GABINIO, Mario
Nacque a Torino il 12 maggio 1871 da Gregorio Antonio, contabile presso le Ferrovie dello Stato, e Clementina Ghio. Alla morte del padre, nel 1887, fu costretto a interrompere gli studi per impiegarsi alle Ferrovie, dove in seguito ottenne la qualifica di segretario di prima classe.
I primi esperimenti fotografici risalgono a quegli anni. Nel 1889, appena diciottenne, con una macchina per lastre di piccolo formato, documentò un'escursione sul Gran San Bernardo fatta insieme con i fratelli Ida ed Ernesto: il binomio fotografia-montagna divenne una costante destinata a durare fino agli anni Venti. Nel 1894 il G. divenne socio dell'Unione escursionisti torinesi (UET) che, fondata due anni prima per iniziativa di Silvestro Fiori e Luigi Ardizzoia, anch'essi impiegati alle Ferrovie, aveva come scopo l'organizzazione di gite in montagna e in pianura, ma anche di visite a città e monumenti di interesse artistico. Grazie alla frequentazione dell'UET, l'attività fotografica del G. assunse veste professionale in una serie di reportages.
Il primo, che documenta la gita sociale al Gran Paradiso, venne impiegato per illustrare la guida di C. Reynaudi Ceresole Reale e la Valle dell'Orco (Torino 1896). Dello stesso anno sono le 47 fotografie (formato 9 x 12) che accompagnano il diario manoscritto, di incerta autografia, intitolato Otto giorni sulle Alpi Marittime. 5-12 luglio 1896 (Torino, Bibl. nazionale del Club alpino italiano).
Nel 1898 il G. consolidò l'interesse per la fotografia di montagna iscrivendosi al Club alpino italiano (CAI), che gli offrì la possibilità di conoscere sportivi come A. Kind, l'ingegnere svizzero che introdusse l'uso degli sci sul versante italiano delle Alpi. La montagna d'inverno divenne un tema appassionante per il G., che riprese le prime prove sciistiche di A. Hess e U. Valbusa in Val Pellice e illustrò con le sue foto molti numeri del Bollettino del CAI, mentre un'immagine del gruppo del monte Rosa venne scelta per la serie di cartoline curata dal Club.
Nei primi anni del Novecento le fotografie di montagna del G. ottennero riconoscimenti ufficiali: due furono pubblicate in un numero monografico della Gazzetta del popolo della domenica (1901) accanto alle immagini di F. Donkin e V. Attinger; molte entrarono a far parte della collezione dell'alpinista A. Ferrari tra il 1902 e il 1907; alcune furono impiegate per illustrare guide turistiche, come quella di C. Reynaudi, Aoste et sa vallée (Aosta 1903) o quella de Le Valli di Lanzo, curata dalla sezione torinese del CAI ed edita nell'anno seguente.
In questo settore il G. raggiunse una completa autonomia professionale, sviluppando la lezione del suo maestro ideale, il fotografo V. Sella, uno dei pionieri della fotografia di montagna. Entro il primo decennio del secolo l'interesse del G., inizialmente focalizzato sui protagonisti delle ascensioni, si indirizzò verso l'ambiente; solitarie figure di alpinisti divennero il termine di paragone per valutare l'imponenza della natura e dei suoi fenomeni. Il G. abbandonò la fotografia di montagna poco prima del 1920 ma le sue immagini restarono fino alla metà degli anni Trenta l'indispensabile corredo di testi specialistici e scientifici, ad esempio gli articoli (1925-34) del geologo F. Sacco pubblicati su numerose riviste.
Il declino dell'interesse per la veduta alpina da parte del G. si spiega, forse, con l'inclinazione verso il paesaggio urbano, un nuovo filone espressivo al quale il G. era stato introdotto dall'ingegnere R. Brayda, esperto di restauro architettonico e socio dell'UET dal 1898. A partire da quell'anno il repertorio fotografico del G. traccia un itinerario completo degli interessi del Brayda, focalizzati sul Medioevo piemontese; dalla provincia l'obiettivo del G. si spostò su Torino e nel 1900 il fotografo prese parte, come socio dell'UET, alla I Esposizione nazionale della Società fotografica subalpina, che si tenne nei locali della Società promotrice delle belle arti: grazie alla serie di 84 fotografie intitolate Torino che scompare (raccolta che riscosse grande successo di pubblico e stampa) il G. vinse il premio di 200 lire messo in palio dal Municipio.
Questo lavoro fu eseguito con lastre di medio formato (9 x 12) e non ha un tono celebrativo; racconta una città dall'atmosfera deamicisiana, con i suoi cortili bui e le modeste case a ballatoio, i borghi con le lavandaie e i canali nella zona del Balôn. Affianca l'interesse documentario, per luoghi e modelli di vita che vanno sparendo, la curiosità per il nuovo e per le trasformazioni urbane.
L'album con 89 immagini delle architetture effimere costruite per l'Esposizione nazionale italiana tenutasi a Torino nel 1898 dà la misura dell'atteggiamento positivista del G. nei confronti del progresso. L'interesse per le nuove tecnologie - sviluppato mentre, a partire dal 1898, era allievo del corso di meccanica alle scuole tecniche operaie S. Carlo di Torino - si esprime anche in una piccola serie di immagini sui Periodi di costruzione di un gasometro della Società italiana gas a Torino (1898) e nella veduta del Ponte in ferro (ponte Maria Teresa) al primo inizio dei lavori pel nuovo ponte (1903). La curiosità scientifica trova conferma nel 1911 con un album dedicato all'Esposizione internazionale del lavoro tenutasi in quell'anno, e alimenta, in ambito professionale, la sperimentazione di nuove tecniche: dall'uso del lampo di magnesio alla stampa su carte diverse, ai viraggi.
Sviluppando questi interessi il G. affrontò per la prima volta nel 1923 il tema degli alberi in fiore, al quale si dedicò per tutti gli anni Venti. Questo argomento verrà sostituito negli anni Trenta dalle nature morte.
L'attività ormai prevalente del G. era quella della documentazione urbana, iniziata nel 1910, con una prima raccolta di immagini di architettura e vedute torinesi, e proseguita da serie monotematiche, come quella su portoni e portali (dal 1925). La sequenza cronologica dei reportages architettonici conferma l'attenzione del G. per il dibattito del tempo sul tema del "linguaggio nazionale" nelle arti. Il G. ne seguì le fasi, partendo dal gotico, sulla scia del modello dell'Esposizione nazionale di Torino del 1884, passando attraverso il barocco, documentato nella Esposizione del 1911, per arrivare alle trasformazioni architettoniche della Torino degli anni Trenta. L'attualità degli interessi in ambito architettonico trova conferma nelle fotografie presentate alle manifestazioni ufficiali, ad esempio la foto che rappresenta Torino dal campanile del duomo verso piazza Castello, premiata al concorso Le più belle fotografie di Torino indetto nel 1928 dal Corriere fotografico; di tale rivista il G. divenne in quell'anno collaboratore, mentre dal 1929 il periodico Torino pubblicò molte sue immagini di città, sebbene prive di firma.
L'attività del G., tuttavia, non fu incentrata sulla divulgazione, neppure in quei settori, come la montagna o la città, che meglio si prestano a tradizionali soluzioni di veduta. Egli, infatti, dedicò centinaia di riprese all'indagine sistematica del mondo delle forme, che la luce trasforma in strutture virtuali, esistenti solo in quanto fotografate. Seguendo i principî di Lázló Moholy-Nagy (Cavanna, p. 27) diffusi in ambito fotografico, il G. creò architetture di raggi (Carezza/e di Sole; 1932) oppure oggetti di luce in movimento (La giostra Zeppelin; 1934). Questo filone creativo fu oggetto di sperimentazione costante che il G. affinò come allievo della scuola fotografica "Ad liberas Alpes" (ALA), nata in seno all'UET nel 1929 e trasformata in Associazione culturale fotografica ALA nel 1933.
Tramite questo sodalizio il G., ormai quasi sessantenne, iniziò a partecipare a rassegne internazionali. Dal 1934 al 1937, da Stoccolma a Vienna, a Bruxelles, Johannesburg, Ottawa, Parigi, Boston e Londra, il G. espose immagini di natura morta che si inserivano nel dibattito sulla fotografia artistica e sul "pittorialismo", un argomento ancora attuale al V Salone internazionale di fotografia artistica fra dilettanti, tenutosi a Torino nel 1937.
L'estetica del G. respinge la ricerca dell'effetto e sfrutta piuttosto la capacità di resa del dettaglio anche nel più tradizionale settore della fotografia di architettura, come nelle vedute torinesi del palazzo della Cassa di risparmio di Torino (1933), oppure della scala elicoidale del palazzo dell'Opera pia S. Paolo (1934). Gli effetti di questa attenzione alla composizione astratta si colgono anche nel suo reportage più noto, realizzato a partire dal 1931 seguendo i lavori del cantiere di via Roma trasformata da M. Piacentini.
L'imponente documentazione dei lavori del primo tratto indaga in special modo il tessuto urbano, cogliendo gli spazi di una città vuota di abitanti. Il G. unisce il documento visivo alla ricerca compositiva attraverso tagli e punti di vista inconsueti, come avviene nella foto del Panorama del cantiere di via Roma Nuova dalla torre Littoria in costruzione (1933), oppure sfrutta il rapporto luce-forma in immagini di gusto astratto (Il sottopasso del Lingotto, 1933).
I lavori di realizzazione del secondo tratto di via Roma (1935-37) sono invece ripresi dal G. con un'attenzione diversa, che approfondisce quel complesso bagaglio di esperienze tecniche ed estetiche fin lì maturato: eseguì fotografie e fotomontaggi, inserì riflessi luminosi e visioni notturne in una città reinventata, raggiungendo una sintesi che la morte gli impedì di sviluppare.
Il G. morì a Torino il 19 apr. 1938; due anni dopo Ivan e Ugo Alessio, figli della sorella Ida, vendettero al Comune di Torino un fondo di 4441 lastre, cui si aggiunsero 2000 lastre, 4000 stampe, provini e strumenti fotografici, donati nel 1968.
Fonti e Bibl.: M. Passoni, in Torino anni '20, Torino 1974; E. Nori, ibid.; G. Avigdor, M. G. fotografo, Torino 1981; M. G. dal paesaggio alla forma. Fotografie 1890-1938 (catal.), a cura di P. Cavanna - P. Costantini, Torino 1997 (con bibl.).