FARA, Mario Giulio
Nacque a Cagliari il 5 dic. 1880 da Giuseppe, avvocato, e da Maria Dessy. Non seguì alcun regolare corso di studi, ma ebbe solo sporadici insegnanti privati per le diverse materie di cultura generale ed in seguito anche per il canto e per la musica; fu quindi fondamentalmente autodidatta. Dal 1906 al 1918 insegnò solfeggio ed armonia nella scuola di musica "Mario de Candia" di Cagliari, e dal 1905 al 1917 canto corale nelle scuole normali di Cagliari. Nel 1923, in seguito a concorso, divenne docente di estetica e storia della musica, nonché bibliotecario, al liceo musicale "Rossini" di Pesaro, ricoprendo tali ruoli fino alla morte avvenuta a Pesaro il 9 ott. 1949; unica interruzione, la radiazione dall'insegnamento nel 1943 per la sua opposizione al governo della Repubblica sociale italiana.
Del suo spirito versatile è testimonianza la produzione artistica: novelle, libretti d'opera, drammi, scritti di storia, estetica e critica musicale. La sua principale attività fu tuttavia quella di raccoglitore e studioso di canti popolari, in particolar modo della Sardegna, sua terra d'origine.
La sua ricerca etnomusicologica si svolse in due direzioni: la raccolta dei documenti sonori e la sistemazione teorica di problemi e concetti ad essi inerenti. Nonostante il ritardo di certe posizioni teoriche, che rimandano a una sintesi di idee tardoromantiche in altri campi già superate, sono tuttavia da riconoscergli meriti significativi. Fu uno dei primi infatti a considerare il canto popolare nella sua inscindibile unità di parola e musica, indicando in quest'ultima il suo vero elemento costitutivo, laddove fino a quel momento gran parte degli studi sul canto etnico avevano dato priorità assoluta al testo verbale. Le sue idee trovarono chiara espressione nell'introduzione al volume L'anima della Sardegna (Udine 1940). Nel porre in rilievo l'importanza della melodia come elemento costitutivo del canto popolare, sostenne che generalmente si adattano i versi su melodie preesistenti, accadendo spesso che "ad una stessa melodia archetipo vengano, in epoche diverse, sposati testi poetici susseguentesi cronologicamente", mentre il procedimento inverso si verifica molto raramente. Il fatto che una melodia possa essere versificata più volte dipenderebbe dall'essere la musica "espressione di sentimenti fondamentali comuni agli uomini di tutte le epoche, mentre l'espressione verbale, che è in continua evoluzione, richiede per ciascun paese e per ciascuna epoca parole, costruzioni sintattiche e metriche diverse".
Il quadro ideologico in cui il F. cerca di sistemare le sue teorie sul canto popolare appare, allora, legato ad una forma di popolarismo romantico di vecchio stampo. La stessa dicotomia tra musica come "espressione di sentimenti" (e quindi tendente alla stabilità, perché universale) e parola come elemento più razionale (e perciò in continua evoluzione) può essere ricondotta ad una visione del linguaggio musicale ancora di tipo ottocentesco. Né serve a conferire modernità al suo pensiero, sotto questo punto di vista, il tentativo di combinare spunti tardoromantici con elementi positivisti, quali una concezione della musica popolare in cui l'universalità dei suoi caratteri fondamentali (dovuta all'universalità dei sentimenti che l'ispira) è mediata dalle diversità etniche di ogni popolo, le quali ne determinano le gradazioni differenziali. Se da una parte quindi il concetto da lui introdotto di "etnofonia" (spontanea estrinsecazione della psiche umana": L'anima musicale d'Italia, Roma 1921) lo porta a sostenere la uguaglianza di essenza e di forma di tutta la musica primitiva (Unità di essenza e forma nella musica primitiva, in La Cronaca musicale, XIX [1915], 6-12, pp. 135-184), dall'altra egli ritrova nelle diversità biologiche e geografiche le motivazioni che determinano la specificità dei canti. Così le due grandi forme della musica popolare sarda, il "muttu" (canto del Nord, forma lunga e svolta) e il "muttettu" (canto della pianura, a Sud: breve forma strofica) risentono, nonostante la comunanza dei sentimenti che li produce, dei diversi ambienti naturali di cui sono espressione: la malinconia del "muttettu", tipica dell'uomo di pianura, è resa con "l'unicità dello stampo melodico, e il suo continuo ritorno, qualunque sia la lunghezza della poesia, e alle volte ripetuto su una sola sillaba" (L'anima della Sardegna). Vista l'importanza dei dati anatomici e fisiologici propri della razza i quali, "dando maggiore o minor capacità toracica..., sviluppando più o meno certi muscoli mascellari, costringono a parlare con la bocca più o meno aperta, imprimendo caratteri speciali di timbro, di ritmo, di acuità e di cadenza "alle diverse" lingue (e quindi al canto), il F. auspica "l'appoggio della fonologia linguistica e dialettale", riferendosi in particolare a glottologi come C. Cattaneo (Etnofonia e civiltà mediterranee, Venezia 1940, pp. 5-11).
Al di là delle conseguenze che egli trae da queste teorie può essere comunque interessante il metodo di lavoro che egli propone, riaffermando più volte nel corso delle sue trattazioni la necessità di collaborare con esperti di altre discipline, come archeologi, etnologi e glottologi (Saggio di geografia etnofonica, in Il Folklore italiano, V [1930], 1-2, pp. 1-16). Nonostante quindi il sostrato ideologico del F. sia, nelle sue linee generali, in ritardo con i tempi, egli è tuttavia disponibile ad accogliere alcune delle indicazioni metodologiche che altri studiosi (come B. Bartok in Ungheria) stavano allora elaborando, sia pure su ben altre basi. Così il lavoro in équipe da lui auspicato, pur nascendo da presupposti ormai superati, indica comunque la necessità di un approccio più approfondito al canto popolare, esigenza ancora poco sentita in quegli anni nel panorama degli studi etnomusicologici italiani (se si eccettuano studiosi isolati come A. Favara). Sull'esempio bartokiano, il F. fa rilevare l'importanza degli "svariati congegni che la moderna meccanica pone a disposizione del fisico" (Unità di essenza e forma nella musica primitiva, in La Cronaca musicale, XIX [1915], 6-12, pp. 135-184), onde non analizzare il suono fidandosi solo del proprio orecchio: il fonografo diventa quindi il vero strumento di lavoro del raccoglitore di canzoni popolari, laddove, a detta sua, nessuno in Italia si era avvalso di questa possibilità fino ad allora. Lo stesso desiderio di conferire scientificità all'analisi dei canti raccolti lo porta ad affrontare il problema della trascrizione. Egli è consapevole dell'insufficienza del sistema grafico di notazione per la musica popolare, poiché non è possibile indicare tutti i suoni crescenti e calanti, i particolari abbellimenti, i ritmi "strani" del canto etnico. Le sue trascrizioni saranno perciò limitate alle sole canzoni adattabili al "nostro sistema musicale" (ibid.). Pur non arrivando a prevedere un sistema di notazione specifico per la musica popolare (con l'uso di segni diacritici, come fece ad esempio Bartok in Ungheria), è tuttavia lodevole la messa a fuoco del problema, in un panorama di scarso interesse per la ricerca di criteri oggettivi di trascrizione. Egli critica perciò tutti coloro che trasportano, nelle trascrizioni, le canzoni in tonalità diverse da quella originale.
Infine, sempre nell'ambito di una sistemazione concettuale del campo di lavoro dell'etnomusicologo, è doveroso ricordare un suo importante contributo per la definizione di "canto popolare". Superando la semplicistica distinzione tra "musica dotta" e "musica popolare", il F. individua nell'ambito di quest'ultima tre categorie: la "canzone popolare" (o canzonetta), la "canzone del popolo" (o etnofonia vocale) e la canzone "semi-etnica". I principali criteri distintivi da cui ricavare le tre categorie sono: la presenza di un autore (per es. la canzonetta "non è creata dal popolo, ma da esso fatta sua"), l'area di diffusione (una canzonetta potrà far parte del repertorio domestico di una regione, ma difficilmente di quello pastorale strumentale) e la prassi esecutiva (una canzonetta non sarà mai eseguita da strumenti pastorali). La vera canzone etnica perciò è "condizionata dalla diversità dei caratteri etnici", "può vivere solo nel suo ambiente, per la bocca del popolo che l'ha prodotta" e non sopporta "connubi con la musica dotta" (ibid.). Essa è inoltre condizionata dal progresso tecnico: in un paese arretrato come la Sardegna "i canti risalgono a tempi remotissimi ed epoche primitive", e sono giunti a noi inalterati perché "le melodie non possono essere modificate se non da un popolo progredito" (Musica vocale popolare sarda, in Il Paese [Cagliari], 22 ott. 1905).
Il contributo del F. agli studi etnomusicologici non fu, nell'insieme, di grosso rilievo, perché ancora legato ad un quadro ideologico tardoromantico. Resta comunque meritorio il suo lavoro di raccoglitore di canti popolari sardi, nonché la sua partecipazione attiva alla vita musicale del tempo, sia come critico musicale sia come docente impegnato sul piano di un rinnovamento dell'istruzione musicale in Italia.
Oltre alle opere citate, ricordiamo: Su uno strumento musicale sardo, in Riv. music. ital., XX (1913), pp. 763-791; XXI (1914), pp. 1351; Giocattoli di musica rudimentale in Sardegna, in Arch. stor. sardo, XII (1916-17), pp. 23 ss.; Dello zufolo pastorale in Sardegna, in Riv. music. ital., XXIII (1916), pp. 27 ss.; Le canzoni sarde, Roma 1916; I caratteri della musica sarda, in Musica, n. 10, 31 maggio 1917, pp. 2 s.; Sull'etimologia di launeddas, in Riv. music. ital., XXV (1918), pp. 259 ss.; Appunti di etnofonia comparata, ibid., XXIX (1922), pp. 277 ss.; Canti di Sardegna, Milano 1923; Genesi e prime forme della polifonia, in Riv. music. ital., XXXIII (1926), pp. 343-551; Canto del popolo e musica dotta, ibid., XXXVII (1930), pp. 115; La sopravvivenza della musica preistorica in Sardegna, in Diorama della musica sarda, Cagliari 1937, pp. 21-24; Orizzonti musicali nella glottologia, in Italia dialettale, XVII (1941) 2, pp. 81-131; Etnofonia corsa, in Corsica antica e moderna, XI (1942), pp. 57-60; scrisse anche Genio ed ingegno musicale: G. Rossini, Torino 1919 e l'opera teatrale Elia, 1910.
Bibl.: C. Caravaglios, Ilfolklore musicale in Italia, Napoli 1936, pp. 324-327; F. B. Pratella, Primo documentario per la storia dell'etnofonia in Italia, Udine 1941, pp. 20 s.; G. Nataletti, Ilfolklore musicale in Italia dal 1918 ad oggi, Roma 1948, pp. 18 s.; D. Carpitella, Profilo storico delle raccolte di musica popolare in Italia, in Studi e ricerche del Centro nazionale studi di musica popolare dal 1948 al 1960, Roma 1960, pp. 46 ss.; A. M. Cirese, Poesia sarda e poesia popolare nella storia degli studi, Sassari 1961, pp. 122, 127, 129; P. Sassu, Bibliografia analitica degli scritti etnomusicologici di M. G. F., in Boll. region. archivio della Sardegna, n. 2, 1967, pp. 27-32; n. 6, 1975, pp. 79-83; A.M. Cirese, Culture egemoniche e culture subalterne, Palermo 1971, pp. 185-188; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 520; The Macmillan encyclopedia of music and musicians, London 1938, p. 630; Encicl. della musica Ricordi, II, p. 166; La musica, Diz., I, p. 630; Baker's biographical dictionary of musicians, p. 458; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, II, p. 701.