DOTTI, Mario
Nato a Ferrara il 27 dic. 1891 da Edmondo e da Maria Manfredini, in continuità con una tradizione familiare di impegno nell'attività notarile e forense che risaliva al XVIII secolo, compì gli studi di gìurisprudenza nel libero ateneo cittadino, laureandosi nel luglio 1914 con i pieni voti assoluti e la lode. Nell'aprile 1915 fu proclamato procuratore dalla corte d'appello di Bologna.
Esponente, nel maggio 1913, dell'appena costituito nucleo ferrarese dell'Associazione "Trento e Trieste", nel gennaio 1914 fu tra i fondatori della locale Associazione nazionalista e dall'aprile successivo fece parte del comitato di redazione dell'Avanguardia, il settimanale dell'associazione, dalle cui pagine, oltre all'aperta ostilità verso i socialisti e verso "i postulati morali dell'eguaglianza delle classi, della fratellanza universale, della pace internazionale" (Avanguardia, 15 apr. 1914), i nazionalisti ferraresi manifestarono la più piena disponibilità a sostenere gli interessi economici della grande proprietà terriera.
Presente a Milano, nel maggio, ai lavori del terzo congresso nazionalista e oratore, a giugno, in due comizi organizzati per appoggiare la candidatura di E. Corradini alle elezìoni politiche suppletive nel collegio di Marostica-Sandrigo-Camisano, il D., avviatasi anche a Ferrara la campagna per l'intervento dell'Italia nella guerra europea, dal gennaio 1915 fu attivo nel comitato per la preparazione morale e nel sottocomitato per l'assistenza ai profughi irredenti e per l'arruolamento dei volontari. Il 17 maggio la sua firma comparve, insieme con quelle di I. Balbo, R. Castelfranchi, M. Poledrelli, L. Tumiati, A. Verdi e di altri, sotto il Manifesto del comitato interventista, che rivendicava l'immediato inizio delle operazioni da parte delle forze armate italiane, e di cui il prefetto impedì temporaneamente l'affissione perché "preveniva le decisioni governative per la guerra" (Arch. centr. dello Stato, Ministero dell'Interno, Direz. gen. della Pubblica Sicurezza, Direz. affari gen. e riservati, A5G).
Gli anni del conflitto videro il D. in un primo tempo ufficiale della milizia territoriale e successivamente dell'8° reggimento di artiglieria da fortezza.
Nel 1919 l'adesione del D. al Partito popolare italiano (PPI) fu essenzialmente dovuta agli amichevoli rapporti che lo legavano da tempo a G. Grosoli, ultimo presidente dell'Opera dei congressi e membro della commissione nazionale provvisoria del partito, il più cospicuo esponente di quella borghesia agraria, finanziaria e commerciale, favorevole a una linea politica di risoluta conservazione, che costituì dall'inizio la base sociale determinante del partito a Ferrara. L'esito delle vertenze per i rinnovi dei contratti dei lavoratori agricoli del 1919-20, che scosse le fondamenta dì una supremazia di classe sino allora quasi incontrastata, spinse i popolari ferraresi a offrire ampio credito al movimento fascista. In occasione delle elezioni amministrative generali del 31 ott. 1920 essi presentarono una lista eterogenea con i nazionalisti, i liberali e i fascisti, che però fu sconfitta dai socialisti (il D., candidato, non fu eletto).
Nell'aprile 1921 il comitato provinciale del PPI, ispirandosi alla lunga intervista in cui, nel marzo precedente, il Grosoli aveva fra l'altro paragonato le azioni violente delle squadre fasciste contro le sedi politiche e sindacali e contro i singoli militanti socialisti a una "crociata per la libertà" (Domenica dell'operaio, 20 marzo 1921), riconobbe nel Fascio di combattimento ferrarese un'"unione sacra", alla quale avevano aderito "i migliori fra gli uomini ... che all'ideale della libertà di tutti [avevano dedicato] ogni forza di braccia e di mente" (ibid., 24 apr. 1921), e sollecitò gli iscritti al partito a militare contemporaneamente nel Fascio.
Nel dicembre dello stesso 1921 il D., che a ottobre era stato delegato al terzo congresso nazionale del PPI, venne eletto nella direzione della sezione di Ferrara. Il 25 apr. 1922 ne assunse la segreteria. Nei mesi seguenti, malgrado le aggressioni, che iscritti e sedi popolari e organizzatori di leghe bianche avevano cominciato a subire nella provincia, egli confermò più volte la legittimità della scelta di campo filofascista. La formazione del primo ministero Mussolini fu esaltata dai popolari ferraresi in un manifesto, nel quale promettevano "fervore di collaborazione" al governo in nome del ripristino del "senso di autorità dello Stato" e del "valore morale delle gerarchie" (Domenica dell'operaio, 5 nov. 1922). Rinnovatasi per le elezioni amministrative del 3 dic. 1922 l'alleanza organica tra popolari, fascisti, nazionalisti e liberali (estesa nell'occasione ai radicali, all'Associazione nazionale combattenti, all'Associazione mutilati e invalidi di guerra e alla Federazione agraria), il D. entrò nel Consiglio comunale, che il 10 febbr. 1923 lo elesse amministratore della Congregazione di carità, e nel Consiglio provinciale, dove fu membro delle commissioni di revisione dei conti consuntivi per gli anni 1924-27.
Nell'aprile 1923, intervenendo nel confronto di posizioni che precedette e seguì lo svolgimento del quarto congresso nazionale del PPI, al quale fu delegato, il D. riaffermò, pur avanzando alcune riserve formali, il suo consenso di fondo alla fase politica aperta nel paese dalla marcia su Roma e alla collaborazione amministrativa iniziata con i fascisti e con le altre forze conservatrici a Ferrara. Un mese dopo, malgrado Mussolini già alla fine di aprile avesse espulso dall'esecutivo i popolari, la sezione cittadina del partito in un ordine del giorno manifestò la convinzione che l'accordo di governo con il Partito nazionale fascista dovesse essere mantenuto.
Tra la fine di luglio e l'inizio di agosto dello stesso 1923 le dimissioni del Grosoli (che approderà alla fondazione e alla direzione del clericofascista Centro nazionale italiano nell'agosto 1924) e di altri esponenti cattolici ferraresi dal PPI e l'ingiunzione rivolta dai fascisti ai consiglieri comunali e provinciali popolari di lasciare il partito o, in alternativa, le assemblee di cui erano membri, aprirono a Ferrara una fase di profonda crisi, che sfocerà nel novembre 1925 nello scioglimento della sezione cittadina deciso dalla direzione nazionale. Il D., pur conservando per Grosoli una salda amicizia, non ne imitò le scelte. Tuttavia si dimise da segretario della sezione, rimanendo nel Consiglio comunale e in quello provinciale in nome del "diritto di liberamente disporre della propria coscienza politica" (Domenica dell'operaio, 12 ag. 1923). Dopo l'assassinio di don G. Minzoni, arciprete di Argenta, compiuto da sicari fascisti il 23 agosto, si astenne dal fare dichiarazioni che significassero denuncia politica del delitto.
Con lo scioglimento dei due Consigli, disposto per decreto rispettivamente nell'ottobre 1926 e nell'aprile 1929 il D. concentrò la sua attività nelle istituzioni del laicato cattolico, operando, dal 1930, in stretto contatto con l'arcivescovo R. Bovelli. Fu presidente degli uomini di Azione cattolica. Della giunta diocesana nel 1934 e nel 1935 ricoprì la vicepresidenza e fra il 1936 e il 1940 la presidenza. Dal 1934 presiedette anche la conferenza dipendente di S. Antonio da Padova, nell'ambito della Società di S. Vincenzo de' Paoli. Il 27 ott. 1935 svolse la relazione introduttiva dell'ottavo congresso interregionale della S. Vincenzo, che si tenne a Ferrara (M. Dotti, Lo sviluppo della società e lo spirito vincenziano, in Indicatore ferrarese, 1936, pp. 5-21). Per l'insieme del suo impegno di militante cattolico fu insignito del titolo di commendatore di S. Silvestro e, dal 1941, ebbe la mansione di cameriere segreto pontificio.
Il richiamo alla "splendente realtà" della conciliazione e ai "due grandi uomini" (Mussolini e Pio XI) suoi artefici, che fece recensendo sull'Avvenire d'Italia (15 giugno 1937) una pubblicazione del senatore P. Niccolini su Grosoli e sulla politica ecclesiastica italiana, e poi, nel novembre 1940, il compiacimento per la realizzazione dell'assetto economico corporativo, per la "riscossa degli elementi nazionali" e per la raggiunta "unità spirituale degli Italiani", dovute al fascismo, che espresse commemorando la scomparsa dell'esponente cattolico ferrarese G. Maffei (In memoria dell'avv. cav. Giuseppe Maffei, Ferrara 1940), mostrarono che, alla soglia del drammatico epilogo di questo periodo della storia del paese, le sue convinzioni (condivise, per altro, dalle gerarchie ecclesiastiche e dalla grande maggioranza dei cattolici a Ferrara) rimanevano immutate.
Nel corso dei rastrellamenti effettuati nella notte fra il 14 e il 15 nov. 1943 e seguìti dall'eccidio di undici cittadini, i militi fascisti, come attestano alcune fonti, cercarono anche il D., che evitò fortunosamente la cattura. Ma quando, nell'estate del 1944, monsignor Bovelli lo propose come rappresentante dei cattolici nel Comitato provinciale di liberazione nazionale, i membri dell'organismo presero piuttosto in considerazione le sue note compromissioni politiche e respinsero l'indicazione del presule.
Il 26 apr. 1945 il D. partecipò nel palazzo arcivescovile alla riunione in cui furono gettate le basi della Democrazia cristiana (DC) ferrarese. Nei giorni seguenti divenne membro del comitato provvisorio del partito. Dopo lo svolgimento del primo congresso provinciale, che presiedette, fu eletto nella giunta esecutiva.
In una relazione del 5 settembre il prefetto aveva indicato in lui il capo della DC, riconoscendogli, indipendentemente dalla carica di cui era investito in quel momento, un ruolo di leader effettivo. Negli anni successivi il D. apparterrà più volte al comitato provinciale del partito e alla direzione della sezione cittadina. Attento ai conflitti e alle trasformazioni in corso nelle campagne, al secondo congresso provinciale della DC (aprile 1946) e al quarto (settembre 1947) prese la parola sui problemi sollevati dai progettì di riforma agraria e dalla realtà bracciantile. Ebbe inoltre un ruolo determinante nella costituzione della federazione provinciale della Confederazione nazionale coltivatorì diretti, di cui fu vicepresidente. Nel settembre 1951, come commissario della fondazione Navarra, il D. contribuì alla creazione di un istituto d'istruzione agraria, con annesso convitto, per la formazione professionale dei giovani coltivatori.
Il 31 marzo 1946, in occasione delle prime elezioni amministrative che si tennero a Ferrara nel dopoguerra, divenne nuovamente consigliere comunale (nei mesì precedenti era stato membro della giunta provinciale amministrativa). I colleghi dì gruppo lo designarono loro presidente. Sostenitore della limitazione alle questioni amministrative delle competenze dei Consiglio, quando questo, con sempre maggiore frequenza, si trovò a discutere delle conseguenze degli acuti conflitti che, specie negli anni della ricostruzione, investirono il paese e la provincia, il D. intervenne più volte per esprimere solidarietà alla linea politica seguita dai governi centristi e per difendere il ruolo dello Stato quale garante dell'Ordine costituito. Venne rieletto nel Consiglio comunale nel 1952 e nel 1956, mentre nel 1960 fu eletto nel Consiglio provinciale, dove rimase fino al 1964 e dove fu egualmente capogruppo dei consiglieri democristiani. Non avevano avuto il medesimo successo le sue candidature alle elezioni del 2 giugno 1946 per l'Assemblea costituente nella circoscrizione di Bologna-Ferrara-Ravenna-Forlì e a quelle del 18 apr. 1948 nei collegi senatoriali di Ferrara, dove il D. fu sconfitto dal comunista O. Putinati, e di Portomaggiore, dove prevalse il socialista A. Ravà.
Un'attività forense iniziata nel 1919 e mai interrotta, nel corso della quale il D. fu anche, nel 1923, parte civile nel processo di Mantova per i sanguinosi incidenti avvenuti il 20 dic. 1920 a Ferrara e, nel 1933-35, vìcepretore onorario, lo condusse alla presidenza dell'Ordine degli avvocati e dei procuratori della provincia, dopo che ne era stato consigliere. Fu ispettore regionale onorario per le biblioteche, membro della Deputazione ferrarese di storia patria e della Ferrariae decus, istituzione attiva nella salvaguardia e nel recupero dei monumenti storicì e artistici della città. Fu infine socio e consigliere della locale Cassa di risparmio.
Il D. morì a Ferrara il 2 nov. 1970.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato. Ministero dell'Interno, Direz. generale della Pubblica Sicurezza, Divisione affari generali e riservati, A5G, busta 94, fascicolo 211, sottofascicolo 1; Ibid., Gabinetto 1945-46, b. 203, f. 11060. Cfr. inoltre N. Quilici, Storia del fascismo ferrarese. L'interventismo, in Rivista di Ferrara, XIII (1935), 5, pp. 196, 214; A. Roveri, Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo. Capitalismo agrario e socialismo nel Ferrarese (1870-1920), Firenze 1972, pp. 322 s., 325, 339; P. R. Corner, Il fascismo a Ferrara 1915-1925, Bari 1974, pp. 27, 231, 250, 279 s.; P. Tirelli, Laici cattolici e clero nella fondazione della Democrazia cristiana a Ferrara, in Boll. di notizie e ricerche da archivi e bibl., III (1982), 4, pp. 47, 51 s., 58, 60, 64 s.; G. Mosconi, Ferrara, in IlPartito popolare in Emilia-Romagna (1919-1926), a cura di A. Albertazzi - G. Campanini, I, Roma 1983, pp. 236, 251, 267-272; D. Franceschini, Il Partito popolare a Ferrara, Bologna 1985, ad Indicem.