FERRARA, Mario
Nacque a Roma il 5 sett. 1892 da Michele, avvocato e da Maria Forcella. Giovanissimo, militò tra quei repubblicani che parteciparono alla settimana rossa e abbracciarono quindi la causa interventista, convinti della necessità della "guerra rivoluzionaria". Arruolatosi volontario, il F. prese parte alla prima guerra mondiale con il grado di tenente di fanteria, fu ferito e decorato con la medaglia d'argento al valor militare.
Laureato in giurisprudenza, il F. trovò nel clima politico del dopoguerra le motivazioni per dedicarsi al giornalismo militante "in quegli ambienti culturalmente e politicamente spregiudicati, nei quali più vivacemente vibravano i presagi di un rinnovamento totale della vita italiana, al di là dei vecchi partiti, conservatori o riformisti che fassero" (Cesarini Sforza, M. F., p. 162).
Il F. svolse il suo apprendistato giornalistico all'Azione, il giornale di O. Raimondo, per il quale seguì da Parigi la conferenza della pace. Collaborò anche a Volontà, la rivista del combattentismo democratico diretta da V. Torraca. Nel 1920, al secondo congresso dell'Associazione nazionale combattenti (ANC) svolse un applaudito intervento che tentava di conciliare le opposte posizioni in seno all'ANC sull'impresa di Fiume e sulla politica adriatica dell'Italia. Il F. sostenne la causa dell'italianità di Fiume, ma espresse riserve sull'iniziativa di D'Annunzio. A suo giudizio la questione fiumana rivestiva un valore morale e andava risolta nel quadro di un programma mazziniano e non di un disegno imperialista.
Il F. fu quindi redattore de IlMondo di G. Amendola e de IlResto del carlino di M. Missiroli e collaboratore dell'Unità di G. Salvemini, de La Voce di G. Prezzolini e de La Rivoluzione liberale di P. Gobetti. Nei suoi scritti sosteneva che per risolvere la crisi italiana sarebbero stati necessari l'inserimento delle masse nello Stato e l'affermazione di una nuova borghesia in grado di gestire la modernizzazione del paese.
L'avvento al potere di Mussolini fornì al F. nuovi spunti di riflessione sul ruolo dei ceti medi in rapporto al liberalismo e al fascismo. Sulle pagine de IlMondo divenne il più qualificato esperto di questi problemi, nel momento in cui nella visione politica di Amendola i ceti medi, definiti come classe in ascesa e identificati con la borghesia produttrice, "rappresentavano la piattaforma sociale ed economica su cui far poggiare un esperimento politico di centro sinistra, riformista e non rivoluzionario, moderato e non trasformista" (D'Auria, p. 82).
Secondo il F. la caratteristica principale dei ceti medi emergenti risiedeva nella loro volontà di affermazione come classe indispensabile alla sopravvivenza dello Stato; per loro natura questi ceti sarebbero poi stati inclini a un riformisino, socialista piuttosto che al fascismo: "Un'analisi un po' più approfondita di questo aggregato sociale - scriveva il F. - lo mostrerebbe composto di lavoratori autentici o di figli di lavoratori, riusciti con la specificazione tecnica della loro attività produttiva - notevolmente favorita dalla guerra - ad accumulare un capitale in un'atmosfera spirituale del tutto diversa da quella descritta da Marx come fatale e permanente nel ciclo decadente della borghesia. Lungi dall'essere semplice lavoro accumulato, il risparmio e, quindi, il capitale è per costoro una forma necessaria e doverosa del lavoro stesso, il cui modo di essere è reimpiego, il cui aspetto sociale non è soltanto quello di mezzo di produzione, ma è tutta la produzione: in cui il risparmio non è frutto, ma riserva" (Atteggiamenti del medio ceto, in Il Mondo, 22 ag. 1924).
Per quanto una simile interpretazione non trovasse allora riscontro nell'atteggiamento politico complessivo della borghesia, il F. non abbandonò la speranza che almeno una parte dei ceti medi accogliesse con favore la proposta di Amendola per la creazione dell'Unione nazionale delle forze liberali e democratiche (Divagazioni sulla borghesia, in Il Mondo, 5 sett. 1924).
La caduta delle residue tenui speranze di contrastare l'affermazione dei fascismo e l'impossibilità di proseguire la battaglia per un nuovo liberalismo non comportarono l'abbandono di una trincea ideale e politica da parte del Ferrara. Egli riversò infatti il proprio impegno civile nell'esercizio della professione forense, scegliendo di difendere di fronte al Tribunale speciale gli esponenti dell'antifascismo. Fra i nomi più noti, patrocinati dal F., sono da annoverare quelli di U. Terracini, R. Bauer, E. Rossi, Pietro Amendola, figlio di Giovanni, T. Zaniboni, deputato socialista unitario ideatore di un attentato a Mussolini.
Dopo la caduta del fascismo il F. fu tra i promotori della ricostituzione del Partito liberale italiano (PLI) di cui fu rappresentante in seno al Comitato romano di liberazione nazionale. Fin dal periodo clandestino collaborò a Risorgimento liberale e, nel gennaio 1945, assunse la direzione della Nuova Antologia, la prestigiosa rivista che proprio allora aveva ripreso a Roma le pubblicazioni. Dal 21 giugno al 10 dicembre il F. visse la breve e intensa stagione del governo presieduto da F. Parri, come sottosegretario al ministero dell'Assistenza postbellica. Membro della Consulta nazionale il F. fu candidato alla Costituente nella circoscrizione del Lazio per l'Unione democratica nazionale - l'effimera alleanza elettorale tra il Partito liberale italiano, la Democrazia del lavoro e l'Unione della ricostruzione - ma non riuscì eletto. Quando nel dicembre 1947 il IV congresso liberale vide prevalere le tendenze conservatrici, il F., deciso fautore di una linea di rinnovamento, uscì dal partito insieme con altri esponenti della sinistra interna.
Il 19 febbr. 1949 i fuorusciti dal PLI si ritrovarono intorno a M. Pannunzio nel dar vita al settimanale IlMondo, del quale il F. divenne una delle firme di maggiore spicco. Il giornale - che riprendeva il nome della testata amendoliana - rilanciava l'ipotesi politica imperniata sul ruolo dei ceti medi progressisti. Ancora una volta pero quegli strati borghesi, ai quali il F. non si stancava di rivolgere le sue sollecitazioni, mostravano di prediligere soluzioni politiche moderate, come aveva confermato il risultato elettorale del 18 apr. 1948.
Il gruppo de IlMondo non si rassegnava all'idea che in Italia non vi fosse più spazio politico autonomo per quelle forze che non si riconoscevano nell'egemonia democristiana senza per questo fare fronte comune con l'opposizione socialcomunista. Toccava allora ai partiti laici intermedi - liberali, socialdemocratici e repubblicani - raccordarsi per dar vita a un embrione di "terza forza" autonoma rispetto ai grandi partiti di massa. Era appunto questo il senso di Un appello ai dispersi, che il F. lanciò sulle pagine de IlMondo del 30 apr. 1949.
Allorché l'ipotesi "terzaforzista" si rivelò impraticabile, il F. tornò a insistere sull'esigenza di un radicale rinnovamento del Partito liberale, attorno al quale avrebbero potuto raccogliersi "i dispersi della borghesia liberale e riformatrice, gli uomini attivi della nuova democrazia non consenzienti al parassitismo e al privilegio monopolistico. Liberali e liberisti, difensori della media industria e della funzione sociale della proprietà" (Tempoperso, in Il Mondo, 20 ott. 1950).
Nel 1951 anche il F., come altri esponenti della sinistra liberale incoraggiati dal tentativo del nuovo segretario B. Villabruna di far uscire il PLI dalla collocazione della destra conservatrice, rientrò nel partito. La speranza andò delusa e il F., come altri del gruppo de IlMondo abbandonò definitivamente il PLI. Quando, il 10 dic. 1955, il F. si ritrovò tra i fondatori del Partito radicale dei liberali italiani aveva ormai maturato la convinzione che la causa principale della crescente divaricazione tra il ceto politico dirigente e il popolo italiano, e quindi della crisi dello Stato, andasse ricercata nel mancato rinnovamento degli istituti politici, a cominciare dai partiti. L'approdo al Partito radicale rappresentò dunque per il F. la continuazione della sua tenace battaglia per un liberalismo rinnovato. A questi principi ispirò gli ultimi suoi scritti apparsi oltre che sulla Nuova Antologia e su IlMondo, sui quotidiani Corriere della sera e La Stampa.
Il F. morì a Roma il 19 genn. 1956.
Opere: La casa del dubbio, Roma 1923; Lo specchio dell'età trascorsa, Roma s.d.; Luigi Sturzo, Roma 1925; Ilconsolidamento della democrazia, in Ilsecondo Risorgimento, Roma1955.
Fonti e Bibl.: R. Cesarini Sforza, M. F., e P. Gentile, Ricordo di un amico, in Nuova Antologia, febbraio 1956, pp. 161 s.; R. Zangrandi, Illungo viaggio attraverso il fascismo, Milano 1962, ad Indicem;R. De Felice, Mussolini. Il fascista, I, La conquista del potere 1921-1925, Torino 1966, ad Indicem; L. Albertini, Epistolario 1911-1926, a cura di O. Barié, IV, Ilfascismo al potere, Verona 1968, pp. 1701, 1944; A. Ciani, IlPartito liberale italiano da Croce a Malagodi, Napoli 1968, pp. 28, 32, 64; A. Landuyt, Le sinistre e l'Aventino, Milano 1973, ad Indicem; P. Murialdi, La stampa italiana del dopoguerra, Bari 1973, ad Indicem;G. Sabbatucci, Icombattenti nel primo dopoguerra, Bari 1974, ad Indicem; P. Bonetti, "IlMondo" 1949-1966. Ragione e illusione borghese, Bari 1975, ad Indicem;G. Spadolini, F. e la "Nuova Antologia", in Id. Cultura e politica, Roma 1976, pp. 133-139; E. D'Auria, Liberalismo e democrazia nell'esperienza politica di G. Amendola, Catanzaro 1978, ad Indicem; S. Setta, Croce, il liberalismo e l'Italia postfascista, Roma 1979, ad Indicem;N. Ajello, Intellettuali e Pci, 1944/1958, Bari 1979, ad Indicem;G. Spadolini, L'Italia di minoranza. Lotta politica e cultura dal 1915 a oggi, Firenze 1983, ad Indicem;P. Spriano, Le passioni di un decennio, 1946-1956, Milano 1986, ad Indicem;G. Galasso, Italia democratica. Dai giacobini al Partito d'azione, Firenze 1986, ad Indicem;R. Bauer, Quello che ho fatto: trent'anni di lotte e di ricordi, a cura di P. Malvezzi - M. Melino, Milano 1987, ad Indicem;G. Mughini, Ferrara [Maurizio], con furore: storia di un comunista borghese e della sua famiglia, Milano 1990, passim; Chi è? Dizionario biografico degli italiani d'oggi, 1948, p. 377.