DEL MONACO, Mario
Nacque a Firenze il 27 luglio 1915 da Ettore, funzionario dell'amministrazione comunale, e da Flora Giachetti che, dotata di una bella voce e di un naturale talento artistico, gli trasmise l'amore per la musica. Trasferitasi la famiglia a Cremona, fu avviato allo studio del solfeggio e del pianoforte da certo maestro Dondi, un modesto musicista che si guadagnava da vivere eseguendo al pianoforte il commento musicale dei film muti.
Nel 1925 dové lasciare l'Italia per Misurata (Libia), ove il padre era stato inviato quale commissario coloniale. Trasferitosi poi a Tripoli, tornò a coltivare i suoi interessi musicali, frequentando il teatro Miramare, ove si avvicendavano compagnie teatrali provenienti dai maggiori centri musicali italiani: poté così assistere a una rappresentazione dell'Aida di G. Verdi, in cui il ruolo di Radames era sostenuto dal tenore Attilio Barbieri, che in seguito sarebbe divenuto suo insegnante. Lasciata la Libia, si stabilì a Pesaro; nel 1928 si iscrisse nella classe di violino del liceo musicale "G. Rossini", studio che ben presto abbandonò avendo scoperto di possedere una voce tenorile robusta e squiflante. Completò comunque la sua educazione musicale, e, contemporaneamente, si iscrisse nel locale liceo artistico.
Introdotto negli ambienti musicali della città, per un breve periodo studiò canto con il Barbieri, che gli fu prodigo di consigli e favorì il suo primo esordio nel 1931 al teatro Beniamino Gigli di Mondolfo nelle Marche, ove sostenne un breve ruolo nel Narciso di J. Massenet; partecipò poi ad una rappresentazione del Don Pasquale di G. Donizetti con una compagnia formata da allievi del liceo e dilettanti in un teatrino di Ancona e infine fu Arturo nella Lucia di Lammermoor di Donizetti a Sant'Angelo di Lizzola. Dopo questa parentesi dilettantesca prese lezioni Private di canto da L. Melai Palazzini, un'allieva di A. Bonci che, tuttavia, indirizzandolo verso un repertorio di agilità, se facilitò il registro acuto, assottigliò la sua voce danneggiandone la potenza e la smagliante bellezza del timbro. L'inesperienza e la naturale facilità d'emissione lo indussero ad accostarsi al repertorio settecentesco e iniziò a percorrere varie località delle Marche e della Romagna per esibirsi nelle chiese in applauditi a solo; in seguito intraprese un serio corso di studi con A. Melocchi, insegnante nel liceo musicale di Pesaro. Rieducata la voce con appropriati esercizi, riacquistò gradualmente la potenza, l'ampiezza e la facilità naturale, raggiungendo piena omogeneità nella gamma che dal sibemolle giungeva sino al re bemolle sovracuto; tuttavia, non ancora soddisfatto dei progressi raggiunti, iniziò a creare una sua tecnica con cui riuscì a ottenere il meglio dal suo organo vocale.
Risultato vincitore di una borsa di studio al teatro dell'Opera di Roma dopo essersi presentato alla giuria presieduta da T. Serafin con brani di U. Giordano, G. Puccini, F. Cilea e G. Donizetti, fu ammesso a frequentare la scuola di perfezionamento del teatro. Partì pieno d'entusiasmo per Roma, ma anche questa esperienza si rivelò deludente: l'errata scelta del repertorio impostogli dall'insegnante di canto danneggiò ulteriormente la sua voce costretta ad affrontare ruoli non congeniali e impervi. In breve tempo perse quasi completamente la voce e agli inizi del 1938 tornò a Pesaro, ove riprese a studiare col Melocchi; richiamato alle armi, fu mandato all'autocentro di Milano, dove poté continuare lo studio del canto. Seguendo i consigli del vecchio insegnante riacquistò la voce e poté ottenere brevi scritture per i concerti domenicali del locale dopolavoro.
Il suo vero esordio ebbe luogo il 10 marzo 1940 con una compagnia di giro in Cavalleria rusticana di P. Mascagni al teatro di Cagli, ove il soprano Rina Filippini, che nel 1941 divenne sua moglie, esordì come Nedda in Ipagliacci di R. Leoncavallo. Ottenuta per interessamento della Filippini un'audizione da Fausto De Tura, impresario del teatro Puccini di Milano, fu scritturato per Madama Butterfly di Puccini; il suo debutto nel ruolo di Pinkerton, avvenuto il 29 dic. 1940, ebbe esito trionfale. Il successo riportato nell'opera pucciniana gli procurò numerose scritture in vari teatri italiani: dopo una tournée in Sicilia al teatro Biondo di Palermo per Cavalleria rusticana e Tosca di Puccini, fu al teatro Massimo Bellini di Catania per Bohème. Nel 1943, nonostante l'incalzare degli eventi bellici e la distruzione del teatro alla Scala, la cui compagnia stabile si trasferì a Como, venne scritturato dal complesso scaligero per lo spettacolo inaugurale della stagione, cantando in Bohème diretta da G. Del Campo. Fu poi scritturato da G. Lanfranchi, impresario del teatro Regio di Parma, per quattro recite di Tosca, accanto a Maria Caniglia e M. Basiola, direttore A. Erede: incoraggiato dal tenore F. Merli, presente allo spettacolo, riscosse entusiastici consensi che gli spalancarono le porte dei maggiori teatri italiani. Riconfermato a Parma per Bohème, Manon Lescaut, Turandot di Puccini e Ariodante di N. Rota, fu poi prescelto da A. Votto quale protagonista della Madama Butterfly a Rosignano Solvay.
Dopo l'armistizio fu scritturato dal teatro La Fenice di Venezia per l'inaugurazione della stagione 1943-44, in cui fu Rodolfo in Bohème accanto a Mafalda Favero; fu poi a Padova e quindi nuovamente a Venezia, ove venne prescelto dal sovrintendente della Fenice come sostituto di A. Pertile per la prima rappresentazione di Un ballo in maschera di Verdi accanto alla Favero, con cui il 25 apr. 1945 condivise il trionfo, consolidando definitivamente la sua affermazione. Finita la guerra, iniziò a percorrere i maggiori centri musicali della penisola: dopo Madama Butterfly e Gioconda di A. Ponchielli con G. Cigna, C. Tagliabue, direttore Votto, ancora a Venezia, fu a Bergamo (Tosca) e Trieste (Turandot di Puccini e Aida). Nel 1946 conobbe U. Giordano, che lo volle protagonista dell'Andrea Chénier, preparandolo personalmente per il ruolo del protagonista; fu poi al S. Carlo di Napoli per Gioconda, Tosca e Aida dirette da F. Capuana: andava così ampliando il suo repertorio arricchendolo di quei ruoli che diverranno rappresentativi della sua personalità e della sua carriera. Il successo napoletano gli procurò una scrittura per l'arena di Verona, ove fu un Radames particolarmente apprezzato; fu quindi a Firenze per Turandot con G. Cigna. Ormai affermato in campo nazionale, poté affrontare i pubblici europei e nel settembre dello stesso anno con la compagnia del S. Carlo cantò al Covent Garden di Londra nei Pagliacci di R. Leoncavallo accanto a M. Carosio; il successo riscosso fu tale che venne invitato a effettuare una registrazione in disco per la Voce del padrone.
Nel 1947, ormai entrato a far parte dell'olimpo dei grandi protagonisti del teatro lirico internazionale e avviato a una carriera tra le più luminose che durerà oltre trent'anni, totalizzò oltre cento recite, esibendosi nei maggiori teatri del mondo e giungendo in tournée fino in Brasile. Al teatro Municipal di Rio de Janeiro nel 1947 apparve in Andrea Chénier riportando un successo strepitoso, rinnovato poi in Trovatore di Verdi, Mefistofele di A. Boito e Guarany di A. Gomes. Tornato in Europa, fu a Charleroi, a Stoccolma (Tosca e Bohème con T. Gobbi e M. Favero), nel 1948 al Carlo Felice di Genova per Turandot con M. Callas agli esordi, rappresentata poi a Buenos Aires e diretta da T. Serafin. Ormai consolidata la sua fama, nel 1949 fu invitato ad esibirsi alla Scala in Manon Lescaut di Puccini e quindi prescelto da V. De Sabata per Andrea Chénier accanto a Renata Tebaldi, altro astro nascente. Nel 1950 affrontò non senza esitazione, conoscendo le impervie difficoltà della partitura verdiana, lo studio di Otello. L'occasione di debuttare nel ruolo che consacrerà la sua fama nel mondo e che canterà ben quattrocentoventisette volte, raggiungendo un primato forse ineguagliato nella storia del teatro musicale, si presentò allorché gli pervenne una richiesta dal teatro Colón di Buenos Aires (21 luglio 1950). Diretto ancora dal Votto, riportò un autentico trionfo, che si rinnovò poi a Rio de Janeiro e in tutti i teatri del mondo per l'intero arco della sua carriera.
Fu quindi scritturato dal War Memorial Opera di San Francisco per Aida (con R. Tebaldi) e altre opere di repertorio; in seguito, contattato da R. Bing, manager del Metropolitan di New York, ottenne un contratto di due anni con debutto il 13 nov. 1951 con Aida (protagonista Z. Milanov, direttore F. Cleva). La stessa opera, con altre di repertorio, portò nello stesso anno al teatro de Bellas Artes di Città del Messico, avendo Maria Callas quale partner. Nel 1952, dopo una memorabile Carmen di G. Bizet accanto a R. Stevens, iniziò con il Metropolitan una collaborazione durata oltre dieci anni con un repertorio assai vario ed eterogeneo. Frattanto la sua carriera si andava tingendo di un colore quasi mitico e accanto al delirio delle folle, soprattutto americane, si univa l'ammirazione dei critici, tanto che O. Downes sul New York Times lodefinì "tenor of tenors", rinverdendo così il personaggio che era stato di E. Caruso.
Tornato alla Scala nel 1955 dopo due anni di assenza, fatta eccezione per una recita di Andrea Chénier con la Callas, il D. apparve nei suoi cavalli di battaglia (Otello, Carmen, Andrea Chénier) e, dopo una parentesi veronese, affrontò il pubblico scaligero con Norma di V. Bellini, accanto a Maria Callas; l'opera, andata in scena il 7 dic. 1955, nonostante gli screzi con la grande cantante che lo stesso D. aveva proposto per il ruolo della protagonista al sovrintendente A. Ghiringhelli e al maestro Votto, direttore dello spettacolo, ebbe esito trionfale, anche grazie al crescente antagonismo sorto tra i due protagonisti durante la rappresentazione. Dopo tournées a Lione per Sansone e Dalila di C. Saint-Säens (1956), New York (Ernani di Verdi e Norma), Milano (Francesca da Rimini di R. Zandonai e Lohengrin di R. Wagner, 1957), nel 1959 si recò nell'Unione Sovietica per Carmen e Pagliacci al teatro Bol'šoj di Mosca, quindi a Belgrado, Tokio e a Parigi per Carmen in lingua francese, che gli valse un'onorificenza da parte dell'Académie française.
Continuò frattanto ad arricchire il suo già vasto repertorio e nel 1960 esordì alla Scala ne ITroiani di H. Berlioz, interpretando il ruolo di Enea; interrotta per otto mesi la carriera nel 1964, in seguito a un incidente automobilistico, la riprese con rinnovato entusiasmo soprattutto negli Stati Uniti potendo contare su mezzi vocali sostanzialmente integri. Al ritorno dagli Stati Uniti, riprese la carriera nei maggiori centri europei fino al 1974, allorquando, dopo un concerto alla Salle Pleyel di Parigi, diede l'addio alle scene europee con alcune recite di Pagliacci alla Staatsoper di Vienna e a quelle italiane con Il tabarro di G. Puccini a Torre del Lago (12 ag. 1974).
Dedicatosi in seguito all'insegnamento e alla stesura di un libro di memorie, La mia vita e i miei successi (Milano 1982), dovette interrompere ogni attività in seguito all'insorgere d'una grave malattia. Ritiratosi nella villa di Lancenigo (Treviso), morì a Mestre il 16 ott. 1982.
Figura di primo piano nel panorama tenorile del secondo dopoguerra, affermatosi nel momento in cui i grandi tenori del periodo tra le due guerre si avviavano al tramonto, il D. è stato per oltre un trentennio il protagonista pressoché assoluto del teatro musicale internazionale, rivaleggiando forse soltanto con G. Di Stefano, artista peraltro di diverso temperamento e caratteristiche vocali, insieme con il quale rappresentò le due punte di diamante del teatro d'opera dell'immediato dopoguerra fino agli anni Sessanta. La sua voce, splendida per timbro e volume, aveva nel registro basso colorito baritonaleggiante che conferiva alla sua vocalità un vigore e una ricchezza di colori del tutto particolare; si aggiungeva a questa particolarità una altrettanto straordinaria nitidezza nel registro acuto che, sostenuta da un fraseggio vibrante e incisivo, veniva a riallacciarsi alla grande tradizione dei tenori verdiani della seconda metà dell'Ottocento. Talvolta incline ad una certa enfasi, soprattutto nei ruoli veristi, il vigore interpretativo e l'irruenza drammatica lo avvicinarono a mitiche figure del passato come E. Caruso e F. Tamagno, cui venne paragonato per la forza dell'emissione e lo slancio espressivo. La prepotente presenza scenica, ad onta della modesta statura, aiutata dall'accuratezza del trucco e dalla valorizzazione dei pregi di un aspetto fisico gradevole e attraente, contribuì alla sua popolarità e al fascino esercitato sulle folle di tutto il mondo.
Il timbro bellissimo, vigoroso, dalle ammalianti inflessioni baritonali nella prima ottava, limpido negli acuti e caratterizzato da una consistente e smagliante iridescenza sonora, ha fatto del D. un fenomeno pressoché unico, riconducibile soltanto ai grandi fenomeni vocali del passato, in particolare a G. Martinelli nel suo primo periodo newyorkese al Metropolitan. Artista versatile e tenace, deciso a seguire il suo istinto piuttosto che a imitare modelli ideali, riuscì a forgiare una sua voce, una sua tecnica personale che si espandeva con generosa ampiezza di volume, varietà timbrica e fin dagli esordi fu sostenuta da un fraseggio scandito e autorevole. Fu protagonista acclamato d'un repertorio vasto e oneroso, che col tempo andò restringendosi ad alcuni ruoli in cui l'identificazione col personaggio raggiunse livelli pressoché ineguagliabili. Ruoli come Radames, Calaf, Des Grieux, Andrea Chénier, Pollione, divennero gli interpreti d'una personalità esuberante e generosa che in essi trovava la sua più congeniale manifestazione espressiva. Le qualità naturali rese ancor più emergenti da una personalissima emissione, una dizione scandita e drammaticamente efficace, un fraseggio incisivo e scultoreo, consentirono al D. di sfoggiare sonorità particolarmente vibranti e voluminose, mentre un declamato irruento e martellato spingeva verso prepotenti slanci sull'acuto che costituivano il punto di forza del suo successo delirante presso il pubblico. Impostosi negli anni Cinquanta come l'Otello per antonomasia, portò il ruolo verdiano nei maggiori teatri del mondo riscuotendo unanimi consensi e realizzando un'interpretazione che andò forse a scapito di un'intima penetrazione psicologica, ma che fu sempre centrata nei suoi aspetti musicali e scenici. Ugualmente autorevoli anche se contrassegnati da un denominatore comune rappresentato dalla personalità di un cantante che ha preferito plasmare i ruoli interpretati su un unico modello, una sorta di prototipo che il D. ha saputo imporre lungo tutto l'arco d'una carriera lunga e logorante, forse talora in maniera monocorde ma sempre efficace, da vero dominatore della scena: protagonista di un ruolo portato avanti con convinzione e per questo amato e idolatrato dai pubblici di tutto il mondo.
La più volte asserita tendenza baritonaleggiante della voce del D., del resto confermata dallo stesso cantante, ha avvalorato la sua appartenenza ad una tipologia di tenore drammatico che trova riscontro in un repertorio mai chiaramente aperto all'eroico puro e alle tessiture acute, fatta eccezione per alcune giovanili esperienze liricheggianti, del resto ben presto abbandonate in favore di una serie di ruoli in cui preferì fare concessioni a una certa esteriorità individuabile nel fraseggio stentoreo e virile, estraneo alle delicate nuances della mezza voce, alle ammalianti sfumature stilistiche che furono appannaggio di un Caruso e di un Pertile; tuttavia, anche in questa scelta risiede il fascino d'una voce che, rinunciando a personaggi spiccatamente lirici, affidò ai momenti altisonanti, allo slancio declamatorio, le qualità tipiche della sua vocalità: bronzee sonorità, prepotente vigore espressivo, anche se talora monocorde sul piano interpretativo, ma sempre condotto splendidamente su quello vocale.
Le riserve mosse al D., soprattutto da certa critica anglosassone, di aver voluto giocare tutto sul piano vocale a scapito dell'approfondimento psicologico dei personaggi, possono essere oggi in gran parte ridimensionate ascoltando le numerose testimonianze discografiche dalle quali emerge una galleria di personaggi che dal D. furono spesso delineati con sincerità e sobrietà ammirevoli.
Non meno intensa e brillante dell'attività teatrale fu infatti quella discografica, iniziata nel 1949 e proseguita fino alla fine della carriera; per un elenco completo della discografia, comprendente brani e selezioni da opere, dodici opere complete, un cofanetto della Levon di Parigi con le più belle registrazioni dal vivo, si rimanda alla discografia curata da R. Vegeto in Gara, Le grandi voci, coll. 208-214; tra le sue registrazionì di opere complete meglio riuscite, e in parte tuttora insuperate, si ricordano in particolare: Otello di Verdi con R. Tebaldi, direttore H. von Karajan (Decca SET 209/11 e CD 411 618.2); Sansone e Dalila di C. Saint-Saëns, con R. Stevens, direttore F. Cleva (RCA Victor LM 2309); Andrea Chénier di U. Giordano, con R. Tebaldi (Decca SLX 2208/ 10); Adriana Lecouvreur di F. Cilea, con R. Tebaldi (Decca SET 221/23).
Apparve anche sullo schermo in L'uomo dal guanto grigio di C. Mastrocinque (1949), Melodie immortali di G. Gentilomo (1952), Giuseppe Verdi (1953) e Guai ai vinti di R. Matarazzo (1955), La donna più bella del mondo di R. Z. Leonard (1955).
Fonti e Bibl.: Oltre ai necrologi apparsi sui quotidiani, cfr. in particolare quelli sul Il Tempo (Roma), 17, 18 e 20 ott. 1982; Ricordo di M. D., ibid., 4 genn. 1984; F. Nuzzo, M. D., in Opera, XIII (1962), pp. 372-377; C. Gatti, Il teatro alla Scala nella storia e nell'arte (1778-1963), Milano 1964, I, pp. 417, 442, 474; II, pp. 114, 120 ss., 129, 131 s., 134, 137-140, 142; E. Gara, Le grandi voci, a cura di R. Celletti, con discografia di R. Vegeto, Roma 1964, coll. 206-214; G. Lauri Volpi, Voci parallele, Bologna 1977, pp. 140 s.; V. Frajese, Dal Costanzi all'Opera, Roma 1978, III, pp. 190, 193, 239, 253 s., 258; IV, pp. 217, 231 s., 236, 239 s., 243 ss.; Città di Parma, Teatro Regio, Cronol. degli spettacoli lirici 1929-1979, a cura di V. Cervetti-C. Del Monte, Parma 1979, pp. 69, 72, 77, 80, 89; G. Gualerzi, Storia del teatro lirico del dopoguerra ad oggi, in TV Radiocorriere, LVIII (1981), 5, pp. 49-53; 6, pp. 45-49; M. Selvini, Ricordo di M. D., in Musica, VI (1982), 27, pp. 392397; p. M. Paoletti, Quella sera alla Scala, Milano 1983, pp. 75-80, 126; R. Allegri, Il prezzo del successo, Milano 1983, pp. 33-51; B. Cagnoli, L'arte musicale di F. Capuana, Milano 1983, pp. 53, 56, 61, 77, 102, 194, 196, 246, 248, 250, 254 ss.; D. Danzuso-G. Idonea, Musica, musicisti e teatri a Catania, Palermo 1984, pp. 422, 434, 437 s., 444 ss., 449; T. Celli-G. Pugliese, Tullio Serafin. Il patriarca del melodramma, Venezia 1985, pp. 178, 183, 197, 199, 207, 209; J. Culshaw, L'Otello di Verdi, in CD Classica, I (1987), 1, pp. 30-35; Enc. dello Spett., IV, coll. 421 ss.; The New Grove Dict. of music and musicians, V, p. 352.