GIACOMELLI, Mario
Nacque il 1° agosto 1925 a Senigallia (Ancona), da Alfredo e da Libera Guidini. Ebbe due sorelle, Maria e Jole (un fratello nato prima di lui e chiamato Mario morì nel 1924 all'età di un anno).
Nel 1935 morì il padre, evento che lo segnò profondamente. Terminate le scuole elementari, nel 1937 si iscrisse alla scuola di avviamento commerciale G. Fagnani di Senigallia. Alla fine del primo anno, per aiutare la famiglia in difficoltà economiche, abbandonò gli studi e trovò lavoro come garzone presso la Tipografia Giunchedi, che contribuì a ricostruire nel dopoguerra in seguito ai danni subiti dai bombardamenti. Nel 1951 decise di mettersi in proprio e, in società con Olindo Mancini e Dina Santini, aprì la Tipografia Marchigiana di via Mastai, dove lavorò fino alla fine dei suoi giorni. Dopo alcuni tentativi in ambito pittorico e poetico (la prima poesia documentata, Apprendista, è del 1949), nel 1950 Giacomelli scattò alcune istantanee, probabilmente le prime, a Roma, dove si era recato insieme ad Anna Berluti – la donna che sposò poi nel 1954 – in occasione dell'anno santo della Madonna Pellegrina (Giacomelli, 2009, p. 11).
A partire dal 1952 cominciò ad acquistare regolarmente Il corriere fotografico. Una delle prime fotografie con una qualche pretesa artistica fu un ritratto dell'estate 1953 (Mario Giacomelli. I piccoli inediti, 2010), mentre risalirebbe al dicembre dello stesso anno la foto L'approdo, realizzata con una Comet Bencini S appena comprata. Fu senz'altro tra il 1952 e il 1953 (e non nel 1954, come spesso riportato) che Giacomelli entrò in contatto con i fotografi Giuseppe Cavalli, residente a pochi passi dalla tipografia di Giacomelli, e Ferruccio Ferroni, già dal 1950 fedele e brillante allievo di Cavalli e amico di Mario Berluti, fratello di Anna. Nel 1947 Cavalli aveva redatto il manifesto del celebre gruppo La Bussola, summa dei principi estetici – di matrice crociana – di quella fotografia artistica in auge in ambito amatoriale nell'Italia dell'anteguerra. Nei primi mesi del 1953 progettò la fondazione di una nuova associazione fotografica a Senigallia, il MISA, dove far confluire e maturare i giovani più promettenti in vista di un loro inserimento nell'elitaria cerchia de La Bussola. Fu in questo contesto che Giacomelli decise di mostrargli le sue prime immagini. Cavalli le trovò interessanti e affidò a Ferroni la formazione di Giacomelli relativamente alle tecniche di ripresa e a quelle, ritenute fondamentali, di sviluppo e stampa in camera oscura (Guerra, 2007, pp. 65 s. e 69 s.). Dopo un periodo di apprendistato Giacomelli fu infine accolto nel MISA in qualità di socio fondatore e cassiere.
La fondazione ufficiosa del gruppo avvenne il 4 dicembre 1953, come annotò egli stesso nel suo quaderno di spese per la corrispondenza. Se fino a quel momento si era appoggiato al laboratorio fotografico di Lanfranco Torcoletti di via Mastai, a partire dai primi mesi del 1954 Giacomelli cominciò a sviluppare e stampare autonomamente le sue immagini in camera oscura, attività per la quale divenne celebre. La prima foto stampata, come si legge nella relativa scheda tecnica n. 1, meticolosamente compilata secondo la stessa prassi seguita da Ferroni, fu Mattino di febbraio, scattata il 14 febbraio alle ore 10 presso le Cave di San Gaudenzio, stampata su carta Agfa-Brovira utilizzando le formule chimiche «Rivelatore per negativo T. M. Cavalli» e «Sviluppo carta Avv. Cavalli». Lo scatto fu eseguito con una Voigtländer modello Bessa II, fotocamera di medio formato con obiettivo a soffietto estraibile Color-Heliar (1:3,5 / 10,5 cm), ben più avanzata della precedente Comet Bencini e che, alla fine del 1956, Giacomelli rimpiazzò definitivamente con la 'mitica' e inseparabile Kobell Press.
Stando ai documenti a disposizione, l'esordio di Giacomelli in una mostra avvenne in occasione del concorso nazionale per fotoamatori di Finale Emilia, dove Approdo e Mattino di febbraio furono selezionate dalla giuria per l'esposizione finale, che si tenne dall'11 al 18 aprile 1954. Nei mesi successivi partecipò a numerose iniziative simili, inviando, oltre alle già citate, fotografie quali Siamo cristiani anche noi, Le colline di Leopardi, Fantasmi in riva al mare, Presenza. La prima mostra del gruppo MISA – alla quale seguirono, nel 1955, quelle di Genova, Milano e Torino – si tenne invece dal 4 all'11 maggio a Roma. Per quanto Cavalli difendesse strenuamente un'idea di fotografia non più al passo con i tempi, il suo insegnamento fu essenziale per la maturazione artistica di Giacomelli. Durante i ritrovi a casa Cavalli si discuteva d'arte, fotografia e poesia, si ascoltava musica classica, si leggevano brani dal Breviario di estetica di Croce. Sul suo vivace cenacolo convergevano i più anziani membri de La Bussola, le giovani leve della fotografia italiana e, a partire dal 1954, Luigi Crocenzi, teorico del foto-racconto vicino all’orbita neorealista, mentre Ferroni era molto vicino al gruppo fotografico veneziano La Gondola e al suo esponente di spicco, Paolo Monti.
Tale situazione si riflesse nella varietà di tecniche, generi e soluzioni stilistiche che caratterizzò la produzione fotografica di Giacomelli tra il 1954 e il 1956. Accanto a immagini a toni alti, caratterizzate da morbidi e calcolati effetti di luce o da riferimenti autobiografici, come L'orfano, Maternità o Paternità (nel febbraio del 1955 era nata Rita, la primogenita di Giacomelli, alla quale seguirono due figli maschi: Neris nel 1959 e Simone nel 1968), riconducibili all'estetica crociana di Cavalli, convivevano fotografie contraddistinte da atmosfere cupe e oniriche, accostamenti surreali di oggetti, sfondi materici e forti contrasti, molto più vicine all'inquieto e 'sgrammaticato' sperimentalismo di Monti, mentre la chiara connotazione sociale e lavorativa dei protagonisti di foto come Disoccupato, Gente dei campi o Ragazzo di tipografia rimandava direttamente alle inchieste fotografiche di Crocenzi. Nel 1955 Giacomelli ottenne la prima affermazione all'importante mostra nazionale di fotografia di Castelfranco veneto, presieduta da Monti, dove s'impose per il miglior complesso di immagini (Prima amarezza, Fiamme sul campo, Apprendista, Sono cristiani anche loro); opere, queste, premiate per il loro carattere innovativo ma precedentemente scartate da Cavalli. Giacomelli si recò comunque alla premiazione insieme a Ferroni, lasciando Cavalli all'oscuro dell'iniziativa. La vicenda di Castelfranco venne alla luce e portò alla definitiva rottura dei rapporti di Monti e Ferroni con Cavalli. Rimproverato da quest'ultimo, Giacomelli proseguì sulla linea di un provvisorio ritorno all'ordine. Tra il 1955 e il 1956 si impose nel panorama nazionale come uno dei più originali interpreti della lezione di Cavalli, inanellando una lunga serie di affermazioni a vari concorsi fotografici, tutte ottenute con opere appartenenti ai generi classici del ritratto in posa e del paesaggio.
Nel marzo del 1956 Giacomelli fu accolto nel gruppo de La Bussola. Ma le contraddizioni interne all'ambiente fotografico senigalliese non tardarono a esplodere: alla fine del 1956 si consumò la rottura tra Cavalli e Crocenzi, cui seguì nel 1957 il definitivo scioglimento del MISA e de La Bussola. Nell'aprile dello stesso anno, organizzata dal circolo La Gondola, la rivista svizzera Camera e il Centro per la cultura nella fotografia (CCF) di Crocenzi, si inaugurò a Venezia la I Biennale internazionale di fotografia, un grandioso evento espositivo con fotografie dei principali reporter dell'agenzia Magnum (tra cui Werner Bishof, Robert Capa, Eugene Smith e Henri Cartier-Bresson, che nel 1956 aveva già esposto a Milano e Bologna) e gli esponenti dell'espressionismo tedesco facente capo a Steinert. Fu in questo contesto che Giacomelli impresse una svolta fondamentale alla sua produzione presentando Vita d'ospizio, la sua prima serie fotografica, ambientata nell'ospizio di Senigallia in cui da anni lavorava sua madre come lavandaia. Inviate tra luglio e dicembre 1957 a vari concorsi, le sconcertanti immagini di Vita d'ospizio non ottennero né premi né segnalazioni. Lontanissime dalla lirica atemporalità della scuola di Cavalli, al tempo stesso le fotografie dell'ospizio – realizzate con il flash, a tu per tu con la morte, ricche di contrasti ottenuti in camera oscura e lungamente meditate – sovvertivano sia i sacri dogmi del reportage di matrice bressoniana, sia le compiacenti formule di compromesso di quel 'realismo lirico' allora in voga tra i fotoamatori più giovani e aggiornati. Seguendo i flussi di fotoamatori in cerca di soggetti esotici – diretti prevalentemente verso il Sud Italia –, tra il 19 e il 20 ottobre del 1957 Giacomelli si recò nell'antico paesino abruzzese di Scanno (Aquila), mentre l'anno successivo partì alla volta della Puglia e quindi dei santuari gremiti di malati di Lourdes e Loreto (tutti luoghi in cui ritornò più volte negli anni a seguire). Con le serie fotografiche di Vita d'ospizio, la famosa Scanno, Puglia e Lourdes, giunse a maturazione quello stile aspro e drammatico, caratterizzato da stampe sgranate e contrastate, dal frequente ricorso al mosso e allo sfocato per il quale Giacomelli divenne celebre, frutto di una mirabile e spiazzante sintesi delle diverse e spesso contrapposte correnti in auge in quegli anni e la cui audacia richiamava quella delle immagini di New York di William Kline o di Dagli incas agli indios di Werner Bischof, Robert Frank e Pierre Verger, entrambi pubblicati in Italia da Feltrinelli nel 1956 e presenti nella biblioteca di Giacomelli.
Nel 1958 il gruppo fotografico milanese Il Naviglio offrì a Giacomelli la possibilità di organizzare la sua prima personale. Profondamente convinto del suo valore, Giacomelli decise di mostrare al pubblico l'intera serie di Vita d'ospizio, per un totale di 30 fotografie. Le immagini erano scandite da una serie di didascalie, riprodotte nel pieghevole di accompagnamento, secondo un modello ispirato alle teorie del foto-racconto di Crocenzi. Come era prevedibile, la mostra fu duramente criticata negli ambienti fotoamatoriali, ma ottenne il riconoscimento della critica più autorevole, in particolare di Monti e Giuseppe Turroni – fin dagli esordi uno dei più acuti interpreti dell'opera giacomelliana –, che firmò l'introduzione alla mostra.
Alla personale del 1958 seguirono quelle alla Biblioteca comunale di Milano nel 1959 (in occasione della quale Giacomelli espose anche le prime nature morte a colori) e, nel 1960, quelle al Circolo fotografico milanese e alla Triennale di Milano (in questo caso accanto a Nadar, in una doppia personale curata da Lamberto Vitali). In questi anni Giacomelli partecipò inoltre a diverse collettive (Bonn, Mosca, Civitanova Marche) come membro del Fotoclub di Pescara, capeggiato dagli ex compagni del MISA, Moder e Bruno Simoncelli.
La partecipazione di Giacomelli al premio Porto San Giorgio indetto dal CCF nel 1959 e dedicato al reportage, segnò l'inizio di un rapporto di collaborazione sempre più stretto con Crocenzi (ben documentato dal carteggio tra i due, composto da 29 lettere) e del progressivo allontanamento di Giacomelli dagli orizzonti ormai angusti del mondo fotoamatoriale. L'influenza di Crocenzi fu determinante, sia nel fornire a Giacomelli nuovi spunti creativi, all'interno di una cornice teorica più profonda e articolata, sia soprattutto in relazione a quel meticoloso processo di montaggio in sequenza delle fotografie attraverso il quale Giacomelli cominciò a strutturare reportage (genere che rimase comunque marginale), foto-racconti e foto-poesie (componimenti fotografici ispirati a un testo poetico) e che caratterizzò larga parte della sua produzione nei decenni successivi. Da anni, infatti, attraverso un'ampia rete di collaborazioni – in Italia e all'estero – con fotografi, registi, scrittori, poeti, grafici e studiosi del linguaggio, Crocenzi lavorava a un vasto progetto di fondazione di una letteratura per immagini.
A partire da tali presupposti, Giacomelli realizzò Un uomo, una donna, un amore (1960-61), una sorta di foto-romanzo composto da una cinquantina di foto e i cui protagonisti erano due giovani fidanzati di Senigallia, ritratti per mesi in vari luoghi e situazioni. Ispirato alla teoria del pedinamento di Cesare Zavattini, in contatto con Crocenzi dal 1958, questo lavoro costituiva un approfondimento di una più vasta inchiesta intitolata Giovani d'oggi, che Giacomelli non portò mai a termine. Sulla stessa falsariga realizzò poi La buona terra (1964-66), seguendo per circa un anno la vita di una famiglia patriarcale di contadini.
Gli anni Sessanta videro anche la nascita delle sequenze fotografiche tratte da un testo poetico, genere ispirato da Crocenzi e senz'altro favorito dall'attività poetica dello stesso Giacomelli, che era solito inviare i suoi componimenti (spesso pubblicati su settimanali locali come La voce misena) a colleghi fotografi e critici. Per la celebre serie dei 'pretini', Io non ho mani che mi accarezzino il volto (1961-63), prese le mosse dall'omonima poesia di padre David Maria Turoldo e, verosimilmente, da Un seminarista, il foto-racconto pubblicato da Crocenzi nel marzo 1955 su Il Caffè politico e letterario. Le insolite immagini dei seminaristi che si scatenavano in giochi e danze, molte delle quali realizzate mentre era in corso il Concilio Vaticano II, destarono scandalo presso la curia di Senigallia e costarono l'incarico all'allora rettore don Enzo Formiconi, vicino alle istanze più riformiste del Concilio (il suo successore, don Ernesto Collamati, allontanò infine Giacomelli dal seminario, provvedendo al sequestro dei negativi degli ultimi scatti realizzati nell'ottobre del 1964 per un concorso, in cui si vedevano alcuni seminaristi fumare dei sigari). Nel 1963 Giacomelli realizzò 34 fotografie per A Silvia, su sceneggiatura e montaggio elaborati da Crocenzi, Alvaro Valentini, Toni Nicolini e il grafico Giancarlo Iliprandi. Le stampe furono infine filmate, accompagnate da una traccia audio e mandate in onda dalla RAI nel 1964, all'interno della trasmissione Telescuola. Nel dicembre dello stesso anno Giacomelli inviò a Crocenzi 50 fotografie per illustrate i Cori da "La Rocca" di Thomas Stearns Eliot, mentre nel 1967 chiese e ottenne da Crocenzi la sceneggiatura per realizzare la serie Caroline Branson (1967-1973), ispirata all'omonima poesia della Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters.
Giacomelli partecipò spesso con i lavori di questi anni alle mostre-concorso indette dal CCF, come a quelle di Fermo (edizioni 1963 e 1964) e Bollate (edizioni 1963 e 1965) dedicate a reportage e racconti fotografici, o al premio Niépce (edizione 1967), istituito insieme ai premi Nadar e Centro cultura fotografia, riservati ai libri fotografici già pubblicati o in fase di bozza.
Oltre a coinvolgere spesso Giacomelli nella sua intensa attività editoriale, utilizzandone le fotografie per varie pubblicazioni, Crocenzi ebbe un ruolo importante nel promuoverne l'opera all'estero. Nel 1962 Giacomelli espose in mostre personali a Parigi, Barcellona e Terrasa (Spagna), mentre nel 1964, grazie all'intermediazione di Crocenzi e Piero Racanicchi, insieme a Giovanni Bonicelli fu l'unico italiano selezionato per The photographer's eye, la celebre mostra curata da John Szarkowski per il MOMA di New York, cui seguì l'acquisizione di alcune stampe tratte dalle serie di Scanno e dei 'pretini' da parte del prestigioso museo newyorkese. Nel 1965 Giacomelli inviò l'intera serie di A Silvia all'altrettanto prestigiosa George Eastman House di Rochester (NY), dove ebbe poi l'occasione di esporre in una personale antologica (65 foto) inaugurata nel gennaio del 1968 e presentata l'anno successivo in varie città degli Stati Uniti (Gainesville, Providence, Pensacola, Jamestown ed Erie). Furono le prime tappe di un'ascesa inarrestabile che negli anni successivi vide Giacomelli esporre nelle principali gallerie e musei del mondo.
Nel 1968 il regista Michele Gandin, su sceneggiatura di Crocenzi, realizzò Un fotografo (Nexus Film), un documentario di circa 20 minuti interamente dedicato alla figura di Giacomelli. Il filmato fu presentato sia al Congresso FIAF di Verbania del 1969, sia all’Umanitaria di Milano, dove scatenò dure polemiche: in una delle scene, infatti, si vedeva Giacomelli mentre sistemava accuratamente alcune ciocche di capelli davanti agli occhi di un’anziana dell’ospizio seduta in posa, prima di ritrarla.
Parallelamente all'attività di fotografo, Giacomelli portò avanti anche quella di pittore e collezionista di opere d'arte, in particolare a partire dai primissimi anni Sessanta, quando si fecero più intensi i rapporti – poco indagati quanto essenziali per la sua maturazione artistica – con i membri dell'Associazione artisti senigalliesi, per i quali Giacomelli negli anni a seguire scrisse innumerevoli note critiche, spesso pubblicate sui cataloghi o i pieghevoli delle rispettive mostre.
Fondamentale punto di ritrovo era la bottega di via Arsilli del corniciaio Mario Angelini, dove «le pareti completamente ricoperte di [...] litografie e serigrafie di alcuni maestri contemporanei, stampe antiche di ogni genere ed opere originali di importanti artisti marchigiani» ne facevano il luogo «ideale per discutere d’Arte, uno stimolo agli approfondimenti, al confronto ed alle riflessioni» (Giorgio Ciacci, 2006, p. 24). In questi anni Giacomelli partecipò spesso a concorsi e mostre collettive di pittura in ambito prevalentemente provinciale e regionale (ma non va dimenticata la doppia personale di Giacomelli e Helmut Schober inaugurata il 15 dicembre del 1970 alla Galleria Centro Brera di Milano), presentando soprattutto paesaggi o composizioni astratte vicine alle poetiche dell'Informale (grazie all'amicizia con Nemo Sarteanesi, risalente almeno al 1963, Giacomelli entrò in contatto con Alberto Burri, che andò a trovare a Città di Castello nel 1966).
Nel 1969 si tenne una personale di Giacomelli presso Il Diaframma di Milano, la prima galleria europea interamente dedicata alla fotografia fondata nel 1967 da Lanfranco Colombo, conosciuto nel 1964 grazie a Crocenzi. Attraverso il vivace ambiente della galleria milanese, Giacomelli entrò in contatto con Luciano D'Alessandro, insieme al quale nel 1969 espose a Castelnuovo di Garfagnana (Lucca), in una doppia personale che vide uno accanto all'altro Gli esclusi, il celebre reportage di D'Alessandro sulla drammatiche condizioni di vita nei manicomi e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1966-68), la nuova serie di Giacomelli dedicata all'ospizio di Senigallia. Nello stesso periodo Giacomelli stabilì rapporti con l'agenzia milanese Grazia Neri, che a partire dal 1970 cominciò a vendere le sue fotografie a riviste e settimanali come Famiglia Cristiana, L'Espresso, Vie Nuove, Gioia.
Nel 1973, insieme ad altri soci aprì a Senigallia un villaggio turistico, il Summerland, che gestì sino alla fine dei suoi giorni.
Il fascino per Paesi lontani e l'ammirazione per i grandi reporter impegnati nelle zone più 'calde' del pianeta, insieme alla sua proverbiale paura di volare, negli anni Settanta spinsero Giacomelli a stampare diverse serie a partire dai negativi realizzati da altri.
Nel 1972 stampò 30 fotografie ambientate in Marocco, scattate l'anno prima dal pittore senigalliese Aroldo Governatori tra le popolazioni berbere dell'Alto Atlante (il lavoro fu ritrovato ed esposto per la prima volta solo nel 2011: cfr. Giacomelli, 2011).
Nel 1976 fornì invece al giovane senigalliese Enea Discepoli, in procinto di partire per un lungo viaggio in Ladakh (India), una macchina fotografica, alcuni rullini e dettagliate istruzioni di ripresa, per poi trarre dal materiale riportato la serie La terra dalle ombre lunghe, composta di circa 250 stampe e a quanto pare parzialmente esposta solo in un'occasione nel 1980, negli Stati Uniti (Mario Giacomelli. La terra dalle ombre lunghe (catal., Senigallia), a cura di K. Biondi, 2011, p. 17). Ma il caso più interessante fu quello della serie Perché, composta nel 1974 a partire dai drammatici scatti sulla fame nella regione del Wollamo (Etiopia) realizzati dal missionario padre Alberto Albani, che nel 1969 aveva fondato in quei luoghi la prima missione dei frati minori cappuccini delle Marche. Giacomelli non rivelò mai chi fosse il vero autore delle immagini, attribuendosene la paternità (Mario Giacomelli, 1980, p. 244). La serie fu esposta per intero nel 1975 alla galleria Il Diaframma e poi pubblicata nei decenni successivi in vari cataloghi.
La produzione fotografica degli anni Settanta restò comunque per lo più legata al paesaggio, genere mai abbandonato fin dagli esordi. Di particolare importanza fu il primo viaggio in aereo di Giacomelli, effettuato nel novembre del 1976 con destinazione Bilbao. Come raccontò lo stesso autore (Storie di terra, 1992, p. 80), per arginare la paura che lo colse allo scoppio di un temporale, cominciò a scattare immagini al paesaggio sottostante. Nacquero così le corpose serie portate avanti negli anni successivi e dedicate al paesaggio visto dall'alto, per le quali Giacomelli divenne noto in tutto il mondo. Il fatto che, per decenni, avesse fotografato gli stessi paesaggi dei dintorni di Senigallia, attirò l'attenzione di Sergio Anselmi, tra i massimi studiosi dell’economia mezzadrile e delle tradizioni popolari delle Marche. Tra il 1978 e il 1987 Anselmi – che sul finire degli anni Settanta stava collaborando con Crocenzi al progetto Laboratorio di storia popolare – utilizzò i paesaggi di Giacomelli in numerose pubblicazioni, per documentare le trasformazioni e i processi di erosione del paesaggio agricolo.
Nel 1978 Giacomelli fu invitato a esporre alla Biennale di Venezia, all'interno della sezione L'immagine provocata, curata da Luigi Carluccio, dove erano presenti, tra gli altri, i fotografi Luigi Ghirri, Mario Cresci e Franco Fontana (Dalla natura all'arte, 1978, pp. 223-232; L'immagine provocata, 1979). Giacomelli interpretò il tema generale della Biennale, Dalla natura all'arte, dall'arte alla natura, attraverso l'inedita installazione di matrice concettuale A contatto della natura negli spazi puri, composta da 17 paesaggi disposti sulla parete secondo una progressione prima ascendente e poi discendente, cui seguivano, sistemate sul pavimento, due fotografie scattate dall'aereo e un riquadro colmo di terra vera. L'anno successivo Italo Zannier chiamò Giacomelli a esporre all'interno dell'imponente manifestazione Venezia '79. La fotografia, organizzata dal Comune di Venezia in collaborazione con l'International Centre of photography diretto da Conrell Capa, inserendo le sue opere all'interno di tre mostre (Images del Hommes, The Land e Fotografia italiana contemporanea) sulle 25 allestite.
Se la galleria Il Diaframma di Colombo aveva contribuito alla diffusione dell'opera di Giacomelli in Europa, organizzando sue personali nel 1978 (Amsterdam) e nel 1979 (Grenoble, Basilea, Madrid), il fotografo e gallerista Stephen Brigidi di Bristol (Rhode Island, USA) ebbe invece un ruolo fondamentale nell'alimentarne la fama negli Stati Uniti. Ottenuta l'esclusiva per la vendita delle sue fotografie sul mercato americano (le più richieste erano quelle del celebre 'bambino di Scanno', dei 'pretini' e i paesaggi), infatti, tra il 1978 e il 1993 Brigidi portò avanti un'intensa attività promozionale ed espositiva.
La definitiva (e per diversi aspetti tardiva) consacrazione di Giacomelli in Italia arrivò nel 1980, quando il Centro studi e Archivio della comunicazione (CSAC) di Parma – a cui aveva già donato 80 stampe nel 1974 – dedicò al fotografo senigalliese una grande retrospettiva con più di 500 foto, tutte pubblicate nel relativo catalogo. Curato da Arturo Carlo Quintavalle ed edito da Feltrinelli, il volume costituiva la prima monografia mai dedicata a Giacomelli, corredata da un'antologia di testi critici, da ampie interviste all'autore e da una puntuale ricostruzione del suo percorso e del contesto storico-artistico in cui aveva operato.
Nei primi anni Ottanta, mentre anche in Inghilterra diverse gallerie (come Theffotogallery di Cardiff, The Photographer's Gallery e The Regent Street Gallery di Londra) ospitavano sue personali, Giacomelli riprese il lavoro sugli anziani, questa volta fotografando l'ospizio di Urbino, dopo che nel 1968 era stato allontanato da quello di Senigallia per un acceso diverbio con uno degli ospiti (Mario Giacomelli. La mia vita intera, 2008, pp. 72 s.). Ne nasceranno le serie Non fatemi domande (1981-83) e Ninna nanna (1985-86, ispirata all'omonima poesia di Leonie Adams).
Nel 1983 entrò in contatto con il poeta Francesco Permunian. Accomunati da una sensibilità cupa e malinconica, segnata da gravi lutti, i due instaurarono una profonda amicizia da cui scaturì una fertile contaminazione di fotografia e poesia. La raccolta di poesie e prose Viaggio d'inverno, per esempio, fu scritta da Permunian ispirandosi in larga parte ad alcune fotografie di Giacomelli, che a sua volta, tra il 1984 e il 1985, restituì sotto forma di serie fotografiche (poi riprese da Gandin nel 1986 per il cortometraggio Fantasmi) i due componimenti Luna vedova per strade di mare e Ho la testa piena, mamma, tratti dalla raccolta di Permunian Il teatro della neve (Giacomelli - Permunian, 1986). Un ventennio dopo gli esperimenti degli anni Sessanta suggeriti da Crocenzi, questi lavori inaugurarono una nuova e più matura fase di confronto con i testi poetici, che caratterizzò tutta la produzione di Giacomelli a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta e da cui scaturirono serie come L’Infinito e A Silvia, Passato, Felicità raggiunta si cammina, Io sono nessuno, La notte lava la mente, Bando, La mia vita intera, Ritorno, realizzate rispettivamente a partire dalle omonime liriche di Giacomo Leopardi, Vincenzo Cardarelli, Eugenio Montale, Emily Dickinson, Mario Luzi, Sergio Corazzini, Jorge Luis Borges e Giorgio Caproni. In questi lavori, attraverso un linguaggio altamente simbolico e un meticoloso processo di montaggio in sequenza delle foto (l'autore non ammetteva deroghe sull'ordine in cui le immagini dovevano esser esposte o pubblicate), che procedeva per calcolate quanto libere associazioni, Giacomelli tentava di restituire le risonanze profonde evocate dai testi, ben al di là del loro significato letterale, cui erano invece più vicine le serie composte sulle sceneggiature di Crocenzi.
Nei primi anni Ottanta ripresero anche le incursioni di Giacomelli al Sud. Tra il 1982 e il 1983 si recò in Puglia, completando la serie del 1958. Alcuni anni più tardi, 93 fotografie di Puglia furono impaginate nel romanzo di Raffaele Nigro Viaggio in Puglia (Giacomelli - Nigro, 1991), interessante quanto poco noto tentativo di commistione tra letteratura e fotografia, edito da Laterza. Fu invece su proposta di Marco Lion, ambientalista e politico attivo a Senigallia, che nell'ottobre 1984 Giacomelli partì per la Calabria, accompagnato dall'etnologo e musicologo Goffredo Plastino. Convinto di ritrovare lo stesso mondo arcaico e incontaminato dei tempi di Scanno, insoddisfatto delle immagini prodotte, Giacomelli organizzò un nuovo viaggio l'anno successivo, questa volta ispirato dai versi del poeta calabrese Franco Costabile, che ne Il canto dei nuovi migranti aveva gridato il dramma e le sofferenze della sua terra. Alle fotografie sulla Calabria furono infine dedicate due corpose pubblicazioni (Il canto dei nuovi emigranti, 1989; Mario Giacomelli, 1996).
Nel 1986 morì la madre, cui Giacomelli era profondamente legato. Per quattro anni consecutivi, tra il 1987 e il 1990, insieme ai tre artisti Fide (nome d'arte dello scultore Adolfo Minardi), Natale Patrizi e Walter Piacesi, Giacomelli partecipò alle attività del Centro interventi artistici in case coloniche, finalizzate al recupero di casolari di campagna e alla valorizzazione delle zone rurali dell’entroterra marchigiano. Sulla stessa falsariga si inserirono le serie di Giacomelli dedicate ai canti rituali di questua del Cantamaggio e della Pasquella, antichi riti propiziatori legati al culto della terra che si svolgevano ogni primavera in provincia di Ancona a Morro d’Alba e a Montecarotto, fotografati a partire dal 1990 per dieci anni consecutivi.
Nella prima metà degli anni Novanta Giacomelli accettò alcuni dei rari lavori su commissione per diverse importanti aziende. Nel 1991 realizzò alcuni scatti pubblicitari per l'americana Levi's e studiò una serie di immagini per il calendario Fiat (al responsabile pubblicitario dell'azienda che gli aveva chiesto di rifare le foto a colori e di inserire una Fiat Uno, Giacomelli rispose di saper lavorare solo in bianco e nero e che il pubblico era abbastanza intelligente da comprendere un messaggio promozionale della Fiat anche senza inquadrare un'automobile; gli Agnelli infine accettarono il lavoro così come proposto dal fotografo). Nel 1995, infine, fornì alla Illy alcune immagini per la nuova collezione di tazze d'autore, presentata poi nel 1997 con il titolo Stati d'animo.
A partire dal 1996 cominciò a lavorare alla serie I ricordi di un ragazzo nato nel 1925, inaugurando un ultimo, visionario filone di ricerca che proseguì fino al 2000: una vera e propria fantasmagoria fotografica di scenografie accuratamente allestite – sullo sfondo di campi, casolari semiabbandonati o edifici diroccati – assemblando alternativamente fili di ferro, uccelli finti, cani impagliati, maschere, fantocci, panni, ombre e, tramite l’autoscatto, la stessa figura dell’anziano fotografo. Dalla serie completa – composta da un migliaio di negativi – l'autore trasse una sequenza di 24 immagini, dal titolo Questo ricordo lo vorrei raccontare, con cui si chiuse definitivamente la sua parabola artistica. Lo spunto per mettere insieme quest’ultima serie venne dal ricordo delle visioni avute durante lo stato di dormiveglia seguito a un'operazione chirurgica, subita nel gennaio del 2000 a causa di un male incurabile. L'autoritratto d'apertura, in cui si vede un Giacomelli ormai settantacinquenne e quasi irriconoscibile, con il volto scavato dal male che lo incalzava, fu eseguito ad aprile dal figlio Simone in ospedale, dove il fotografo era stato ricoverato per un secondo intervento.
Giacomelli morì qualche mese più tardi, il 25 novembre del 2000, nella sua casa di Senigallia.
I documenti fondamentali per la ricostruzione della vicenda di Giacomelli, su cui si basa in larga parte la presente biografia, si trovano custoditi presso l'Archivio Giacomelli diSenigallia, altri sono rintracciabili nel Fondo Luigi Crocenzi, depositato presso il Centro di ricerca e archiviazione della fotografia (CRAF) di Spilimbergo (Pordenone). Il corpus fotografico principale, gestito dagli eredi, è invece dislocato negli Archivi Giacomelli di Senigallia e Sassoferrato.
G. Turroni, Vita d'ospizio (pieghevole della mostra), Milano 1958; La Biennale di Venezia 1978. Dalla natura all'arte, dall'arte alla natura (catal.), a cura di Z. Kraus, Venezia 1978; L'immagine provocata (catal.), a cura di L. Carluccio, Venezia 1979; M.G. (catal., Parma), a cura di A.C. Quintavalle, Milano 1980; M. Giacomelli - F. Permunian, Fotografie di M.G. interpretando il poeta Francesco Permunian (catal., Bolzano), Calliano 1986; Il canto dei nuovi emigranti, a cura di G. Plastino, Milano 1989; M. Giacomelli - R. Nigro, Viaggio in Puglia. Fotografie di M.G., Bari 1991; Storie di terra. M.G., a cura di G.G. Negri, Milano 1992; M.G. La terra, la materia. Visioni di Calabria, a cura di M. Lion, Catanzaro 1996; M.G. (catal., Roma), a cura di G. Celant, Milano-Modena 2001; S. Genovali, L'evocazione dell'ombra, Milano 2002; P. Morello, Alfredo Camisa. Carteggio 1955 963, Palermo 2003; Giorgio Ciacci. Dipinti (catal.), a cura di C.E. Bugatti, Senigallia 2006; S. Guerra, Parlami di lui, Ancona 2007; M.G. La mia vita intera, a cura di S. Guerra, Milano 2008; S. Giacomelli, M.G. Ovvero i ricordi di un ragazzo nato nel 1925 e di suo figlio nato nel 1968, in M.G. La figura nera aspetta il bianco, a cura di A. Mauro, Roma 2009, pp. 7-39; M.G. I piccoli inediti. Dieci versi in dieci fotografie (cartolina della mostra), a cura di P. Casagrande - G. Ferri, Senigallia 2010; S. Giacomelli, M.G. Una stagione sconosciuta (catal.) Senigallia 2011; M. G. Sotto la pelle del reale, a cura di K. Biondi - M. Itolli - C. Zucchetti, Milano 2011; M. Andreani, Photo-poems. Visual impact strategies and photo-story in the work of M.G. and Luigi Crocenzi, in Enlightening encounters. Photography in Italian literature, a cura di G. Alù - N. Pedri, Toronto 2015, pp. 141-168.