DE MARIA, Mario (Marius Pietor)
Nacque a Bologna il 9 sett. 1852 da Fabio, medico e collezionista d'arte, e da Caterina Pesci.
La sua famiglia era agiata e vantava una tradizione artistica consolidata: il bisnonno, musicista, era stato direttore d'orchestra a Pietroburgo, mentre il nonno paterno Giacomo, scultore neoclassico seguace del Canova, aveva insegnato all'accademia di belle arti di Bologna.
Malgrado le pressioni dei familiari che lo volevano indirizzare agli studi di medicina, il D. seguì le sue naturali inclinazioni. manifestando interesse prima per la musica, passione mai sopita nel corso degli anni, e poi per la pittura.
Studiò tra il 1872 e il 1878 all'accademia della sua città, dove seguì con una certa irregolarità e atteggiamento insofferente, tipico del suo carattere, il corso di pittura di Antonio Puccinelli. Il D. si mostrava insoddisfatto dell'ambiente accademico bolognese, sostanzialmente chiuso a radicali rinnovamenti del linguaggio figurativo, ed era particolarmente sordo agli insegnamenti del suo maestro. Di fondamentale importanza per la sua formazione fu la lunga e profonda amicizia con il pittore bolognese Luigi Serra, di qualche anno più vecchio, che era stato a Firenze in contatto con i macchiaioli. Serra gli trasmise tra l'altro l'interesse per l'arte del Quattrocento, che assieme a quella del Seicento e soprattutto all'opera di Rembrandt costituirà il suo punto di riferimento culturale e figurativo.
La passione per l'arte del passato, che assume in lui aspetti quasi mistici (cfr. A. Conti, in catal. Biennale di Venezia, 1926, p. 111) lo porterà ad accrescere di nuove opere, da Tiziano a Canaletto, la già ricca collezione di famiglia.
Spinto dal desiderio di perfezionare la sua conoscenza della storia dell'arte, iniziò ancora studente una serie di viaggi nelle maggiori città italiane ed europee, e con lo stesso Serra, con Paolo Bedini e Raffaele Faccioli nel 1873 andò a Vienna per l'Esposizione universale. Un viaggio nella capitale francese è documentato nel 1878 sempre per l'Esposizione universale. Non si hanno dati certi per definire il campo degli interessi figurativi del pittore in questo momento ed eventuali contatti con l'ambiente artistico contemporaneo: si troverà un'influenza specifica, nella produzione successiva, soltanto della pittura dei paesaggisti di Barbizon e di Decamps, suggerita peraltro dallo stesso D. nel dipinto Omaggio a Decamps (1897 è citato dalle fonti, ma non rintracciabile). Appartengono a questo periodo i due paesaggi parigini oggi dispersi, Un boulevard - effetto notte e Pont Neuf.
Assai scarsa è la documentazione su questa prima produzione dell'artista già indirizzata alla pittura di paesaggio. Secondo Pantini (1902) l'esordio espositivo del D. fu fallimentare: suoi dipinti furono rifiutati alle esposizioni di Bologna e di Livorno nel 1874 e nel 1876, e successivamente (1880 e 1884) anche alle mostre di Torino e Milano. Nel 1878 partecipò all'Esposizione della Società promotrice di belle arti di Bologna con il dipinto A Mezzaratta-presso Bologna (ripr. in Pantini, 1902).
Dopo un viaggio a Londra, nel 1882 si trasferì a Roma, accogliendo i ripetuti inviti dell'amico Serra. Nella capitale entrò in contatto con la parte più rappresentativa e innovativa dell'ambiente artistico romano che si opponeva al "mestierantismo" e ai facili effetti della pittura alla Fortuny, ormai dilagante. Preso uno studio al n. 33 di via Margutta, frequentò dapprima Vincenzo Cabianca, amico di famiglia, dalla cui ricerca derivò alcune soluzioni compositive, oltre che un certo interesse per la pittura a macchia, documentato in alcune opere di questo periodo (Sull'aia, 1885-87, Firenze, Galleria d'arte moderna). Da Cabianca fu poi introdotto nel cenacolo di Nino Costa.
Frequentatore del caffè Greco ed animatore egli stesso delle serate dell'"omnibus", grazie al temperamento esuberante ed al tono sempre vivace e accattivante della sua conversazione, conobbe gli artisti della giovane generazione, da G. Cellini a N. Parisani, N. Pazzini, G. Vannicola, A. Ricci, A. Morani, oltre ai critici A. Conti e D. Angeli, a D'Annunzio e A. De Bosis.
Sono anni decisivi per la maturazione artistica del D., che assorbe i temi culturali della cerchia costiana e in particolare la concezione idealistica dell'arte che Conti va formulando nei suoi scritti su La Tribuna con lo Pseudonimo di Doctor Mysticus.
Il D. ricercava un diretto contatto con la natura, durante suggestive passeggiate per la Campagna romana, per tscoprire" nel vero i "pensieri della natura". La sua stessa indole eccentrica lo portava ad assumere l'atteggiamento aristocratico che si voleva connaturato all'artista, distaccato dalla realtà presente, volto verso il passato e la pittura degli antichi. Fece propria, grazie alla sua spiccata sensibilità artistica, l'esigenza di rivalutazione del lavoro pittorico, l'interesse per la sperimentazione e il problema delle tecniche.
In questo periodo il D. non fu presente a mostre ufficiali tranne che all'Esposizione di Roma (1883), dove presentò i Barcaioli (disperso), e a quella della Società degli acquerellisti, pure a Roma (1885). Si dedicava tuttavia con fervore all'attività pittorica, producendo una serie di opere in cui mostrò di essere giunto alla formulazione di una sua poetica, sotto certi aspetti del tutto autonoma e sostanzialmente costante nel corso della sua carriera.
Diciotto di questi dipinti presentati alla I Mostra della Società In arte libertas, salutati come la "rivelazione" di un artista eccezionale (Levi, 1886), costituivano la parte più originale della esposizione, confermando il ruolo di protagonista che il pittore era venuto ad assumere nel cenacolo romano (Tempesta, 1979, Damigella, 1981). Accanto ad una serie di quadri solari, d'impronta più naturalistica, dedicati a luoghi di Capri, e a un insieme di paesaggi della Campagna romana, il D. presentava alcune scene notturne con soggetti fantastici e letterari, visioni macabre illuminate dalla livida luce della luna. La luna sulle tavole di un'osteria, 1884 (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), proponeva l'atmosfera inquietante di un locale all'aperto, sconvolto da un fatto di sangue, così come l'aveva vissuto il pittore (Ojetti, 1911).
L'attività fotografica portata avanti dal D. all'inizio del suo soggiorno romano, parallelamente e come supporto alla ricerca pittorica, conferma quanto la partenza dal dato reale, dal "vero", sia alla base del suo processo creativo. Il ritrovamento di un fondo di fotografie eseguite dall'artista ha reso possibile riconoscere la derivazione di soggetti e iconografle di alcuni dipinti dalle istantanee eseguite dal D. tra il 1882 e il 1887 (Falzone-Tempesta, 1979).
Oltre che per l'originalità dei soggetti, le immagini del D. si imponevano per gli effetti chiaroscurali, richiamo alla pittura di Rembrandt (cfr. del D.: La luce di Rembrandt, in IlMarzocco, 29 genn. 1911), e per la potenza espressiva della materia pittorica.
Nel 1886 l'artista partecipò all'edictio picta dellaIsaotta Guttadauro di D'Annunzio, curata da G. Cellini, con due illustrazioni per L'alunna e una per Eliana (Ediz. La Tribuna, Roma).
L'anno seguente espose alla Il Mostra di In arte libertas una serie di dipinti i cui titoli, richiamandosi a J.A. Whistler, invece di rimandare al soggetto ritratto, ponevano in evidenza gli elementi pittorici della composizione (tra gli altri Due grigi in una scatola di gialli, Fantasia sul bruno e sul grigio, ricordati da Ojetti, 1911).
La sua presenza alla mostra del Circolo artistico tedesco di piazza Campitelli nello stesso anno conferma i rapporti con gli artisti tedeschi contemporanei, in particolare con A. Boecklin, già evidenti in certe analogie iconografiche e tematiche (I cipressi di villa Massimo, 1886 [riprodotti in Pantini, 19021), presenti anche nella produzione successiva (Il meriggio di un fauno, 1910, Venezia, Museo d'arte moderna). Benché minimizzata da certa parte della critica (Pica, 1899), è innegabile una derivazione della ricerca del D. dalla cultura figurativa tedesca, che va interpretata come partecipazione "a quel realismo visionario", in cui in modo misterioso si opera l'unità del mondo e dell'io, l'unione tra soggetto e oggetto, che anima la cultura mitteleuropea (Tempesta, 1979).
L'artista intensificò i rapporti con il mondo tedesco a partire dallo stesso 1887 per ragioni personali: il matrimonio con Emma Voight, originaria di Brema, lo spinse a soggiornare ripetutamente in Germania, nella campagna intorno a Brema, fonte di ispirazione di numerosi dipinti (tra gli altri Una notte a Bergfeld, 1917, Piacenza, Galleria d'arte moderna Ricci-Oddi) e anche nelle maggiori città, dove fu presente alle più importanti esposizioni (Monaco 1888, 1892, 1897, Berlino, 1887 e 1891), ottenendo un notevole successo. Nei musei tedeschi potenziò la sua conoscenza dell'arte contemporanea: ancora una volta era affascinato, come scriveva a Conti e a Cabianca (in Damigella, 1981, pp. 67 s.), da A. G. Decamps, C. Corot, J. F. Millet, C. F. Daubigny.
L'allontanamento da Roma, dopo il soggiorno nel settembre del 1887 a Terracina con O. Carlandi - dove lavorò tra l'altro ad una tempera murale per il Circolo artistico, oggi distrutta - coincise con alcuni dissapori, non ancora dei tutto chiariti, con gli artisti di In arte libertas, e con il conseguente distacco dal gruppo.
Nel 1892 si trasferì definitivamente a Venezia, dove prese uno studio alle Zattere; dopo un primo periodo difficile caratterizzato da uno stato depressivo, il D. si inserì appieno nella vita culturale della città, diventando uno dei personaggi di spicco del dibattito artistico. Per la passata esperienza romana, e i rapporti che continuava ad intrattenere con Conti e D'Annunzio, era considerato come uno dei tramiti culturali con la capitale. Partecipò attivamente, come membro della Commissione consultiva, alla costituzione della Biennale (cfr. catal., 1895, p. 4 n. 1), intervenendo anche nelle discussioni sulla salvaguardia del patrimonio architettonico veneziano che ebbe in Pompeo Molmenti un accanito sostenitore.
I paesaggi di Venezia, che già comparivano nella produzione giovanile, diventano il luogo privilegiato in cui sono ambientate le composizioni del D., ancora caratterizzate dal gusto del macabro e dell'orrido: "Le visioni più macabre allora lo soddisfacevano come una festa" (Ojetti, 1911).
Gli angoli abbandonati, le mura corrose di Venezia offrono lo scenario naturale al suo mondo fantastico ed onirico, che a volte è popolato da piccole figure umane, simili a fantasmi. Nel 1894, firmandosi per la prima volta "Marius Pictor", anche per distinguersi da E. De Maria Bergler, espose alla Triennale di Milano il Fabbricante di scheletri (riprodotto in Pantini, 1902), per il quale la critica avanzava i nomi di E. A. Poe e di E. T. A. Hoffmann.
L'anno seguente progettò con B. Bezzi la facciata effimera del padiglione principale, detto "Pro arte", della prima Esposizione internazionale di Venezia: di impostazione classicheggiante, lontana dai tipi di architetture neogotiche che comparivano nei suoi quadri, fu sostituita soltanto nel 1914 (per il disegno acquarellato cfr. in Scotton, 1983, p. 42).
A partire dalla metà dell'ultimo decennio del secolo si nota un ulteriore approfondimento, nella ricerca del D., degli elementi idealistici, a cui non è estranea l'amicizia con Vittore Grubicy, che si data dal 1899. Le dichiarazioni dell'artista che si ritrovano nella letteratura (Pantini, 1909; Ojetti, 1911) e il suo scritto La luce di Rembrandt, in IlMarzocco del 29 genn. 1911, testimoniano una concezione "mistica" dell'arte.
La creazione artistica puo avvenire soltanto in uno stato di particolare eccitazione nervosa, di trance, in cui il pittore, manipolando la materia pittorica riesce a rendere l'emozione della visione iniziale. Nel corso della sua attività il D. perfezionò la ricerca di una tecnica adeguata alle "idee" espresse, usando materiali naturali e preziosi, sperimentando lui stesso miscele appropriate che dessero la garanzia dell'inalterabilità, stendendo sopra il dipinto a tempera degli strati successivi di velatura che rendevano la materia pittorica preziosa come quella degli smalti antichi.
Dal 1895 partecipò, pressoché costantemente sino al 1932, alla Biennale veneziana; a quella del 1909 (VIII) ebbe una mostra individuale. Fu presente alla Triennale di Torino (1898) e di Milano (1900); continua fu la partecipazione alle edizioni delle mostre nel Glaspalast di Monaco, dove G. Cairati aveva ordinato nel 1900 la sala delle Corporazioni dei pittori e scultori, cui il D. aveva aderito nel 1899.
Dopo il 1905, in seguito alla morte tragica della figlia Silvia, il D. attraversò una nuova e più grave crisi depressiva, che rese necessario il ricovero in una clinica a Berna. Di questo momento resta presso gli eredi a Venezia un diario con minuziose annotazioni sulla sua salute psichica e una serie di disegni di animali eseguiti allo zoo di Berna.
Tornato a Venezia, si dedicò al progetto e alla costruzione (terminata nel 1913) di una casa in memoria della figlia, simbolicamente allusiva nelle tre finestre - i tre "oci" - ai superstiti della famiglia, lui stesso, la moglie, il figlio Astolfo (la casa esiste tuttora; per i disegni si veda Scotton, 1983, pp. 405; foto d'epoca in de Guttry-Maino-Quesada, 1985, p. 179).
Si fece più frequente a partire da questo momento l'abitudine del D. di ritornare sui vecchi dipinti, correggendoli "per rivelare altri sentimenti", pur lasciando intatta la linea primitiva della composizione (Conti, in catal. Biennale di Venezia, 1926, p. 111).
Dopo il primo decennio del secolo il D. mostrò progressivamente un atteggiamento di chiusura di fronte ad un ambiente artistico che stava mutando radicalmente. Nel 1911, attraverso Grubicy, conobbe C. Carrà a Milano; aderì nello stesso anno alla Mostra d'arte libera nel padiglione Ricordi a Milano, dove esponevano, oltre a Carrà, U. Boccioni e L. Russolo. Non sono state finora sufficientemente indagate le ragioni della iniziale simpatia verso questi giovani artisti. Di fatto ogni rapporto si ruppe poco dopo la mostra milanese, quando la facile polemica futurista contro l'arte passatista si scagliò nel 1913 contro le pitture del D. dalle pagine di Lacerba (cfr. anche C. Carrà, Il rinnovamento delle arti in Italia [1945], Milano 1978, p. 560).
Amareggiato, l'artista visse i suoi ultimi anni tra Asolo e Venezia. Morì a Venezia il 18 marzo 1924. Due anni dopo gli fu dedicata una mostra postuma alla Biennale di Venezia, presentata dall'amico A. Conti.
Opere dell'artista si trovano nelle maggiori collezioni italiane ed europee; oltre a quelle citate nel testo, si ricordano il Museo Revoltella di Trieste, le Gallerie d'arte moderna di Milano e di Firenze, il Museo d'Orsay di Parigi; nella Galleria degli autoritratti degli Uffizi di Firenze, inv. A294, è l'Autoritratto. Alle mostre già menzionate si aggiunge la partecipazione del D. alla I Biennale d'arte romagnola di Faenza (1908), alla Esposizione retrospettiva regionale italiana di Firenze (1911), all'Esposizione universale di Bruxelles (1910), alla rassegna Venezia nei secoli XVIII e XIX, Parigi 1919. Tra le mostre postume l'Exhibition of Italian Art (1200-1900), Londra 1930, la Mostra dei quarant'anni della Biennale, Venezia 1935, la rassegna Riccardo Wagner nel mondo, Venezia 1953, la mostra Pittori emiliani dell'Ottocento, Bologna 1953, e quella Pittori dannunziani a Roma, tenutasi a Roma nel 1977. Per una esauriente documentazione sull'attività espositiva del D. si rimanda all'elenco pubblicato da F. Scotton (1983). Nel 1990 è stata organizzata a Bologna una mostra riassuntiva dell'attività di Mario, Giacomo e Astolfò De Maria.
Il figlio Astolfo, nato a Roma il 16 ag. 1891, assorbì naturalmente i contenuti della cultura paterna, appassionandosi ben presto alla pittura. La sua prima presenza espositiva documentata è quella nel 1920 alla Biennale di Venezia, che frequentò quasi costantemente fino al 1934.
Tra le prime opere esposte figuravano due ritratti di Vittore Grubicy, e di Gabriele D'Annunzio che testimoniano il legame con l'ambiente artistico del padre. Negli anni '30 partecipò a numerose rassegne dell'arte italiana all'estero, a Berlino (1933), Monaco, Stoccarda, Kassel, Colonia, Riga, Helsinki, e alle edizioni delle mostre provinciali del Sindacato fascista di belle arti di Venezia. Nel 1935 figurava alla mostra Quarant'anni della Biennale di Venezia. Nel '42 fu allestita una sala personale sempre alla Biennale di Venezia con diciotto opere.
Parte dell'attività di Astolfò fu assorbita dalla sistemazione della produzione del padre: curò nel 1926 assieme a G. Cadorin l'ordinamento della mostra postuma alla Biennale; si devono a lui, inoltre, alcune notazioni ed autentiche che compaiono sul retro di alcuni dipinti di Marius Pictor.
Morì a Venezia il 3 genn. 1946.
Fonti e Bibl.: Presso gli eredi, a Venezia, nella "Casa dei Tre Oci" oltre ad un album personale, prezioso per la documentazione, sono conservati una serie di cahiers des dessins, le fotografie, il diario, i disegni dello zoo di Berna, ecc.; ritagli della stampa quotidiana e periodica sono conservati presso l'Archivio della Galleria nazionale d'arte moderna a Roma. Ma cfr. anche i necrologi N. Barbantini, M. D., in IlGazzettino (Venezia), 20 marzo 1924, D. Angeli, M. D., in Il Marzocco, 30 marzo 1924; A. Conti, M. D., in IlGazzettino (Venezia), 18 sett. 1924; G. Damerini, In memoria: M. D., in Emporium, LIX (1924), pp. 203 s.; P. Levi, Una rivelazione, in La Tribuna, 15 febbr. 1886; G. Cantalamessa, Esposizione privata di pittura, in L'Italia artistica illustrata, IV (1886), 1, pp. 6 s.; Doctor Mysticus [A. Conti], Isaotta Guttadauro. Le illustrazioni, in La Tribuna, 1ºgenn. 1887; Id., Un'esposizione d'arte a Roma, ibid., 8 genn. 1887; Id., Aproposito dell'Isaotta, ibid., 14 febbr. 1887; G. A. Cesarco, in Lettere e arti, 9 febbr. 1888; E. Montecorboli, La festa dell'arte e dei fiori, in Natura ed arte, VI (1897), p. 888; V. Pica, Marius Pictor, in L'Arte all'Esposizione di Torino del 1898, n. 21; F. Nani Mocenigo, Artisti venez. del sec. XIX, Venezia 1898, p. 54; R. Pantini, Artisti contemporanei: M.D., in Emporium, XV (1902), pp. 82-107; P. Molmenti, La pittura venez., Firenze 1903, pp.184 ss.; S. D. Paoletti, M. D., in Natura ed arte, XIII (1903), pp. 266-271; A. Conti, Sulfiume del tempo, Napoli 1907, passim;E. Cozzani, Marius Pictor, in Vita d'arte, 1909, n. 17, pp. 237-244; R. Pantini, Marius Pictor, in La Nuova Antologia, 1ºsett. 1909, pp. 32-42; D. Angeli, Miseria e nobiltà all'Esposizione di Bruxelles, in IlGiornale d'Italia, 23 sett. 1910; N. Barbantini, L'arte di un pittore bolognese, in IlResto del carlino, 19 ott. e 16 nov. 1911; U. Ojetti, Ritratti d'artisti, Milano 1911, I, pp. 79-93; L. Pelandi, Marius Pictor, Bergamo 1912; J. Caprin, M. D., in Revue France-Italie, sett. 1911, pp. 301-310; C. Carrà-L. Russolo, Boll. medico, in Lacerba, 1ºsett. 1913; A. Melani, Marius Pictor architetto, in Emporium, XXXIX (1914), pp. 231-234; L. Bénédite, Storia della pittura del sec. XIX, Milano 1915, pp. 516-520; R. Calzini, M. D., Bergamo 1915; G. D'Annunzio, Notturno, Milano 1916; A. K. Neppi, Un po' di umanità signori pittori, in Poesia ed arte, I (1919), pp. 88 s.; A. Lancellotti, Le Biennali venez. dell'anteguerra, Milano 1926, pp. 99- 101; E. Somarè, Storia della pittura ital. dell'Ottocento, Milano 1928, II, pp. 515 s.; A. Conti, Marius Pictor, Roma 19291 U. Ojetti, La pittura ital. dell'Ottocento, Milano-Roma 1929, pp.43 -61; D. Angeli, Cronache del Caffè Greco, Milano 1930, pp. 133-143, 159-173; V. Costantini, Scultori e pittori ital. contemporanei 1880-1926, Milano 1940, pp. 100 ss.; C. Carrà, M. D., in Scena illustrata, febbr. 1942; Id., Artisti moderni, Firenze 1943, pp. 64 ss.; G. Perocco, Mostra di pittori venez. dell'Ottocento (catal.), Venezia 1962, ad Ind.;G. Romanelli, Ottanta anni di architetture e allestimenti alla Biennale di Venezia, Venezia 1976, pp. 8, 23; Id., Venezia Ottocento, Roma 1977; M. Fagiolo-M. Marini, Pittori dannunziani a Roma (catal.), Roma 1977, pp. 53 s., 80; M. Falzone-C. Tempesta, Marius Pictor fotografo, Milano 1979; A. Damigella, La pittura simbolista in Italia, Torino 1981, pp. 65-70, 162-164; F. Scotton, M. D. Nell'atelier del pittore delle lune, catal., Venezia 1983 (con ulteriore bibl.); Venezia nell'Ottocento, catal., Venezia 1983, p. 87; I. de Guttry-M. P. Maino-M. Quesada, Le arti minori d'autore in Italia..., Bari 1985, ad Ind.; Encicl. Ital., XII, p. 578, ad vocem;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 92 S. (sub voce Maria, Mario de).
Per Astolfo cfr.: L'Italia alla XIII Biennale di Venezia, in Il Mondo, 2 apr. 1922; C. Tridenti, in IlGiornale d'Italia, 21 maggio 1930; La mostra d'arte in Germania, in IlCorriere della sera, 10 genn. 1933; IlGiornale d'Italia, 29 maggio 1934; IlCorriere della sera, 2 maggio 1935; Ilritratto ital. contemporaneo a Padova, in Il Popolo di Trieste, 19 genn. 1943; IlGazzettino, 29 ag. 1945; Mostre d'arte, in IlMattino del Popolo, 7 ag. 1948.