quelli che nel pensiero loro e per la pratica della loro azione dimostrino di non poter effettivamente convergere alla realizzazione di un rinnovamento profondo di tutta la vita nazionale".
Dopo le dimissioni del ministero Bonomi e il primo veto di don Sturzo al ritomo di Giolitti, con la formazione del primo ministero Facta (26 febbraio-1° ag. 1922), il C. ebbe il primo incarico di govemo, come sottosegretario al ministero del Lavoro e della Previdenza sociale. Conservò l'incarico anche nel secondo ministero Facta (1° agosto-31 ott. 1922), fino alla crisi decisiva che portò alla formazione del governo presieduto da Mussolini.
Sulla crisi del 28 ottobre, il C. rilasciò, in seguito, una breve testimonianza. raccolta da A. Repaci (La marcia su Roma, II, pp. 388 s.).
Ripresa l'attività parlamentare, in vista del quarto congresso del P. P. I. (Torino, 12-14 apr. 1923), il C. espresse, nella polemica tra le tendenze interne al partito, la propria posizione con chiarezza. Mentre F. L. Ferrari, Attilio Piccioni e la sinistra del P. P. I. escludevano la possibilità della collaborazione col fascismo, antitetica ai principî morali, politici e sociali professati, la "tesi Cingolani", : dando "il colpo più salutare all'equivoco che si vuol alimentare dai filo-fascisti mascherati e dai democristiani intiepiditi. nello snervamento della politica parlamentare e dell'opportunismo, rimettendo in chiara luce la posizione delle due vere e autentiche tendenze fra le quali si impegnerà il dibattito di Torino", affermava "che antitesi non esiste fra noi ed il fascismo, onde dedurne la logica della collaborazione".
A sostegno di questa tesi si accampava il "superiore dovere nazionale" (F. L. Ferrari, "Il Domani d'Italia", pp. 70s.). In realtà, il C. mantenendo una posizione centrista, senza dubbio "equivoca" sul terreno delle affermazioni di principio, stava tentando, sul piano tattico contingente, di arginare le tendenze scissionistiche della destra del partito, salvaguardandone, per questa via, la compattezza e la "dignità".
Occorre, infatti, tenere conto dei rapporti complessi intercorrenti tra molti della destra popolare e la gerarchia ecclesiastica, i cui indirizzi stavano rapidamente svolgendosi in senso favorevole al governo fascista. E il C. era troppo addentro alle questioni dell'Azione cattolica per poterne sottostimare gli atteggiamenti., A ben guardare, anche in seguito, l'attività del C. fu rivolta a salvaguardare la presenza. politica dei cattolici, utilizzando ogni residua possibilità offerta dalle contingenze.
Tentò, così, di svolgere un delicato ruolo di mediazione nel gruppo parlamentare popolare dopo il congresso di Torino, i cui deliberati costituirono l'occasione attesa da Mussolini per restituire ai membri popolari del governo "ampia libertà d'azione e di movimento" e per chiedere "un più esplicito chiarimento. della situazione che potrebbe essere fornito da un voto inequivocabile del gruppo parlamentare popolare".
Il C. nell'illustrare, a nome del direttorio del gruppo nella sua qualità di segretario, l'ordine del giorno che poi venne approvato, in contrapposizione a quello presentato dall'on. Livio Tovini, insisteva sull'opera svolta dal governo, la quale avrebbe dovuto essere sorretta da "tutte le forze sane, che, al di sopra delle vedute di parte, sappiano porre la necessità nazionale". A questa esigenza si connetteva "anche il problema della riforma elettorale". Infine, venivano riconfèrmate sia la "piena lealtà" dei deputati popolari "verso il capo del governo", sia "la fedeltà verso il partito in conformità delle finalità di questo e alla loro sicura coscienza di cattolici e di italiani".
L'ordine del giomo "non incontrò il pensiero del segretario politico del partito e fu disapprovato dalla Sinistra" (G. De Rosa, Storia del movimento cattolico, II, p. 374);non soddisfece Mussolini, con ciò pegnando la fine della collaborazione di governo dei popolari, e, infine, non bloccò il distacco della destra dal P. P. I. e dal gruppo parlamentare.
Conclusa questa difficile fase, se ne apri un'altra caratterizzata dalle violenze fasciste verso le organizzazioni cattoliche e popolari. Anche il C. venne aggredito dai fascisti. Continuò, tuttavia, a dichiarare la volontà di collaborare col governo fascista, perché "l'esperimento si compia e riesca". Nello stesso tempo, utilizzando tutte le residue possibilità tattiche offerte dall'azione parlamentare e nonostante le forzate dimissioni di don Sturzo dalla segreteria del partito, si impegnò nel difenderne la linea. Entrato a far parte del Consiglio nazionale del P. P. I. tramite il gruppo parlamentare, in quei mesi di crisi del partito fu anche in predicato per sostituire Giuseppe Donati nella direzione de Il Popolo.
I suoi, atteggiamenti, nell'intento di salvare la rappresentanza parlamentare del partito e, per questa via, lo stesso istituto parlamentare, furono sempre improntati a moderazione. Del resto il C. agì spesso a nome e per conto del gruppo dei deputati popolari, mediandone le spinte contrastanti. Ne è un esempio l'ordine del giorno da lui Presentato sulla legge Acerbo, nel quale, mentre si ammetteva l'introduzione del premio di maggioranza, anche al fine di "inserire le forze fasciste nella Costituzione", si cercava di limitame quanto più possibile la portata, fissandola in tre quinti (60%) dei mandati, se la lista prevalente avesse ottenuto i due quinti (40%) dei voti validi.
Fu, invece, fermo nel difendere la "personalità" del P. P. I. rispetto alle richieste di revisione dei secessionisti, tuttavia mantenendosi in una posizione centrista e sostanzialmente conciliante, soprattutto nel suo collegio elettorale. Nelle elezioni del 6 apr. 1924, candidato nella circoscrizione Lazio e Umbria, riuscì primo eletto con 7.086 voti di preferenza.
Eletto membro del direttorio del gruppo parlamentare popolare, dopo il delitto Matteotti prese parte all'Aventino. Al quinto e ultimo congresso del P. P. I. (Roma, 28-30 giugno 1925) venne chiamato alla vicepresidenza. Il 16 genn. 1926 decise di rientrare nell'aula di Montecitorio, con altri ventuno deputati popolari, subendo "il pestaggio" dei deputati fascisti. Con Jacini e Gronchi, tra i "quotati" alla segreteria del partito nel settembre 1926, in vista di un congresso che non si tenne, il 9 novembre venne dichiarato decaduto, con gli altri deputati aventiniani, dal mandato parlamentare.
Si incontra difficoltà a ricostruire compiutamente la vicenda umana e Pimpegno politico del C. - come, del resto, di molti altri - durante gli anni del regime. Fu attivamente e costantemente antifascista, senza nutrire eccessive illusioni. Attentamente sorvegliato dalla polizia, fece l'agente d'assicurazione, una professione che gli permise libertà di movimento e di frequenti contatti, e l'agricoltore, curò cioè le sue proprietà, in Umbria. Ebbe l'aiuto della moglie, Angela M. Guidi, dirigente cattolica, che restò al fianco del marito anche nel dopoguerra, quale autorevole esponente del movimento femminile della Democrazia cristiana. La sua abitazione romana e la sua residenza di campagna, a Torgiano, divennero luogo di incontro di ex deputati e di altri autorevoli personalità popolari, di dirigenti della Azione cattolica, romani e umbri, di prelati.
I suoi collegamenti con persone e gruppi vennero mantenuti anche con viaggi in ogni parte d'Italia e furono favoriti dalle responsabilità che il C. continuò a ricoprire in seno all'Azione cattolica. Occorre inoltre tener conto dell'attività dei figli - in particolare di Carlo, poi sacerdote - i quali a Roma, seguendo in certo modo l'esperienza paterna, rinnovarono, nel 1935, la vita dell'associazione giovanile studentesca "Dante e Leonardo".
Ciò significa soltanto che il C. fu in grado di seguire direttamente la formazione e la evoluzione dei movimenti giovanili cattolici, non che ne condivise gli indirizzi e le modalità organizzative. Ad esempio, sempre nel 1935, il C. sostenne che le organizzazioni cattoliche giovanili, specie la F. U. C. I., avrebbero dovuto essere assorbite dalla G. C. I. schierandosi così, in linea con gli indirizzi che sembrarono allora prevalere, per una soluzione meramente organizzativa e fendenzialmente burocratica e chiusa dell'Azione cattolica. Di qui, ancora, gli attriti e le polemiche tra igiovani cattolici, che intendevano in modo concreto l'impegno sociale, e i "vecchi", tra i quali il C., che sembravano limitare la loro operosità alle conferenze. Ma, tra l'una e l'altra generazione cattolica, là differenza di toni va messa in rapporto Con un più ampio spettro di considerazioni, riconducibili, in sintesi, all'atteggiamento da. assumersi nei confronti del regime fascista. È ben naturale che il C. e gli ex popolari ritenessero il logoramento del regime come prioritario rispetto a qualsiasi altro motivo di impegno, anche se poi, nei fatti, non riuscivano a vedere in che modo l'auspicato ritorno al regime dei partiti potesse realizzarsi. Tipica, da questo punto di vista, la posizione del C., in ciò d'accordo con De Gasperi, Giulio Rodinò ed altri, nel valutare lo sforzo dei movimento neoguelfo. Il C. riteneva che la situazione negli anni Trenta fosse non suscettibile di evoluzione e, quindi, "stupido e vano" ogni tentativo, soprattutto se sostenuto soltanto da una debole propaganda.
Tuttavia, con l'ingresso dell'Italia nel secondo conflitto mondiale, l'impegno del C. si sviluppò in più direzioni. Quale cavaliere dell'Ordine di Malta, "prestò la propria opera negli ospedali di Roma e poi al seguito delle unità militari italiane operanti sul fronte russo. Assolse pericolose missioni in favore di religiosi e di civili polacchi perseguitati dai tedeschi; scoperto, . fu deferito al Tribunale di guerra" (Dizionario dell'antifascismo e della Resistenza, ad vocem). Dopo l'8 sett. 1941 "fu attivo nella resistenza, partecipando alla lotta clandestina nelle formazionì del generale Caruso" (ibid.), sfuggendo a due mandati di cattura delle S.S. Considerato componente del Corpo italiano di liberazione, venne decorato di medaglia d'argento al valor militare. Nella clandestinità, il C. operò particolarmente, con De Gasperi, Spataro, Campilli, Gonella e altri, per la costituzione della Democrazia cristiana.
Dopo la liberazione di Roma, nel giugno 1944, con la ripresa della vita politica, fu uno degli esponenti di ffiaggior peso della Democrazia cristiana (D.C.). La sua presenza negli organi dirigenti dei partito fu costante e, in alcuni casi, decisiva. Entrato in Consiglio nazionale nel luglio 1944, al congresso interregionale di Napoli, come rappresentante degli ex deputati aderenti al partito, e nel novembre in direzione centrale della D. C., rimase in questi organismi di vertice, salvo brevi interruzioni, fino al 1956.
Nell'aprile 1946 fu confermato membro del Consiglio nazionale dal I congresso della D. C., ove venne eletto, con un suffragio non brillante (quarantanovesimo di una lista di sessanta); continuò in seguito a fame parte, dal 1953 al 1956, quale presidente del gruppo democristiano del Senato e, dal 1948 al 1953, quale rappresentante dei senatori democristiani. Di questo consesso, fu, infine, nominato membro a vita.
Partecipò ai lavori della direzione centrale, per cooptazione quale commissario della D. C. per la Consulta, nel 1945; come ministro, nel 1946; poi, come presidente del gruppo senatoriale D. C., dal 1948 al 1953.
Naturalmente non mancò ai congressi nazionali della Democrazia cristiana, dal primo all'undicesimo, ma soltanto nei primi quattro. durante il periodo degasperiano, giocò un ruolo di primo piano.
Numerosi sono i segni della sua presenza nella vita dei partito. Senza considerare le posizioni assunte nelle sedi periferiche, in Umbria e a Roma, che pure servirono ad indirizzare e a determinare la linea politica della D. C., basti ricordare i suoi interventi al I, II, III congresso; la relazione sull'attività del gruppo parlamentare al Senato e il discorso commemorativo di Gervasio FederiCi nel quinto anniversario della morte al IV congresso; i frequenti interventi ai Consigli nazionali: nel gennaio 1946, sulla relazione di Giuseppe Dossetti, relativa ai rapporti coi sindacati, e sulla relazione di Fuschini, relativa alle elezioni amministrative; nel dicembre dello stesso anno, sulle relazioni politica e organizzativa di Piccioni e Ceschi (in quella circostanza votò contro la mozione di sfiducia presentata da Lazzati e Dossetti); nel luglio 1948, sulla relazione di Piccioni; nel settembre sulle modalità e i compiti dell'assemblea organizzativa del partito; nel dicembre ancora sulla relazione di Piccioni; nell'agosto 1949 - dopo le osservazioni fatte nel corso dell'assemblea organizzativa del gennaio - sulle relazioni organizzativa e di propaganda di Elkan e Tupini; nell'ottobre sulle relazioni politica e relativa alle elezioni amministrative di Taviani e di Mattarella, inoltre, sull'ordine del giorno riguardante i contratti collettivi di lavoro e il diritto di sciopero; nel dicembre ancora sulla relazione politica di Taviani e sull'ordine dei giorno conclusivo; nell'ottobre 1950 - dopo avere riferito in direzione, nel luglio, sull'opera del Senato per le riforme sociali, e durante i lavori dello stesso Consiglio nazionale sui lavori del Consiglio di Europa - sulle relazioni di Gonella, Rumor, Tupini, Dossetti; nel gennaio 1951, sulle relazioni di Gonella e Dossetti, e nell'ottobre - dopo aver perorato nella direzione dell'agosto l'unità della D. C. - sulla riformà dei Senato; nel giugno e nel dicembre 1952 sulle relazioni politiche di Gonella - dopo avere nel marzo svolto in direzione una relazione sui compiti e sulla riforma del Senato -; nel febbraio 1951 sul piogramma elettorale, e nel settembre sulla relazione politica di Gonella.
Dirigente dell'ufficio relazioni internazionali del partito nel 1952 e nel 1953, venne eletto alla vicepresidenza delle Nouvelles Equipes internationales e del Centro di intesa dei democratici cristiani d'Europa. Fece parte, come membro di diritto, nel 1953, della terza sezione di politica sociale della consulta economico-sociale della D. C. e, nel 1955, della commissione per le proposte di modifica dello statuto del partito del 1946. Gli incarichi di partito furono, tuttavia, per il C., una conseguenza diretta della fiducia in lui riposta dalla D. C., durante il periodo degasperiano, ma anche dopo il 1953, della quale rappresentò e interpretò in una molteplicità di ruoli e di sedi le linee e gli indirizzi.
Incaricato, dal giugno 1944 al febbraio 1946, quale membro della commissione per la punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo, dell'avocazione allo Stato dei profitti di regime, il C. venne nominato, nel 1945, membro della Consulta, della quale fu commissario della D. C. e vicepresidente.
Capolista della D. C. in Umbria, riuscì primo degli eletti nel collegio all'Assemblea costituente e, nel febbraio 1947, venne nominato vicepresidente del gruppo democristiano. Senatore di diritto nella prima legislatura, dal 1948 al 1953, per tutto il quinquennio, ripetutamente confermato, tenne la presidenza del gruppo democristiano. Eletto nel 1933, nel 1958, nel 1963 nel primo collegio senatoriale umbro, continuò a far parte del Senato fino al 1968. Nella seconda legislatura, dal 1953 al 1958, caduta la sua candidatura alla presidenza in concorrenza con Tupini e Zoli, venne eletto alla vicepresidenza.
Ricoprì due volte, per brevi periodi, incarichi ministeriali di rilievo: ministro dell'Aeronautica nel secondo gabinetto De Gasperi (13 luglio 1946 - 2 febbr. 1947); ministro della Difesa nel quarto gabinetto De Gasperi, dal 31 maggio al 15 dic. 1947, Da quest'ultimo incarico si dimise - dimostrando la propria disponibilità - per consentire al presidente del Consiglio di trasformare con un rimpasto il governo monocolore democristiano in governo di coalizione con il P.S.L.I. e il P.R.I. Al C. successe il repubblicano Cipriano Facchinetti.
Numerosi e di grande prestigio furono anche gli incarichi assolti in campo internazionale negli anni Quaranta e Cinquanta: primo delegato italiano nella Commissione internazionale del lavoro, nel 1945, a Parigi; poi nella Conferenza intemazionale del lavoro di San Francisco e nell'Organizzazione internazionale del lavoro (O. I. L.) a Ginevra e Bruxelles; membro del Consiglio d'Europa a Strasburgo; e dell'Assemblea della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (C. E. C. A.).
Le principali linee dell'ùnpegno politico del C. nel secondo dopoguerra furono di sostanziale fedeltà ai capisaldi del popolarismo, tendenti ad affermare la presenza dei cattolici italiani alla guida della società e dello Stato. In questa chiave il C. si schierò per la soluzione repubblicana nel 1946, anche per dimostrare che le masse cattoliche, non solo le socialiste e le comuniste, si muovevano in una prospettiva di sviluppo democratico e antifascista. Del resto il suo contributo ai lavori della Costituente, nel dibattito in aula, fu notevole e centrato su numerose questioni: dai diritti delle minoranze etniche al diritto di sciopero, alle funzioni delle regioni, delle province, dei comuni.
Per l'importanza degli incarichi avuti e per. la sua durata, anche l'attività del C. in Senato fu cospicua. Scontata l'intensità e la qualificazione dei suoi interventi, molti dei quali incentrati sulle questioni internazionali, oltre le posizioni ufficiali espresse, andrebbero, forse, approfonditi i motivi dell'azione svolta in relazione con gli indirizzi di governo. A questo proposito, da ultimo nel 1962, futra i senatori D. C. firmatari di un ordine del giorno critico riguardo alla scelta dinazionalizzare l'energia elettrica.
Contribui, collocandosi nell'area degasperiana e moderata, a caratterizzare in modo originale la presenza della Democrazia cristiana, distinguendo i suoi modelli organizzativi ' da quelli di altre formazioni politiche. Così, nel 1944, propoise, con successo, opponendosi a Vanoni, i gruppi di studio e di propaganda giovanile, intesi come un settore del partito e non come federazione autonoma aderente al partito, secondo la tradizione socialista.
Certo, non mancano nella soluzione del C. evidenti motivi tattici, che, tuttavia, tostituiscono un coerente sviluppo dei suoi indirizzi e delle sue scelte precedenti. Così, nel 1948, sollevò la questione dei rapporti della D. C. con l'Azione cattolica, poi ripresi e specificati da Lazzati. In rapporto alla sua posizione nella D. C., vanno rimarcati i riferimenti positivi all'azione del C. fatti da Sturzo in numerosi articoli e scritti polemici sul partito dei cattolici e sugli indirizzi economicosociali dello Stato negli anni Cinquanta.
Rimase costantemente legato all'Azione cattolica. Nel 1946, ad esempio, fu lui a svolgere la relazione al convegno della Gioventù italiana di Azione cattolica su "I cattolici e la Costituente". Commissario onorario dell'Associazione scoutistica cattolica italiana. della quale aveva fondato a Roma nel 1916 i primi reparti, collaborò dal 1959 a Strade aperte, bimestrale del Movimento adulti scouts italiani.
Dal 1946 al 1960 venne ripetutamente eletto -consigliere comunale di Roma. Ricoprì molti. altri incarichi, tra i quali quelli di presidente della Società chimica italiana; di consigliere dell'Istituto di credito fondiario, delle Assicurazioni generali, della Film Universalia.
Tra i suoi scritti si ricordano: Dal mio "Diario di guerra": guerra del 1915-18. Pattuglie d'eroi "moriamur in simplicitate nostra", Roma 1917; Mio piccolo diario. Campagna di Russia 1942, ibid. s. d.; Padre Ventura, in Figure del movimento cristiano sociale in Italia, ibid. 1947; La difesa di Roma, ibid. 1949; Nel XX della morte di G. Salvadori, in Quaderni di Studi romani, sez. II, III(1949); I cattolici e l'unità d'Italia, in Il convegno di San Pellegrino, Roma 1962, pp. 648-51; In memoriam. E. Martire e gli albori della democrazza cristiana in Roma, ibid., 1964; Pio XII e Romolo Murri, in Il Popolo, 14 marzo 1964.
Il C. morì a Roma l'8 apr. 1971.
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