Mario Draghi
Mister euro
Con il quantitative easing ha intrapreso una politica monetaria non convenzionale per rilanciare gli investimenti. Unendo competenza tecnica a visione politica, è l’italiano più influente in Europa.
Quando, una volta al mese, Mario Draghi entra nella sala delle conferenze stampa della Banca centrale europea, a Francoforte, prende corpo un’aspettativa doppia. Per un verso c’è l’attesa per gli annunci di politica monetaria nell’area euro, la più importante dopo quella del dollaro. In parallelo, chi lo segue nel mondo sa che il presidente della BCE sta per realizzare una performance personale non comune, fatta di precisione tecnica, di sicurezza e di visione sulla situazione economica e finanziaria. È questo mix a rendere l’appuntamento affascinante: i banchieri centrali sono diventati, dopo la Grande crisi degli anni scorsi, i signori delle politiche economiche, spesso gli unici; e Draghi è, di questa fase, l’interprete probabilmente più autorevole. E sorprendente.
Quest’anno, l’abilità a 360° del numero uno della BCE è stata meno esplosiva che nel luglio 2012, quando con una sola frase spense la crisi allora drammatica della moneta unica, il famoso «whatever it takes», «ogni cosa necessaria» per preservare l’euro. Stavolta, ha costruito nel tempo, passo dopo passo, la decisione, annunciata formalmente a inizio 2015, di lanciare un piano massiccio di acquisto di titoli sui mercati (quantitative easing) per dare liquidità alle economie dell’Eurozona, rilanciare gli investimenti e alzare l’inflazione troppo vicina al punto zero.
Non era scontato che potesse intraprendere una strada definita di ‘politica monetaria non convenzionale’, cioè nuova e inesplorata. In Germania molti erano e restano contrari, innanzitutto la custode dell’ortodossia monetaria tedesca, la Bundesbank. Ma della necessità del quantitative easing Draghi era convinto sin dall’estate del 2014 e a ogni conferenza stampa muoveva un passo, faceva un annuncio per avvicinarsi all’obiettivo e soprattutto per mettere all’angolo gli oppositori. Il risultato è che la BCE è di fatto la sola istituzione europea ad avere in questo momento una politica di sostegno per l’area euro: rischiosa, ma l’unica nell’emergenza e nell’assenza di iniziative dei governi ai livelli nazionali ed europeo.
È che Draghi – ed è per questo che alle conferenze stampa fa sembrare il lavoro di banchiere centrale un mestiere sexy – ha la straordinaria capacità di combinare la competenza tecnica alla visione politica, l’analisi alla determinazione di vincere gli scontri di potere in un’Eurozona fatta di interessi, opinioni e obiettivi diversi e spesso divergenti. Ormai possiamo dirlo: Mario Draghi è l’italiano che, nel dopoguerra, ha raggiunto la posizione più rilevante e influente in Europa. Non per la poltrona su cui siede ma per l’autorevolezza con la quale svolge il suo mandato. Tanto che nei governi dell’area euro già si discute della difficoltà di sostituirlo nel 2019, quando finirà il suo ‘regno’. Infatti questo romano nato nel 1947 ha saputo smentire i pregiudizi prevalenti in Europa sugli italiani e affermare una capacità di giudizio e un’indipendenza di pensiero non comuni.
Per alcuni versi, è il vessillo di quegli italiani che fanno il grande passo e vanno all’estero. Non proprio la bandiera del cosiddetto brain drain, della fuga di cervelli. Draghi non ha lasciato l’Italia perché trovava le strade chiuse: in fondo, prima di diventare presidente della BCE era il governatore della Banca d’Italia e prima ancora era stato direttore generale del Ministero del Tesoro. Costituisce però la prova che fuori dai loro confini gli italiani, liberi da nepotismi e vincoli burocratici, danno il meglio e sanno tenere assieme competenza e flessibilità, caratteristiche fondamentali in un mondo complicato e disorientato.
Draghi piace (o almeno è accettabile) anche ai tedeschi, agli olandesi, ai finlandesi perché non è retorico; perché fa la spesa al supermercato; perché sa dove andare; perché è autorevole anche nel resto del mondo. E perché ogni mese, in quelle conferenze stampa a Francoforte, dimostra che, Nord o Sud, l’Europa non è solo un Vecchio continente diviso: ce la può fare.
Chi è
Nato a Roma nel 1947, dopo gli studi di economia sotto la guida di F. Caffè e poi presso il Massachusetts institute of technology, dal 1981 al 1991 è stato professore ordinario di Economia internazionale all'Università di Firenze. Negli stessi anni ha ricoperto incarichi dirigenziali presso la Banca interamericana di sviluppo, quindi presso la Banca mondiale. Nel 1990 è stato consulente economico della Banca d'Italia. Dal 1991 al 2001 è stato direttore generale del Ministero del Tesoro e ha guidato le principali cessioni pubbliche effettuate dallo Stato; nel 1998 ha firmato la Legge Draghi, riguardante la normativa per l'offerta pubblica di acquisto e la scalata delle società quotate in borsa. Vicepresidente per l'Europa di Goldman Sachs (2002-05), governatore della Banca d'Italia dal dicembre 2005, nel giugno 2011 è stato ufficialmente nominato alla presidenza della Banca centrale europea, subentrando dal 1° novembre 2014 al francese J.-C. Trichet, carica che durerà fino al 31 ottobre del 2019.