GIODA, Mario Giuseppe
Nacque a Torino il 7 luglio 1883 da Vincenzo e da Raimonda Vianetto, in una famiglia di modeste condizioni economiche. Costretto ad abbandonare presto gli studi, esercitò vari mestieri, tra i quali quello di compositore tipografo. Il rapporto di amicizia con il repubblicano T. Grandi, iniziato verso il 1900, fu decisivo per la sua vita privata e per le scelte politiche.
Fu Grandi, infatti, a insegnargli il lavoro tipografico - per cui il G. intraprese un'attività che gli permetteva di arricchire la sua cultura e di completare la sua formazione di autodidatta -, e a introdurlo negli ambienti repubblicani della città natale.
Trasferitosi nel 1903 a Milano per motivi di lavoro, prese a frequentare il gruppo che si raccoglieva intorno al periodico di sinistra La Folla, entrando in contatto con il direttore P. Valera, che lo invitò a collaborare al suo periodico. A sostegno del Valera il G., in occasione dello sciopero generale del settembre 1904, scrisse, proprio su La Folla, un articolo decisamente elogiativo.
L'articolo, importante per comprendere le sue idee politiche all'epoca, contiene una ancor vaga adesione ai principî anarchici ed è molto critico nei confronti delle istituzioni monarchiche. Successivamente, spostatosi su posizioni sempre più intransigenti, il G. partecipò alle attività dei gruppi estremisti milanesi, prendendo parte a manifestazioni antigovernative.
Nel 1908, rientrato a Torino, fu assunto come impiegato in una società di assicurazioni, svolgendo un lavoro che gli consentì di dedicarsi maggiormente alla politica, come animatore del gruppo La libera cultura, e di collaborare con più assiduità alla stampa anarchica, specificamente ai periodici libertari Sciarpa nera (1909-10) di Milano, L'Agitatore (1910-13) di Bologna, e ad altri fogli dello stesso indirizzo; scrisse anche sul settimanale repubblicano La Ragione della domenica che, per iniziativa di Grandi, uscì dal 4 giugno al 3 dic. 1911.
In questa sede il G. tentò una conciliazione tra i principî anarchici e l'opzione repubblicana, assumendo una posizione politica espressa anche nell'opuscolo Per un cencio di repubblica, pubblicato come supplemento alla rivista Dalli al tronco! di Parma.
Durante la guerra di Libia criticò duramente sia il socialpatriottismo dei socialisti propensi a "ovattare le istituzioni monarchiche", sia la "cenceria patriottica" dei nazionalisti (Il corporativismo non è che uno spostatore di cifre, in La Folla, I [1912], 17, p. 29); a essere presi di mira furono soprattutto L. Federzoni (L'on. Federzoni in giro a commemorare Adua, ibid., III [1914], 10, p. 6), G. Bevione e La Stampa, criticata per avere "diffuso a getto continuo le più grandi bugiarderie […] intorno alla Tripolitania, agli arabi, all'eroismo dei nostri conquistatori" (ibid., p. 12). Con gli pseudonimi "Il follaiuolo torinese" e "L'amico di Vautrin", il G. prestò un'assidua collaborazione anche alla seconda serie de La Folla (1912-15).
Qui pubblicò numerosi articoli di commento agli accadimenti quotidiani ed efficaci bozzetti di vita torinese, poi raccolti in opuscolo con il titolo Torino sotterranea illustrata (Torino 1914; ripubblicato quasi per intero in Almanacco piemontese, I [1969], 1, pp. 50-65).
In data 1° ag. 1914 il G., sul periodico repubblicano L'Iniziativa, si era dichiarato favorevole a un "blocco rosso" contrario all'entrata in guerra dell'Italia; ma, una settimana dopo, rovesciava completamente questa posizione pronunciandosi "per la guerra al prussianesimo" in articoli apparsi sia su La Folla sia sulla rivista anarchica Volontà (Tra il fumo e il sangue della grande guerra, 8 ag. 1914), per cui venne criticato da E. Malatesta e C. Agostinelli.
In effetti la conversione del G. all'interventismo, influenzata soprattutto dai suoi amici M. Rocca (Libero Tancredi) ed E. Bezzi, fu dettata dal desiderio di "impedire il predominio tedesco nel mondo" nonché da un certo spirito di avventura, che lo spingeva a considerare la guerra come l'unica possibile occasione per realizzare la rivoluzione.
All'inizio di ottobre il G. dimostrò di accogliere con favore la campagna dei gruppi interventisti: sottoscrisse, infatti, il primo manifesto del Fascio rivoluzionario, schierandosi a favore del composito nucleo di interventisti formato da M. Bianchi, A. De Ambris, A. Galassi, A.O. Olivetti, D. Papa, C. Rossi, M. Rocca (Prolungando la curva, in La Folla, III [1914], 40, pp. 21 ss.). Nei primi mesi del 1915, poi, insieme con Maria Rygier e M. Rocca, il G. fondò Guerra sociale (20 febbraio - 24 apr. 1915) dove continuò a sostenere l'intervento dell'Italia in guerra a fianco delle potenze dell'Intesa. Il passaggio all'interventismo aveva finito per ottenergli le simpatie di B. Mussolini, che lo invitò a scrivere su Il Popolo d'Italia di cui il G. divenne fedele collaboratore, continuando a inviare corrispondenze e note di guerra anche dal fronte. Infatti, nel gennaio 1916, il G. si era arruolato volontario, ma il 21 agosto dello stesso anno fu congedato a causa della gracile costituzione fisica. Richiamato alle armi il 18 genn. 1918 fu aggregato al 53° reggimento fanteria sino al 28 dicembre quando ottenne la "licenza illimitata".
Durante i mesi trascorsi al fronte, il G. aveva svolto un'intensa campagna antitedesca, diffondendo tra i soldati le idee di Grandi e di Bezzi e distribuendo La Risposta e altri organi di stampa inviatigli sempre dall'amico Grandi. Sulla vita militare, egli aveva raccolto le sue impressioni in un "Promemoria", dove riepilogava le sue esperienze e descriveva lo stato d'animo dei soldati, esaltandone la naturale ritrosia alla politica e lo spirito di solidarietà (Croce, p. 58).
Il 23 marzo 1919, a Milano, il G. partecipò alla fondazione dei Fasci di combattimento e, al suo ritorno a Torino, pose le basi per una loro costituzione nella città subalpina. Coadiuvato dai maggiori rappresentanti dell'interventismo torinese (G.C. Barbavara, A. Monti, P. Romani), il 25 e il 28 marzo convocò le prime assemblee pubbliche diffondendo, sul Popolo d'Italia, i resoconti delle riunioni e i manifesti rivolti alla cittadinanza.
Con un programma imperniato proprio sui miti cari a Mussolini e al suo giornale (attivismo, modernità, produttivismo, patriottismo), il G. si presentò all'opinione pubblica torinese e al variegato mondo degli ex combattenti e dei reduci, e fu soprattutto sulle speranze di questi ultimi - frustrate dalle vaghe promesse del governo - che il G. fece leva per riscuoterne il consenso e costituire il movimento dei fasci. Sempre a questo scopo, attraverso una propaganda ben orchestrata, si rivolse ai ceti medi, sfruttandone la paura del bolscevismo e sostenendo la difesa del patriottismo oltraggiato, mentre si rivolgeva con insistenza anche alla classe operaia presentando come false le promesse della rivoluzione bolscevica.
Il 18 apr. 1919 divenne segretario politico del fascio torinese e in tale veste riuscì a coordinare i primi nuclei fascisti in una vasta aggregazione con le associazioni "politiche, economiche e culturali" cittadine (Trentun associazioni liberali torinesi aderiscono al Fascio di combattimento, in Il Popolo d'Italia, 24 apr. 1919). I motivi principali del suo progetto politico, ispirato all'originario programma di piazza S. Sepolcro, furono ribaditi nei manifesti che il G. compilò in occasione del 1° maggio e nella ricorrenza dell'anniversario dell'entrata italiana in guerra.
All'interno dello stesso fascio torinese, però, il G. era intanto entrato in contrasto con il gruppo conservatore - di cui era principale esponente C.M. De Vecchi -, imputandogli sia la spasmodica ricerca di finanziamenti, sia il tentativo di imprimere all'organizzazione un indirizzo monarchico e filosabaudo. In occasione delle elezioni politiche del 16 nov. 1919, quindi, il G. accolse con rammarico la partecipazione del fascio alla lista del Blocco della vittoria, che comprendeva nazionalisti e monarchici, pur osteggiando comunque i liberali giolittiani: in quella circostanza fece scalpore il suo tentativo di gestire la lotta politica su un piano di civile confronto. L'insuccesso elettorale, che gli procurò duri attacchi da parte di De Vecchi, portò alle sue dimissioni e a un rimpasto della commissione esecutiva.
Nel giugno 1920 il G. - che nel frattempo proseguiva la sua attività di corrispondente del Popolo d'Italia -, di fronte alla crisi del governo Nitti e alla formazione di un nuovo governo Giolitti, presentò all'assemblea del fascio torinese un ordine del giorno "di dura condanna" contro il ministero, approvato dalla maggioranza. Ma la sua leadership venne contrastata dalle nuove adesioni di G. Broglia, di C. Forni e di C. Goria-Gatti, favorevoli alla tendenza "moderata" di De Vecchi. Proprio per prevenire eventuali attacchi, il G. cercò l'appoggio di U. Pasella, al quale si rivolse per riportare il fascio torinese a una concordia di vedute e imprimere a esso "un carattere operaio di sinistra" (lettera del G. a Pasella, datata 12 luglio 1920, in Roma, Archivio centr. dello Stato, Mostra della rivol. fascista, Carteggio Comitato centrale). Il 29 luglio 1920, nonostante i gravi contrasti, il G. fu rieletto segretario.
La sua riconferma, se segnò la fine dell'esperienza bloccarda, non portò alla ripresa del fascio torinese: scarsi risultati diedero sia l'attività propagandistica che il G. svolse a favore della questione di Fiume, sia la sottoscrizione promossa a favore dei bambini fiumani per la loro sistemazione presso famiglie italiane. Egli cercò di superare l'impasse istituendo due commissioni preposte l'una alla propaganda e l'altra al finanziamento. Ma ottenne scarsi risultati in entrambi i casi per molteplici motivi, in particolare la mancanza di sussidi da parte del comitato centrale, lo scarso rilievo dato all'attività del fascio sulla stampa cittadina e la diffidenza dei potenziali finanziatori nei confronti del G. per il suo passato anarchico e repubblicano.
Nel primo semestre del 1921 dovette confrontarsi con una vasta gamma di problemi organizzativi e finanziari, senza peraltro riuscire nel suo intento di dare un indirizzo "di sinistra" al fascismo torinese; tra l'altro, a marzo promosse il Fascio ufficiali combattenti in congedo e ad aprile assunse la direzione del settimanale Il Maglio. Proprio su questo foglio il G., facendo seguito all'intervista concessa il 21 maggio da Mussolini a Il Giornale d'Italia, diede largo spazio alla sua idea del fascismo come movimento "tendenzialmente repubblicano" e, nonostante le posizioni critiche di De Vecchi, fece approvare dalla commissione esecutiva un ordine del giorno di solidarietà. L'impostazione antimonarchica fu utilizzata dal G. per prendere le distanze dalle dichiarazioni filosabaude di De Vecchi, dalla sua spregiudicata gestione dei finanziamenti e, soprattutto, dal suo tentativo di trasformare il fascio in una organizzazione paramilitare.
Al convegno nazionale di Firenze (26-27 ag. 1921), cui partecipò come segretario politico del fascio di Torino, riaffermò le sue convinzioni repubblicane e sostenne il patto di pacificazione firmato da Mussolini alcune settimane prima. Al suo ritorno a Torino, fedele ai deliberati del convegno, il G. spronò gli aderenti a lavorare per una salda unità del movimento fascista, rivolgendo un appello perché fossero mantenute una "totale concordia di vedute" e una "rigida disciplina"; basandosi su questa linea unitaria, al III congresso di Roma (7 nov. 1921), sostenne la trasformazione del movimento in partito. Nei primi mesi del '22 cercò invano di ostacolare gli eccessi dello squadrismo fascista, chiedendo consigli e aiuti a Mussolini.
Dopo la marcia su Roma, in una lettera del 27 dic. 1922, il G. domandò addirittura di "procedere ad una selezione degli squadristi e impedire che i comandi militari possano sovrapporsi tanto facilmente alle autorità politiche del partito". Ma di fatto le sue richieste furono tenute in scarsa considerazione da Mussolini che, dopo gli incidenti di Torino di quel periodo, finì per affidare proprio a De Vecchi l'incarico di riorganizzare il fascio torinese, mentre alcuni esponenti antidevecchiani, come M. Gobbi e P. Gorgolini, vennero espulsi.
Dopo questa svolta, il G. ridusse l'impegno politico e, nell'aprile 1923, lasciò la direzione del Maglio; rimase comunque segretario sino al maggio dello stesso anno, imprimendo, in questo periodo, un indirizzo meno intransigente al fascio torinese e convocando con maggiore frequenza le assemblee pubbliche.
Agli inizi di ottobre 1923 il G., già afflitto dalla leucemia, si dimise in segno di protesta nei confronti di De Vecchi anche dalla carica di segretario del fascio: le dimissioni furono determinate, comunque, anche dalla malferma salute del G., che proprio nel dicembre 1923, fu ricoverato nell'ospedale S. Giovanni di Torino, dove firmò il suo ultimo scritto.
Si trattava della prefazione al volume Quattro anni di passione1919-1923.Artefici, martiri e gregari (Torino 1923; 2ª ed., a cura di E. Portino, ibid. 1935), in cui erano raccolte le poesie politico-satiriche del G., già apparse sui settimanali torinesi Il Pettine e Il Sonaglio dal 1919 al 1922. Il libro, corredato da un "elenco di tutti i Fasci e i Sindacati del Piemonte" e dalle "fotografie dei martiri fascisti", fu il suo ultimo omaggio alla "mirabile epopea" del fascismo.
Eletto deputato nel maggio 1924, il G. morì a Torino il 28 settembre dello stesso anno.
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